APOLLO (᾿Απόλλον, Apollo)
Figlio di Zeus e di Latona, è una delle principali divinità dell'Olimpo la cui luce illumina la vita spirituale greca. In lui la tradizione assomma più aspetti. È il rivelatore dell'infallibile verbo di Zeus, colui che conosce il futuro, la verità, la legge morale e, nella leggenda delfica, ucciderà il mostro, simbolo ctonio, che custodisce l'oracolo di Ghe, liberando da questa oscura potenza demoniaca gli uomini e donando loro l'oracolo e difenderà da Eracle il tripode profetico in aspra contesa. Impugna l'arco d'argento; nell'epos appare terribile dio apportatore di morte improvvisa, ed è anche l'implacabile sterminatore dei Niobidi, dei Ciclopi, colui che doma la hybris dei Centauri. Ma il terribile saettatore diviene anche il sanatore e il soccorritore, che guarisce e protegge con il suo arco. A lui è cara la cetra, che egli suona vestito della lunga tunica, ed è quindi il protettore della musica, della poesia, e già nelle figurazioni dello scudo di Eracle gli fa corona l'amabile coro delle nove Muse. Come dio della musica, gareggiò con il tracotante Marsia, e la cetra allieterà il suo servaggio terreno come pastore presso Admeto re di Tessaglia, per espiare l'uccisione dei Ciclopi e del drago delfico, con essa egli incanterà gli animali e placherà le forze malefiche della natura.
L'iconografia artistica rispecchia questa varietà di aspetti e di temi della tradizione mitica e letteraria. A. prende parte a numerosi cicli mitici, è identificato in alcuni casi con divinità locali sostituendole o facendole scadere a paredri, dando luogo alla formazione di nuovi miti, oppure trasformando in un proprio epiteto il loro nome. Appare anche come fondatore di nuove città e colonie e grande importanza nella vita greca hanno avuto i santuarî maggiori di Delfi, Delo, Mileto dove si moltiplicarono le sue immagini.
A prescindere dalle rappresentazioni non antropomorfiche di cui resta testimonianza, sin dall'arcaismo appare l'immagine di Apollo. Ad esempio nel VII sec. a. C. sulla mitra di Axos egli è raffigurato con il tripode oracolare; al principio dello stesso secolo risale una statuetta bronzea del dio dedicata da Mantiklos (Boston, Museum of Fine Arts) e di poco posteriore è una anfora melia con A. citaredo sul cocchio (Atene, Museo Naz.). Al 570-60 invece risale il Thesauròs dello Heràion del Sele, nelle cui metope sono il ratto del tripode delfico ed i Letoidi saettanti, e quasi contemporaneamente appare A. sugli scudi bronzei di Olimpia. Antichissimo pare sia stato il simulacro di A. ad Amicle, che Pausania (iii, 19, 1) descrive affermando che, "a prescindere dall'avere un volto, mani e piedi, per il resto somiglia ad una colonna di bronzo": nella metà del VI sec. a. C. poi vi lavorò Bathykles (v.) di Magnesia (Paus., iii, 18, 9). Per questo periodo arcaico sono ricordati: una raffigurazione di A. in gruppo con altri dèi, di Dipoinos e Skyllis (Plin., Nat. hist., xxxvi, 10), l'A. di Cheirisophos nel tempio di Tegea (Paus., viii, 53, 7), l'A. Delio di Tektaios ed Angelion (Paus., Il, 32, 5; Plut., De nus., 14) ed un A. Pitio a Samo, di Telekles e Theodoros (Diod. Sicul., i, 98); ma a testimonianza del tipo figurativo di A., come può essersi avuto tra la fine del VII e la metà del VI sec. a. C., restano numerose statue virili nude, le braccia distese lungo i fianchi, la gamba sinistra avanzata, che vanno sotto il nome di "Apollini" o di "kouroi": alcuni di essi infatti possono bene aver rappresentato il dio, anche se oggi non riusciamo a discernere in quali casi sia stato così ed in quali altri si tratti solo di statue di atleti, eroi, devoti; sono state trovate sia in santuari di A. (Ptoion, Delo, ecc.) e quindi con carattere sacro, sia in necropoli e quindi come statue funerarie, sia con altre destinazioni. Alla fine del VI sec. a. C. va ascritta la statua di culto del Didimeo di Mileto, cioè l'A. Philèsios opera in bronzo di Kanachos (v.) di Sicione (Paus., ix, 10, 2; Plin., Nat. hist., xxxiv, 25); il dio, con l'arco nella sinistra ed un cerbiatto nella destra, è riprodotto su monete romane ed in statuette di bronzo (Londra, Napoli). Dello stesso scultore era anche un A. Ismènios a Tebe, in legno di cedro (Paus., ii, 10, 4). Tra le monete di questo periodo ricorderemo il tipo nudo incedente che è sugli incusi arcaici di Caulonia e, tra le pitture vascolari, dopo la citata anfora melia, il cratere François; in genere sui vasi A. è rappresentato a volte giovanile e nudo, a volte barbato e nel costume caratteristico dei citaredi (vedi ad esempio nella produzione di Exekias e di Amasis). Per il motivo della lotta per il tripode delfico si ricordino poi un'anfora di Amasis (v.) (Boston) ed una di Andokides (v.) (Berlino, Antiquarium). Alla fine del VI sec. a. C. troviamo A. nel fregio del Tesoro dei Sifni a Delfi sia in lotta contro i Giganti, nel fregio N a fianco di Artemide, sia, nel frontone, in lotta per il tripode con Eracle; forse raffigura il dio anche un bronzetto dedicato da Deinagoras, ora nell'Antiquarium di Berlino; di poco più recente è l'A. nudo, stante, di Piombino, originale bronzeo di scuola peloponnesiaca; quasi della stessa epoca è un interessante tipo di A. seduto e panneggiato in atto di suonare la cetra (Musei Vaticani).
Agli inizi del sec. V va ascritto un colossale A. in bronzo opera di Onatas, portato da Egina a Pergamo (Paus., viii, 42, 7; Anthol. Pal., ix, 238; Inschr. Pergamon, viii, 18); quasi contemporaneo era un altro colossale A. di Kalamis, che si trovava ad Apollonia sul Ponto e che fu poi trasportato a Roma da M. Lucullo (Strab., vii, p. 319; Plin., Nat. hist., xxxiv, 39; Appian., Illyr., 30): ne resta il ricordo sulle monete; dello stesso scultore era poi un A. Alexikakos (Paus., i, 3, 4) identificato con varia fortuna in copie romane, come, ad esempio, nel tipo Atene-Londra oppure nel tipo Tevere-Cherchel. Certo è che in questo periodo, oltre alla rappresentazione dell'A. citaredo, come, ad esempio, in un rilievo di Taso (Louvre), è assai diffuso il tipo di A. nudo, stante, che pare compendiare un ideale di bellezza virile ma anche di forza benevola e serena, e su questo concetto debbono aver lavorato i maggiori artisti. Opera di alto valore è l'A. del frontone occidentale del tempio di Zeus ad Olimpia (465 circa a. C.): il dio si erge al centro della lotta tra Lapiti e Centauri col braccio destro teso, partecipe e nello stesso tempo giudice della contesa. Il già citato tipo Tevere-Cherchel rivela invece una più delicata intimità, ma è difficile accostarlo a questo o a quel nome di scultore; lo stesso accade naturalmente anche per opere a questa molto affini, come il tipo Pompei-Mantova. D'altra parte nulla sappiamo dell'A. di Mirone che, a dire di Cicerone (Verr., iv, 43, 93), una volta si trovava ad Agrigento, e soltanto le monete di Crotone hanno conservato il ricordo dell'A. che uccide il serpente, opera di Pythagoras (Plin., Nat. hist., xxxiv, 59), che si riconosce nel tipo di una statua marmorea trovata nel tempio di Apollo Sosiano a Roma (Musei Capitolini) e che fu rielaborata modificando il panneggio e l'acconciatura con l'aggiunta di una parrucca di bronzo. Lo schema con il ginocchio sinistro piegato su cui scende il mantello concorda con quello dei coni di Crotone ed è certo opera di stile severo. Un A., conosciuto da una replica di Cassel e da altre meno buone, è stato ascritto a Fidia; è stato identificato con l'A. Parnòpios (Paus., i, 24, 8) e sarebbe pertanto un'opera della giovinezza del maestro. Un originale attribuito ad un artista ionico della metà del V sec. a. C. è la bella testa bronzea Chatsworth della coll. del duca di Devonshire proveniente da Salamina di Cipro.
La pittura vascolare dell'ultimo arcaismo non manca, ovviamente, di raffigurare A. in relazione ai suoi principali miti, ad esempio: ancora fanciullo in braccio a Latona, in atto di uccidere il drago (lékythos a figure nere del Louvre), di varcare il mare sul tripode (hydrìa a figure rosse del Pittore di Berlino nei Musei Vaticani), oppure sul cigno (lékythos a figure nere di Berlino); nella lotta con Eracle per il tripode (anfora a figure rosse di Würzburg), nella lotta con Titios (calice a figure rosse del Louvre del Pittore di Egisto; tazza a figure rosse di Monaco); inoltre il dio appare di frequente in consessi di divinità, oppure insieme con la madre Latona e la sorella Artemide. Rare sono invece le raffigurazioni degli sfortunati amori terrestri del dio. Il Pittore di Pan ha rappresentato il momento culminante della storia di Marpessa, la figlia di Eveno che, con l'aiuto di Posidone, era fuggita con il mortale Ida, preferendolo ad A., in uno psykter che si trova a Monaco. Vi appare A., accompagnato da Artemide, che sta per incoccare la freccia rivolto contro Ida, il quale, aiutato da Posidone e con accanto a sé Marpessa, osa tendere a sua volta l'arco contro A., mentre Zeus, pregato da Latona, invia Hermes in aiuto di Apollo. Anche sulle monete di questo periodo troviamo spesso l'immagine di A. da collegare senza dubbio non solo con il culto del dio ma, in molti casi, con qualche determinata statua di culto; gli esempi sono sparsi in tutto il mondo ellenico.
Alla piena attività fidiaca appartiene la raffigurazione di A. imberbe nell'assemblea degli dèi sul fregio panatenaico E del Partenone, e come arciere nella strage dei Niobidi lo stesso Fidia l'ha raffigurato in un fregio decorante il trono dello Zeus di Olimpia, e noto attraverso copie neoattiche che mostrano il dio curvato in avanti nell'atto di scoccare la freccia. Ad influssi fidiaci è stata di recente ascritta la statua di culto trovata a Cirò, l'antica Crimisa, ove era il tempio di A. Aleo. In questo scorcio del V sec. a. C. si creò anche un tipo di A. citaredo che venne in seguito più volte ripreso e rielaborato: il dio veste un lungo chitone manicato ed un ampio mantello, con la sinistra regge la cetra e nella destra tiene il plettro. Per esso è stata proposta una attribuzione ad Agorakritos.
Una statua bronzea del dio era poi nel tempio di A. Epikourios a Basse, ma in seguito fu portata a Megalopoli (Paus., viii, 30, 2; 41, 5). Policleto scolpì in marmo un gruppo di A., Latona ed Artemide (Paus., ii, 24, 5) ed Athenodoros di Kleitor, forse suo discepolo, un A. nel gruppo dei donarî spartani a Delfi (Paus., x, 9, 7). Un A. citaredo nello schema di quello agorakriteo fu creato da Skopas per Ramnunte e poi adornò il tempio di A. sul Palatino (Plin., Nat. hist., xxxvi, 25; Propert., ii, 31); la sua effigie si ritrova sulla nota base di Sorrento e in copie marmoree; altro aspetto aveva invece l'A. Sminteo dello stesso artista (Strab., xxxi, p. 604) che le fonti indicano come uno xòanon e nel quale un topo era raffigurato sotto il piede del dio.
Prassitele, come per le altre divinità, umanizzò anche la concezione di A. sviluppando le premesse già poste nella precedente tradizione mitologica ed iconografica. Caratteristico esempio è l'A. sauroktònos: il dio è rappresentato come un giovanetto che sta per infilare una lucertola con la punta della freccia (Plin., Nat. hist., xxxiv, 70; Martial., xiv, 172). Le numerose copie romane superstiti mostrano tutta l'originalità dell'opera ove predominano la grazia e la mollezza quasi femminea del dio giovanetto. Al dragone della concezione arcaica si sostituisce così un piccolo innocuo animale e alla lotta succede lo scherzo svagato. Prassitele scolpì anche due gruppi di A. Latona ed Artemide, uno per Megara (Paus., i, 44, 2), ed uno per Mantinea (Paus., viii, 9, 1): di quest'ultimo abbiamo la base con la nota scena di A. e Marsia, e poiché qui il dio è nel costume di citaredo si pensa che anche la statua abbia rispecchiato lo stesso tipo. Nulla sappiamo invece di un altro A. esistente a Roma (Plin., Nat. hist., xxxvi, 23). Allo spirito prassitelico si riportano opere che conosciamo in esemplari romani che a volte sono copie, a volte libere varianti e rielaborazioni ellenistiche: tipico è, ad esempio, l'A. nudo in molle abbandono con il braccio destro levato sul capo: l'acconciatura con i capelli annodati sulla nuca è addirittura di carattere muliebre. E forse l'A. Liceo di cui parla Luciano (Anach., 7). Ancora più effeminato è il tipo detto di Palazzo Vecchio (ma migliore è la replica di Anzio al Museo Naz. Romano): qui i tratti del volto sono così carnosi e delicati e la chioma così femminilmente acconciata che si ritrova identica su statue femminili, mentre la sola testa (come è il caso della "dea di Butrinto") non permette una sicura identificazione del sesso.
Leochares scolpì un A. dinanzi al tempio di A. Patroos ad Atene (Paus., i, 3, 4); di dubbio valore è invece la notizia di Platone (Epist., xiii, 361 A) secondo cui un A., opera giovanile dello scultore, fu portato a Siracusa; infine un terzo A. diadematus è ricordato da Plinio (Nat. hist., xxxiv, 79). L'attribuzione a Leochares del celebre A. del Belvedere come arciere è molto discussa. Una statua di A. a Patara era attribuita a Bryaxis (Clem. Alex., Protrept., iv, 47) e dello stesso era un A. che si trovava a Dafne presso Antiochia (Liban., Orat., 61; Cedren., Comp. hist., p. 306, B.); le fonti ne fanno grandi lodi e lo descrivono come un simulacro ligneo rivestito di oro. Lisippo scolpì a quanto pare un gruppo di A. ed Hermes litiganti per la lyra (Paus., ix, 30, 1). Intorno alla metà di questo IV sec. a. C. l'ateniese Praxias diede mano alle sculture frontonali dell'Apollonion di Delfi, tra le quali era anche il gruppo di Latona, Apollo, Artemide e le Muse; Praxias morì nel corso del lavoro ed il resto fu eseguito da Androsthenes anche egli ateniese (Paus., x, 19, 4): queste sculture non sono giunte fino a noi. A proposito di Delfi si ricordi ancora che Pausania (x, 24, 4 ss.) vide nel grande tempio una statua di A. moiragètes ed un altro A. aureo posto nella parte più sacra dell'edificio, cioè nell'àdyton. Infine Euphranor scolpì la statua di culto per il tempio di A. Patroos ad Atene (Paus., i, 3, 4) che è forse da vedere in quella colossale marmorea panneggiata e acefala trovata nelle vicinanze (Museo dell'Agorà); di lui era anche una Latona che tiene tra le braccia A. ed Artemide infanti (Plin., Nat. hist., xxxiv, 77). In questo periodo A. dové essere certo molto rappresentato anche in pittura, ma di questa produzione tutto è andato perduto; ricordiamo tuttavia un A. con Artemide e la madre degli dèi dipinto da Nikomachos (Plin., Nat. hist., xxxv, 108). A surrogare tale lacuna bisogna volgersi alla pittura vascolare la quale segue appunto, come per l'età precedente, la già riscontrata predilezione per la figura di A. in aspetto giovanile nudo, oppure come citaredo dal lungo abito, in scene mitiche ed in assemblee di divinità. Anche la produzione monetale di quest'epoca continua a dare una ricca serie di rappresentazioni di A., per lo più teste giovanili coronate di alloro.
Nell'età ellenistica la figura di A. è oggetto di nuove creazioni che, pur rispecchiando in qualche modo i motivi tradizionali, preferiscono vedere il dio come cantore, musico e musagete, come simbolo di bellezza e di grazia. Sappiamo di un A. di Baton che era a Roma nel tempio della Concordia (Plin., Nat. hist., xxxiv, 73), ed anche a Roma, nel tempio di A. Sosiano, era la statua di Timarchides (Plin., Nat. hist., xxxvi, 35) di cui abbiamo il ricordo attraverso alcune copie romane che rappresentano il dio seminudo, appoggiato ad una lyra che tiene con la sinistra, mentre la destra è mollemente poggiata sul capo (Istanbul, Londra da Cirene, ecc.). L'atteggiamento deriva dall'A. Liceo e la statua, a sua volta, si è diffusa in posteriori e varie rielaborazioni. Ancora le fonti ricordano un A. di Damophon di Messene (Paus., iv, 31, 10), uno di Philiskos di Rodi (Plin., Nat. hist., xxxvi, 34) oltre ad altre meno degne di nota, come l'A. eretto a Patrasso col bottino della vittoria sui Galli (Paus., xiii, 20, 9), un gruppo di A. ed Artemide su quadriga opera di Lysias, dedicato da Augusto sul Palatino (Plin., Nat. hist., xxxvi, 36). Nel fregio con gigantomachia dell'altare di Pergamo A. nudo, con la clamide avvolta intorno al braccio sinistro, leva la destra in atto di colpire l'avversario; altri tipi interessanti sono quelli di A. Nomios seduto su una roccia con in mano la cetra (Roma, Museo Naz.) e l'A. di Tralles, stante con un mantello. Le opere arcaistiche riproducono spesso A., sia nelle sfilate di divinità olimpiche con arco e mantelletto, sia in abito di citaredo, nella triade di Delo in rilievi con lo sfondo di un tempio con pose manierate e gesti leziosi, propri di questo stile del tardo ellenismo. Il mito di A. e Dafne sembra una creazione del tardo ellenismo e trova raffigurazioni in pitture pompeiane, dove A. ora è in atto di svelare e ammirare la fanciulla che personifica la pianta a lui sacra, ora di afferrarla alla vita mentre dalle mani spunta l'alloro.
Diffusosi il culto di A. in Etruria ed a Roma, anche l'iconografia del dio si arricchì di nuove opere, dove accanto alla ispirazinoe dai modelli ellenici si notano particolari forme espressive. Così l'Etruria ha dato il magnifico gruppo fittile del ratto del tripode da Veio (Museo di Villa Giulia) con A. che, vestito di chitone e di mantello, avanza a grandi passi. Il gruppo è da attribuire alla scuola di Vulca ed all'influsso ionico si accoppia qui un più deciso accento plastico; l'A. dello Scasato (Museo di Villa Giulia) rivela invece, nella sua nudità e nella sua ricca chioma, una discendenza da modelli del primo ellenismo. Nella produzione etrusca, italica ed italiota A. appare numerosissime volte in bronzetti, specchi, vasi: degna di menzione è, in questi ultimi, la scena della purificazione di Oreste a Delfi, presente il dio. Abbiamo già visto come a Roma molte statue di A., e talvolta le stesse statue di culto, siano state portate dalla Grecia. Ma oltre a queste dovevano esservi opere in qualche modo originali come l'A. argenteus che era presso la via Triumphalis (C. I. L., vi, 2233) e l'A. sandalarius che era nell'omonimo vicus (Suet., Aug., 57). Inoltre sia a Roma che nel mondo romano non cessarono la loro attività le officine ellenistiche nella rielaborazione di tipi già noti o nel ricopiare fedelmente le più celebrate statue del dio allo scopo di esaudire le continue richieste dei committenti. Anche per la pittura si riscontra un fenomeno simile poiché, per quanto è dato vedere, in essa ritornano i tipi ellenici di A., e di preferenza l'A. lyricine, l'A. con faretra, imitati o stilisticamente trasformati dall'artista. Tra i tipi creati nell'ambiente romano-italico, che aveva assunto A. tra le sue divinità, basta ricordare a tale proposito l'A. dell'omonimo tempio di Pompei, scultura nervosa anche se impacciata, denotante una ingenua ma nello stesso tempo interessante e personale sensibilità plastica. Infine A. se non fu identificato con nessuna divinità romana tuttavia influenzò col tempo la figura di un dio indigeno, Veiovis; ne abbiamo la prova in monete e nella statua di culto da non molto recuperata, che rappresenta il dio nudo con la clamide gettata sopra una spalla.
Monumenti considerati. - Mitra di Axos: D. Levi, in Annuario Atene, xiii-xiv, 1930-31, p. 61 ss.
Bronzetto di Mantiklos: Ch. Picard, Manuel, i, Parigi 1935, pp. 136-7, fig. 35.
Anfora melia: E. Pfuhl, Mal. u. Zeichn., iii, tav. 24, fig. 108.
Thesauros del Sele: P. Zancani-Montuoro - U. Zanotti-Bianco, Heraion, ii, Roma 1954, p. 316, tavv. xlviii-xcii.
Imbracciature di scudi da Olimpia: E. Kunze, Olympische Forschungen, ii, Berlino 1950, pp. 74, 114, 122, 126, 140, 141.
Apollini arcaici o Koùroi: W. Déonna, Les Apollons archaïques, Ginevra 1909.
Monete di Caulonia: P. Gardner, The Types of Greek Coins, Cambridge 1883, tav. ii, 1.
Frontone e fregio dei Sifni: Fouilles de Delphes, iv, 2, tavv. vii-xvii.
Bronzetto di Deinagoras: K. A. Neugebauer, in Die Antike, v, 1929, pp. 120-127.
Bronzo da Piombino: F. Gerke, Griechische Plastik, Zurigo-Berlino 1938, tavv. 40-41.
Citaredo del Vaticano: Die Skulpt. d. Vatican. Museums, ii, 1908.
Vasi con A. ὑπεπόντιος: J. D. Beazley, Black-fig., 1956, P 685.
Rilievo di Taso: Ch. Picard, Manuel, ii, Parigi 1939, fig. 41.
Frontone O di Olimpia: E. Buschor-R. Hamann, Die Skulpturen des Zeustempels zu Olypia, Marburg 1924.
Tipo "Tevere": E. Paribeni, Museo Naz. Romano, Sculture greche del V secolo, Roma 1953, n. 13, p. 18.
Tipo "Mantova": A. Levi, Sculture greche e romane del Palazzo Ducale di Mantova, Roma 1931, pp. 13-16, tavv. xii-xvi.
Statua dal tempio di A. Sosiano: S. Stucchi, in Bull. Com., lxxv, 1953-1955, pp. 3-47.
Testa Chatsworth: A. Furtwängler, Intermezzi, Lipsia 1896, p. 3 ss., tavv. 1-4; A. J. B. Wace, in Journ. Hell. Stud., lviii, 1938, p. 90 ss., tavv. 8-9; K. A. Pfeiff, Apollon, Francoforte s. M. 1943, p. 84, tavv. 34-35.
Lèkythos a figure nere del Louvre: C. V. A., Louvre, iii D, tavv. iii, 12, iv, 2.
Lèkythos a figure nere di Berlino: L. A. Stella, Mitologia greca, Torino 1956, fig. a pag. 165.
Testa di Cirò: A. De Franciscis, in Röm. Mitt., lxiii, 1956, p. 96 ss.
Statua di citaredo: D. Mustilli, Museo Mussolini, Roma 1938, p. 143, n. 8, tav. lxxxvii, n. 328.
Base di Sorrento: G. E. Rizzo, in Bull. Com., lx, 1932, p. 1 ss.
Statua di Anzio: L. Marella, Ricerche e Studi sulla scultura greca del sec. IV, Roma 1939.
Monete con teste apollinee: K. A. Pfeiff, Apollon, Francoforte s. M. 1943, tavv. 43-48.
Fregio di Pergamo: Altertümer von Pergamon, Berlino 1890, iii, 2, p. 46 ss., tav. 9 (N. Winnefeld); W. H. Schuchhardt, Die Meister des grossen Frieses von Pergamon, Berlino 1925, p. 42 ss., tav. 21.
Statua di citaredo dei Museo Naz. Rom.: S. Aurigemma, Le Terme di Diocleziano, il Museo Naz. Romano, Roma 1945, tav. lxxii, n. 2.
Statua di Tralles: M Collignon, Histoire de la sculpture grecque, ii, Parigi 1897, p. 477, fig. 248.
Rilievi arcaistici: G. Becatti, Lo stile arcaistico, in La Critica d'Arte, vi, 1941, pp. 32-48.
Pitture pompeiane con A. e Dafne: O. Elia, Pitture murali e mosaici nel Museo Naz. di Napoli, Roma 1932, nn. 150, 152, 155.
Statua di Veio: G. Q. Giglioli, in Antike Denkmäler, iii, fasc. 5, Berlino - Lipsia 1926; S. Ferri, in Arch. Class., vi, 1954, p. 115 ss.
Statua dello Scasato: P.; Ducati, Storia dell'arte etrusca, Firenze 1927, tav. 203.
Statua di Veiovis: A. M. Colini, in Bul.. Com., lxxii, 1942, p. 5 ss.
Bibl: G. De Petra, Sullo sviluppo del tipo di Apollo, Napoli 1872; J. Overbeck, Griechische Kunstmythologie, Lipsia 1889, vol. III; A. Furtwängler, in Roscher, I, 1884, col. 449 ss., s. v.; K. Wernicke, in Pauly-Wissowa, II, 1896, col. 84 ss., s. v.; O. Deubner, Hellenistische Apollongestalten, Atene 1934; K. A. Pfeiff, Apollon. Die Wandlung seines Bilds in der griechischen Kunst, Francoforte s. M. 1943; Chr. Karousos, Ein lakonischer A., in "Charites", Bonn 1957, p. 33 ss. Monete con tipi staturi di A.: Ph. Williams Lehmann, Statues on Coins..., New York 1946, p. 33 ss.; L. Lacroix, Les Reproductions de Statues sur le Monnaies Grecques, Liegi 1949, passim.
(A. De Franciscis*)