apostrofo [prontuario]
L’➔apostrofo è, nell’italiano scritto, il segno che indica la caduta (o soppressione), in ragione di fenomeni di natura diversa e distinta, di una vocale (se davanti ad altra vocale si parla di ➔ elisione) o di una sillaba, in fine o ad inizio di parola.
L’apostrofo è obbligatorio con l’articolo determinativo maschile singolare lo (l’imbuto, l’oboe; davanti a semiconsonanti abbiamo sempre l’apostrofo, l’uomo, ma lo iodio, piuttosto che l’iodio) e si trova usato sistematicamente anche con il femminile la (l’anima, l’onda, l’iscrizione, piuttosto che la iscrizione). Nell’italiano moderno con gli articoli plurali l’apostrofo è ammesso (ma resta d’uso raro) soltanto quando la parola seguente inizia con la stessa vocale elisa (gl’individui, l’erbe, ma più spesso gli individui, le erbe e sempre gli alberi, le azioni).
Le stesse regole che valgono per l’articolo determinativo valgono per i dimostrativi (quest’anno, quell’altra; ➔ dimostrativi, aggettivi e pronomi) e per le ➔ preposizioni articolate; in queste ultime, l’apostrofo è obbligatorio se formate con lo (all’attacco, dell’uomo, nell’istante); estesissimo, ma un po’ meno generale, se formate con la (all’attenzione, dell’università, nell’ora, ma anche della università, ecc.); è praticamente escluso in quelle formate con gli e le.
Con l’articolo indeterminativo, l’uso dell’apostrofo è fonte di confusione e dubbio. Sistematico, se non proprio obbligatorio, con il solo femminile, a segnalare l’elisione della ‹a› di una (un’oca, un’università piuttosto che una università), non va invece impiegato al maschile, data la possibilità di usare la forma un al posto di uno: tale uso configura un errore sottoposto a fortissima censura perché denuncia scarsa dimestichezza con le regole dell’ortografia. Massima attenzione quindi con un amico, un estimatore, un incidente e così via.
Ancora oggi diffuso, ma meno sistematico di un tempo, è l’impiego dell’apostrofo con i pronomi personali atoni anteposti al verbo (➔ parole proclitiche): t’acchiappo!, l’ascolto, m’imbarazza, s’arrabbia, c’interessa. Si tratta di forme del tutto accettabili (quando non addirittura preferite) anche nei registri più elevati.
È interessante come parole in uso possano essere la risultante della fusione (➔ univerbazione) di preposizione + nome: è il caso di allarme / allarmi, attestato (e accettabile anche oggi, pur se nella sola esortazione, e non come nome) anche nella grafia disgiunta: all’armi.
Non mancano casi di impiego dell’apostrofo confinato alle locuzioni cristallizzate: tant’è ma non tant’erano, senz’altro ma non senz’egli, quand’anche ma non quand’infine, com’è ma non com’anche, e così via.
L’apostrofo è convenzionalmente usato anche negli imperativi di seconda persona singolare di fare, andare, stare, dare e dire: fa’, va’, sta’ e da’. L’uso dell’accento al posto dell’apostrofo è una grave infrazione alla norma; nel penultimo caso realizza una sovrapposizione con una diversa forma verbale: dà è, difatti, terza persona singolare del presente indicativo. Diverso il caso del verbo dire, il cui imperativo presenta le due forme, pienamente accettabili, di’ e dì (► grafie unite e separate).
Apostrofo e non accento va usato anche con po’ (e in altri casi, fuori però dall’uso o dallo standard perché arcaismi o localismi: mo’ «ora» per modo, ve’ per vedi, vo’ per voglio e altri): qui a cadere (per troncamento, e a prescindere dalla lettera che segue) non è una vocale, ma un’intera sillaba: po-co (nel caso di pie-de ha però prevalso la grafia piè, con l’accento). L’uso di pò con l’accento, erroneo, è purtroppo frequentissimo nelle scritture, anche in quelle mediamente formali e professionali.
L’apostrofo si usa anche all’inizio di parola, per segnalare la caduta della vocale o della sillaba iniziale. In ➔ italiano antico e nel linguaggio lirico tradizionale era frequentissimo anche con il, dove segnalava la caduta di ‹i› dopo vocale: te lo dice ’l cor mio. Oggi si trova, per riprodurre fenomeni di oralità pertinenti al parlato più colloquiale, spesso connotato localmente (– come è andata? –’nsomma; ’st’estate che fai?; ’sto film è ’na noia), ma si tratta di grafie inammissibili nello scritto formale. La forma ridotta del dimostrativo è però accolta nello standard in forme come stamattina per questa mattina, stasera per questa sera, stanotte per questa notte, stavolta per questa volta.
L’apostrofo si usa anche davanti ai numeri e nelle ► date: l’8 settembre ’43, nel ’64, dove indica la caduta, come avviene nel parlato, di millenovecento.
È buona norma che nello scritto a mano (la videoscrittura di solito non la contempla, giustificando sempre a margine per parole intere) si eviti l’andata ► a capo (► sillabe, divisione in) al margine destro di riga con un elemento apostrofato ‘pendente’, ma è anche sconsigliabile ripristinare la vocale elisa nei casi in cui l’apostrofo sia obbligatorio. Si possono invece scindere così le preposizioni articolate: del- / l’interesse, nel- / l’attesa, sul- / l’acqua.