APICIO (Apicius)
Sotto il suo nome ci è giunto un trattato de re coquinaria in dieci libri con poco meno di cinquecento ricette. Il nome Celio, che segue quello di Apicio nei codici recenti, si deve a congettura umanistica. Varie testimonianze antiche riferiscono che un Apicio aveva scritto di culinaria. Era certamente M. Gavio Apicio, che visse al tempo di Tiberio e profuse in banchetti la più gran parte del suo immenso patrimonio. Di esso narra Seneca che, quando s'accorse che gli rimanevano solo dieci milioni di sesterzî si tolse la vita col veleno per timore di dover morire di fame. Il trattato di Apicio, ch'era divenuto d'uso comune, ebbe varie edizioni, e ogni volta sofferse tagli, aggiunte, mutamenti e interpolazioni d'ogni specie, finché perdette in gran parte la fisionomia originaria. L'opera arrivata a noi appartiene, come sembra, a un editore della fine del sec.. IV, ed è scritta in latino volgare. Anche per colpa degli amanuensi il testo subì molti danni. Da un'edizione contaminata da altre fonti derivarono nel quinto o nel sesto secolo gli excerpta di Viridario.
I due codici fondamentali sono il 275 della collezione Phillips in Cheltenham e il Vaticano Urbin. lat. 1146, ambedue del sec. IX. L'editio princeps è quella stampata a Venezia, s. a., da Bernardinus Venetus; ediz. critica a cura di C. Giarratano e di F. Vollmer, Lipsia 1922.
Bibl.: V. Vollmer, Studien zu dem röm. Kochbuch von Apicius, in Sitzungsber. d. Bayer. Akad. d. Wiss., Phil-hist. Kl., 1920, Abh. 6; R. Sabbadini, I codici di Apicio, in Historia, I (1927); i; id., Apicio, in Historia II (1928), 2; E. Brandt, Untersuch. zum röm. Kochbuche, in Philologus, Suppl. XIX (1927).