APOCRIFI
Nella letteratura cristiana più antica il termine a. designava i libri 'segreti', in quanto non letti pubblicamente (Origene, Comm. ser. 46 in Mt. 24, 23-28, PG, XIII, col. 1567c-d; Comm. ser. 117 in Mt. 27, 3-10, ivi, col. 1769c; Rufino, Comm. in simb., 38, PL, XXI, coll. 374d-375a). Di questi, alcuni erano rigettati come eretici (Ireneo, Adv. haer., 1, 20, 1, PG, VII, col. 653a; Decretum gelasianum, 6, 7, PL, LIX, coll. 162-164) e altri riservati invece alla devozione privata, perché ritenuti o falsi - pseudonimi o pseudoepigrafi - o di autografia incerta (Origene, Comm. ser. 28 in Mt. 23, 37, GCS, XXXVIII, 1913, p. 51; Agostino, De civ. Dei, XV, 23, 4, PL, XLI, coll. 470-471). In parte desunti dal giudaismo, in parte redatti in ambito cristiano, tutti questi testi comunque non rientravano nei rispettivi canoni scritturistici. È proprio l'esclusione dal novero dei libri ispirati - nonostante l'apparente esistenza dei necessari requisiti di contenuto, forma o attribuzione - a qualificare gli a. come oggi li intendiamo e come li intese in genere il pensiero medievale. Scrive infatti Ugo da San Vittore, ricalcando in parte il citato brano di s. Agostino: "Praeter haec [sacros libros], alia volumina apocrypha nuncupantur. Apocrypha autem dicta quia in dubium veniunt [...]. In his apocryphis etsi invenitur aliqua veritas, tamen propter multa falsa, nulla est in eis canonica auctoritas" (Erud. did., IV, 7; PL, CLXXVI, col. 781c-d). Occupano un posto a parte gli scritti che, pur non compresi nel canone ebraico, godettero fin dal principio del favore della Chiesa e furono posti da s. Girolamo in appendice alla Vulgata: Tobia, Giuditta, Baruc, Siracide o Ecclesiastico, Sapienza I e II, Maccabei, brani di Daniele ed Ester. Sebbene dichiarati formalmente canonici solo dal concilio di Trento (quarta sessione, aprile 1546), l'autorità che fu loro riconosciuta fin dal sec. 2°, e poi per tutto il Medioevo, induce a considerarli alla stregua delle Scritture. Anche i testi prodotti dalle sette eretiche che proliferarono nei primi secoli dell'era cristiana non interessano in questa sede, pur essendo la maggioranza. Infatti, il rigoroso controllo esercitato dall'autorità ecclesiastica sulle immagini, data la loro maggior pubblicità rispetto ai libri, ne ha impedito l'influsso o quanto meno cancellato le tracce. I restanti a. trovarono invece subito nell'iconografia una risonanza profonda, che ne rappresenta il contributo più significativo e duraturo alla cultura cristiana. A loro volta le immagini offrono una documentazione preziosa per lo studio di questi testi, i cui riflessi figurativi talvolta precedono, talvolta addirittura sostituiscono, le recensioni scritte giunte fino a oggi. Valga per tutti l'esempio della scena della tentata lapidazione di Mosè, Giosuè e Caleb, di cui la prima testimonianza superstite 'e un mosaico del 432-440 ca. nella navata di S. Maria Maggiore a Roma, mentre la sola fonte testuale nota è una compilazione rabbinica tarda che rielabora materiale dei secc. 6°-12° (Midrash rabbah, XVI, 219). L'iconografia però raramente intrattenne con il singolo testo un rapporto così univoco da operarne l'immediata traduzione visiva; ciò perché l'arte cristiana non era interessata tanto agli a. in sé, quanto alla possibilità di colmare per mezzo loro le apparenti lacune della narrazione biblica. A volte si trattava della vita di protagonisti, come Adamo o la Vergine Maria, altre di avvenimenti che le Scritture si limitavano ad accennare, per es. il soggiorno della Sacra Famiglia in Egitto, altre infine di dettagli che la rappresentazione degli stessi episodi biblici imponeva di visualizzare anche se taciuti dai testi sacri: come camminava il serpente tentatore prima di essere condannato a strisciare, dove si era svolta l'annunciazione, quanti erano i Magi e così via. Si spiega così perché l'impiego delle fonti extracanoniche nell'iconografia sia stato tollerato e talora favorito dalla Chiesa, che altrimenti mantenne nei loro confronti una grande cautela. L'atteggiamento del clero orientale fu assai più conciliante, soprattutto verso i testi di argomento mariano, ampiamente recepiti dalla liturgia. In Occidente, invece, la diffusione degli a. venne tendenzialmente scoraggiata fino al sec. 12° dalla teologia ufficiale e non senza ripercussioni sulle immagini, come prova l'aderenza al dettato canonico dell'arte ottoniana. Soltanto la Chiesa irlandese, a motivo del suo isolamento, ne coltivò regolarmente lo studio e persino la produzione ex novo. Di queste leggende continuarono però ad alimentarsi la devozione popolare, la poesia e l'epica: si pensi al poema mariano della badessa di Gandersheim Rosvita (m. 973) e allo stesso 'ciclo arturiano' che nella Cerca del Graal utilizza dati extracanonici riguardanti Salomone e Giuseppe d'Arimatea. Si preparava così un nuovo interesse per gli a. fra la metà del sec. 12° e il 13°, che diede luogo a compilazioni tanto erudite, come l'Historia scholastica di Pietro Comestore (1169-1175), quanto divulgative, come lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais (m. 1256) e la Legenda aurea di Jacopo da Varazze (m. 1298). A questi testi spettò un ruolo determinante nello sviluppo dell'iconografia occidentale.
Le immagini apocrife dell'Antico Testamento furono inizialmente attinte soprattutto da fonti giudaiche. Per questo il filone critico inaugurato da Strzygowski (1901) - e destinato a un crescente successo dopo la scoperta di pitture bibliche nella sinagoga di Dura Europos (sec. 3° d.C.) - ha supposto che l'arte cristiana le avesse ereditate dall'ambito giudaico, al quale verrebbe così riconosciuto un patrimonio figurativo, in flagrante contrasto con il divieto di produrre immagini sacre. Anche ammettendo che tale prescrizione si fosse attenuata o venisse disattesa specie presso le comunità della diaspora, i riscontri figurativi giudaici sono troppo episodici e tardi per avere valore probante. Né per spiegare i riflessi di questi a. nell'iconografia cristiana sembra necessario ricorrere a manoscritti miniati della versione biblica dei Settanta (Weitzmann, 1952-1953) o della stessa letteratura extracanonica (Kraeling, 1956). Basta infatti rivolgersi ai Padri per constatarne la diffusione presso la Chiesa (Lamirande, 1967), come dimostrano sia la citata vicenda dei deuterocanonici sia i rimaneggiamenti cui molti a. furono sottoposti per accentuare la prefigurazione della Nuova Alleanza da parte dell'Antica. Che il ricorso a integrazioni extracanoniche dell'Antico Testamento fosse compatibile con i criteri costitutivi dell'iconografia cristiana, è d'altronde attestato dall'applicazione del medesimo criterio alle scene evangeliche. Dei cicli ispirati agli a. veterotestamentari sopravvivono pochissimi esempi, circoscritti all'area orientale. Sono da ricordare anzitutto le illustrazioni della Lettera di Aristea (Charles, 1913, pp. 94-122), tramandata da due degli ottateuchi bizantini (Roma, BAV, gr. 747, fine sec. 11°; Istanbul, Topkapı Sarayı Müz., 8, sec. 12°). È la leggenda dei settanta sapienti incaricati da Tolomeo II Filadelfo di redigere altrettante traduzioni greche delle Scritture, che risultarono miracolosamente identiche. Un altro caso è costituito dalla miniatura sulla c. 2v del salterio serbo di Monaco (Bayer. Staatsbibl., Slav. 4, 1375-1390 ca.), dove in cinque scene si narra come Saul, smarriti gli asini di suo padre, si attardasse a cercarli giungendo a Gerusalemme quando la porta era già chiusa e come, varcatala all'alba, fosse consacrato re da Samuele, cui Dio aveva ordinato di ungere colui che primo fosse entrato quel giorno in città (Palaia historica; Vasil'ev, 1893, pp. 276-277). Più frequenti sono le scene interamente extracanoniche e frequentissimi i dettagli interpolati nella rappresentazione di episodi scritturistici. È questo un procedimento che, sul piano letterario, trova un parallelo nelle c.d. storie bibliche, che intercalano in sequenza cronologica dati canonici e leggendari (la citata Palaia greca, probabilmente scritta in Asia Minore nel sec. 9°; la Tolkovaja Paleja, versione russa del sec. 13°; il Cursor mundi, testo inglese del 1300 ca.).La maggior concentrazione di elementi apocrifi si riscontra nelle immagini relative alle vicende dei progenitori. Fra le fonti, il ruolo principale spetta ai racconti adamitici: il Combattimento di Adamo (o Libro di Adamo etiopico), datato tra il sec. 5° e il 7°; la Caverna dei tesori, forse della fine del sec. 6°, di cui conosciamo una versione siriaca e una araba, e soprattutto la Vita Adae et Evae, precocemente tradotta in latino e reimpiegata in composizioni medievali, come i poemi biblici tedeschi e il Jeu d'Adam et Eve, testo anglonormanno del 1146-1147. Rilevante fu anche l'incidenza della letteratura apocalittica giudaica e giudeo-cristiana (I e II Enoch, Apocalypsis Moysis, Ascensio Isaiae, III e IV Esdra; gli ultimi due furono inclusi, con la Preghiera di Manasse, nell'appendice della Vulgata). Occorre ribadire però che sull'arte medievale questi scritti di solito non influirono direttamente, bensì attraverso una catena di mediazioni, i cui anelli quasi sempre sfuggono. Seguendo la cronologia biblica, il primo episodio significativo per l'iconografia è la caduta di Satana e degli angeli ribelli (Vita Adae et Evae, 16-17, Charles, 1913, p. 136; I Enoch, 86, ivi, p. 250), raffigurata per es. nel Genesi di Caedmon (Oxford, Bodl. Lib., Junius 11, p. 3, inizi sec. 11°) e in una tavola senese del 1340 ca. (Parigi, Louvre). Tra le leggende fiorite intorno al peccato originale, quella del serpente quadrupede, che perse le zampe in seguito alla condanna divina (Pirke de rabbi Eliezer, 21; Friedländer, 1916, p. 97), trova riscontro nel rilievo sulla facciata nord della cappella palatina di Ał῾tamar (915-921 ca.), nell'ottateuco di Istanbul (Topkapı Sarayı Müz., 8, c. 43r) e in quello vaticano del sec. 12° (BAV, gr. 746, c. 37v). Alcuni manoscritti inglesi dei secc. 13° (Oxford, Bodl. Lib., Auct. D. 3.2, c. 133r) e 14° (Bruxelles, Bibl. Royale, 9961-62, c. 25r) accolgono invece la tradizione del tentatore che appare a Eva in sembianze femminili, perché, vedendo un'immagine simile a sé, essa si lasci convincere più facilmente (versione araba della Caverna dei tesori, Battista, Bagatti, 1979, pp. 43-44; Historia scholastica, 21, PL, CXCVIII, col. 1072b). Diffusa è infine l'immagine del fico - talvolta identificato con l'albero del bene e del male - che porge ai progenitori le foglie per coprirsi, dopo il rifiuto delle altre piante (Haggada, Ginzberg, 1909-1938, I, p. 75, V, p. 97; Historia scholastica, 23, PL, CXCVIII, col. 1073b); si vedano per es. la Bibbia di Alcuino, miniata a Tours intorno all'840 (Bamberga, Staatsbibl., Bibl. 1, c. 7v) e l'altorilievo angolare del palazzo ducale di Venezia databile al principio del 15° secolo. Le vicende apocrife dei progenitori dopo la cacciata, che comprendono anche il ciclo di Caino e Abele, sono documentate essenzialmente dagli ottateuchi. Così il pentimento di Adamo ed Eva (Vita Adae et Evae, 1, 1; Charles, 1913, p. 134), presente in tutti gli esemplari superstiti (Roma, BAV, gr. 746, c. 44r, e gr. 747, c. 25r; Firenze, Laur., Plut. 5.38, c. 6r; Istanbul, Topkapı Sarayı Müz., 8, c. 49r); la colonna di fuoco che consuma il sacrificio di Abele (Haggada, Ginzberg, 1909-1938, I, p. 75, V, p. 107; Historia scholastica, 25, PL, CXCVIII, col. 1077a), attestata dal solo codice vaticano gr. 747 (c. 25v); la lapidazione di Abele (Libro dei Giubilei, 5; Charles, 1913, p. 19), che compare nei codici vaticani gr. 746 (c. 45r), gr. 747 (c. 25v) e nell'ottateuco di Istanbul (Topkapı Sarayı Müz., 8, c. 50r). Manca invece negli ottateuchi la scena dei progenitori che apprendono dall'arcangelo Michele il lavoro dei campi (Vita Adae et Evae, 22; Charles, 1913, p. 138), la cui fortuna iconografica fu considerevole tanto in Oriente quanto in Occidente, come provano il manoscritto parigino delle Omelie di Gregorio Nazianzieno (Parigi, BN, gr. 510, c. 52v, ca. 880-883) e i rilievi sulle porte del duomo di Hildesheim (ca. 1015) e della cattedrale di Monreale (opera di Bonanno, 1186). L'episodio apocrifo che in questo gruppo vanta il maggior numero di ripercussioni figurative è quello di Lamech, il cacciatore cieco, la cui freccia, guidata da un fanciullo, uccide per errore Caino (versione siriaca della Caverna dei tesori, Bezold, 1883-1888, I, pp. 11-12; Combattimento di Adamo, Dillmann, 1852-1853, p. 85; Historia scholastica, 28, PL, CXCVIII, col. 1079c-d). Tra i numerosi esempi ricordiamo due citati ottateuchi (Roma, BAV, gr. 747, c. 26r; Istanbul, Topkapı Sarayı Müz., 8, c. 52r), la Bibbia di Rodha (Parigi, BN, lat. 6, c. 6r, sec. 11°), il rilievo di Wiligelmo sulla facciata del duomo di Modena (1099 ca.), un capitello della chiesa della Madeleine di Vézelay (1125-1140 ca.), il mosaico della cupola del battistero di Firenze (seconda metà sec. 13°). Legato ad Adamo, ma arricchito da riferimenti all'intera storia della salvezza, è il tema della grotta dove egli fu sepolto e nella quale Dio aveva nascosto l'oro, l'incenso e la mirra che i Magi dovevano poi recare al Messia. Questa leggenda, narrata dalla versione araba della Caverna dei tesori (Battista, Bagatti, 1979, pp. 50-51), ricorre con molte varianti nel Combattimento di Adamo ed è conclusa in chiave esplicitamente cristiana dal Vangelo di Nicodemo. Il monte dove si trovava la grotta era quello sul quale Adamo era stato creato e aveva eretto il primo altare, usato poi da Caino e Abele per i loro sacrifici (Venezia, atrio di S. Marco, mosaico della cupoletta della Creazione, primo quarto del sec. 13°). Abramo vi salì per incontrare Melchisedec, il re sacerdote fondatore di Gerusalemme (Salem), che era vissuto nella caverna per quarant'anni, praticandovi il culto divino (Roma, BAV, gr. 747, c. 68r). Lo stesso Abramo ritornò poi per sacrificare Isacco (al-Bagawāt, cappella della Pace, pittura, secc. 4°-5°), ma, fermato dall'angelo del Signore, offerse al suo posto un agnello, secondo una rilettura cristologica di Gn. 22, 13, dove si parla invece di un ariete (Ravenna, S. Vitale, mosaico, 532-540 ca.). Il monte era detto Cranio perché conteneva il teschio di Adamo, cui il Signore aveva a suo tempo promesso la salvezza: "nel giorno in cui verserò il mio sangue sulla tua testa" (Combattimento di Adamo, 25). Qui dunque fu crocifisso il Messia. Per questo nel Medioevo è sovente raffigurato ai piedi della croce il teschio di Adamo, sul quale ricade il sangue del Cristo. Il motivo, originario dell'area bizantina (Salterio Chludov, Mosca, Gosudarstvennyi Istoritscheskij Muz., Add. gr. 129, c. 72v, 830 ca.; Osios Lukas, mosaico del katholicón, inizi sec. 11°; Dafni, chiesa del monastero, mosaico, 1100 ca.). In Occidente si diffuse a partire dall'Italia (Alberto, croce dipinta del duomo di Spoleto, 1187; Nicola Pisano, pulpito del battistero di Pisa, 1260 ca.; Giotto, croce dipinta di S. Maria Novella a Firenze, 1290 ca.). La leggenda si conclude con la discesa del Salvatore nella grotta, per trarne Adamo e i giusti dell'Antico Testamento là seppelliti dopo di lui; il che spiega come mai nelle raffigurazioni dell'anastasi il limbo sia talvolta rappresentato sotto forma di caverna (Roma, S. Clemente, affresco della basilica inferiore, 847-855 ca.; Roma, S. Paolo f.l.m., porta bronzea bizantina, 1070; Siena, Mus. dell'Opera della Metropolitana, Maestà di Duccio, 1308-1311). In una tavola attribuita a Giovanni da Rimini (Roma, Gall. Naz. d'Arte antica, inizi sec. 14°), accanto alla grotta compaiono tre re, che parrebbero un fraintendimento dell'iconografia bizantina della scena, dove sono previsti Davide e Salomone, ma potrebbero invece identificarsi con i Magi, che nella caverna avevano trovato i doni per il Bambino. Un'altra estensione apocrifa della Genesi è la storia di Enoch astronomo (I Enoch; Charles, 1913, pp. 237-244), che figura negli ottateuchi vaticani (gr. 746, c. 48v; gr. 747, c. 27r) e di Istanbul (Topkapı Sarayı Müz., 8, c. 53r). Al ciclo di Noè si riferiscono invece: l'angelo che guida l'arca (versione siriaca della Caverna dei tesori, Bezold, 1883-1888, I, p. 23; Combattimento di Adamo, Dillmann, 1852-1853, p. 106), raffigurato nella Cronaca illustrata di Costantino Manasse (Roma, BAV, Sl. II, c. 13v, 1339-1344 ca.); i 409.000 giganti periti nel diluvio (III Baruc, 4, 10; Charles, 1913, p. 536), che trovano riscontro nel Pentateuco Ashburnham (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 2334, c. 9r, sec. 7°) e nell'Apocalisse di Saint-Sever (Parigi, BN, lat. 8878, c. 85r, metà sec. 11°); il corvo inviato in perlustrazione che non ritorna perché sosta a beccare un cadavere (Palaia; Vasil'ev, 1893, p. 199), attestato dalla stessa miniatura dell'Apocalisse di Saint-Sever e dal mosaico del duomo di Monreale (1184-1190). Curioso è infine l'episodio del vitello servito da Abramo ai tre angeli, che si alza vivo dalla tavola perché gli spiriti non si nutrono come i mortali (Palaia; Vasil'ev, 1893, p. 215); si vedano per es. il Salterio Barberini (Roma, BAV, Barb. gr. 372, c. 85v) e la Cronaca di Costantino Manasse (BAV, Sl. II, c. 229r).Nell'illustrazione degli altri libri biblici, il solo inserto apocrifo importante, ma limitatamente all'area bizantina, è il prodigio dell'olio sgorgato spontaneamente dal corno di Samuele per ungere Davide (Parigi, BN, gr. 139, c. 3v, ca. 975; Londra, BL, Add. Ms 19352, c. 190r, datato 1066; Roma, BAV, gr. 333, c. 22v, sec. 11°; Athos, Vatopedi, 761, c. 12r, datato 1088), che ricorre nella Palaia (Vasil'ev, 1893, p. 279). Completamente extracanonica è invece la raffigurazione del martirio di Isaia (Martyrium Isaiae; Charles, 1913, pp. 159-162), che, sempre originaria dell'Oriente (al-Bagawāt, cappella dell'Esodo, pittura, sec. 5°-6°; Libro dei Profeti, Roma, BAV, gr. 755, c. 225r, sec. 11°), si diffuse, a partire dal sec. 12°, nella miniatura anglosassone (Londra, Lamb., 3, c. 198v, 1140-1150 ca.; Oxford, Bodl. Lib., Laud. Misc. 752, c. 146r, fine sec. 12°-inizi 13°).
L'influsso degli a. neotestamentari fu incomparabilmente maggiore e riguardò tutti quegli scritti di carattere narrativo che permettevano di rispondere ai grandi silenzi della rivelazione: la vita di Maria prima dell'annunciazione, l'infanzia di Cristo, il tempo fra la crocifissione e l'apparizione alle pie donne, la morte della Vergine e il martirio degli apostoli. I primi due temi sono svolti dai c.d. vangeli dell'infanzia. Il Protovangelo di Giacomo del 200 ca. (di cui si conoscono recensioni greche a partire dal sec. 3°, diverse traduzioni in lingue orientali e in paleoslavo e cinque frammentarie in latino) si apre con il rifiuto dell'offerta di Gioacchino al Tempio e si conclude con la strage degli innocenti. Il Vangelo dello Pseudo-Matteo (i cui capp. 1-24 spettano al sec. 7°-8°, mentre gli altri sono più tardi) ne rappresenta il corrispettivo occidentale e comprende anche i miracoli del Bambino a Nazareth. La Natività di Maria (846-849) è invece un riassunto del precedente fino all'annunciazione, redatto da Radberto Pascasio abate di Corbie. Riguardano la sola infanzia di Gesù: il Vangelo di Tommaso (rielaborato forse nel sec. 4° da una fonte del 2° e tradotto, oltre che in lingue orientali e paleoslavo, in latino, antico irlandese e antico francese), il Vangelo arabo dell'infanzia (da un originale, probabilmente del sec. 6°-7°), la Storia di Giuseppe falegname (600-650 ca.; la prima versione latina risale al 1360) e il testo latino Dell'infanzia del Salvatore (sec. 9°-10°, sempre da una fonte anteriore). Anche il perduto Vangelo detto 'degli Ebrei' o 'dei Nazareni', che i Padri citano dal sec. 2°, era noto agli autori medievali (Aimone di Auxerre, In Isaiam, 53, 12, PL, CXVI, col. 994b; Sedulio Scoto, Comm. in Mt., Berlino, Staatsbibl., Phill. 1660, c. 17v). Pur cedendo continuamente al gusto del meraviglioso, questi racconti, soprattutto i primi tre, sviluppano anche contenuti di ordine dottrinario, il più importante dei quali è la verginità della Madonna prima e dopo la nascita di Cristo. Fin da bambina Maria mostra di volersi consacrare al Signore: compiuti i primi passi torna in grembo alla madre, che giura di non farle più toccare la terra prima di averla condotta al Tempio (solo in Protov., 6, 1; Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 22), dove trascorrerà l'infanzia. Quando decide di rimanere vergine, i sacerdoti, non potendo una donna vivere oltre i quattordici anni nel Tempio, le cercano un custode fra i vedovi di Israele. Dal bastone del prescelto esce una colomba (la verga si tramuta in fiore secondo Nativ., 7, 4; Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 75). Il ruolo di Giuseppe è ridotto dunque a quello di un semplice guardiano, già avanti negli anni - come lo rappresentò sempre il Medioevo - e con figli da nozze precedenti che giustifichino le allusioni evangeliche ai fratelli e alle sorelle del Signore. Quando si scopre che Maria è incinta, entrambi sono sottoposti alla prova delle acque amare, da cui escono indenni. Inoltre al parto della Vergine assistono due levatrici: l'una, che il Vangelo dello Pseudo-Matteo (13, 3; Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 53) chiama Zelomi, constata l'integrità della puerpera, mentre l'altra, Salome, perde l'uso della mano con cui ha voluto accertarsene, finché non tocca il Bambino. Questi episodi centrali sono preceduti dalla storia di Gioacchino e Anna, che preannuncia l'elezione di Maria secondo lo schema biblico (sterilità della madre, voto dei coniugi di consacrare a Dio il figlio che ne avrebbe cancellato la vergogna, umiliazione del padre la cui offerta al Tempio è respinta, annuncio del concepimento per mezzo di un angelo). Seguono i miracoli attribuiti a Gesù durante la fuga in Egitto, che mirano a ribadirne ingenuamente la divinità.Da questo insieme di notizie l'iconografia trasse i due cicli dell'infanzia di Maria e dell'infanzia di Cristo, che condividono la scena dell'annunciazione, suddivisa dagli a. in due momenti: il saluto dell'angelo alla fonte e l'annuncio della maternità divina in casa di Giuseppe, mentre la Vergine fila la porpora per il velo del Tempio (Protov., 11, Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 23; Pseudo-Matt., 9, ivi, pp. 51-52). La serie mariana, integralmente extracanonica, fu elaborata in Oriente, articolando singole scene preesistenti. Fra gli esempi, innumerevoli a partire dall'età mediobizantina, il più antico è rappresentato dalle pitture nella cappella dei Ss. Gioacchino e Anna a Kızıl Çukur in Cappadocia (850-860 ca.) e il più analitico dall'illustrazione delle Omelie di Giacomo Kokkinobaphos (Roma, BAV, gr. 1162 e Parigi, BN, lat. 1208, entrambi del sec. 12°), un testo fin troppo ricco di divagazioni leggendarie. Il ciclo più celebre è però quello musivo della Kariye Cami (S. Salvatore in Chora, 1315-1320) a Istanbul, che comprende venti scene, di cui alcune rare, tra cui il rimprovero di Giuseppe a Maria. L'iconografia occidentale accolse definitivamente l'infanzia della Vergine nel sec. 13°, grazie alla concomitante fioritura del culto mariano e dello studio degli a. da parte dei teologi. Questo fenomeno interessò la Francia (Chartres, cattedrale, vetrata del coro, 1215 ca.), l'Italia (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo, tavola del Maestro di S. Martino, 1260-1280 ca.) e, dal sec. 14°, la Germania (Colonia, duomo, stalli del coro, 1320-1330 ca.). Le varianti rispetto ai modelli bizantini sono la verga fiorita di Giuseppe, cui si è già accennato, e l'episodio della Madonna bambina che sale da sola i quindici gradini del Tempio (Pseudo-Matt., 4; Erbetta, 1966-1981, II, p. 49). Quest'ultimo particolare - che figura per es. nell'affresco della cappella Baroncelli in Santa Croce a Firenze, eseguito da Taddeo Gaddi nel 1332-1338 ca. - è interessante perché, imponendo l'ambientazione della scena all'esterno, permise di differenziare nettamente la tipologia della presentazione della Vergine da quella della presentazione di Cristo.Il ciclo dell'infanzia di Gesù, attestato sia in Oriente sia in Occidente fin dall'età palocristiana, alterna scene apocrife a elaborazioni apocrife di scene canoniche. La prova delle acque amare subita da Maria e da Giuseppe (Protov., 16, Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 25; Pseudo-Matt., 12, ivi, pp. 52-53) ricorre fra l'altro nella cattedra di Massimiano (Ravenna, Mus. Arcivescovile, 546-556 ca.), nelle pitture murali di Deir Abu Hennis (Antinoe d'Egitto) e di S. Maria foris portas a Castelseprio (sec. 7°-8°), nelle Omelie di Giacomo Kokkinobaphos (Roma, BAV, gr. 1162, cc. 186r-188r) e nel Drier liet von der Maget del prete Werner (Berlino, Staatsbibl., Germ. oct. 109, c. 59r, sec. 13°). Nella cattedra di Massimiano compare anche il viaggio da Nazareth a Betlemme in compagnia di un angelo (Pseudo-Matt., 13, 2; Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 53), esemplificato inoltre dalla pittura murale della prima metà del sec. 11° della Samanlıǧı Kilise a Belisarame Bahatin in Turchia e dal paliotto eburneo del duomo di Salerno (sec. 11°-12°). La fuga di Elisabetta e del Battista nel deserto (Protov., 22, 3; Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 27) è tipica dell'iconografia orientale (Cappadocia, Göreme-Tal, cappella 1, affresco della fine del sec. 10°; Istanbul, Kariye Cami, mosaico); così pure la presenza di Giacomo, supposto figlio di Giuseppe, durante la fuga in Egitto (Vangelo arabo dell'infanzia, 9; Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 106), che si riscontra per es. nella cappella sud di Ayvalı Kilise in Cappadocia (913-920 ca.). La versione del Vangelo dello Pseudo-Matteo (18, 1; Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 55), secondo cui la Sacra Famiglia sarebbe stata invece accompagnata da tre giovani e da una fanciulla, fu accolta in Occidente: l'esempio più celebre è l'affresco giottesco della cappella degli Scrovegni a Padova (1303-1305 ca.). Una risonanza notevole ebbero, soprattutto in età gotica, i miracoli attribuiti al Bambino durante la fuga in Egitto dal Vangelo arabo dell'infanzia (23; Erbetta, 1966-1981, I, 2, pp. 106-109) e dal Vangelo dello Pseudo-Matteo (18-24; ivi, pp. 55-57): i draghi che adorano Gesù (Orvieto, duomo, rilievo della facciata, primo quarto del sec. 14°), la palma che si inchina per lasciar cogliere i frutti (Pisa, duomo, porta di Bonanno, dopo il 1186), la caduta degli idoli di Sotinen (Müstair, S. Giovanni, affresco, 800 ca.; Chartres, cattedrale, vetrata 11, 1260-1270 ca.), il magistrato Afrodisio che accoglie la Sacra Famiglia (Bruxelles, cattedrale, maiolica della scuola di Maas, fine sec. 12°), l'incontro con due ladri, identificati con quelli della Crocifissione (Than, Saint-Thiébaut, rilievo, seconda metà del sec. 14°). All'iconografia medievale della Natività gli a. contribuirono con tre elementi decisivi. Il primo è l'ambientazione in una grotta (Protov., 18, 1, Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 25; Pseudo-Matt., 13, 2, ivi, p. 53) oppure in una stalla (Storia di Giuseppe falegname, 63; ivi, p. 209). Il secondo è l'adorazione dell'asino e del bue che il Vangelo dello Pseudo-Matteo (14; Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 54) deduce da una fonte anteriore, cui è già ispirata la lastra di sarcofago del sec. 4° inserita nel pulpito di S. Ambrogio a Milano. Il terzo è la presenza di una o due levatrici (Protov., 19-20, Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 25-26; Pseudo-Matt., 13, 3-5, ivi, pp. 53-54). Anche l'atteggiamento di Giuseppe, pensoso o addormentato e comunque estraneo alla scena, sembra echeggiare il racconto del Protovangelo di Giacomo (18, 2; Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 25), dove egli narra in prima persona di aver assistito, durante la nascita di Gesù, all'arrestarsi del tempo.I Magi devono agli a. il numero, i nomi, la regalità (Vangelo armeno dell'infanzia, 10; Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 134) e il fastoso corteo (Vangelo degli ebrei; Sedulio Scoto, Comm. in Mt., Berlino, Staatsbibl., Phill. 1660, c. 17v), che divenne poi consueto nell'arte gotica. Anche la precisazione del Vangelo dello Pseudo-Matteo (16, 1; Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 55), che al loro arrivo il Bambino aveva due anni, è puntualmente registrata dalle immagini, come dimostrano l'altare del duca Ratchis (Cividale del Friuli, Mus. Cristiano e Tesoro del Duomo, 737-744 ca.), il Sacramentario di Fulda (Roma, BAV, lat. 3548, c. 14r, 1020 ca.) e la lunetta della Vergine scolpita da Antelami nel battistero di Parma (1196-1200 ca.). Il rilievo sul portale maggiore del duomo di Friburgo (inizi sec. 14°) contempla persino l'identificazione della stella che li guidò con un angelo (Vangelo arabo dell'infanzia, 7; Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 105).Tra gli a. della Passione che raggiunsero il Medioevo, il più importante per la storia delle immagini è il Vangelo di Nicodemo, che comprende gli Acta Pilati (dopo il 555, da un originale della metà del sec. 2°) e il Descensus Christi ad inferos (sec. 17°, da una fonte anch'essa probabilmente del sec. 2°). Dagli Acta Pilati dipendono due raffigurazioni piuttosto inconsuete: il messaggero che, mentre Gesù entra nel pretorio, stende un mantello ai suoi piedi (1, 2-3; Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 240), effigiato su di una colonna del ciborio di S. Marco a Venezia, e la liberazione dal carcere di Nicodemo e Giuseppe d'Arimatea a opera del Cristo risorto (12; Erbetta, 1966-1981, I, 2, pp. 245-246), che compare nella Bibbia di Holkham (Londra, BL, Add. Ms 47682, c. 34r, 1320-1330 ca.). Un contributo indiretto all'iconografia della Crocifissione è il nome Longino attribuito al soldato che trafigge il costato di Gesù (16; Erbetta, 1966-1981, I, 2, p. 250), accolto per es. dal Vangelo di Rabbūlā (Firenze, Laur., Plut. 1. 56, c. 12v, ante 586), dall'affresco di S. Maria Antiqua a Roma (741-752 ca.), dal Codex Egberti (Treviri, Stadtbibl., 24, c. 64v, 985 ca.) e dalla Bibbia di Avila (Madrid, Bibl. Nac., Vit. 15-l, c. 350r, sec. 12°-13°). Il Descensus, che è alla base di numerosi testi medievali, tra cui The Discent into Hell, testo in antico inglese, giocò invece un ruolo determinante nella codificazione figurativa della discesa al limbo o anastasi, descritta con dovizia di dettagli (21-26; Erbetta, 1966-1981, I, 2, pp. 266-270), tutti recepiti dalle immagini. Le porte degli Inferi si infrangono (Torcello, duomo, mosaico, 1200 ca.), l'Ade e Satana sono sconfitti (Venezia, S. Marco, colonna del ciborio, sec. 5°-6°), il demonio viene incatenato (ivi, mosaico, prima metà sec. 13°) e il Cristo salva per primo Adamo, afferrandolo per la destra, particolare presente in tutte le raffigurazioni. Gli altri personaggi citati sono Eva (sempre rappresentata a partire dal sec. 9°), Davide (New York, Metropolitan Mus. of Art, Stauroteca Fieschi Morgan, 700 ca.), l'arcangelo Michele (Roma, S. Prassede, sacello di S. Zenone, mosaico, 817-820 ca.) e il buon ladrone (Nonantola, Arch. e Tesoro dell'Abbazia di S. Silvestro, evangeliario, c. 46r, inizi sec. 13°).La morte della Vergine è narrata dal Transitus sive Dormitio beatae Mariae Virginis, attribuito nella versione greca (Egitto, 400 ca.) all'apostolo Giovanni e in quella latina a Melitone di Sardi; fu tradotto in arabo, etiopico e gaelico. La storia, ripresa dallo Speculum historiale e dalla Legenda aurea, prevede i seguenti episodi: il duplice annuncio a Maria della prossima morte da parte di un angelo che le reca una palma; l'incontro con Giovanni Evangelista - miracolosamente trasportato a Gerusalemme da Efeso - cui la Vergine chiede di portare la palma dinanzi al suo feretro, per scongiurarne l'oltraggio; l'arrivo degli altri apostoli, compreso s. Paolo; la morte e l'apparizione del Cristo che consegna l'anima della madre agli angeli; l'assumptio animae, il corteo funebre e il tentato trafugamento della salma; il seppellimento e infine l'assumptio corporis, durante la quale Maria lascia la propria cinta a s. Tommaso. Talvolta queste scene, specialmente nel Tardo Medioevo, diedero luogo a un ciclo autonomo (Soisson, Saint-Quentin, affreschi, sec. 14°; Colonia, Erzbischöfliches Diözesanmus., dittico ligneo, secondo quarto del sec. 14°; Pisa, S. Francesco, affreschi del coro, datati 1397). Più spesso andarono a completare le storie di Maria (Pisa, Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo, tavola del Maestro di S. Martino; affreschi nel monastero di Sopočani, in Serbia, 1265-1280, e nella chiesa di S. Clemente a Ochrida, in Macedonia, dopo il 1295; Evora, in Portogallo, reliquiario della Vergine, sec. 14°; Orvieto, duomo, affreschi del coro, 1370-1380). Uno sviluppo a sé ebbe la scena centrale della Dormitio o Kóimesis, raffigurata a partire dal sec. 10°; si vedano per es. il frammento di pittura murale del 904-906 ca. nella chiesa di Ateni (Georgia) e il Benedizionale di S. Etelvoldo (Londra, BL, Add. Ms 49598, c. 102v, 971-984 ca.). Fra i numerosi elementi forniti dal testo - s. Pietro presso il capo della Madonna e s. Paolo che ne abbraccia i piedi, s. Giovanni con la palma, le tre vergini, ecc. - il più problematico da rappresentare era certo l'aspetto asessuato dell'anima (Transitus etiopico, 68; Transitus romano, 35; Erbetta, 1966-1981, I, 2, pp. 435, 470). Gli artisti aggirarono l'ostacolo ricorrendo all'immagine di un neonato in fasce. Degli Atti apostolici apocrifi, per via della loro provenienza generalmente eretica, esistono a volte rielaborazioni spesso radicali, che ne smorzarono la coloritura eterodossa conservando il nucleo narrativo, sul quale si innestarono leggende posteriori. Gli Atti di Paolo, dei quali sopravvivono alcuni frammenti copti, furono parzialmente utilizzati dagli Atti di Paolo e Tecla, composti in greco e più volte tradotti in latino. La loro importanza per l'iconografia, più che nei singoli episodi (per es. quello di Tecla istruita da s. Paolo a Iconio, dipinto nella cappella della Pace ad al-Bagawat), risiede nella descrizione fisica dell'apostolo, che contribuì a definirne l'immagine (Atti di Paolo, 3; Erbetta, 1966-1981, II, p. 259). Il suo soggiorno a Roma e il martirio sono narrati dalla Passio Pauli, di cui resta il testo greco, e dagli Acta (o Passio) sanctorum apostolorum Petri et Pauli. In quest'ultimo scritto (probabilmente del sec. 5°-6°) confluirono anche temi riconducibili agli Atti di Pietro, che ricorrono nell'Actus beati Petri cum Simone (o Actus vercellenses) del 3°-4° secolo.Uno degli episodi più interessanti, sotto il profilo tanto agiografico quanto iconografico, è l'incontro dei due apostoli a Roma (Atti di Pietro e Paolo dello Pseudo-Marcello, 24; Erbetta, 1966-1981, II, p. 182), raffigurato tra l'altro nel mosaico della Cappella Palatina a Palermo (1143 ca.) e nel perduto affresco cavalliniano in S. Paolo f.l.m. a Roma, noto grazie al codice Barb. 4406 (Roma, BAV, c. 128r). Ma un'importanza di gran lunga maggiore ebbero le circostanze del martirio. Alla decollazione di s. Paolo (Atti di Pietro e Paolo dello Pseudo-Marcello, 80; Erbetta, 1966-1981, II, p. 190) si collegano due miracoli: il latte sgorgato dal collo reciso - che forse compariva nel mosaico del duomo di Monreale, purtroppo sfigurato dai restauri - e le tre sorgenti scaturite dove il capo, rimbalzando, avrebbe toccato terra, presenti nell'affresco di S. Pietro a Grado (1300 ca.). La crocifissione di s. Pietro a testa in giù (Atti di Pietro, 38; Passione di Pietro dello Pseudo-Lino, 8; Erbetta, 1966-1981, II, pp. 167-168, 173) è sovente preceduta dalla scena del Domine, quo vadis? (Atti di Pietro, 35; Passione di Pietro dello Pseudo-Lino, 8; Erbetta, 1966-1981, II, pp. 165-166, 172-173), raffigurata per es. in un codice miniato tra la fine del sec. 10° e il principio dell'11° che si conserva a Gottinga (Niedersächsische Staats-und Universitätsbibl., 2 Theol. 231 Cim., c. 93r), in un capitello del chiostro della cattedrale di Elna (1150 ca.) e nella vetrata superiore del transetto della cattedrale di Chartres (1217 ca.). Una certa diffusione ebbe anche l'episodio della disputa dei due apostoli con Simon Mago che, da un punto di vista iconografico, comprende: Pietro e Paolo davanti a Nerone, il cane del Mago placato da Pietro, il tentato volo e la morte di Simone (Atti di Pietro e Paolo dello Pseudo-Marcello, 32-77; Atti di Pietro, 8-29; Erbetta, 1966-1981, II, pp. 184-190, 148-163). Tra gli esempi vanno ricordati l'affresco di S. Giovanni a Müstair, il manto di s. Cunegonda conservato nel duomo di Bamberga (1125-1152 ca.) e un mosaico del duomo di Monreale. Quanto agli Atti apocrifi degli altri apostoli, agli Acta Iohannis latini si ispirano le Virtutes Iohannis dello pseudo-Abdia, una compilazione franca del tardo 6° secolo. Ne deriva l'episodio dell'apostolo martirizzato nell'olio bollente (Ivrea, Bibl. Capitolare, 86, Sacramentario di Varmondo, c. 45v, 1002-1011 ca.; Roma, S. Giovanni a Porta Latina, affresco, fine sec. 12°). Direttamente tratta dalla Legenda aurea la decorazione giottesca della cappella Peruzzi in Santa Croce a Firenze, del 1320 circa. Più fedeli al prototipo siriaco del sec. 3° sono le molte versioni (greche, orientali e due latine) degli Atti di Tommaso, che ne raccontano la predicazione in India e il martirio. A essi si riferivano i perduti dipinti del sec. 12° nella cattedrale di Vercelli, riprodotti al principio del Duecento nel rotulo dell'Arch. Capitolare, e il coevo fonte battesimale oggi al Louvre. Fra le rielaborazione degli Atti di Andrea, più che gli Acta Andreae et Matthiae apud anthropophagos, pur diffusi nel Medioevo specie nell'area anglosassone, interessa le immagini il Martirium, da cui si apprende che l'apostolo continuava a predicare dalla croce (Roma, BAV, gr. 1613, Menologio di Basilio II, c. 215r, fine sec. 10°). La Doctrina Addaei infine, redatta a Edessa, è nota non tanto perché narra la missione di Giuda Taddeo, quanto per via del riferimento all'impronta lasciata dal volto di Cristo sul panno che il cursore Abdia recò al governatore di Edessa, importante soprattutto in rapporto alle immagini c.d. acheropite.
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