APE e misure correlate
L’accordo governo-sindacati del 28.9.2016 avvia la riflessione sul sistema pensionistico frutto della l. n. 214/2011. Essa apre la strada a misure sperimentali, quale l’APE (anticipo pensionistico) nelle varie declinazioni (sociale, volontario ed aziendale) e la RITA (rendita integrativa temporanea anticipata); talaltra a meri assestamenti, come l’opzione donna; infine, alla protrazione di interventi tormentati, come l’ottava salvaguardia per gli esodati. Un fermento di idee e di proposte, animato da uno stop and go che alimenta incertezze, acuite da un mercato del lavoro ancora asfittico, al di là dei segnali positivi. Spicca il tentativo di impulso alla previdenza pensionistica complementare, di cui si riconsiderano gli obiettivi, fra i quali potrà ben trovare spazio l’affermazione di un percorso autonomo prestazionale, che concorra – seppure in misura modesta – all’uscita fisiologica dal mondo del lavoro.
Il successo a livello europeo delle misure di contenimento della spesa pensionistica, frutto della l. 22.12.2011, n. 214 induce grande cautela nell’azione di governo volta a riaffrontare lo stesso tema, nel “tira e molla” fra chi punta all’abbassamento o almeno al blocco dell’età pensionabile, e chi ne difende l’automatico adeguamento, esclusa ogni discrezionalità amministrativa1. Questo atteggiamento aveva indotto2 alla reviviscenza della combinazione fra part-time agevolato e pensionamento anticipato, che, volontario, non aveva raccolto significative adesioni. Una cautela che non ha impedito di ricercare soluzioni, pur sperimentali, comunque volontarie, in tema di accesso alle pensioni, la cui valenza va valutata – anche se non in questa sede – nel contesto delle altre, diffuse iniziative del legislatore in termini di nuovo welfare. Sotto il profilo ricognitivo, si rileva che le misure in esame sono prevalentemente allocate nell’art. 1, l. 11.12.2016, n. 232 (legge di bilancio per il 2017). Esse sono così articolate:
a) l’APE sociale, co. 179-187 (ed anche d.l. 24.4.2017, n. 50, art. 53), sotto forma di indennità a determinate condizioni (anagrafiche, stato bisogno, limite di reddito);
b) l’APE volontario, co. 166-178, sotto forma di prestito garantito dallo stesso trattamento pensionistico, dunque sulla base delle forze dello stesso lavoratore, salva la possibilità di intervento finanziario del datore di lavoro (cd. APE aziendale, che riecheggia l’art. 4, co. 17-ter, l. 28.6.2012, n. 92).
Nel sistema pensionistico di secondo livello spicca – correlandosi così i due livelli – la RITA (co. 188 ss.). La tecnicità e la complessa articolazione dei rapporti originate dalle opzioni sottese ai nuovi meccanismi di accesso alle prestazioni “parapensionistiche” comportano la loro messa a punto in sede di normazione secondaria: da ciò per l’APE sociale il d.P.C.m. 23.5.17, n. 88 e per l’APE volontario il d.P.C.m. 4.9.2017 in corso di definitiva approvazione, mentre per la RITA è intervenuta la COVIP (circ. di orientamento 22.3.2017). Fanno da contorno, sempre nella l. n. 232/2016:
a) il co. 222, che, facendo seguito alla disposizione di cui al co. 281, l. 28.12.2015, n. 2083 svincola la cd. opzione donna dalla maturazione della decorrenza della prestazione entro il 31.12.2015;
b) i co. 212 ss., che proiettano il meccanismo della salvaguardia escogitato per ovviare alle rigidità della elevazione pressoché immediata dell’età pensionabile. Al raccordo fra primo e secondo livello fa seguito una coda nella travagliata l. n. 214/2011 che, nell’annunciare possibili innovazioni nel sistema pensionistico complementare (art. 1, co. 39), reca alcune novità proprio in tema di ravvicinato accesso alle prestazioni pensionistiche, che, seppur marginali, evidenziano l’attenzione al tema del pensionamento anticipato come modalità di contrasto agli effetti economici della disoccupazione4.
Il legislatore si affida a due distinti, anche se omonimi (Anticipato pensionamento) strumenti, che intendono anticipare un trattamento che non è propriamente quello pensionistico (nell’APE sociale si parla di indennità, nell’APE volontario si parla di prestito garantito dalla pensione), dal che non piccole differenze di regime, come si vedrà nel dettaglio. Il legislatore pesca poi anche nel sistema pensionistico complementare, mettendo a punto un strumento di prestazione anticipata, con qualche difficoltà di raccordo. Il tutto, con carattere di sperimentalità.
La l. n. 232/2016, prevede, in esperimento dall’1.5.2017 al 31.12.2018, tre tipologie di anticipo pensionistico (APE).
La prima, più importante, è introdotta dall’art. 1, co. 179-1875 nota come APE sociale, o anche social, secondo la moda anglofila, come prestazione a carico del bilancio dello Stato, erogata dall’Inps a domanda dell’interessato, per accompagnare all’età pensionabile alcune categorie di lavoratori in condizioni particolarmente svantaggiate, quali:
a) disoccupati che abbiano esaurito, da almeno tre mesi, la relativa prestazione, purché la disoccupazione consegua alla cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell’ambito della procedura obbligatoria di conciliazione prevista per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo (art. 7 l. 15.7.1966, n. 604);
b) assistenti, da almeno sei mesi prima della presentazione della domanda, del coniuge o assimilato o di parente di primo grado convivente con handicap grave ex art. 3, co. 3, l. 5.2.1992, n. 104;
c) invalidi civili con riduzione della capacità lavorativa pari o superiore al 74%;
d) svolgimento in via continuativa, nei sei anni precedenti la decorrenza dell’APE sociale, una o più delle attività lavorative particolarmente gravose descritte nell’allegato A del d.P.C.m. n. 88/2017: tali sono quelle che non abbiano subito interruzioni (per svolgimento di attività diverse da quelle gravose previste dalla legge o per inoccupazione), ovvero interruzioni, anche frazionate, che non superino complessivamente i dodici mesi, e purché le attività lavorative gravose siano state svolte nel settimo anno precedente la decorrenza per una durata almeno pari alla complessiva interruzione.
Requisiti per l’erogazione dell’indennità sono:
i) aver compiuto, o stare per compiere, entro la fine dell’anno di presentazione della domanda, 63 anni di età;
ii) essere residenti in Italia;
iii) essere iscritti all’a.g.o. dei lavoratori dipendenti, alle forme sostitutive ed esclusive, alle gestioni speciali degli autonomi, o alla gestione separata di cui all’art. 2, co. 26, l. 8.8.1995, n. 335;
iv) aver cessato l’attività lavorativa;
v) non essere già titolari di pensione diretta in Italia o all’estero. Ulteriore condizione è il possesso dell’anzianità contributiva minima, che deve perfezionarsi entro la fine dell’anno di presentazione della domanda: 30 anni (per i primi tre casi di cui sopra) o di 36 anni (per il quarto caso), dovendosi a tal fine tenere conto di tutta la contribuzione versata o accreditata a qualsiasi titolo nelle gestioni rientranti nell’ambito di applicazione della norma; i periodi contributivi coincidenti sono valutati, a tal fine, una sola volta. L’APE sociale può essere riconosciuto soltanto entro i limiti annuali di spesa di cui all’art. 1, co. 186, l. n. 232/2016, sicché, ai fini della individuazione di eventuali scostamenti rispetto alle risorse finanziarie annualmente disponibili per legge, l’Inps opera un monitoraggio delle richieste di riconoscimento delle condizioni di accesso al beneficio (da presentare prima della domanda di accesso al beneficio), monitoraggio che viene effettuato sulla base della maggiore prossimità al requisito anagrafico per l’accesso alla pensione di vecchiaia e, a parità di requisito, della data di presentazione della domanda di riconoscimento. La concessione dell’APE sociale è incompatibile con i trattamenti a sostegno del reddito connessi allo stato di disoccupazione involontaria, con l’ASDI e con il cd. indennizzo per cessazione di attività commerciale. L’Inps ha precisato che, in virtù di tale incompatibilità (e salvo il caso della domanda di indennità di disoccupazione agricola presentata per periodi di disoccupazione antecedenti alla decorrenza dell’APE sociale) l’eventuale domanda per richiedere un trattamento di sostegno al reddito connesso allo stato di disoccupazione presentata da chi già percepisca l’APE sociale verrà rigettata.
L’indennità decorre dal primo giorno del mese successivo alla presentazione (effettuabile solo per via telematica, accedendo con PIN dispositivo all’apposito servizio online, ovvero tramite patronati ed intermediari abilitati) della domanda di accesso al beneficio, ove a tale data sussistano tutti i requisiti e le condizioni previste dalla legge, ed è corrisposta fino al raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia, ovvero fino al conseguimento della pensione anticipata o di un trattamento conseguito anticipatamente rispetto all’età per la vecchiaia di cui all’art. 24, co. 6, d.l. n. 201/2011. L’indennità è corrisposta per 12 mensilità l’anno ed è pari all’importo della rata mensile di pensione calcolata al momento dell’accesso alla prestazione se inferiore a 1.500 euro ovvero pari a 1.500 euro per pensione pari o maggiore rispetto a detto importo. L’importo dell’indennità non è rivalutato, né integrato al trattamento minimo. Nel caso di soggetto con contribuzione versata o accreditata a qualsiasi titolo presso più gestioni, tra quelle interessate dall’APE sociale, il calcolo della rata mensile di pensione è effettuato pro quota per ciascuna gestione in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione maturati, secondo le regole di calcolo previste da ciascun ordinamento e sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento. Durante il godimento dell’indennità non viene attribuita la contribuzione figurativa.
Fiscalmente, l’indennità in questione, percepita in mancanza del reddito di lavoro dipendente, costituisce (art. 6, co. 2, t.u.i.r.) reddito della stessa categoria di quello perduto anche ai fini della determinazione delle ritenute fiscali e delle detrazioni d’imposta per reddito e per carichi di famiglia che l’Inps, in qualità di sostituto d’imposta, deve effettuare. Il beneficiario decade dal diritto all’indennità ove, durante il periodo di fruizione, divenga titolare di pensione anticipata o di un trattamento conseguito anticipatamente rispetto all’età per la vecchiaia (non determina decadenza, invece, la percezione di una pensione indiretta o di invalidità civile), ovvero svolga un’attività lavorativa in Italia o all’estero superando i limiti reddituali stabiliti dalla legge (8.000 euro lordi annui, se derivanti da lavoro dipendente o da collaborazione coordinata e continuativa, e 4.800 euro lordi annui, se derivanti da lavoro autonomo, tenendosi conto a tal fine dei redditi riferiti ad attività lavorativa svolta successivamente alla data di decorrenza dell’indennità). Di ulteriori norme di dettaglio non è possibile dare conto in questa sede. Va invece sottolineato che, nella circ. n. 100/2017, l’Inps abbia in più punti ribadito che l’APE sociale non ha natura di trattamento pensionistico, trattandosi di prestazione assistenziale, tanto è vero che, secondo l’Istituto, il recupero dei ratei indebitamente percepiti soggiace ai principi dalla disciplina di diritto comune (art. 2033 c.c.) e non a quella speciale del recupero degli indebiti pensionistici. Tale qualificazione, però, non appare convincente, quantomeno alla luce delle categorie eurounitarie e dell’interpretazione restrittiva che la Corte di giustizia dell’Unione europea ha dato alla nozione di assistenza sociale di cui all’art. 3, par. 5, lett. a), del reg. CE n. 883/20046. Secondo tale orientamento, posto che l’erogazione dell’APE sociale è condizionata, tra l’altro, alla ricorrenza di un (elevato) requisito contributivo minimo e prescinde da qualsivoglia valutazione individualizzata della posizione del richiedente (essendo attribuita, come detto, sulla base dell’accertamento di condizioni oggettive definite in via generale dalla legge, seppure nel limite delle risorse finanziarie allocate), sembra che essa vada qualificata come prestazione di natura previdenziale e che, come tale, sia pienamente compresa nell’ambito di applicazione del citato regolamento europeo. Più in particolare, tenuto conto della funzione evidentemente unitaria dell’istituto, al di là delle diverse categorie di beneficiari, ed escluso che possa trattarsi di una prestazione di disoccupazione ed anche di una prestazione di pensionamento anticipato, non rimane che inquadrarla nelle prestazioni anticipate di vecchiaia di cui all’art. 1, lett. x), del menzionato reg. n. 883/2004. Ne deriva, ulteriormente, che alcune delle precisazioni contenute nella circ. Inps, 16.6.2017, n. 100 (e segnatamente quelle secondo le quali il requisito contributivo non può essere perfezionato totalizzando i periodi assicurativi italiani con quelli esteri e quella secondo la quale la perdita della residenza italiana durante il periodo di fruizione comporta la decadenza del beneficiario dal diritto all’indennità) si pongono in contrasto con la regola della totalizzazione dei periodi di assicurazione ed occupazione in un altro Stato membro dell’Unione o del SEE (art. 6 reg.) e con quella dell’abolizione delle clausole di residenza (art. 7 reg.).
Natura giuridica, e funzione, affatto diversa ha, invece, la seconda tipologia di anticipo pensionistico (art. 1, co. 166-178, l. n. 232/2016)7. Meglio conosciuta come APE volontario, l’istituto consiste essenzialmente in un prestito erogato (tramite l’Inps) da un istituto bancario o finanziario ai lavoratori che ne facciano richiesta e siano in possesso di determinati requisiti. Questo meccanismo consente di ricevere, prima della pensione, un assegno mensile (alternativo o complementare allo stipendio, non essendo richiesta la cessazione dell’attività lavorativa), il cui importo verrà poi rimborsato dall’interessato una volta raggiunta la pensione e nei primi venti anni del trattamento: un prestito, dunque, in cambio di una decurtazione futura della pensione, parte della quale dovrà essere impiegata per ripagare il debito contratto. La differenza con l’APE sociale è quindi macroscopica: la prima, essendo riservata solo a particolari categorie di lavoratori in condizioni di difficoltà, è costituita da una prestazione (che qui si ritiene interamente previdenziale) a carico dello Stato, mentre la versione volontaria, in quanto prestito, comporta un costo, sia pure in parte sostenuto dallo Stato, a carico di chi ne usufruisce8. Più in particolare, ed in sintesi, i lavoratori (dipendenti pubblici e privati, lavoratori autonomi ed iscritti alla gestione separata, esclusi i liberi professionisti iscritti ai rispettivi enti di previdenza privati), che vorranno usufruire dell’APE volontario, al momento della richiesta dovranno avere almeno 63 anni di età e 20 anni di contributi versati. Potrà tuttavia accedervi soltanto chi, maturando il diritto alla pensione di vecchiaia entro 3 anni e 7 mesi, percepirà una prestazione previdenziale (al netto delle rate di rimborso) non inferiore a 1,4 volte l’assegno minimo (circa 702 euro al mese) e non sia titolare di pensione diretta o di assegno ordinario di invalidità. L’anticipo, erogato in rate mensili, potrà avere la durata minima di 6 mesi e massima di 43 mesi. L’importo mensile dovrà essere di almeno 150 euro, mentre quello massimo oscilla fra il 75% e il 90% della pensione in base alla durata dell’anticipo. Raggiunta l’età per godere della pensione di vecchiaia, l’Inps la erogherà al netto della rata di ammortamento, inclusiva di restituzione del capitale, interessi e assicurazione. Dopo 20 anni dal pensionamento la restituzione del prestito verrà completata e la pensione tornerà al livello normale. Nel caso di premorienza del pensionato rispetto alla completa restituzione del prestito, l’assicurazione pagherà il debito residuo e l’eventuale reversibilità verrà corrisposta senza decurtazioni. Il d.P.C.m. del 5.9.2017 prevede che entro un mese dalla sua entrata in vigore i ministeri dell’Economia e del Lavoro stipulino con l’ABI un accordo quadro per definire il tasso d’interesse da corrispondere sul finanziamento e che, entro lo stesso arco di tempo, dovrà essere siglata l’intesa con l’ANIA per definire la misura del premio assicurativo del rischio di premorienza e i termini e le modalità di adesione da parte delle imprese assicuratrici. Nelle intenzioni del Governo, il costo finale del prestito ponte dovrebbe aggirarsi da un minimo del 2% fino al 55,5% medio annuo9. Nella richiesta di finanziamento si dovrà poi tener conto degli altri debiti pluriennali contratti dal lavoratore (ad es. il mutuo-casa): l’ammontare massimo della quota mensile di APE usufruibile dovrà essere tale da determinare una rata che, sommata a eventuali altre rate per prestiti già contratti con ammortamento superiore alla durata dell’anticipo, non risulti superiore al 30% dell’importo mensile del trattamento pensionistico. Con l’entrata in vigore del d.P.C.m. attuativo dell’APE volontario, dovrebbe diventare operativa anche la cd. RITA (rendita integrativa temporanea anticipata), prevista dall’art. 1, co. 188193, della l. n. 232/2016, di cui si darà conto nel paragrafo successivo.
Una variante dell’APE volontario è costituita dal cd. APE aziendale previsto dall’art. 1, co. 172, l. n. 232/2016, che è fisiologicamente ma non necessariamente correlata con processi di ristrutturazione aziendale, e che si differenzia essenzialmente per il fatto che l’onere economico è, almeno in gran parte, a carico del datore di lavoro. I requisiti di accesso sono i medesimi dell’APE volontario (almeno 63 anni di età e 20 anni di contributi versati), ma in questo caso l’azienda datrice versa all’Inps una contribuzione aggiuntiva correlata alla retribuzione percepita dal lavoratore prima della cessazione del rapporto di lavoro, in modo da produrre un aumento del trattamento previdenziale tale da compensare l’onere per il lavoratore della restituzione rateale ventennale dell’anticipo ricevuto. Più in particolare, in quest’ultima tipologia il datore di lavoro del settore privato, previo accordo con il lavoratore, deve versare all’Inps, in un’unica soluzione alla scadenza del pagamento dei contributi della prima mensilità di APE, un contributo non inferiore (per ciascun anno o frazione di anno di anticipo rispetto alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, e sempre per un periodo compreso da un minimo di 6 mesi ad un massimo di 3 anni e 7 mesi) all’equivalente della contribuzione volontaria (cioè almeno pari al 33% della retribuzione imponibile delle ultime 52 settimane lavorate). Resta comunque ferma la facoltà delle parti di accordarsi per il versamento di un contributo superiore al predetto valore, fino al massimo di accollare interamente all’azienda l’onere della rata di ammortamento10.
Nello sforzo di potenziare, mediante implementazione delle risorse economiche disponibili, le spinte per l’accesso anticipato alle prestazioni pensionistiche, la l. n. 232/2016, art. 1, co. 188-193, consente agli iscritti ai fondi pensione – dipendenti privati e pubblici, nonché autonomi iscritti alla quarta gestione Inps (non anche gli iscritti agli enti privati di previdenza) –, per ora in via sperimentale per un tempo limitato (31.5.201731.12.2018), di utilizzare in tutto o anche in parte il montante accumulato in regime di contribuzione definita presso i Fondi pensione, previa trasformazione in rendita temporanea11, soggetta alla imposizione agevolata propria delle prestazioni principali del secondo livello pensionistico.
È richiesto il possesso della certificazione del diritto all’APE da parte dell’Inps e che cessi il rapporto di lavoro o l’attività professionale indipendentemente dal requisito di anzianità contributiva minima. Senza incidere sul d.lgs. 5.12.2005, n. 252, risulta evidente che il legislatore sperimenta una nuova prestazione di secondo livello che, ove si dovesse consolidare, andrebbe ad aggiungersi all’elenco di cui all’art. 11 del citato decreto, ponendo problemi di coordinamento. Nonostante il carattere sperimentale della misura, ne va identificata la natura per una ragionevole sistemazione nel quadro delle prestazioni di secondo livello pensionistico, nell’alternativa fra “anticipazioni” ex art. 11, co. 7 e “riscatti” ex art. 14, co. 2: la possibilità della integrale utilizzazione del montante, che verrà frazionata in forma di rendita limitatamente al tempo mancante all’età pensionabile, con conseguente esaurimento della posizione e quindi estinzione del relativo rapporto con il Fondo, orienta, seppure dubitativamente, verso una possibile configurazione della RITA alla stregua di riscatto, senza possibilità dunque di ogni possibile reintegrazione; ne è conferma la circostanza che per la RITA non è prevista, come invece per l’APE volontario, la revocabilità della scelta (co. 169: seppure si tratti di una revocabilità identificantesi con il consentito recesso dal correlato contratto di assicurazione). Si aggiunga la circostanza che rispetto alle ordinarie prestazioni di secondo livello erogate in forma di rendita, mancano alcuni profili sostanziali, quali la previsione di elementi tipici del calcolo (mortalità, tasso di rendimento) e dell’obbligo di erogazione tramite Compagnia di assicurazione: dunque, piuttosto che di una vera e propria rendita, alla fine si tratta di una sorta di rateizzazione della erogazione liquidata in capitale (la COVIP parla di “erogazione frazionata”: circ. di orientamento del 22.3.2017), suscettibile di seguire una periodicità anche diversa dalla cadenza mensile per allinearla alla cadenza adottata dal Fondo. Sarà comunque utile distinguere a seconda che la RITA derivi da liquidazione dell’intero montante, o da liquidazione solo parziale del montante. Il troncone di montante, così come l’intero, destinato a RITA entra nel patrimonio dell’iscritto, e sarà suscettibile, in caso di decesso durante la fruizione frammentata, di successione ereditaria; il troncone non liquidato continuerà a seguire la sorte della posizione individuale secondo le regole del d.lgs. n. 252/2005, mantenendo attiva la posizione. Le illustrate deviazioni rispetto all’impianto prestazionale ad oggi operante secondo il d.lgs. n. 252/2005 sono giustificate dalla temporaneità della misura, che tuttavia produce l’effetto di una sospensione nell’applicazione della corrispondente normativa ordinaria, posto che la RITA appare in contrasto rispetto alla disposizione dell’art. 14, co. 2, lett. c), seconda parte, laddove si esclude il riscatto nell’ultimo quinquennio precedente l’età pensionabile. Quest’ultimo dato fa dubitare della possibile riconduzione della RITA all’istituto del riscatto, e non è certo casuale che la COVIP non si sia pronunciata su questo punto, avendo anzi ritenuto di poter applicare alla RITA il regime di limitata cedibilità, sequestrabilità e pignorabilità (art. 11, co. 10, d.lgs. n. 252/2005) senza alcuno specifico appiglio nella scarsa normativa qui in esame: conclusione che lascia dubbiosi, se si considera che la disciplina di indisponibilità o limitata disponibilità dei diritti patrimoniali ha carattere tassativo. In termini non proprio coordinati rispetto alla RITA, la l. n. 214/201712 nell’art. 1, co. 38, al di là dell’innovazione in tema di conferibilità del TFR13 modifica – con effetto immediato – il meccanismo (art. 11, co. 4) di anticipazione quinquennale della rendita rispetto all’evento disoccupazione, riducendo il periodo di durata dell’inoccupazione presupposta da 48 a 24 mesi; di più, la norma innovata affida alle fonti istitutive il compito di eventuale anticipazione fino ad un massimo di un decennio. Esemplificativamente, un sessantaduenne (o cinquantaduenne, in caso di maggiore anticipabilità concordata), disoccupato da almeno 24 mesi (non più 48), potrà fruire di una rendita anticipata frutto della trasformazione (in tutto o in parte, altra novità normativa) della trasformazione del montante accumulato, fino al momento della maturazione dei requisiti per il pensionamento obbligatorio. Sebbene, del tutto presumibilmente, le anticipazioni di che trattasi siano – almeno nella generalità dei casi – esigue, si registra, a fronte di un depoziamento della funzione pensionistica, un potenziamento della funzione di sostegno del reddito, del tutto in linea con le scelte del momento. Questa constatazione non consente però di confondere una simile prestazione, già di sistema nella vecchia e nella nuova versione nell’impianto del d.lgs. n. 252/2005, con la RITA, differendone presupposti, modalità di calcolo e di erogazione.
L’analisi delle misure fin qui illustrate dà adeguato rilievo alla “cautela” che accompagna le scelte del Governo e con esso del Parlamento, in una linea di continuità con le osservazioni già svolte nel volume dello scorso anno, che qui si richiamano. Sperimentalità e non obbligatorietà mantengono formalmente intatto l’impianto adottato con la riforma del dicembre 2011, che si è avvalsa – quanto all’età pensionabile – del meccanismo di automatico adeguamento in funzione della speranza matematica di vita già sancito con il d.l. n. 78/2010. Quello dell’età pensionabile è certamente un nodo centrale delle prossime manovre, e le ipotesi di stabilizzazione dell’APE (specialmente sociale) possono definire una linea di contemperamento fra le esigenze di sistema e quelle delle categorie disagiate, come da elenco. Ci si deve tuttavia domandare quale sia il significato di un meccanismo “eterno” di adeguamento automatico dell’età pensionabile, che secondo le previsioni della RGSMEF «Le tendenze di medio-lungo periodo del sistema pensionistico» la porterebbe entro il 2065 a 70 anni e sei mesi, e se non sia più serio – in aggiunta a meccanismi che distanzino ragionevolmente le Colonne d’Ercole a presidio della lievitazione dell‘età pensionabile – prevedere quanto meno un rallentamento della progressione, fissando un ritmo almeno triennale dal 2019, insieme con la fissazione di un limite finale alla lievitazione, non oltre i 70 anni. È una domanda che si è a suo tempo posta con riferimento ad altro automatismo, quello della rivalutazione dei montanti secondo l’andamento del PIL, che, con il segno rosso, ha costretto il legislatore ad una brusca frenata in corsa (cfr. d.l. 21.5.2015, n. 65, art. 5). Non è di poco conto, in questa prospettiva, che nel citato accordo Governo sindacati si sia ipotizzata una revisione del meccanismo di adeguamento (punto 8, 5° alinea) per tener conto di una significativa diversificazione dei valori della speranza matematica in ragione di una attenta articolazione della platea dei lavoratori, capace di incidere sui valori medi.
Quanto al secondo livello pensionistico, le aperture, sperimentali sulla RITA, e definitive quanto all’evento disoccupazione, meritano di essere considerate positivamente, purché se ne curi una loro immissione organica nell’impianto complessivo, cogliendo auspicabilmente l’attivazione del tavolo di consultazione, ove far confluire, ai fini di una opportuna selezione e coordinazione, tutte le istanze di innovazione del sistema, che ne lascino inalterate la filosofia. Le riflessioni che precedono si concentrano solo sulla problematica pensionistica, con specifico riferimento ai problemi della anticipazione dei trattamenti. Altro respiro si potrebbe cogliere aprendo l’orizzonte all’intero mondo del welfare, soprattutto nella prospettiva segnata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 173 del 13.7.2016 in termini di compensazione fra le manovre previdenziali.
1 Il calcolo del coefficiente grava, con tanto di responsabilità erariale, su massimi dirigenti del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e del Ministero dell’economia e delle finanze (cfr. art. 12, co. 12-bis, d.l. 31.5.2010, n. 78).
2 Cfr. Sandulli, P., Part-time e prepensionamento, in Libro dell’anno del Diritto 2017, Roma, 2017, 384.
3 V. nt. 2.
4 Si tratta delle modifiche dell’art. 11, co. 4 e dell’art. 14, co. 2, lett. c), d.lgs. 5.12.2005, n. 252.
5 Un’interpretazione autentica della legge di bilancio è stata fornita dall’art. 53, d.l. n. 50/2017, mentre le modalità di attuazione delle disposizioni in esame sono state dettate dal D.P.C.M. n. 88 del 23.5.2017. L’Inps ha poi fornito alcune indicazioni interpretative con la circ., 16.6.2017, n. 100.
6 Con una giurisprudenza consolidatasi a partire dalla sentenza nel procedimento C. giust., 22.6.1972, C1/72, Frilli.
7 Disposizioni di attuazione sono state dettate dal d.P.C.m. del 4.9.2017 (in corso di pubblicazione) il quale ha stabilito, tra l’altro, che il diritto ad accedere all’APE volontaria (ma risulta più corretto, sul piano grammaticale, declinare al maschile l’aggettivo “volontario”, che è riferito al sostantivo “anticipo”) avrà effetto retroattivo, nel senso che coloro che abbiano maturato i requisiti in una data compresa tra il 1.5.2017 e quella di entrata in vigore del decreto possono richiedere, entro 6 mesi, la corresponsione di tutti i ratei arretrati maturati a decorrere dalla suddetta data di possesso dei requisiti. Questa decorrenza retroattiva pone delicati problemi sul piano assicurativo.
8 Costo costituito dagli interessi sul finanziamento, dal premio assicurativo e da una commissione che serve per alimentare un fondo di garanzia, con cui lo Stato ripagherà gli istituti che erogano il finanziamento in caso di eventuali insolvenze. Il Governo ha peraltro manifestato l’intenzione di prevedere, nella prossima legge di bilancio, facilitazioni di accesso all’APE volontario (ad esempio con un abbassamento del requisito contributivo di cui si sta per dire nel testo) per le donne, soprattutto se madri.
9 Il costo netto sarà, però, inferiore grazie al credito d’imposta previsto in legge di bilancio, che può arrivare fino al 50% dell’interesse sul finanziamento e sul premio: l’obiettivo del Governo sarebbe arrivare a un Taeg pari al 3,2 %.
10 A ben guardare, l’APE aziendale è una replica, con qualche significativa variante, dell’esodo incentivato di cui all’art. 4, co. 17-ter, l. n. 92/2012: cfr. Sandulli, P., L’esodo incentivato, in Cinelli, M.Ferraro, G.Mazzotta, O, a cura di, Il nuovo mercato del lavoro, Torino, 2013.
11 Già nel volume dello scorso anno risultavano evidenti i collegamenti fra le manovre anticipatrici sul primo e sul secondo livello (v. supra, nt. 2).
12 Annunciata fin dal febbraio 2015, la (ormai) legge sulla concorrenza aveva inizialmente coinvolto in maniera significativa la disciplina del Fondi pensione, sul versante della mobilità e dell’apertura dei fondi anche negoziali verso soggetti non ricompresi nell’ambito della categoria contrattuale. L’iter legislativo ha portato all’abbandono di queste ipotesi, con un ripiegamento sulla istituzione di un tavolo di consultazione, di là da venire, posta la inattuazione della analoga Commissione prevista dall’art. 24, co. 28 del d.l. 6.12.2011, n. 201.
13 Si consente ora di destinare solo una quota del TFR, e non l’intero, ma solo sulla base di accordi collettivi.