Apollonio di Perga
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Autore di una vasta produzione andata in gran parte perduta, noto ai suoi contemporanei con l’appellativo di Grande Geometra, Apollonio di Perga, vissuto nel III secolo a.C., è tra i massimi matematici del periodo alessandrino. A lui Tolomeo attribuisce l’introduzione della teoria degli epicicli, ma il suo nome resta indissolubilmente legato alla teoria delle sezioni coniche.
Della vita di Apollonio sappiamo assai poco. Nato a Perga, in Panfilia, sulla costa sud-occidentale della penisola anatolica, soggiorna, almeno per un certo periodo, prima ad Alessandria, dove sembra abbia studiato con i discepoli di Euclide e insegnato matematica al Museo, e, successivamente, a Pergamo. Matematico di straordinaria statura, noto ai suoi contemporanei come il Grande Geometra, si interessa anche di astronomia. A lui, infatti, stando a quanto Tolomeo riporta nell’Almagesto, si deve l’introduzione della teoria epiciclica, che dominerà l’astronomia per quasi due millenni.
Della vastissima produzione di Apollonio sopravvivono oggi due soli trattati, anche se è possibile conoscere il contenuto di molte delle opere perdute grazie alla testimonianza di commentatori successivi e, in particolare, di Pappo. Nel novero delle opere perdute, oltre probabilmente ad alcuni scritti di argomento astronomico, compaiono il Confronto del dodecaedro e dell’icosaedro, contenente la dimostrazione di un importante teorema, forse già noto ad Aristeo, relativo a questi due solidi regolari quando sono inscritti in una stessa sfera, e la Dizione rapida, che sembra contenesse metodi per eseguire rapidamente i calcoli e fornisse un’approssimazione di π, ricavata non sappiamo con quale metodo, migliore di quella adottata da Archimede. Nel libro VII della sua Collezione matematica, Pappo cita il Tesoro dell’analisi, “un corpus di dottrine destinate a coloro i quali, dopo aver studiato i soliti elementi di geometria, vogliano acquisire le tecniche per la risoluzione di problemi inerenti le curve”. Di questa raccolta di testi di livello avanzato facevano parte: i Luoghi solidi di Aristeo, oggi perduto; il Sulle medie, anch’esso perduto, di Eratostene di Cirene autore di una celeberrima misurazione del raggio terrestre; tre opere di Euclide: i Dati, e le perdute Porismi e Luoghi superficiali; e ben sei di Apollonio: Sulla sezione di un rapporto, Sulla sezione di un’area, Sulla sezione determinata, Sulle tangenze (o Sui contatti), Sulle inclinazioni e Sui luoghi piani. Di questi sei trattati solo uno, quello Sulla sezione di un rapporto, è giunto fino a noi e solo attraverso una traduzione araba, della quale, nel 1706, Edmond Halley, l’astronomo inglese il cui nome è legato alla celebre cometa, pubblicò una versione in latino.
Pappo, inoltre, descrive in dettaglio il metodo analitico, basato su analisi e sintesi, utilizzato dagli autori del Tesoro. L’analisi consiste nel considerare come ammesso ciò che si cerca e, a partire da questo, nel determinare una serie di conseguenze, fino a giungere alla premessa o ad una sua conseguenza conosciuta. Se, procedendo in tal modo, si arriva ad ammettere qualcosa di impossibile, anche il problema sarà impossibile, poiché una falsa conclusione implica una falsa premessa. La sintesi consiste invece nell’invertire il percorso per ottenere una dimostrazione valida.
L’opera più importante di Apollonio resta però il suo trattato sulle Sezioni coniche, sopravvissuto quasi integralmente. Degli otto libri che la componevano, infatti, ben sette sono giunti sino a noi, i primi quattro in greco e i tre successivi nella versione araba di Thabit ibn Qurra. È lo stesso Apollonio, in apertura del libro I, a spiegare di aver scritto le Coniche su esortazione di un collega geometra, certo Neucrate, che gli aveva fatto visita durante il suo soggiorno ad Alessandria. Apollonio avrebbe quindi redatto una prima, frettolosa versione dell’opera, che successivamente, a Pergamo, avrebbe affinato. È questo il motivo per il quale i libri dal quarto al settimo (e presumibilmente anche l’ottavo, andato perduto) si aprono con una dedica ad Attalo, re di Pergamo.
Il trattato è dedicato all’ellisse, alla parabola e all’iperbole, le curve ancora oggi dette appunto sezioni coniche, poiché tutte e tre ottenibili per via geometrica dall’intersezione di un piano con un cono. Queste curve non vengono scoperte da Apollonio, ma erano state introdotte quasi un secolo e mezzo prima da Menecmo (maestro di Alessandro il Grande, al quale, secondo la tradizione, avrebbe insegnato che non esistono scorciatoie regali per la geometria), che se ne servì per risolvere il problema della duplicazione del cubo. Inoltre, in questo lasso di tempo, erano stati scritti due trattati, entrambi perduti, specificatamente dedicati a questa classe di curve: i Luoghi solidi, il trattato di Aristeo, composto attorno al 320 a.C., che, come si è detto, faceva parte del Tesoro dell’analisi, e le Coniche di Euclide, di poco successivo, che sembra fosse andato perduto già al tempo di Pappo. Questi, infatti, nella Collezione, parla di Aristeo come di colui “che scrisse i cinque libri, ancora esistenti, sui Luoghi solidi”, una precisazione, quella sulla sopravvivenza dell’opera, che Pappo invece non fa in riferimento al trattato di Euclide.
Sempre nella testimonianza di Pappo, le Coniche di Euclide consistevano di quattro libri che Apollonio avrebbe utilizzato, integrandoli e aggiungendovene ex novo altri quattro, per comporre il suo trattato. In effetti, lo stesso Apollonio definisce i primi quattro libri della propria opera una trattazione generale delle sezioni coniche e gli ultimi quattro uno sviluppo dell’argomento di livello avanzato. È quindi assai probabile che, quelle contenute nei primi quattro libri fossero sostanzialmente nozioni già note ai predecessori, integrate da Apollonio con teoremi di sua introduzione (come alcuni di quelli contenuti nel libro III, di cui rivendica con orgoglio la paternità), e che gli ultimi quattro libri costituiscano invece la parte più innovativa dell’opera.
Nelle Coniche, che senza dubbio costituiscono il più esaustivo trattato sull’argomento di tutta l’antichità, Apollonio dà un contributo determinante alla generalizzazione di alcune proprietà di queste curve. Prima di lui, ad esempio, esse venivano ricavate utilizzando esclusivamente piani di intersezione ortogonali a una generatrice del cono. Ciò implicava l’impiego di tre diverse classi di coni: coni con l’angolo al vertice acuto per generare ellissi, coni con l’angolo al vertice retto per generare parabole e coni con l’angolo al vertice ottuso per generare iperboli. Apollonio dimostra invece che tutte e tre le curve possono essere ottenute da un unico cono, di angolo al vertice arbitrario, semplicemente variando l’inclinazione del piano che lo interseca. Egli dimostra inoltre che il cono non deve essere necessariamente circolare retto e che, al contrario, può essere anche un cono circolare obliquo o scaleno. Un’ulteriore innovazione è costituita dal fatto che Apollonio definisce il cono come la superficie costituita dall’insieme delle rette che congiungono una circonferenza a un punto fisso non appartenente al piano di quest’ultima. Questa definizione, rimasta poi immutata fino ai giorni nostri, implica un cono a doppia falda che genera la ben nota iperbole a due rami, modernamente adottata.
Ad Apollonio spetta anche il merito di aver assegnato alle sezioni coniche i loro attuali nomi. Prima di lui, infatti, queste curve venivano indicate con termini derivati direttamente dal modo in cui venivano generate: oxytome, cioè sezione di un cono acutangolo, per indicare l’ellisse, orthotome (sezione di un cono rettangolo), per indicare la parabola, e amblytome (sezione di un cono ottusangolo) per indicare l’iperbole. Apollonio non coniò i termini ellisse (che letteralmente significa “mancanza”), parabola (che significa “confrontare”, “porre accanto”) e iperbole (che significa “lanciare oltre”), già utilizzati in matematica nella risoluzione delle equazioni di secondo grado col metodo delle aree. Egli tuttavia li utilizzò – forse sulla scia di Archimede, che sembra abbia adoperato il termine parabola per indicare l’intersezione di un piano con un cono rettangolo – per denotare i vari tipi di coniche in base alle loro proprietà geometriche.
L’espressione “luoghi solidi”, con cui i matematici greci indicavano le sezioni coniche (e solo quelle) e che, come si è visto, costituiva anche il titolo del trattato di Aristeo, era parte di una classificazione generale delle curve (nell’antichità classica si arrivò a conoscerne soltanto una decina, o poco più) che contemplava altre due categorie: quella dei luoghi piani, costituiti dalle rette e dai cerchi, e quella dei luoghi lineari, che comprendeva indistintamente tutte le altre curve. L’attributo “solidi” in riferimento ai luoghi rappresentati dalle sezioni coniche deriva dal fatto che, nella Grecia antica, queste venivano definite stereometricamente come sezioni di un cono, cioè appunto di un solido geometrico. Del resto i Greci conoscevano solo due modi per generare una curva: o, cinematicamente, tramite la combinazione di moti uniformi (come, per esempio, nel caso della spirale di Archimede), oppure staticamente, tramite l’intersezione di due figure (ed è appunto il caso delle coniche). Per i moderni, invece, le coniche, prima di (o oltre a) essere sezioni di cono, sono luoghi geometrici (cioè insiemi) di punti di un piano che godono di certe proprietà, a partire dalle quali si ricavano le relative equazioni. L’ellisse, per esempio, è oggi definita come il luogo geometrico dei punti per i quali la somma delle distanze da due punti fissi, detti fuochi, è costante; ed è questa proprietà che determina l’equazione cartesiana della curva.
Nelle storie della matematica si fa talvolta riferimento ad Apollonio (se non addirittura a Menecmo) come al precursore della moderna geometria analitica. Ma i metodi utilizzati da questi autori nello studio delle curve, per quanto apparentemente simili a quelli attuali, ne differiscono notevolmente. È vero che, dopo aver definito una conica per via stereometrica, Apollonio abbandona appena possibile qualsiasi riferimento al cono utilizzato per generarla e studia le proprietà della curva in quanto figura piana, costruendo attorno ad essa un reticolo di riferimento simile agli assi cartesiani della nostra geometria analitica. Vi sono tuttavia due notevoli differenze: nell’“algebra geometrica” dei Greci, infatti, non era possibile concepire numeri negativi, e, soprattutto, il loro sistema di riferimento era sovrapposto alla curva – per così dire, “cucito” addosso ad essa – dopo che la si era generata. Insomma, per usare le parole di Carl Boyer, nella “geometria greca, possiamo dire che le equazioni sono determinate da curve, ma non che le curve siano definite da equazioni”.