ZENO, Apostolo
ZENO, Apostolo. – Nacque a Venezia l’11 dicembre 1668 da Pietro e da Caterina Sevastò, terzo di quattro figli, uno dei quali morto in età infantile. Venne battezzato nella parrocchia della Trinità.
Il padre era dottore in medicina ed esercitava in Candia, ma aveva deciso di ritirarsi a Venezia con la moglie poco prima che l’isola, nel settembre 1669, cadesse in mano ai turchi. Da secoli gli Zeno godevano dello status nobiliare nell’isola, anche se il nonno di Apostolo, Nicolò, non poté essere iscritto nel locale libro dei patrizi in quanto nato prima che suo padre Matteo ottenesse la dispensa necessaria a sposare una cugina. Lo stesso Apostolo era uso qualificarsi come «nobile cretense e cittadino originario veneziano».
Dopo la prematura scomparsa di Pietro, avvenuta nel 1670, la madre Caterina, in un primo tempo aiutata dal cognato Francesco Zeno, vescovo di Capodistria, si risposò con il patrizio Pier Antonio Cornaro: così Apostolo, il fratello maggiore Nicolò (v. la voce in questo Dizionario) e la sorella Maria passarono sotto la tutela del patrigno in un palazzo nel sestiere di Castello. A cinque anni d’età il futuro poeta cominciò a manifestare una precoce passione per la lettura, talché lo zio vescovo dispose che il giovinetto, in età più matura, potesse frequentare la scuola annessa al seminario ducale – il cosiddetto collegio di Castello – retto dai padri somaschi.
A diciassette anni Apostolo fece pubblicare un poemetto in ottave, L’incendio veneto (Venezia 1686) con l’aggiunta di tre odi satiriche, il tutto dedicato al doge Marcantonio Giustiniani. Seguirono altri due poemetti eroici: La conquista di Navarino e La resa di Modone (entrambi Venezia 1687). Tra i diciotto e i ventitré anni il giovane letterato intensificò lo studio dei classici latini e italiani nel tentativo di riformare lo stile del tempo, da lui percepito come corrotto. Si dedicò a tradurre in terza rima cinque satire di Persio e ridusse in versi italiani alcuni epigrammi di Marziale, ma di tali cimenti quasi nulla rimane.
Uscito dal collegio nel 1687, Apostolo doveva provvedere alla sorella e alla madre: iniziò a dedicarsi al commercio di libri antichi, ponendo le basi della sua vasta collezione. Intanto il fratello Nicolò era entrato nella congregazione somasca col nome di Pier Caterino, rinunciando alla sua parte di eredità. Tra gli amici di quegli anni spiccano i patrizi musicisti Alessandro e Benedetto Marcello, il poeta Antonio Conti, il librettista Benedetto Pasqualigo, il cartografo Vincenzo Coronelli, il padre friulano Giusto Fontanini, il futuro doge Giovanni Cornaro e il di lui fratello Giorgio, poi vescovo di Padova, il collezionista di medaglie Giovanni Domenico Tiepolo e l’erudito Bernardo Trevisano, proprietario di antichi codici.
Intorno al 1691, per ridare impulso all’accademia veneziana dei Dodonei, divenne il principale promotore della nuova accademia degli Animosi, che per impresa aveva un’edera intrecciata a un alloro con il motto oraziano Tenues grandia (Carm. 1,6). Tra i sodali v’erano i fratelli mercanti Pietro e Giuseppe Durli, accanto ai poeti Domenico David, Pasqualigo e Bartolomeo Dotti. Il 29 aprile 1698 l’Accademia Animosa venne dichiarata Colonia d’Arcadia con l’approvazione del custode generale Giovan Mario Crescimbeni: nel frattempo i suoi aggregati erano saliti a sessantaquattro, includendo pure Ludovico Antonio Muratori.
Nel 1696 Zeno aveva iniziato a collaborare con il periodico La galleria di Minerva, per il quale stilò le biografie di Giovan Giorgio Trissino e di Battista Guarini, opere poi ripudiate, come nel 1705 avvenne poi per l’intera sua produzione lirica giovanile, abbandonata a favore di un’assidua pratica del dramma per musica. In questa veste il ventottenne aveva debuttato a Venezia nel novembre 1695 con la pastorale Gli inganni felici (musica di Carlo Francesco Pollarolo). L’anno successivo, 1696, fu la volta del dramma pastorale Tirsi (Antonio Lotti), con dedica a Ferdinando Carlo, duca di Mantova. Per il margravio Giorgio Federico II di Brandeburgo-Ansbach compose poi un’altra pastorale, il Narciso (Ansbach 1697; Francesco Antonio Pistocchi). Nel 1697, per il teatro di S. Angelo in Venezia, scrisse I rivali generosi (Carnevale) ed Eumene (autunno; entrambe con musica di Ziani). Al Carnevale veneziano del 1699 risale Faramondo (teatro di S. Giovanni Grisostomo; Pollarolo), dedicato a Ferdinando de’ Medici, granprincipe di Toscana, che volle allestirlo ex novo a Pratolino in settembre; sorte analoga, il Carnevale dell’anno dopo, ebbe Lucio Vero (stesso teatro, stesso compositore). Nel 1700 Zeno soggiornò anche a Modena, su invito del duca Rinaldo d’Este, per redigere il testo di una festa d’armi in onore del figlio Francesco, svolta il 22 febbraio nella piazza dinanzi al palazzo ducale. Il fortunato dramma per musica Griselda, che rielabora un notissimo soggetto tratto da Boccaccio e Petrarca, andò per la prima volta in scena nel teatro di S. Cassiano in Venezia nel 1701 (Antonio Pollarolo). Notevole anche il successo arriso a Venceslao nel 1703, di nuovo al S. Giovanni Grisostomo (Carlo Francesco Pollarolo). Nel giugno 1701 fu infine rappresentata nel giardino della Favorita a Vienna la prima opera di Zeno commissionata dall’imperatore, l’«azione scenica» Temistocle (Marc’Antonio Ziani), soggetto eroico ma scena unica («un campo attendato [...] real padiglione [...] alle parti della scena si vedono deliziose verdure, collinette fiorite, ecc.»). Leopoldo I aveva invitato Zeno a Vienna con uno stipendio di 4000 fiorini, ma il drammaturgo declinò l’offerta per non abbandonare la sorella.
Poco dopo iniziò una fruttuosa collaborazione con il poeta reggiano Pietro Pariati, che si era stabilito a Venezia a fine 1699. Nella stesura dei drammi Zeno stabiliva il soggetto e l’orditura, mentre il coautore si occupava della versificazione. Alleggerito il carico degli impegni teatrali, il letterato poté dedicare più tempo ad ambiziose imprese erudite. Ideò almeno quattro opere monumentali, rimaste tuttavia incompiute: una raccolta di cinquemila biografie di poeti italiani, un’altra contenente un migliaio di profili di letterati veneziani, una serie di cronache inedite italiane (quest’ultimo progetto venne poi autonomamente condotto in porto da Muratori), nonché un catalogo di codici manoscritti. Proseguì inoltre il Mappamondo istorico di Antonio Foresti aggiungendovi le storie dei re d’Inghilterra e Scozia, di Svezia, di Danimarca. Da quest’ultimo lavoro derivò probabilmente lo spunto per il dramma Ambleto (1706) firmato con Pariati: fu il secondo di una serie di sei drammi musicati da Francesco Gasparini, tutti dati nel teatro di S. Cassiano (1705-12).
Nel 1703 Zeno non riuscì a ottenere il posto di custode della Libreria di San Marco e si fece sfuggire pure l’occasione di succedere a Pier Antonio Bernardoni come poeta cesareo a Vienna: le complicazioni delle trattative avevano fatto spazientire il veneziano che, lasciando campo libero a Silvio Stampiglia, dichiarò di non potersi trasferire nella capitale dell’impero per le imminenti nozze con Ludovica Mondonovo, in effetti celebrate nel 1705. Nello stesso anno, sotto il velo di un innominato «Accademico Animoso», diede alle stampe un compendio del vocabolario della Crusca, attirandosi però l’irritazione degli accademici fiorentini, che non erano stati messi al corrente dell’iniziativa. Già in precedenza peraltro aveva curato le Annotazioni al vocabolario attribuite ad Alessandro Tassoni (Venezia 1698).
Nel 1707 intervenne con una lettera in difesa del marchese Giovan Gioseffo Orsi nella querelle da lui lanciata contro le tesi del gesuita Dominique Bouhours, che agli scrittori italiani – perfino a Torquato Tasso e a Lodovico Ariosto – aveva rinfacciato l’eccesso di stil fiorito. «Bisognerebbe che gli italiani si facessero essi il loro Giornale», avrebbe detto Zeno un paio d’anni dopo a Scipione Maffei e Antonio Vallisnieri: nacque così l’idea del Giornale de’ letterati d’Italia, ideale prosecuzione della Galleria di Minerva. Attraverso una fitta rete di collaboratori in varie città della penisola, il periodico si prefiggeva di recensire le principali novità degli autori italiani. Apostolo e il fratello Pier Caterino si occupavano di testi letterari, Maffei di giurisprudenza, Vallisneri di medicina, Giovanni Battista Morgagni di anatomia, Giovanni Poleni e Bernardino Zendrini di matematica, Fontanini di erudizione sacra e diplomatica. Il primo tomo del Giornale uscì nel 1710.
Sul fronte teatrale, nel primo decennio del secolo, spiccano i drammi scritti per il teatro Ducale di Milano – l’esotico Teuzzone (1706; Paolo Magni) ed Engelberta, probabilmente in collaborazione con Pariati (1708; Andrea Stefano Fiorè) – nonché quelli allestiti alla corte di Barcellona rispettivamente nel 1708 e nel 1710 in omaggio al futuro imperatore Carlo VI d’Asburgo, all’epoca sul trono di Spagna con il nome di Carlo III: Zenobia in Palmira (Fortunato Chelleri) e Scipione nelle Spagne (congetturale l’attribuzione della musica ad Antonio Caldara, che fu invece l’autore certo della partitura quando il dramma fu ripreso a Vienna nel 1722).
Al Carnevale del 1712 risale Merope, andata in scena nel teatro di S. Cassiano a Venezia con musica di Francesco Gasparini, a coronamento del loro pluriennale sodalizio artistico. L’autore stesso considerava quest’opera «il meno cattivo dramma» sino allora uscito dalla sua penna (Lettere, 1785, II, p. 213), peraltro di poco anteriore all’omonima celebrata tragedia di Maffei. Sempre nel 1711 si rese vacante il posto di priore al Lazzaretto Vecchio, sull’isola in prossimità del Lido di Venezia. Zeno colse l’opportunità di trasferirvisi con la moglie, lasciando la casa del suocero con cui era in perenne contrasto; ma la consorte spirò nel 1714 senza avergli dato discendenti. Due anni più tardi il poeta ottenne l’incarico di governatore della Dogana di mare, a cui tuttavia rinunziò nel 1717.
Nel frattempo, pur tra mille polemiche (e perfino minacce di morte), continuò a occuparsi del Giornale de’ letterati d’Italia, che uscì sotto la sua direzione fino al 1718, anno in cui finalmente accettò il terzo invito alla corte di Vienna come poeta cesareo. Affidò al fratello uterino Andrea Cornaro la sua biblioteca di 7000 volumi e partì da Venezia il 13 luglio. Ma il viaggio verso la capitale si rivelò insidioso: nei pressi di Dogna, in Friuli, il poeta si ruppe una gamba e fu costretto a fermarsi a Pontebba per oltre quaranta giorni: poté giungere a Vienna in lettiga soltanto in settembre.
Ancora sofferente, ebbe un impatto difficile con la nuova realtà. Anzitutto, per non dispiacere al vecchio collaboratore Pariati attivo a corte da quattro anni, rinunciò al titolo di «primo poeta» per assumere quello di «poeta e istorico cesareo». Dovette quindi fronteggiare intrighi e maldicenze per mettere in scena il suo nuovo dramma Ifigenia in Aulide, che in ogni caso, con le note del vicemaestro di cappella imperiale, il veneziano Antonio Caldara, fu molto apprezzato da Carlo VI. Il periodo viennese vide la creazione di numerose azioni sacre e di drammi di ampie proporzioni, per lo più improntati a una seriosa gravità, tra cui Lucio Papirio dittatore (1719; Caldara), Alessandro in Sidone (1721; Francesco Bartolomeo Conti), Ormisda (1721; Caldara), Gianguir (1724; Caldara), oltre alla ripresa di vecchi testi come Griselda (1725; Conti) e Venceslao (1725; Caldara). Le amarezze per i frequenti ritardi nella riscossione degli emolumenti furono attenuate dai rapporti davvero cordiali con l’imperatore, che in Apostolo apprezzava anche la raffinata erudizione.
Nell’autunno 1731, qualche mese dopo la nomina effettiva di Pietro Metastasio a poeta cesareo, Zeno fece ritorno a Venezia, stabilendosi in casa Cornaro. Per Vienna scrisse ancora il Sedecia (1732; Caldara) e altri oratori, ma intanto divenne fidato consulente di vari intellettuali veneti tra cui l’abate Conti, il cardinal Angelo Maria Querini, Benedetto Marcello, Poleni e molti altri. La scomparsa nel 1732 del fratello Pier Caterino compromise la pubblicazione del Giornale de’ letterati, che cessò infine del tutto otto anni più tardi.
Nel 1735 il drammaturgo fu lusingato dalla proposta di Carlo VI di pubblicare in raccolta le sedici azioni sacre scritte per la cappella imperiale di Vienna, fiero di aver rispettato in esse le tre unità pseudoaristoteliche, oltre che di essersi rigorosamente basato sulle Scritture senza ricorso a futili personaggi allegorici. Negli ultimi anni si dedicò soprattutto alle antiche medaglie, pubblicò notizie sugli stampatori Manuzio, svolse ricerche su Battista Guarini in vista della ripubblicazione delle sue opere da parte dello stampatore veronese Tumermani. Conoscitore e collezionista di libretti d’opera (ne possedeva circa ottocento, oggi confluiti nella Biblioteca Marciana di Venezia, unitamente ai brogliacci di alcuni suoi drammi: cfr. G. Polin, in Apologhi morali, 2018, pp. 290-292), collaborò all’edizione riveduta della Drammaturgia di Leone Allacci, apparsa poi nel 1755. Il 20 ottobre 1740 gli giunse la notizia della morte di Carlo VI mentre stava scrivendo l’oratorio Geremia, poi lasciato incompiuto. Con Maria Teresa ottenne la conferma del titolo di «poeta e istorico di Sua Maestà», ma da allora smise di comporre versi, anche se continuò a percepire una pensione da Vienna.
Nel 1744 Gasparo Gozzi curò una monumentale edizione di suoi quarantasei drammi per musica, inclusi gli oratori (Venezia, Pasquali). Iacopo Soranzo gli acquistò un migliaio di medaglie d’uomini illustri, poi Zeno, nel settembre 1747, cedette a malincuore a un acquirente viennese la restante parte del suo ricco museo numismatico. Nello stesso anno fece testamento, lasciando la biblioteca al Collegio del SS. Rosario dei domenicani osservanti alle Zattere (Gesuati), contro i quali avrebbero in seguito, e fino al 1770, intentato causa per supposta incuria Andrea Cornaro e i suoi discendenti. Pur minato nel fisico e vittima nel 1749 di un colpo apoplettico, il poeta lavorò fino all’ultimo alle Dissertazioni Vossiane (dettagliati commenti al De historicis latinis, 1627, dell’erudito olandese Gerard Johannes Vossius) e alle annotazioni alla Biblioteca dell’eloquenza italiana di Fontanini, opere uscite postume nel 1752 e nel 1753.
Morì l’11 novembre 1750, all’età di quasi 82 anni: le esequie ebbero luogo a Venezia, nella chiesa di S. Agnese, con sepoltura ai Gesuati.
Zeno è ancor oggi ricordato come l’insigne riformatore del melodramma prima di Metastasio. Lo stesso drammaturgo veneziano, confidandosi in età avanzata con Marco Forcellini (Diario zeniano), ebbe coscienza di questo ruolo rivendicando il merito di «aver levato i buffi» dall’opera seria, di aver diminuito «la quantità delle ariette», di aver tolto infine «i costumi rei e disonesti» facendo in modo che i personaggi malvagi fossero esemplarmente puniti (cit. in Bizzarini, 2008a, p. 154): a tal proposito si è giustamente osservato che «la riforma di Zeno inizia su un terreno morale piuttosto che spettacolare o strutturale» (Viale Ferrero, 1990, p. 275). Come evidenziato da Robert Freeman (1968), tuttavia, tale processo d’innovazione non solo procedette per gradi – nei primi drammi, per dire, risultano ancora ben presenti i ruoli comici – ma fu anche compartecipato da poeti teatrali oggi ben meno famosi. L’occasionale richiamo a modelli teatrali sommi, da Euripide a Jean Racine, intese restituire, per quanto possibile, dignità classica al vituperato genere letterario del dramma per musica.
Un’altra caratteristica della poesia teatrale di Zeno è il «verseggiar sentenzioso», spesso accompagnato da una certa durezza che a taluni è parsa antimusicale: ciò non costituì un problema per i compositori, visto che i drammi zeniani, sia pure a volte pesantemente rimaneggiati – celebre il caso della Griselda ‘assassinata’ dal giovane Carlo Goldoni nel 1735 per assecondare i desiderata di Antonio Vivaldi –, godettero di una straordinaria fortuna nel primo Settecento e oltre. Tra i musicisti che li intonarono, vuoi all’origine vuoi nelle numerosissime riprese, ci furono maestri di primissima sfera come i due Pollarolo, Ziani, Lotti, Antonio Maria e Giovanni Bononcini, Alessandro Scarlatti, Gasparini, Caldara, Benedetto Marcello, Tomaso Albinoni, Johann Adolf Hasse, Nicola Porpora, Niccolò Jommelli e tanti altri. Ancora nel Diario di Forcellini l’austero veneziano, pur ritenendo il Metastasio il miglior drammaturgo d’Italia, rinfacciava al giovane poeta il supposto difetto di aver introdotto «nel dramatico lo stile lirico» (cit. in Bizzarini, 2008a, p. 157).
Cospicua fu l’impronta lasciata da Zeno negli ambienti letterari italiani del Settecento, non soltanto come un poeta teatrale posseduto da una singolare passione per il collezionismo e gli studi eruditi, ma anche come uno dei più autorevoli arbitri della nostra letteratura. Profonda fu altresì la sua influenza sui drammi per musica del periodo postmetastasiano. È difficile credere che un poeta come Giovanni De Gamerra, autore di libretti per musicisti della generazione di Wolfgang Amadé Mozart, Antonio Salieri e Giovanni Paisiello, non abbia preso ispirazione dall’edizione Gozzi delle Poesie drammatiche, in alcuni casi arrivando a saccheggiare interi versi e parecchie idee: ciò che a un primo sguardo potrebbe sembrare l’apertura di nuove vie rispetto alla strada maestra metastasiana, altro non era, in verità, che un ritorno al mai tramontato magistero di Zeno. Gli va oltretutto riconosciuto il merito di aver «precorso quasi tutti gli orientamenti e le mode artistiche del Settecento con un intuito sorprendente» (Viale Ferrero, 1990, p. 276), come attestano per il filone dell’esotismo la Cina del Teuzzone e l’India del Gianguir, e per la corrente del settentrionalismo preromantico la Polonia del Venceslao e la Danimarca dell’Ambleto. Al di là della moralistica ‘autocensura’ (Bizzarini, 2008a, p. 162) spesso esercitata da Zeno nel suo sterminato epistolario attraverso una reiterata ostentazione d’indifferenza se non di spregio nei confronti delle proprie opere drammatiche, è documentato che l’autore attribuiva la dovuta importanza alla scenografia, alla musica, alle qualità degli attori-cantanti, rivelandosi così un uomo di teatro a tutto tondo, oltre che un indubbio primo attore del panorama culturale del primo Settecento.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburnham, 1502: Notizie circa il Sig. A. Z. tratte dalla viva voce di lui dal signor Marco Forcellini (Diario zeniano); 1788: Lettere inedite del signor A. Z. istorico e poeta cesareo raccolte e trascritte da Giulio Bernardino Tomitano opitergino; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., cl. XI, 289-293 (=7273-7278): Catalogo della biblioteca di A. Z.; Poesie sacre drammatiche di A. Z. istorico e poeta cesareo, cantate nella imperial cappella di Vienna, Venezia 1735; Poesie drammatiche di A. Z., I-X, a cura di G. Gozzi, Venezia 1744; Lettere di A. Z. cittadino veneziano istorico e poeta cesareo. Nelle quali si contengono molte notizie attinenti all’istoria letteraria de’ suoi tempi; e si ragiona di libri, d’iscrizioni, di medaglie, e d’ogni genere d’erudita antichità, I-III, Venezia 1752, I-VI, Venezia 17852. È in cantiere un’edizione critica dei drammi di Zeno, diretta da A. Noe, con A. De Feo e S. Urbani, Wien 2021-. Cfr. anche il sito http://www.apostolozeno.it/public/ (10 ottobre 2020).
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