APPALTO (III, p. 723)
La disciplina dell'appalto nel cod. civ. italiano 1942 rappresenta per più aspetti un miglioramento rispetto alla normativa del codice abrogato: l'appalto è enucleato dalla commista disciplina della locazione, che è riservata ai rapporti aventi per oggetto il godimento a titolo personale di cose produttive o no (articoli 1571-1654); tra i rapporti che hanno per oggetto l'utilizzazione della energia lavorativa dell'uomo, esso, poi, si distingue dal lavoro vero e proprio, perché presupposti ne sono l'organizzazione ad impresa e l'assunzione del rischio economico da parte dell'appaltatore, il quale, a differenza del lavoratore autonomo (art. 2222), non è un piccolo imprenditore e, a differenza del lavoratore subordinato (art. 2094), è un imprenditore (art. 1655). Ne segue che l'intuitus personae è notevolmente attenuato nel senso che lo si valuta non in rapporto alla persona dell'imprenditore, ma in ordine alla impresa (art. 1674, che collega, di norma, lo scioglimento del contratto non alla morte dell'appaltatore, ma alla circostanza che gli eredi dell'appaltatore non diano affidamento di buona esecuzione dell'opera o del servizio; art. 1656, che non consente il subappalto se non dietro autorizzazione del committente).
La più notevole innovazione concreta consiste nella disciplina delle variazioni del contratto, che si distinguono in:
1. Variazioni concordate. - L'autorizzazione deve essere provata per iscritto (articoli 16592, 2725), e, comunque, non dà all'appaltatore diritto a compenso, se il prezzo sia stato determinato globalmente, e ammenoché non vi sia pattuizione diversa; la disciplina in tal guisa dettata dal codice vigente differisce dal codice abrogato (art. 1640) per ciò che è richiesta non la forma, ma la prova scritta dell'autorizzazione, e che questa non conferisce di per sé stessa all'appaltatore il diritto al maggior compenso.
2. Variazioni necessarie a regola d'arte. - Se i contraenti non raggiungono l'accordo su di esse e sul maggior compenso, è rimesso al giudice di determinare le une e l'altro, ma, come se l'importo delle variazioni supera il sesto del prezzo complessivo, l'appaltatore può recedere dal contratto e ottenere un'equa indennità, così se le variazioni sono di notevole entità, il committente, a prescindere dalla più generale ipotesi considerata dall'art. 1671, può recedere dal contratto ed è tenuto a corrispondere un equo indennizzo (art. 1660); perché il diritto di recesso possa essere sperimentato e sia dato pretendere l'indennità, è necessario che le variazioni, pur essendo imposte dalle regole della tecnica, non siano occasionate dalla inidonea redazione del progetto da parte di uno dei contraenti o dalla imperfetta esecuzione. Queste delicate situazioni non erano esplicitamente disciplinate dal codice abrogato.
3. Variazioni ordinate dal committente. - Al committente è consentito di imporre variazioni al progetto concordato purché il loro ammontare non superi il sesto del prezzo complessivo convenuto, e salvo all'appaltatore il diritto al maggior compenso; tuttavia il committente non può esercitare tale facoltà se le variazioni importino notevoli modificazioni della natura dell'opera e dei quantitativi nelle singole categorie di lavori previsti nel contratto per l'esecuzione dell'opera medesima (art. 1661).
Altra innovazione, che è suggerita dalla normativa degli appalti di opere pubbliche, è la disciplina dell'incidenza dell'eccessiva onerosità (art. 1664), in termini, però, diversi da quelli in cui essa è considerata nella parte generale dei contratti (articoli 1467-1469): occasioni ne sono gli imprevedibili aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d'opera per un importo di un decimo del prezzo convenuto e le difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili, non previste tra le parti, che rendano notevolmente più onerosa la prestazione dell'appaltatore; effetti sono, nel primo caso, il diritto alla revisione del prezzo per la differenza che eccede il decimo e, nel secondo caso, un equo compenso. Poiché l'art. 1664 è lex specialis rispetto agli articoli 1467-1469, questi non cessano di avere applicazione all'appalto per gli eventi straordinarî ed imprevedibili non contemplati dall'art. 1664 e con l'effetto della risoluzione che può essere evitata mercé la reductio ad aequitatem.
La revisione dei corrispettivi in conseguenza delle variazioni dei prezzi di mercato, dapprima consentita per le opere la cui esecuzione richiedesse un periodo di tempo superiore ad un anno (decr. legge 21 giugno 1938, n. 1296), fu poi estesa agli appalti di durata superiore a sei mesi (legge 9 luglio 1940, n. 1137) ed infine a quelli di durata anche inferiore (decr. legislativo 5 aprile 1945, n. 192). Regola ora la materia il decr. legislativo 6 dicembre 1947, n. 1501, secondo il quale per tutti i lavori dati in appalto o in concessione dallo stato o da altri enti pubblici è ammessa, salvo patto in contrario, la facoltà dell'amministrazione appaltante di procedere alla revisione dei prezzi pattuiti quando riconosca che il costo complessivo dell'opera è aumentato o diminuito, come si è detto, in misura superiore al 10% per effetto di variazioni dei prezzi correnti, intervenute successivamente alla presentazione dell'offerta. Contro il provvedimento che nega o accorda solo parzialmente la revisione, l'interessato può ricorrere al ministro competente, se si tratta di lavori dello stato, o al ministro dell'Interno per i lavori delle provincie e dei comuni, o al ministro dei Lavori pubblici per i lavori di altri enti pubblici; sul ricorso il ministro provvede definitivamente, sentito il parere di un'apposita commissione esistente presso il Ministero dei lavori pubblici.
Completo e minuzioso è, nel codice civile, il regolamento della verifica dell'opera (collaudo: articoli 1665, 1666), a proposito del quale è da rilevare il diritto riconosciuto al committente di procedere ad esso nel corso dell'opera (art. 1662).
Infine, la responsabilità dell'appaltatore, di cui all'art. 1639 del codice abrogato, è estesa alla ipotesi in cui l'opera presenti gravi difetti; è abbreviato ad un anno il termine di prescrizione (e non di decadenza); s'introduce l'onere della denuncia da comunicarsi entro un anno dalla scoperta, l'appaltatore risponde anche nei confronti degli aventi causa del committente, ma per le sole opere stabili; l'eventuale responsabilità dell'architetto è regolata alla stregua dei principî generali (art. 1669).
Bibl.: D. Rubino, L'appalto, Torino 1946, in Trattato di diritto civile italiano, diretto da F. Vassalli, VII, 3.