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In economia internazionale, l’a. dei mercati misura il grado di libertà con cui sono regolati gli scambi di beni e servizi e quelli di flussi di capitale con l’estero. Nel primo caso, si parla di a. dei mercati delle merci al commercio (➔ commercio internazionale), nel secondo, di a. dei mercati finanziari (➔ capitali, movimenti di).
In tecnica bancaria, l’a. di credito è un contratto, normalmente oneroso, mediante il quale una banca (accreditante) si obbliga a tenere a disposizione di un suo cliente (accreditato), per un dato periodo di tempo o a tempo indeterminato, una somma di denaro, che l’accreditato ha facoltà di prelevare.
I vantaggi dell’a. dei mercati al commercio internazionale sono stati teorizzati già da A. Smith e D. Ricardo. Smith ha formulato la teoria dei vantaggi assoluti, secondo cui ogni Paese beneficia della libertà di commercio, specializzandosi nella produzione di beni e servizi in cui risulta più efficiente rispetto agli altri importando le altre merci. È la stessa logica seguita dall’autore per determinare l’efficienza della specializzazione del lavoro in un’economia di mercato. Ricardo ha dimostrato che il commercio con l’estero conviene anche se un Paese non gode di vantaggi assoluti, perché esso ha comunque un vantaggio comparato su un altro Paese, nella produzione di una merce rispetto a un’altra. In questo caso, entrambi i Paesi traggono vantaggio dallo specializzarsi unicamente nella produzione del bene in cui sono relativamente più efficienti (in rapporto agli altri beni). Più recentemente, la teoria della dotazione dei fattori produttivi (➔ Heckscher-Ohlin, teorema di) ha applicato la stessa logica ricardiana alla disponibilità di lavoro e capitale, concludendo che i Paesi che usufruiscono di ampia offerta di forza lavoro si specializzano nelle produzioni di beni ad alta intensità di lavoro, e viceversa. Tuttavia vi sono anche argomenti teorici che identificano confini all’applicabilità delle impostazioni a favore della libertà di commercio: essi sono strettamente connessi all’esistenza di fallimenti del mercato (➔ mercato, fallimenti del), come nel caso di produzioni che causano inquinamento, se il costo per la società non viene internalizzato nei prezzi (➔ esternalità), o della protezione della proprietà intellettuale. Anche questi casi sono però risolti in modo più efficiente da un intervento interno, per es. tassando la fonte di inquinamento o introducendo i brevetti, piuttosto che limitando gli scambi con l’estero.
Le nazioni sono, però, storicamente soggette a spinte protezionistiche (➔ protezionismo), che mirano a limitare gli scambi con l’estero, soprattutto in periodi di crisi economica, perché la concorrenza internazionale, a cui l’a. dei mercati espone, porta con sé vincitori e vinti, e il necessario aggiustamento può essere un processo lungo e doloroso. Il protezionismo assume numerose forme, che hanno in comune la capacità di porre vincoli al commercio (dazi doganali, tariffe, quote di importazione, sussidi alle esportazioni ecc.) ed è proposto in virtù di diverse argomentazioni, fra le quali, per es., la difesa verso la concorrenza di Paesi in via di sviluppo con salari minimi troppo bassi e condizioni lavorative non accettabili. Secondo molti economisti si tratta, tuttavia, di un falso problema, perché la concorrenza dipende in ultima analisi dalla produttività del lavoro, che determina a sua volta i salari. Ciò che si osserva è l’esatto contrario della ‘corsa verso il basso’ paventata dai fautori del protezionismo: i Paesi in via di sviluppo che guadagnano posizioni nel commercio internazionale, come la Cina, registrano anche una riduzione del gap di produttività e salari rispetto alle economie avanzate.
L’a. dei mercati agli scambi è favorita dagli accordi commerciali fra Paesi. Ne sono esempi importanti l’Organizzazione mondiale del commercio (➔ WTO), l’Unione Europea (➔) e in precedenza la Comunità Economica Europea (➔ CEE), l’Accordo nordamericano per il libero scambio (➔ NAFTA).
L’a. dei mercati finanziari è strettamente legata all’a. dei mercati dei beni e servizi, perché ogni transazione commerciale deve risultare in un flusso di capitale equivalente e opposto. In termini di bilancia dei pagamenti (➔), il conto corrente (più i trasferimenti in conto capitale) e il conto finanziario devono sommare a zero. Il conto finanziario comprende gli investimenti di portafoglio (in titoli, azioni e strumenti finanziari più complessi) e investimenti diretti in attività imprenditoriali. Lo sviluppo dei mercati finanziari (➔ mercato finanziario) e la connessione internazionale fra istituzioni finanziarie si sono rivelati, durante le crisi del 2007 e del 2011, causa di estrema vulnerabilità del sistema economico mondiale agli shock finanziari.