APE (lat. scient. Apis mellifica L.; fr. abeille; sp. abeia; ted. Biene; ingl. bee)
Imenottero aculeato della famiglia Apidae e del genere Apis (v. anche insetti ed imenotteri). Vive in società persistenti, polimorfe, formate da individui di tre caste: regina, fuchi, operaie (5, 6, 7, fig. 1).
L'ape operaia, femmina normalmente sterile, è quella che ha il corpo più piccolo. Ha il capo verticale di forma sub-piramidale, schiacciato in senso anteroposteriore (3, fig. 1); le antenne genicolate, composte di dodici articoli, rivestite di peli, ricchissime di sensilli tattili, olfattorî, auditivi; gli occhi composti sono laterali e di forma semilunare; gli ocelli in numero di tre sono situati sul vertice del capo. L'apparato boccale (fig. 2) è atto a lambire e ad assorbire, mediante la cosiddetta proboscide, formata dalle mascelle del primo paio (nelle quali il lobo esterno è espanso e laminare, provvisto di peli e sensilli), dai palpi del labbro inferiore e dalla glossa, o ligula. Questa sorpassa in lunghezza tutti gli altri pezzi boccali, termina con un'espansione, il labello, ha la superficie ventrale solcata da una specie di doccia ed è rivestita da folti peli. La ligula è notevolmente più lunga di quella della regina e dei fuchi e tale lunghezza consente la raccolta del nettare. Le paraglosse, situate ai lati della ligula, sono espanse, con sensilli e peli. Le mandibole sovrastanti le mascelle, sono robuste, fortemente chitinizzate, ad orli lisci che non possono intaccare i frutti.
Il torace, che ha forma globulare, è ricoperto di fitta peluria che ne nasconde la segmentazione. L'addome, di cui il primo segmento (propodeo) partecipa alla formazione del torace, ha forma ovoidale, con sette segmenti visibili esternamente. La porzione posteriore di ciascun urotergite ed urosternite si sovrappone all'anteriore del seguente. Nella porzione anteriore degli urosterniti quarto, quinto, sesto e settimo, si trovano due aree laterali, ovoidali, levigate, corrispondenti alle ghiandole della cera situate nell'ipoderma sottostante. Dall'estremità dell'addome sporge appena il pungiglione, formato da un bulbo cavo e da uno stilo. Quest'ultimo consta di un pezzo dorsale o guaina, che abbraccia, a guisa di doccia, due setole o stiletti provvisti distalmente di numerose piccole spine, e delle valve anch'esse con spine. Nel bulbo sboccano le ghiandole velenifere: la ghiandola acida e la alcalina. Il veleno, che risulta formato dalla secrezione di queste due ghiandole, quando l'ape punge, scorre nello spazio delimitato dagli stiletti e dalla guaina.
Le ali anteriori sono più lunghe delle posteriori e raggiungono in lunghezza l'estremità dell'addome; durante il volo si uniscono fra loro mediante uncini del margine anteriore dell'ala posteriore che si attaccano ad un ispessimento marginale dell'ala anteriore. Le tre paia di zampe hanno diverso sviluppo; le più robuste sono le posteriori. I varî pezzi articolari delle zampe hanno forma leggermente diversa in ciascuna delle tre paia; in tutte il tarso termina con due unghie bilobe e un empodio; le prime permettono alle api di attaccarsi a corpi scabri, l'empodio di aderire e camminare sopra superficie levigate. Nel primo paio di zampe si trova la stregghia delle antenne, formata da uno sperone bilobo portato dal margine distale interno della tibia e da una concavità semicircolare, provvista di spine disposte a guisa di pettine, contenuta nell'angolo superiore del primo articolo tarsale. La tibia del secondo paio di zampe porta una spina che servirebbe all'ape per liberare dal carico di polline le zampe posteriori. Queste portano i dispositivi per la raccolta, la cestella o corbella, la spazzola e la pinza. La superficie esterna delle tibie, largamente concava e contornata di folti e lunghi peli, forma la corbella; la superficie interna del primo articolo tarsale, largo e depresso, provvisto di brevi e robuste spine disposte in serie trasversali, forma la spazzola. Con questa, l'ape raccoglie dai peli del corpo i granuli di polline che, incrociando le zampe, depone nella cestella opposta. La pinza è formata dall'articolazione tibio-tarsale, nella quale il margine libero del tarso è ricurvo a guisa di becco e provvisto di peli; quello della tibia porta numerose grosse spine (8-19, fig. 1).
La regina (5, fig. 1), femmina fertile, è l'individuo più grande della società. Ha l'addome lungo, gradatamente decrescente verso l'estremità posteriore. Le ali sono di dimensioni quasi eguali a quelle dell'operaia, ma appaiono corte in rapporto alla lunghezza del corpo. È priva dei dispositivi per la raccolta, ha la glossa incapace di assorbire il nettare e non produce cera.
I fuchi (6, fig. 1), maschi fertili, hanno grandezza intermedia tra quella della regina e quella delle operaie. Il loro capo è grosso, a contorno suborbicolare, con occhi composti convergenti sul vertice e ocelli frontali; le antenne sono di tredici articoli. I varî pezzi dell'apparato boccale sono molto meno sviluppati di quelli dell'operaia e la glossa, notevolmente più corta, non serve alla raccolta del nettare. Le ali sorpassano in lunghezza l'addome il quale è tozzo, posteriormente arrotondato, con folti e lunghi peli. Mancano della cestella, della spazzola, della pinza e del pungiglione, come anche delle ghiandole della cera.
Le operaie (7, fig. 1) formano la parte maggiore dell'associazione, raggiungendo il numero di 20-50.000; compiono tutti i lavori necessarî alla società, i quali sono affidati a varie categorie. Le api giovani, che ancora non hanno iniziato i voli di raccolta fabbricano con la cera, secreta dalle ghiandole dell'addome, i favi, costruzioni verticali formate dall'insieme di celle a forma di prismi esagonali col fondo delimitato da tre facce rombiche, disposte in direzione orizzontale su ambo le facce del favo. Le api, abbondantemente nutrite di miele, si allacciano fra loro rispettivamente colle zampe anteriori e posteriori, costituendo delle catene pendenti a guisa di festone. In tale posizione la cera viene segregata e si consolida in minute scagliette che, con le mandibole, sono trasportate e lavorate per la costruzione del favo.
Le celle servono per le provviste di miele, di polline e per l'allevamento delle larve (covata). Per queste ultime vengono costruite celle di dimensioni diverse: le più piccole, che sono in maggioranza, servono per le larve delle operaie, altre di egual forma, ma un poco più grandi, per quelle dei fuchi, ed altre ancora, a forma di ghianda rovesciata, notevolmente più grandi delle prime, servono per la larva della regina e sono costruite soltanto quando la società sente la necessità di allevarne una. Tanto le celle ricolme di miele e polline quanto quelle contenenti larve prossime alla metamorfosi, sono chiuse con opercolo di cera.
La nutrizione della covata delle regine e dei fuchi è pure aífidata a giovani operaie. Tutte le larve, senza distinzione di casta, sono alimentate nei primi tre giorni, circa, dalla nascita, con una sostanza particolare che si ritiene essere la secrezione di ghiandole del capo (sopracerebrali) assai sviluppate nelle giovani api; in seguito le larve di operaie e di fuchi sono nutrite con miele e polline semidigeriti. Le larve di regina sono invece nutrite in permanenza con quella sostanza (pappa reale) e questo alimento determina lo sviluppo normale degli ovarî e le differenze morfologiche surricordate. Le api giovani, o di casa, si occupano inoltre della difesa, della pulizia, della ventilazione dell'alveare e della completa trasformazione del nettare in miele. La raccolta del nettare, del polline, del propoli e dell'acqua è operata dalle foraggere o bottinatrici, api adulte che hanno più di sedici o diciassette giorni di età (fig. 3). Il nettare, raccolto con la glossa, viene inghiottito ed è trasformato in miele nell'ingluvie o borsa melaria dell'ape mediante la secrezione delle ghiandole salivari. Nell'alveare è rigurgitato dalle bottinatrici alle api giovani, le quali lo collocano poi nelle celle. Il propoli, sostanza attaccaticcia, di colore bruno, raccolta dalle api sulle piante resinose, e che serve a chiudere gli interstizî della loro dimora, ad attaccare i favi, a ricoprire corpi estranei, ecc., viene trasportato all'arnia nelle cestelle, come il polline.
Le operaie sono femmine sterili aventi gli ovarî normalmente involuti. In casi eccezionali, api giovani (ovificatrici), possono deporre uova, dalle quali nascono maschi. La vita delle operaie è di circa 5-6 settimane in primavera ed estate, mentre quelle nate in autunno raggiungono la primavera seguente.
La regina, sempre unica nell'alveare, è una femmina generante. Si accoppia una sola volta nella vita, e l'accoppiamento si compie in volo, durante il cosiddetto "volo nuziale" che ha luogo dopo circa cinque o sei giorni dal suo sfarfallamento. Il maschio muore durante l'accoppiamento,. Di ritorno nell'alveare, da dove non uscirà che per sciamare, la regina inizia la deposizione delle uova (fig. 6). Nelle celle più piccole, da larve di operaie, ed eventualmente in quelle reali (fig. 5), depone uova fecondate da cui nasceranno larve di operaia e di regina; nelle celle da fuchi depone uova non fecondate (partenogenetiche), dalle quali nasceranno maschi. Le uova deposte giornalmente variano da circa un centinaio all'inizio della deposizione fino a 1500-3000 nel periodo primaverile ed estivo. In inverno la deposizione cessa. La regina che ha questo unico compito della deposizione delle uova, viene nutrita, curata e protetta dalle operaie. La sua vita dura per solito da 4 a 5 anni.
I fuchi compiono soltanto la fecondazione delle regine; sono incapaci di raccogliere nettare e polline e di fare qualsiasi altro lavoro; possono da soli sorbire il miele dalle celle, ma ricevono il polline dalle operaie. Sono allevati e tollerati nella società soltanto nei periodi di raccolta, di sciamatura, quando la minaccia della prossima sterilità della regina li rende necessarî alla fecondazione delle regine che debbono essere allevate. Cessate queste condizioni, le api li scacciano dall'alveare, o impediscono loro di nutrirsi.
La moltiplicazione delle società di api e la loro diffusione avviene per mezzo di sciami. Quando la società è popolosa e in periodi favorevoli, la vecchia regina e un gran numero di operaie che costituiscono il primo sciame, lasciano l'alveare, dove da una cella reale uscirà tosto una nuova regina. Il primo sciame talvolta è seguito da sciami successivi, formati dalla vergine regina meno giovane, da fuchi e da operaie.
Dell'Apis mellifica L. sono note numerose varietà, distinte per caratteri morfologici e biologici: Apis m. ligustica Spin., o ape italiana, molto nota ed apprezzata per le sue caratteristiche biologiche, con le operaie munite di tre fasce gialle sui primi segmenti addominali, diffusa in tutta la penisola italiana e in Sardegna e oggi allevata in quasi tutto il mondo; l'Apis m. cypria Pol.; Apis m. syriaca Bu. Reep; Apis m. carnica Poll.; Apis m. Cecropica Kiesenwetter; Apis m. fasciata Later., ecc.
Apicoltura. - L'allevamento dell'Apis mellifica L., e di alcune delle sue varietà, ha per iscopo la produzione del miele e in secondo luogo della cera e del propoli; inoltre la produzione ed il commercio degli sciami e delle api regine.
L'abitazione che l'uomo fornisce alle api è detta arnia; per alveare s'intende l'arnia provvista di costruzioni ceree (favi) e popolata di api (fig. 7); più alveari, riuniti in una località, formano l'apiario (fig. 11). Il sistema rustico e primitivo di allevamento consiste nel raccogliere sciami in arnie che imitino grossolanamente la dimora naturale delle api. Sono fatte di materiali diversi ed hanno varie forme. L'arnia rustica più usata, denominata bugno villico, è un tronco d'albero cavo tenuto verticalmente o in posizione orizzontale; uno o più fori permettono il passaggio delle api. Nell'interno le api costruiscono i favi attaccandoli direttamente alle pareti. Vengono pure utilizzati come arnie rustiche vasi di terra cotta, casse di legno, barili col fondo mobile, recipienti di paglia, di vimini o di ferula, a forma cilindrica, conica o di parallelepipedo.
L'arnia quadrangolare di ferula, rivestita con fango misto a sterco di bue, per impedire la dispersione del calore, è molto diffusa in Sicilia ed in alcune località della Calabria, mentre nelle altre regioni italiane è prevalentemente adottato il bugno villico.
L'allevatore si limita in questi casi a tener riparate le api dalla pioggia, dal freddo e dagli eccessivi calori estivi come anche a difenderle da eventuali nemici. Con questi sistemi, per estrarre il miele, è necessario toglier soltanto alcuni favi contenenti miele, cercando di risparmiare le api; ma questa operazione molto difficile è poco praticata. Di solito si ricorre all'apicidio per asfissia, sopprimendo quelle colonie che hanno già dato un certo numero di sciami. L'estrazione del miele implica inoltre anche la distruzione dei favi che vengono fusi per farne la cera vergine del commercio.
L'apicoltura razionale si basa sull'impiego di arnie a favo mobile, le quali consentono all'allevatore di osservare la vita dell'alveare, di rendersi conto delle necessità delle api, di aiutarle, di difenderle, di compiere insomma agevolmente le varie operazioni per le quali la colonia è spinta al maggior rendimento. Inoltre, l'estrazione dei favi si compie senza sopprimere le api e senza che essi rimangano danneggiati. In queste arnie i favi attaccati entro cornici di legno (telaini) sono sospesi in serie a due scanalature situate lungo un paio di opposte pareti, in modo che attorno ai telaini resti uno spazio sufficiente che impedisca alle api di attaccarli alle pareti e renderli fissi, ed essi possano quindi esser tolti colla massima facilità dall'alveare.
All'arnia a favo mobile, che raggiunge gli scopi suddetti, si è giunti gradualmente in seguito ad una serie di tentativi e di perfezionamenti. L'arnia greca a listelli, dalla quale i favi, attaccati superiormente ad asticelle, venivano estratti con semplice distacco dalle pareti, è forse stata la prima arnia del genere.
Francesco Huber, nella seconda med del sec. XVIII, ideò l'arnia a libro, costituita da dodici sezioni, lateralmente riunite da cerniera. Quest'arnia era esclusivamente da osservazione e consentì al Huber di compiere meravigliosi e fondamentali studî sulla biologia dell'ape. Soltanto fra il 1830 e il 1853 si giunse all'arnia a favo mobile da produzione, per opera di Dierzon, Berlepsch, Langstroth. Le arnie razionali moderne si possono raggruppare in due categorie, le une costruite sul modello ideato da Giovanni Dierzon e perfezionato da Berlepsch (1853), dette arnie tedesche, le altre su quello ideato da Langstroth (1851).
L'arnia tedesca di Berlepsch è verticale, di forma prismatica, con soffitta fissa e apribile mediante sportello della parete posteriore; i favi sono disposti in due o più serie sovrapposte. A questa categoria appartiene l'arnia Sartori, assai diffusa in Italia fino a qualche anno fa, e oggi caduta in disuso. È anch'essa di forma prismatica, rettangolare, con lo spazio interno diviso in due reparti da un'asse orizzontale, posta a 47 centimetri dal fondo. Nel reparto inferiore si collocano i favi che servono in gran parte alla covata; nei favi del reparto superiore (melario), nel quale le api accedono da un foro dell'asse di separazione, viene deposto il miele di riserva.
L'arnia di Langstroth ha invece i favi disposti in un'unica serie ed è apribile . dalla parte superiore, mediante soffitta mobile. Le arnie costruite su questo modello (arnie americane) più o meno modificate e perfezionate, sono molto diffuse nell'America settentrionale, ma vengono largamente usate e apprezzate anche negli altri paesi, consentendo di compiere le varie operazioni apistiche molto più agevolmente e rapidamente delle prime. In Italia è molto nota e adottata la Dadant-Blatt (fig. 8), a soffitta mobile, che diversifica essenzialmente dalla Langstroth nelle dimensioni delle varie parti. Consta di un corpo principale di forma quadrata, che misura internamente 45 cm. di lato e 32 cm. di altezza. Nella parte superiore della parete anteriore e posteriore sono praticate due scanalature, foderate in lamiera, sulle quali si sospendono i telaini per i favi. Può contenere 12 telaini aventi una luce interna di mm. 420 × mm. 267 ed una esterna di mm. 435 × mm. 300. Il listello superiore di questi, detto portafavo, è più lungo della trasversa inferiore e sporge di cm. 2 ½ da ciascuna parte delle trasverse laterali, formando due orecchiette che servono per l'appoggio dei favi sulle scanalature delle pareti dell'arnia.
Questa parte dell'arnia denominata nido o camera di covata poggia su un fondo dal quale può essere anche sollevata (arnia a fondo mobile). Nella parete anteriore, in basso, un intaglio lungo circa 35 cm. e alto 8 costituisce la porticina. La camera di covata vien chiusa superiormente con soffitta costituita da una o meglio da tre assicelle le quali poggiano sulle pareti del nido. Sopra questa si colloca il tetto.
Durante il raccolto, fra la camera di covata e la soffitta si pone il melario, cassa senza fondo, coi lati della stessa lunghezza di quelli del nido ed alta la metà, portante anch'essa due scanalature su cui poggiano i telaini. Questi hanno la luce interna di mm. 420 × mm. 135 e l'esterna di mm. 435 × mm. 160.
Nella camera di covata si possono collocare un numero minore di telaini e il diaframma, il quale consiste in un'assicella che ha la stessa forma e viene sospesa come un telaino, con dimensioni tali da combaciare perfettamente con le pareti dell'arnia. È di grandissima utilità, consentendo di allargare o restringere il nido a seconda dello sviluppo della colonia.
Sono in commercio numerosi altri tipi di arnia, che si possono ricondurre nelle linee fondamentali a quelle precedentemente descritte mentre si differenziano nei particolari; p. es. i favi anziché essere disposti perpendicolarmente alla porticina (disposizione a favo caldo) poggiano su scanalature delle pareti laterali dell'arnia; il predellino, cioè quella parte del fondo sporgente nella facciata anteriore dell'arnia, può, mediante cerniera, essere sollevato contro la porticina e chiuderla; questa può essere delimitata da un regolo con intaccature di diverse misure o con dispositivi varî che permettono di regolarne l'ampiezza; i melarî possono sporgere ai lati della camera di covata ed essere capaci di un maggior numero di telaini, ecc.
Nell'arnia marchigiana Perucci (fig. 9), le dimensioni del melario sono eguali a quelle del nido; essa è vantaggiosamente usata in quelle località ad abbondante flora nettarifera dove il raccolto vien fatto rapidamente.
L'arnia cuoriforme Tonelli (fig. 10) ha la camera di covata a forma di cuore, mentre il melario è eguale a quello della Dadant-Blatt. I telaini sono pure ogivali ed i favi assumono quindi una forma corrispondente a quella che le api dànno naturalmente ai loro favi. La forma del nido e alcuni dispositivi speciali, permettono l'automatica pulizia dell'alveare. Analoghi risultati si ottengono nell'arnia trapezoidale che ha il nido di questa forma.
A scopo di ricerca, di studio, di osservazione, si usano piccole arnie di uno o di pochi favi, aventi almeno due pareti provviste di vetro e riparate da sportelli in legno.
L'invenzione del favo mobile è stata seguita in breve da quella di un apparecchio, lo smelatore, che permette l'estrazione del miele dai favi senza che questi siano danneggiati; e da quella del foglio cereo, che si può considerare, insieme con lo smelatore, tra gli elementi indispensabili all'esercizio dell'apicoltura razionale.
Lo smelatore agente a forza centrifuga, fu inventato dal maggiore Hruschka intorno al 1865. Consta essenzialmente di un recipiente metallico, generalmente di forma cilindrica che contiene una gabbia di rete metallica a forma cubica fissa ad un asse centrale; in essa si pongono i favi precedentemente disopercolati. Un sistema di ruote ad ingranaggio, messe in moto mediante manovella, imprime un movimento circolare all'asse, alla gabbia e quindi ai favi; il miele viene pertanto proiettato fuori dalle celle e si raccoglie sul fondo dello smelatore (fig. 12).
I moderni smelatori variano più o meno nella forma, disposizione e capacità delle gabbie porta-favi. Con gli smelatori ora descritti è necessario dopo qualche giro rivoltare i favi perché l'estrazione avvenga quasi contemporaneamente in ambo le facce o il peso dell'una non rompa il tramezzo di separazione fra le due superfici di celle; per ovviare a ciò si usano smelatori a gabbie reversibili. In questi, con sistemi speciali di leve o con semplice inversione nella direzione del movimento, si provoca la semirotazione delle gabbie su sé stesse, in modo che le due facce dei favi soggiacciano alternativamente alla forza centrifuga.
Il foglio cereo, ideato nel 1857 dall'ebanista Giovanni Mehring è una sottile superficie di cera su ambo le facce della quale sono impressi i fondi delle celle da operaie d'identiche dimensioni e con la stessa regolarità di quelle costruite dalle api. In questi tramezzi, incorniciati dai telaini, le api completano il favo, innalzando i lati delle celle. L'uso del foglio cereo offre parecchi vantaggi. La produzione della cera da parte delle api è legata ad un assorbimento abbondante di sostanze zuccherine, implica quindi un notevole consumo di miele; risparmiando alle api il lavoro di costruzione di una parte del favo, si ottiene un vantaggio notevolissimo per la produzione del miele.
Il foglio cereo porta, come si è detto, l'impronta di celle da operaie; le api che altrimenti amerebbero costruire, salvo in periodi particolari, anche numerose celle da fuchi, sono indotte in questo modo a formare favi per covata da operaie con esclusione quasi totale di quelle da fuchi, i quali essendo forti consumatori delle provviste, diminuirebbero notevolmente il rendimento in miele. Inoltre i favi costruiti sulla guida del foglio cereo risultano più diritti e più regolari.
I fogli cerei si fabbricano mediante le faccettatrici a stampo o a cilindri. Le prime, come nella pressa Rietsche (fig. 17), constano di due placche metalliche portanti l'impronta delle celle. Quella inferiore ha forma di bacinella, la superiore è sostenuta mediante due bracci metallici che si imperniano con sfera terminale in due apposite concavità della placca inferiore. Fra queste placche viene compressa la cera fusa. Nella faccettatrice a cilindri, ideata primitivamente dal Root (fig. 13), un nastro di cera, di larghezza conveniente, passa fra due rulli. I fogli cerei ottenuti colle macchine a cilindri risultano più regolari e perfetti degli altri.
Il grande uso che si fa oggi del foglio cereo, ha consentito lo sviluppo di un'industria specializzata che, in Italia, è rappresentata da varî importanti stabilimenti. I fogli cerei sono posti in commercio generalmente nelle dimensioni necessarie per i telai della Dadant-Blatt e con spessore vario, a seconda che debbono servire per favi da nido o da melario, essendo per i primi necessaria una grossezza maggiore di quella dei secondi.
Il foglio cereo si attacca al telaino in varî modi ed anche con apparecchi speciali. Il metodo più semplice consiste nel tendere fra il portafavo e la traversa inferiore o fra le traverse laterali dei telaini, fili di ferro esilissimi, fermati attraverso i fori praticati nei regoli stessi. Il telaino così preparato si colloca su apposita tavoletta che ha le dimensioni interne del telaio, sulla quale viene disteso il foglio cereo; uno sperone Woiblet riscaldato si fa scorrere sui fili metallici che pertanto si approfondano nella cera (fig. 14).
Si è tentata da qualche tempo la sostituzione del foglio cereo con tramezzi di alluminio, portanti l'impronta delle celle, o con favi completi di alluminio e di paraffina (favo Italia), ma questi non sono ancora entrati nell'uso corrente.
Per compiere le varie operazioni apistiche in maniera rapida e facile, sono necessarî ed utili numerosi altri attrezzi fra i quali: l'affumicatore (fig. 15), indispensabile per ammansire le api durante le visite all'alveare; piccole leve metalliche che servono a sollevare le varie parti dell'arnia; raschiatoi per la pulizia delle pareti; spazzole per togliere le api dai favi; cassette di trasporto per questi; gabbiette d'introduzione di regine (fig. 19); fugapi di varia forma che consentono il passaggio delle api in una sola direzione (fig. 16); sfucatrici mediante le quali si catturano i fuchi (fig. 18); escludiregine, cioè lastre in zinco traforate o in fil di ferro che permettono il passaggio soltanto alle operaie e che vengono generalmente applicate fra il nido ed il melario o usate nell'allevamento delle regine (fig. 20); nutritori di varia forma e dimensione per l'alimentazione delle api; coltelli per disopercolare i favi; recipienti per sostenerli durante questa operazione; coltelli per il distacco dei favi nel travaso di colonie da arnie rustiche in quelle a favo mobile; recipienti per filtrare e conservare il miele, o per fondere la cera; apparecchi per la raccolta degli sciami; attrezzi varî per l'allevamento delle api regine; maschera e guanti per ripararsi dalle api; armadî di custodia dei favi, ecc.
Per ottenere una produzione di miele abbondante e quindi un reddito dall'allevamento delle api, è necessario soprattutto disporre di colonie o famiglie ricche e popolose. Una colonia ricca di bottinatrici raccoglie in abbondanza e accumula rilevanti provviste, delle quali l'apicoltore può approfittare, mentre una famiglia numericamente debole supplisce appena ai proprî bisogni. La maggior parte delle operazioni apistiche hanno quindi l'obiettivo principale di ottenere colonie che dispongano di moltissime bottinatrici nei periodi corrispondenti alle grandi fioriture. Il periodico rinnovamento di regine, la riunione di famiglie deboli, la nutrizione stimolante ed altre operazioni tendono appunto a questo scopo.
Nella visita che deve farsi agli alveari nell'inizio della primavera, l'allevatore si assicura della presenza e dello stato della regina, della presenza della covata e dello sviluppo numerico della colonia. Spesso durante il periodo invernale le api hanno quasi esaurito le provviste di alimento; in tal caso l'allevatore interviene, fornendo alle api favi colmi di miele ed opercolati, risparmiati a tale scopo nell'annata precedente, o somministra sciroppi di miele o zucchero entro speciali nutritori. Questi hanno diverse forme: possono essere recipienti di latta a forma cilindrica, con coperchio fornito di tela metallica, i quali vengono collocati capovolti su di un foro di diametro conveniente, al disopra della soffitta; si usano anche cassettine applicate dal lato esterno e comunicanti coll'interno dell'alveare mediante un foro praticato nelle pareti dell'arnia; possono invece avere la forma di un favo ed essere sospesi nell'interno dell'alveare al posto di uno di questi; in tal caso uno o più fori praticati in essi, e riparati sempre da rete metallica, permettono alle api di assorbire il nutrimento.
Oltre una nutrizione di tal genere, che può dirsi necessaria, si sogliono alimentare le api oltre al loro bisogno, allo scopo di stimolare la deposizione di uova e l'allevamento di covata, che è tanto maggiore quanto più abbondante è la provvista di cui una colonia dispone. La nutrizione stimolante si pratica in autunno o in primavera; ed in questo caso, tenendo conto dell'andamento delle fioriture e delle stagioni nelle varie località, la nutrizione si deve iniziare circa 40-50 giorni prima del raccolto, per aver pronto in questo momento un bel numero di bottinatrici.
All'orfanità di un alveare si può ovviare in maniera diversa a seconda del momento in cui essa si presenta: all'inizio della primavera non si possono fornire alle api né favi con covata giovane non avente più di circa 36 ore di età, sulla quale le api costruirebbero celle reali, né celle reali tolte eventualmente da altro alveare, poiché la giovane regina non potrebbe essere fecondata, mancando in quel momento i fuchi. La stessa cosa può dirsi per la introduzione di regine vergini. Questi sistemi possono essere utilmente adottati in quei momenti in cui gli alveari sono provvisti di fuchi, qualora però l'interruzione nella deposizione di uova, corrispondente al periodo necessario per lo sviluppo e per la fecondazione della regina, non pregiudichi irrimediabilmente la successiva efficienza della colonia. Quando è possibile si preferisce fornire all'alveare regine già fecondate.
Poiché le api non accettano sempre, e tanto meno se da tempo orfane o con operaie ovificatrici, regine provenienti da altri alveari, è necessario che la loro introduzione sia fatta con speciali cautele. A ciò servono delle particolari gabbiette, che si trovano in commercio in varî tipi (gabbiette Asprea, Palpella, Tortora, ecc.). In esse viene rinchiusa la regina da introdurre con la scorta di alcune operaie dell'alveare di origine. Queste gabbiette di rete metallica sono costruite in modo che, mediante il candito, miscela di miele e zucchero, può esserne chiusa l'uscita. Si pongono fra due favi del nido previa distruzione delle celle reali eventualmente esistenti nell'alveare; le api attratte dal candito, cominciano a consumarlo e dopo un certo periodo, circa 24 ore, aprono la comunicazione coll'interno della gabbietta. Frattanto, di solito, si sono familiarizzate colla nuova regina che può impunemente uscire ed è accettata.
Quando non è possibile in alcun modo rimediare all'orfanità di un alveare o alla sostituzione di una regina sterile, si riunisce questo, favi ed api, con altro normale. Nello stesso modo si provvede con quegli alveari deboli che non è possibile rinforzare; in tal caso si conserva una sola regina. Poiché le api sono per istinto ostili a quelle di altri alveari, che presumibilmente riconoscono coll'odorato, le riunioni di colonie debbono essere fatte in modo da rendere facile e pacifica l'accettazione e la mescolanza delle api di origine diversa. Vanno quindi seguite regole dettate dall'esperienza. Naturalmente i differenti metodi di riunione variano anche a seconda che si tratti di arnie dello stesso tipo o differenti, di alveari lontani o vicini, essendo necessario in quest'ultimo caso tener presente che le api ritornano nel punto precedentemente occupato dall'alveare se questo è stato spostato oltre circa mezzo metro e dentro il raggio di circa due o tre chilometri, massima distanza a cui sembra giungere la loro capacid di volo.
Per le ragioni sopra esposte, nell'apicoltura razionale, si tende anche a diminuire più che è possibile la sciamatura naturale, la quale porta ad un frazionamento di colonie che si ha maggior convenienza a conservare forti. Le moderne arnie a favo mobile hanno infatti dimensioni tali da consentire uno sviluppo notevole delle colonie, senza che queste siano spinte ad eccessiva sciamatura. Si preferisce pertanto, qualora si voglia aumentare con un mezzo analogo il numero delle proprie colonie, la formazione di sciami artificiali. Questi si ottengono in varî modi: per divisione, per spostamento, per concentramento, ecc. La sciamatura artificiale consiste essenzialmente nel togliere da due o più alveari forti un certo numero di favi con api e riunirli a formare un nuovo alveare, al quale si fornisce una regina nei modi precedentemente descritti. Quando la colonia ha raggiunto un notevole sviluppo, quando cioè il nido ha tutti i favi in efficienza, si sovrappone a questo il melario.
L'estrazione del miele si compie in primavera, estate od autunno, quando i favi del melario sono colmi. Tale operazione esige grande cautela specialmente quando è cessato il raccolto, per non eccitare, coll'odore del miele, le api al saccheggio. Con buffate di fumo si provoca l'esodo delle api dal melario nel nido, ciò che si può ottenere anche ponendo dal giorno prima un fugapi fra nido e melario; quindi si tolgono i favi da questo.
Prima di estrarre il miele dai favi mediante lo smelatore si levano gli opercoli coi quali le api chiudono le celle colme di miele; operazione che si compie con appositi coltelli disopercolatori.
All'approssimarsi dell'inverno, gli alveari debbono essere preparati per attraversare la cattiva stagione. Durante il periodo dei freddi invernali, è interrotta la deposizione di uova e le api si raccolgono tra i favi in un denso gruppo, il glomere. Per riparare dal freddo l'alveare ed evitare il più possibile la dispersione del calore, lo spazio del nido viene limitato, mediante un diaframma, allo stretto necessario. Al disopra della soffitta e nello spazio vuoto della camera di covata si pone materiale che ostacoli la dispersione del calore, come paglia, stoppa, segatura o trucioli di legno, fogli di carta ecc. o cuscinetti appositi contenenti questo materiale. Nei climi eccessivamente rigidi si rivestono le arnie con paglia e con seconde casse di legno.
Un'operazione che ricorre frequentemente è il travaso di colonie fra arnie razionali e ancor più da arnie rustiche in quelle a favo mobile. Mentre il primo genere di travasi è di facile attuazione, il secondo incontra maggiori difficoltà. I metodi usati sono numerosi. L'epoca più propizia per compiere i travasi è la primavera avanzata, prima del raccolto; in tale momento sarà consentito alle api di riparare alle perdite che il travaso porta inevitabilmente; nell'autunno, epoca da taluno consigliata, si avrebbe il vantaggio che la famiglia è meno numerosa, il che facilita il lavoro, e che i favi si sciupano meno essendo la temperatura poco elevata; ma le perdite subite dall'alveare non possono assolutamente essere riparate, ed inoltre non è facile in questo momento evitare il saccheggio.
In primavera, quando la raccolta del nettare non è incominciata, e in estate e in autunno, quando questa è scarsa o terminata, le api sono inclini ad introdursi in alveari vicini, rapinandoli spesso di tutte le loro provviste. A ciò sono però generalmente stimolate dall'odore del miele sparso o lasciato inavvertitamente esposto dall'apicoltore durante le operazioni. Il saccheggio lento e continuo è fatto generalmente in danno di colonie orfane e deboli, incapaci di opporre resistenza alle saccheggiatrici; più frequente è il saccheggio violento eseguito ad un tratto da gran massa di api che si addensano intorno a un alveare e lo invadono. Restringendo l'ingresso dell'alveare saccheggiato per facilitare la difesa da parte delle api di guardia e spruzzando con acqua l'orda delle saccheggiatrici, si può arrestare il saccheggio. In caso di saccheggi insistenti si cospargono con sostanze di odore sgradevole il davanzale o le pareti dell'arnia o si pone l'alveare saccheggiato al posto di quello saccheggiatore.
A prescindere dalle operazioni apistiche e dall'attività e cura che l'apicoltore dedica all'allevamento delle api, la produzione di queste è strettamente legata alle condizioni ambientali: la qualità ed estensione della flora, il clima, l'andamento delle stagioni, la natura del terreno, influente quest'ultimo sulla produzione nettarifera ecc. Poiché l'ape raccoglie entro un raggio di volo di circa tre chilometri, l'intensità del raccolto e quindi la produzione di miele è strettamente legata all'abbondanza delle piante nettarifere di quel territorio. L'estensione di prati naturali, specialmente se abbondano di salvia, timo, serpillo, meliloto, lavanda, lupinella ecc.; o di prati artificiali con piante foraggiere come la sulla, il trifoglio, la medica ecc. o estensioni di altre leguminose; le piante di brughiera come l'erica; quelle da frutto (amigdalacee e rosacee), gli agrumi, i castagni, i tigli, i ligustri, le robinie, e molte altre ancora, che offrono abbondante nettare alle api, costituiscono l'ambiente più produttivo. La consociazione del frutteto con l'apicoltura è inoltre molto profittevole alla produzione del primo, poiché le api favoriscono la fecondazione incrociata dei fiori.
Importanza notevole nei riguardi della produzione del miele ha il succedersi delle fioriture: poco propizie risultano le località nelle quali si ha un'unica fioritura primaverile, sulla quale le api raccolgono poco più di quanto occorra alla colonia nell'intera annata; buone od ottime sono le località nelle quali al raccolto sulle fioriture primaverili, quasi interamente usufruite per l'allevamento di covata, ne segue uno abbondante estivo ed anche uno autunnale, e quelle plaghe nelle quali il clima eccezionalmente mite consente il continuo succedersi di fioriture e quindi di raccolto. L'apicoltura nomade, cioè il trasporto di alveari da una località all'altra, ha appunto lo scopo di approfittare di fioriture nettarifere successive. Pertanto viene praticata, generalmente, spostando gli alveari dalla pianura al monte o fra località a diversa altimetria, o fra quelle in cui il clima e la qualità della flora portano tardive o continuate fioriture. Il trasporto degli alveari, scelti fra i più forti, era praticato in passato mediante carri o per ferrovia; oggi è reso molto più semplice dall'uso degli autocarri, che consentono di trasportare agevolmente e rapidamente a distanze notevoli interi apiarî (fig. 22).
La richiesta estera di regine di api italiane ha dato luogo a un'industria specializzata per l'allevamento intensivo di esse, industria che ha raggiunto in Italia il più alto grado di perfezione con stabilimenti apprezzati e rinomati come quelli che funzionano da varî anni a Bologna, a Castel S. Pietro, a Crevalcore, ecc.
Le api allevano spontaneamente regine quando sono orfane e dispongono di covata adatta sulla quale innalzano celle reali suppletive; quando desiderano sostituire la regina vecchia, sterile o poco feconda; quando si preparano alla sciamatura, cioè quando abbondano le provviste e la popolazione numerosa è costretta in poco spazio. Provocando artificialmente l'una o l'altra di queste condizioni, orfanizzando cioè l'alveare o limitando la regina in una parte dell'arnia, mediante una lastra escludiregina, o nutrendo abbondantemente la colonia costretta in poco spazio, si ottengono alveari atti alla costruzione di celle reali. Ad essi sono affidati particolari calicetti di cera, che rappresentano l'inizio delle celle reali, ottenuti artificialmente mediante appositi bastoncelli; si applicano in un certo numero, nella parte inferiore del regolo corrispondente al portafavo. Entro questi inizî di celle, l'allevatore colloca larve appena nate, destinate a divenir regine, tolte dai migliori alveari (alveari riproduttori). Le giovani larve sono abbondantemente nutrite dalle api e la cella reale è completata ed opercolata. Le celle reali opercolate, già prossime alla fuoruscita delle regine, sono affidate, riparate da speciale protettore, ad altrettanti alveari di fecondazione. Questi, detti nuclei o nucleoli di fecondazione, sono piccolissime famiglie, senza regina, collocate in piccole arnie apposite, che vengono quasi esclusivamente nutrite con mezzi artificiali, nel modo sopraddetto. Qualche giorno dopo la nascita, la giovane regina compie il volo di fecondazione, per ritornare poi nel suo piccolo alveare ed iniziare la deposizione di uova. La regina fecondata è allora presa e collocata, insieme con una piccola scorta di operaie, entro speciali scatolette di legno contenenti anche uno sciroppo denso di miele e zucchero, il candito, che serve alla loro alimentazione. Può così essere spedita a distanze considerevoli, restando in viaggio anche parecchi giorni. A quanto ammontino l'entità e il reddito dell'apicoltura italiana non è noto con precisione, perché non esistono ancora statistiche ufficiali degli alveari razionali e villici, né si conosce con esattezza il valore della produzione apistica; questa è certamente notevole e suscettibile di ulteriore grande incremento. Si ritiene comunemente che la produzione attuale di miele si aggiri intorno ad un valore annuo di circa 20 milioni di lire e che esso, data l'estensione del territorio sfruttabile coll'apicoltura, possa facilmente essere portato a 75-80 milioni di lire, con una produzione di circa 15 milioni di kg. di miele.
Le regioni d'Italia maggiormente produttive sono le Marche, gli Abruzzi e la Romagna, dove, per l'abbondante flora nettarifera, per il clima e soprattutto per il grande sviluppo dell'apicoltura razionale, si trovano i principali centri di produzione. L'apicoltura, villica e razionale, è praticata con una certa intensità anche in Toscana, Umbria, Lazio, Molise, Calabria e Sicilia, mentre nelle altre regioni essa non ha raggiunto quel grado di sviluppo che la natura e l'ampiezza del territorio consentirebbero.
Le api sono colpite da varie malattie infettive. La peste americana, determinata dal Bacillus larvae; la peste europea, dovuta al Bacillus pluton, la covata a sacco (sac-brood), colpiscono le larve. Il Nosema apis (Neosporidio) colpisce le api adulte; un acaro, l'Acarapis Woodi, che invade le trachee delle api, provoca una malattia nota col nome di acariosi, o malattia dell'Isola di Wight mai comparsa negli allevamenti italiani. Un dittero, la Braula caeca, è considerato ectoparassita delle api. L'Acherontia atropos, sfinge testa di morto, le formiche, i calabroni si nutrono del miele tolto agli alveari. Il Philanthus apivorus, imenottero, e fra gli uccelli, il Gruccione (Merops apiaster) ed il falco pecchiaiolo afferrano a volo le api. I favi, tanto nell'interno degli alveari quanto negli armadî di custodia, sono attaccati dalle tignole della cera, Galleria melonella e specie affini (fig. 23).
Bibl.: A. De Rauschenfels e V. Asprea, L'Ape e la sua coltivazione, Milano 1921; L. Langstroth e C. Dadant, L'abeille et la ruche, Parigi 1923; A. I. Root, The ABC and XYZ of Bee-culture, Medina, Ohio 1923; A. Zappi Recordati, l'Ape e l'Apicoltura, Bologna 1924; R. E. Snodgrass, Anatomy and Physiology of the Honeybee, Londra 1925; E. F. Phillips, Beekeeping, Londra 1926; G. Montagano, Le api e il miele, Catania 1928.