URINARIO, APPARATO.
Sommario. - Anatomia comparata (p. 788); Anatomia umana (p. 788); Fisiologia comparata (p. 790); Fisiologia umana (p. 791); Fisiopatologia (p. 795); Chirurgia (p. 800); Radiologia (p. 803); Patologia veterinaria (p. 808).
All'apparato urinario è devoluta la funzione di separare dal sangue i prodotti di escrezione che in questo si sono accumulati in seguito all'attività metabolica dei tessuti, nonché l'acqua eccedente, e versare il tutto all'esterno sotto la forma di urina. Lo sviluppo di questo apparato è strettamente legato a quello dell'apparato della generazione; perciò spesso i due apparati sono descritti insieme sotto la denominazione di "apparato urogenitale".
Anatomia comparata.
In molte forme più basse, e specialmente in quelle larvali di molti Invertebrati, la funzione escretrice è compiuta dalle cellule dell'epitelio celomatico e i prodotti raccolti nella cavità celomatica vengono portati direttamente all'esterno per mezzo di canalicoli disposti simmetricamente a paia e detti nefridî. Nei Vertebrati la funzione di sottrarre al sangue i prodotti catabolici è assunta completamente dai nefridî, i quali, cresciuti di numero e disposti a paia segmentalmente (canali segmentarî), presentano notevoli complicazioni della loro struttura e non hanno più ciascuno uno sbocco indipendente; infatti tutti quelli dello stesso lato si versano in un canale comune longitudinale, detto comunemente canale di Wolff, il quale trasporta questi prodotti nella cloaca. Con i canali segmentarî si mettono in rapporto speciali formazioni vascolari disposte a gomitolo, glomeruli vascolari, per cui tutta la formazione diventa più complessa ed estesa e assume particolari aspetti a seconda della fase dello sviluppo embrionale e a seconda dei varî gruppi più o meno evoluti dei Vertebrati. Perciò, per comodità di studio, nello sviluppo dell'apparato urinario dei Vertebrati sono state distinte tre fasi, indicate con i nomi di pronefro o rene cefalico, mesonefro o rene primitivo e metanefro. Il metanefro, o rene definitivo, che è quello il quale funziona allo stato adulto nei Sauropsidi e nei Mammiferi, non versa più direttamente i suoi prodotti nel canale di Wolff, ma in un diverticolo, che si sviluppa dalla parte caudale di questo canale e che prende il nome di uretere; questo uretere nell'ulteriore sviluppo perderà ogni rapporto con il canale di Wolff e s'aprirà direttamente nella vescica urinaria.
Ma un'altra differenza importante esiste nei processi della formazione urinaria tra gl'Ittiopsidi e i Vertebrati più alti; negl'Ittiopsidi i componenti urinarî vengono sottratti tanto al sangue arterioso per mezzo delle arterie glomerulari, quanto al sangue venoso per mezzo del circolo venoso porto-renale; invece nei Vertebrati superiori questi prodotti vengono sottratti unicamente al sangue arterioso per mezzo di rami provenienti direttamente dall'aorta.
Esaminando le varie classi dei Vertebrati troviamo profonde differenze nella conformazione dell'apparecchio urinario e queste differenze interessano tanto le ghiandole secretrici dell'urina, quanto i condotti escretori di questa.
Per quanto riguarda gli organi elaboratori dell'urina, rileviamo che in tutti i Pesci, meno i Selaci, e negli Anfibî il pronefro o rene cefalico presenta un discreto sviluppo e funziona almeno nelle prime epoche della vita, finché sarà sostituito dal mesonefro, che per essi costituisce l'organo renale definitivo; invece nei Selaci il pronefro è assai ridotto e il mesonefro raggiunge precocemente il suo pieno sviluppo. Negli Amnioti il pronefro si presenta assai rudimentale, specialmente nelle classi più elevate; il mesonefro s'osserva solo nel periodo embrionale e unicamente al metanefro è devoluta la funzione uropoietica. Per rapporto ai canali escretori, nei Ciclostomi il canale collettore del pronefro passa al servizio del mesonefro e caudalmente si riunisce al corrispondente dell'altro lato, formando un canale impari, il quale, dopo avere ricevuto pure i prodotti delle ghiandole genitali, s'apre all'esterno per mezzo di un orificio speciale situato nella papilla urogenitale. Nella maggior parte degli altri Pesci il canale collettore si divide longitudinalmente in due canali, dei quali uno continua a trasportare i prodotti urinarî, mentre l'altro serve per il passaggio dei prodotti genitali e prende il nome di canale di Wolff nel maschio, di canale di Müller nella femmina; ambedue le specie di condotti sboccano nella cloaca. Negli Anfibî si rileva la presenza di una vescica urinaria, che tra i Sauropsidi si ritrova solo nei Sauri e nei Chelonî. Negl'Ittiopsidi e nei Sauropsidi, salvo rare eccezioni, si ha una cloaca che accoglie la parte terminale dell'intestino e i prodotti urinarî e genitali, pur presentando ripiegature, che possono in qualche modo separare i varî prodotti. Nei Mammiferi si ha sempre la vescica urinaria derivata, almeno nella sua parte superiore, da una dilatazione della parte iniziale del peduncolo allantoideo e in essa vanno a sboccare gli ureteri formatisi da un diverticolo della parte più caudale dei canali di Wolff. Nei Mammiferi durante lo sviluppo si ha pure la cloaca, la quale si conserva per tutta la vita nei Monotremi. Invece in tutti gli altri Mammiferi, per la formazione di un setto a direzione frontale, la cloaca viene divisa in due parti, una posteriore, che forma la parte terminale del retto e s'apre all'esterno per un orificio speciale, l'apertura anale, l'altra anteriore, che prende il nome di seno urogenitale e riceve lo sbocco della vescica urinaria e dei canali genitali.
Anatomia umana.
Nella specie umana, come pure in tutti i Mammiferi, l'apparato urinario consta di due voluminose ghiandole, i reni, uno destro e uno sinistro, ai quali è devoluto l'ufficio di secernere l'urina, di una serie di tubi, cioè i calici, le pelvi e gli ureteri, che raccolgono questo prodotto e lo trasportano in un serbatoio, la vescica urinaria; questa alla sua volta si vuota periodicamente all'esterno per mezzo di un canale detto uretra, la quale nella femmina ha questa sola funzione, mentre nel maschio serve pure a condurre all'esterno i prodotti delle ghiandole genitali.
Rene. - Per la conformazione esterna, la situazione e i rapporti, la conformazione interna, la struttura microscopica, la chirurgia del rene, v. rene.
Calici e pelvi. - Ogni papilla renale sbocca in un tubo membranoso detto piccolo calice o lobare (calix renalis minor), il quale è lungo 1 a 2 cm., e con una estremità, che è più ampia, s'impianta attorno alla base di una papilla renale, mentre con l'altra estremità confluisce con un tubo consimile, dando origine a un grande calice. I grandi calici, calices renales maiores, sono tre, distinti in superiore, medio e inferiore, di forma cilindrica. Si riuniscono tra loro in modo assai variabile secondo i soggetti, potendo dare origine anche a un terzo ordine di calici, ma in ogni modo con la loro confluenza formano la pelvi o bacinetto renale (pelvis renalis). Mentre i calici sono interamente affondati nel seno renale, la pelvi, invece, è in gran parte extrarenale e si presenta sotto la forma d'un imbuto appiattito dall'innanzi all'indietro e diretto obliquamente dall'alto al basso e dall'estemo all'interno; la base slargata di questo imbuto misura cm. 1,5, è accolta entro il seno renale e riceve lo sbocco dei calici; la parte ristretta si continua insensibilmente con l'uretere. Le pareti dei calici e della pelvi presentano una struttura microscopica simile a quella degli ureteri.
Uretere. - L'uretere (ureter) è un canale muscolomembranoso di forma press'a poco cilindrica, lungo da 25 a 30 cm., il quale si estende dalla pelvi renale alla vescica urinaria e attraversa dall'alto al basso prima la regione lombare e poi la cavità pelvica; si suole dividere in 4 porzioni: la prima porzione, lunga circa 10 cm., è formata dal segmento lombare e riposa sulla faccia anteriore del muscolo psoas; ha una forma fusata, raggiungendo nel punto più largo un diametro di 5 a 6 mm.; le due estremità più ristrette possono presentare ostacolo al passaggio dei calcoli renali, che spesso s'arrestano, determinando la colica renale; questa porzione è ricoperta dal peritoneo e incrociata nella sua faccia anteriore dai vasi spermatici interni. La seconda porzione iliaca, molto breve, è quella che incrocia la faccia anteriore dei vasi iliaci descrivendo una curva attorno a questi. La terza porzione, che è la più lunga, forma il segmento pelvico, ha una forma fusata e nella sua estremità inferiore presenta un accentuato restringimento detto giustavescicale; è incurvata con la convessità laterale. La quarta porzione, che è la più breve, circa 20 mm., prende il nome di intramurale o intraparietovescicale, perché attraversa obliquamente le pareti della vescica, accolta nello spessore di queste. L'uretere è avvolto lassamente dalla fascia periureterica, la quale si può considerare come la continuazione della fascia perirenale. L'uretere risulta formato di tre tonache, una esterna o connettivale, una media o muscolare e una interna o mucosa. La tonaca esterna o avventizia è una membrana connettivale-elastica, molto lassa, che si può considerare come la continuazione della tonaca fibrosa del rene e che nella sua parte periferica si continua senza limiti netti con il connettivo circostante; essa accoglie i vasi e i nervi, i quali si distribuiscono all'uretere. La tonaca muscolare risulta formata da tre strati di fibre lisce, le quali esternamente e internamente hanno direzione longitudinale, mentre nella parte intermedia sono circolari; questi strati però non sono in tutto l'uretere distinti e ugualmente sviluppati, specialmente nella parte più alta; quando l'uretere penetra nello spessore delle pareti vescicali le fibre longitudinali si continuano al disotto della mucosa vescicale spandendosi in corrispondenza del trigono. La muscolatura dell'uretere si contrae ritmicamente dall'alto al basso, favorendo così il passaggio dell'urina. La tonaca interna o mucosa è sottile, ma resistente, e presenta delle pieghe longitudinali quando l'uretere è vuoto; risulta formata da un epitelio e da una tonaca propria. L'epitelio è pavimentoso stratificato e superiormente si continua con l'epitelio che riveste la pelvi renale, inferiormente con quello della vescica. La tonaca propria è formata da uno strato di connettivo lasso con sottili fibre elastiche. Tra l'epitelio e la tonaca propria non s'osserva una membrana basale.
Vasi e nervi. - L'uretere, a causa del suo lungo percorso, riceve numerose arteriole, che provengono da fonti diverse; nella parte più alta è irrorato da rami che derivano dall'arteria renale, più in basso riceve rami dall'arteria spermatica interna, poi da una delle due iliache; nella porzione pelvica riceve ramuscoli dall'arteria prostatica, dalla vescicolodeferenziale, dalla vescicale inferiore; tutte queste arteriole, raggiunto l'uretere, si dividono a T, cioè in ramo ascendente e in uno discendente per mezzo dei quali s'anastomizzano tra loro nello spessore della tonaca esterna; dalle arcate anastomotiche partono rami che si distribuiscono alle varie tonache giungendo immediatamente al disotto dell'epitelio. Le vene presentano lo stesso comportamento delle arterie. I linfatici formano una rete nello spessore della muscolare e per mezzo di rami, che accompagnano le diverse ramificazioni arteriose e venose, vanno a sboccare nelle linfoghiandole poste vicino all'aorta, alla cava inferiore, alle arterie iliache primitive, alle arterie ipogastriche, anastomizzandosi in basso con i linfatici vescicali. I nervi seguono il percorso delle arterie e provengono dal plesso renale, spermatico interno, ipogastrico e vescicale.
Vescica urinaria. - La vescica (vesica urinaria) o urocisti, è un sacco muscolomucoso impari e mediano, situato nella parte anteriore della piccola pelvi, destinato ad accogliere l'urina a mano a mano che scola dagli ureteri per versarla all'esterno per mezzo dell'uretra appena ha raggiunto un certo grado di riempimento. La forma della vescica varia notevolmente a seconda della quantità del suo contenuto; quando è completamente vuota essa non sporge, specialmente nella femmina, sul pavimento pelvico e la sua parete superiore, inflettendosi sulla inferiore, ne riduce la cavità a una fessura virtuale; quando è piena, ha la forma di un ovoide con il polo più grande rivolto indietro e in basso, leggermente appiattito dall'avanti all'indietro, con depressioni determinate dalla presenza degli organi vicini: così si può rilevare una depressione anteriore prodotta dal pube, una posteriore prodotta dal retto nel maschio, dall'utero nella femmina. Il polo ottuso, detto comunemente base, riposa sulla prostata, sulle vescicole seminali, sul pavimento pelvico nel maschio, sul collo uterino e sulla vagina nella femmina. La vescica è mantenuta nella sua posizione per mezzo dell'uretra, dei legamenti pubovescicali, dei legamenti vescicombelicali, uno mediano e due laterali, per le aderenze con la prostata nel maschio, con la vagina nella femmina; vi contribuisce pure il peritoneo, il quale riveste l'apice e la faccia posteriore della vescica per ripiegarsi poi sul retto nel maschio, formando il cavo rettovescicale, sull'utero nella femmina, formando il cavo uterovescicale. Una lamina connettiva, fascia vescicale, circonda direttamente la vescica aderendole strettamente. Allo stato di vacuità la parte più alta della vescica corrisponde al punto in cui essa si continua con l'uraco o legamento vescicombelicale mediano; a mano a mano però che la vescica si va riempiendo, quella parte della sua parete posteriore, che sta immediatamente all'indietro dell'impianto dell'uraco, si solleva di più, per cui tra la vescica e la parete anteriore dell'addome si viene a formare una depressione, detta cavo pubovescicale, tappezzata dal peritoneo; il fondo di questa depressione dista parecchi centimetri dal margine superiore del pube e attraverso questo intervallo il chirurgo può penetrare in vescica senza ledere il peritoneo. La capacità vescicale varia secondo i diversi autori tra 200 e 500 gr., ma in casi patologici, come nei prostatici, può arrivare a 405 litri.
Forma interna. - Quando s'apre la vescica, si vede la sua faccia interna percorsa da numerose pieghe formate dalla mucosa; distendendo la vescica queste pieghe scompaiono e invece si mettono in evidenza dei rilievi, che con il loro insieme formano un reticolato e sono dovuti alla muscolare sottostante; s'osserva poi in corrispondenza della parte anteriore della base della vescica un triangolo detto trigono di Lieutaud (trigonum vesicae), in cui la mucosa è liscia, più sollevata e più scura: questo trigono presenta un angolo anteriore, che corrisponde all'apertura vescicale dell'uretra, e due angoli rivolti posterolateralmente corrispondenti allo sbocco degli ureteri. Al di dietro del trigono si nota una depressione, che si rende più manifesta con il crescere degli anni e che è stata chiamata bassofondo della vescica, fossa retroureterica di Waldeyer; in questa depressione può ristagnare l'urina e si possono annidare i calcoli o i corpi estranei introdotti in vescica.
Struttura della parete vescicale. - La parete vescicale risulta formata di tre tonache, una interna o mucosa, una media o sottomucosa e una esterna o muscolare. La mucosa, che ha un colorito rosso nel vivo, cinereo nel cadavere, risulta formata di un epitelio e di una tonaca propria; l'epitelio è pavimentoso stratificato e le sue cellule presentano notevoli variazioni di forma a seconda che la vescica è vuota o piena; nel primo caso sono più alte, nel secondo più piatte; vi sono state descritte piccole ghiandole mucose poste in vicinanza del meato uretrale: la tonaca propria è formata da connettivo fibrillare con fibre elastiche. La sottomucosa, poco distinta dalla tonaca propria, contiene fasci connettivali più robusti e fibre elastiche; manca nel trigono. La tonaca muscolare costituita da fibre lisce è divisa in tre strati, uno esterno, uno medio e uno interno. Lo strato esterno è formato da fibre longitudinali e occupa essenzialmente la faccia anteriore e la posteriore della vescica; alcuni dei suoi fasci hanno un'origine extravescicale provenendo dal pube, dalla prostata, dai muscoli rettovescicali, dal setto vescicovaginale; altri hanno origine intravescicale e prendono la loro origine tra le fibre dello sfintere interno dell'uretra; a questa parte fu dato il nome di muscolo detrusore dell'urina. Le fibre dello strato medio hanno disposizione circolare e in corrispondenza dell'orificio uretrale s'addensano formando lo sfintere interno dell'uretra, considerato da alcuni come una formazione indipendente. Lo strato interno è costituito da fasci di fibre, che s'intrecciano variamente, formando una specie di rete, per cui questo strato fu detto plessiforme; negl'individui, che hanno la minzione ostacolata, questo strato s'ipertrofizza e i suoi fasci sollevano la mucosa vescicale; si ha così la vescica a colonne. In corrispondenza del trigono vescicale subito sotto la mucosa si ha uno strato muscolare con fibre strettamente ravvicinate e che è una dipendenza della muscolatura longitudinale degli ureteri.
Vasi e nervi. - La vescica nella parte più alta, che ha origine allantoidea, è nutrita dalle arterie vescicali superiori, rami delle ombelicali; nella parte più bassa, che ha origine urogenitale, è nutrita dalle arterie vescicali inferiori, provenienti dall'ipogastrica; vi sono inoltre le arterie vescicali posteriori, derivate dall'emorroidaria media e le arterie vescicali anteriori, derivate dalla pudenda interna. Le vene formano tre reticoli, uno sottomucoso, uno intramuscolare e un terzo superficiale, comunicanti tra loro; il reticolato superficiale si scarica nella ricca rete venosa, che si trova in corrispondenza della faccia inferiore della vescica e che versa il suo sangue nelle vene ipogastriche. I linfatici formano tre reticoli corrispondenti a quelli venosi e che hanno molteplici sbocchi, cioè nelle linfoghiandole iliache esterne, nelle ipogastriche, in quelle poste avanti al promontorio, in quella situata tra la vena iliaca esterna e il nervo otturatore. I nervi della vescica sono in parte formati da fibre mieliniche e provengono dal 3° e 4° nervo sacrale, in parte formati da fibre amieliniche e provengono dal plesso ipogastrico.
Uretra (urethra). - L'uretra femminile è un condotto muscolomucoso, che partendo dalla vescica s'apre nel vestibolo della vagina con un'apertura che ha la forma di una fessura longitudinale; è lunga in media 3 cm. e ha una forma fusata, essendo più ristretta alle due estremità, mentre nella parte media ha un diametro di 7 o 8 mm.; è diretta obliquamente dall'alto al basso e dall'indietro all'innanzi e un po' incurvata con la convessità posteriore; attraversa il diaframma urogenitale decorrendo lungo la faccia anteriore della vagina. La faccia interna dell'uretra presenta un colorito grigio roseo e delle pieghe longitudinali, tra le quali una più sviluppata occupa il mezzo della parete posteriore e va sotto il nome di cresta uretrale.
L'uretra maschile è in parte intrapelvica (uretra superiore) e in parte extrapelvica (uretra inferiore); nell'adulto misura in media cm. 16 (da 14 a 20); la prima parte, lunga 3 cm., è in rapporto con la prostata (pars prostatica); la seconda, lunga 1 cm., attraversa il trigono urogenitale (pars membranacea); la terza, lunga 12 cm. è in rapporto con i corpi cavernosi penieni (pars cavernosa). Fino all'angolo prepubico l'uretra è fissa, nel resto mobile. Il calibro uretrale presenta quattro segmenti ristretti, importanti a conoscersi per il cateterismo (v.): l'orificio esterno (meato uretrale), il tratto medio della parte cavernosa, la parte membranosa, l'orificio uretrale interno. Nella parte prostatica (sui lati della fessura del colliculus seminalis o veru montanum, espansione mediana della cresta uretrale), s'aprono gli sbocchi dei dotti eiaculatori.
Struttura. - L'uretra in generale risulta formata di tre strati, cioè di una mucosa, di una sottomucosa e di una muscolare. La mucosa è formata da un epitelio pavimentoso stratificato e da una tonaca propria ricca di fibre elastiche e fornita di numerose papille; presenta piccole ghiandole acinose ramificate, che s'avanzano nello spessore della sottomucosa: tra queste ghiandole ve ne sono due, una per lato, che hanno uno sviluppo maggiore e penetrano nello spessore della muscolare; furono distinte con il nome di ghiandole parauretrali. La sottomucosa è spessa, risulta formata da tessuto connettivo lasso ed è occupata da un ricco plesso venoso. La muscolare è costituita da due strati di fibre lisce; nell'interno, che è più sottile, le fibre sono disposte longitudinalmente, nell'esterno le fibre hanno direzione circolare e formano subito al disotto della vescica lo sfintere liscio dell'uretra. Nello spessore della tonaca muscolare s'insinuano le vene del plesso sottomucoso e al complesso che ne risulta si dà il nome di corpo spugnoso dell'uretra. Attorno allo sfintere liscio v'è lo sfintere striato, il quale nella parte superiore dell'uretra forma un anello completo.
Vasi e nervi. - Le arterie dell'uretra provengono dalle arterie vescicali inferiori e dall'arteria pudenda interna. Le vene si scaricano nei plessi vescicovaginale e pudendo. I linfatici sboccano nelle linfoghiandole ipogastriche e nelle inguinali. I nervi derivano dal plesso simpatico ipogastrico e dal nervo pudendo.
Fisiologia comparata.
L'escrezione, intesa nel suo significato meglio definito di eliminazione dall'ambiente interno dell'organismo dei prodotti catabolici terminali, non gassosi, e che non trovino possibilità di ulteriore utilizzazione, si presenta lungo la serie animale sotto due aspetti in certo qual modo antitetici: la vera e propria espulsione all'esterno, la segregazione e l'immobilizzazione, sotto forma insolubile e quindi inattiva. Queste due attività funzionali, se nelle specie meno evolute sembrano poter interessare in forma diffusa territorî interni diversi o, d'altro lato, ogni superficie di contatto e di scambio tra l'organismo e il suo ambiente, nel progressivo passaggio verso stadî più complessi di organizzazione, vengono in gran parte localizzandosi e individuandosi a livello di organi definiti e specializzati a tal fine. Sennonché, anche in quest'ultimo caso, non è sempre praticamente facile precisare i limiti della funzione emuntoria dei varî dispositivi, e ciò per la difficoltà sia di accertare la natura escretoria dei diversi prodotti del ricambio, sia di escludere per molti di essi il concorso a nuove funzioni, come è probabile per varî pigmenti (melanici, purinici, ecc.) del tegumento di Artropodi, soprattutto, e di Vertebrati, per l'accumulo di sali minerali in strutture scheletriche, ecc. Grande varietà d'aspetti assume, d'altra parte, la funzione escretoria talora nello stesso organismo, mentre poi, per un'incompleta divisione del lavoro, essa viene assai spesso a trovarsi, nel medesimo organo, associata ad altre funzioni. Né significato univoco si può attribuire ai reperti del metodo con i colori vitali, che pur ci ha offerto dati preziosi, dimostrandoci localizzata a livello di determinati territorî cellulari la capacità di captare elettivamente ora le une ora le altre di tali sostanze in soluzione nei liquidi circolanti (atrocitosi; atrociti a indaco e atrociti a carminio), cui segue eventuale eliminazione al difuori.
Nella condizione più primitiva, l'escrezione si compie attraverso l'intervento di cellule per lo più migranti, fagociti e atrociti, che rappresentano gli elementi di raccolta dei materiali catabolici, eliminati successivamente all'esterno in corrispondenza di superficie diverse (cutanea, branchiale, intestinale, ecc.) o depositati a livello di territorî varî (tegumento, connettivo, celoma, ecc.). Esempî assai semplici possono considerarsene le cellule ameboidi della mesoglea delle spugne, che escono all'esterno insieme con il loro carico di escreti, o il reticolo di cellule stellate degli Alcyonium, esempio forse di escrezione cellulare di accumulo. Manifestazioni analoghe persistono tuttavia, accanto a disposizioni più complesse, anche nelle forme più evolute. Negli Echinodermi alla notevole proporzione di cataboliti solidi corrisponde un notevole sviluppo di cellule migranti fagocitarie, che nelle Asterie si eliminano con i loro inclusi all'esterno, attraverso l'epitelio branchiale, mentre negli Echinidi e nelle Oloturie si accumulano in prevalenza in varie regioni del corpo, soprattutto in corrispondenza dell'organo ovoide e nel connettivo.
Col differenziarsi del celoma, si differenziano territorî cellulari della sua parete dotati di capacità atrocitarie: così l'epitelio peritoneale e acquifero degli stessi Echinodermi; così le cellule cloragoghe degli Anellidi, che s'infarciscono di escreti in forma di granuli, riversati poi nella cavità celomatica, da dove, ripresi dai fagociti, verranno con questi portati all'esterno o depositati nel tegumento e nel connettivo, quando - come vedremo - non siano convogliati verso gli emuntorî specifici; così infine le glandule pericardiche dei Molluschi, emuntorio celomatico connesso però generalmente con i nefridî. Rientrano in questo tipo funzionale anche i cosiddetti nefrociti, riscontrabili nei Gasteropodi polmonati, disseminati entro il connettivo, nei Crostacei decapodi, dove prediligono i territorî vascolari delle branchie, negl'Insetti dove si localizzano in corrispondenza dei muscoli alari del cuore (cellule pericardiche). Elementi a spiccata attività atrocitaria, interpretati talora come sistemi diffusi di accumulo, si considerano però anche (specie quelli dei Crostacei e degli Insetti) per l'aspetto particolare delle loro inclusioni vacuolari - diverse dalle concrezioni dei casi precedenti - per la loro costanza di fisionomia, indipendente dall'età dell'animale, come centro di rielaborazione e di trasformazione di escreti, che, assunti atrocitariamente, sarebbero poi di nuovo riversati in circolo per la definitiva eliminazione.
Se le cellule migranti e celomiche concorrono alla forma diffusa di quella che potremmo definire l'escrezione di accumulo, una localizzazione di questa si verifica a livello di organi particolari: le vescicole epiteliali chiuse dei Tunicati (colorabili elettivamente con indigosolfonato) che si vengono progressivamente riempiendo di concrezioni puriche; il corpo adiposo degl'Insetti con le sue cellule a urati, dove si depone tutto l'acido urico che non si elimini per i tubi malpighiani o non si separi nel tegumento (es., ali dei lepidotteri); nonché infine quel cuore branchiale dei polipi che, situato sul tragitto del sangue venoso alla branchia, racchiude, negli spazî interposti alle trabecole muscolari, grosse cellule anch'esse infarcite, in misura crescente col progredire dell'età dell'animale, di concrezioni aventi le reazioni delle basi puriniche.
D'altro lato, l'escrezione per eliminazione viene, dalla superficie cutanea (molti Platelminti) o da quella intestinale (atrociti a indigosolfonato di determinati territorî del tubo digerente negli Echinodermi, nella regione esofagea di molti Nematelminti, ecc.), localizzandosi essa pure, col procedere dell'organizzazione, a livello di organi definiti. Alcuni di questi rimangono in rapporto con l'intestino: così le cellule atrocitarie (i cui inclusi sono poi riscontrabili identici entro gli escrementi del cosiddetto fegato dei Crostacei e di molti Molluschi; le cellule a guanina dei diverticoli epatici di alcuni Aracnidi (visibili per trasparenza attraverso il tegumento del dorso, cui impartiscono caratteristici disegni bianchi, come nell'Epeira); e soprattutto poi quei diverticoli che, in forma di sottili canalini, talora numerosissimi, sboccano al limite tra intestino medio e posteriore, negl'Insetti, eliminando urati, ossalati, pigmenti varî, ecc. (tuboli Malpighiani). È pure il caso di ricordare qui i polmoni acquatici delle Oloturie sui quali le cellule migranti scaricano parte degli escreti raccolti.
Di un vero e proprio organo renale autonomo, invece, noi possiamo parlare in due serie filetiche di metazoi: Platelminti, Rotiferi, Anellidi e Artropodi da un lato; Vertebrati dall'altro. Come dato generale, ancora con tali organi d'eliminazione, può inizialmente sussistere la funzione delle cellule migranti e celomatiche, intermediarie tra essi e il resto dell'organismo, per la selezione degli escreti; ma, col progredire dell'organizzazione generale del metazoo, la loro importanza viene riducendosi, poiché sempre più immediati si fanno i rapporti tra emuntorio e liquidi circolanti, dai quali gli elementi del primo direttamente estraggono i cataboliti, che devono essere convogliati all'esterno.
Il protonefridio - quale si riscontra nei Platelminti, nei Rotiferi, nonché nelle larve di alcuni Anellidi - è costituito da un sistema di canalicoli terminanti a fondo cieco con una grossa cellula, provvista di una lunga fiamma di ciglia vibranti nel lume (cellula a fiamma). Sono questi elementi carichi di inclusi granulari e vacuolari, quelli che, dalle cellule mesodermiche con cui sono a contatto o dai liquidi interni, estraggono il materiale escretizio, disciolto o figurato, che il moto delle ciglia, aiutato eventualmente dal giuoco di valvole e dal pulsare di vescichette terminali, convoglia all'esterno in una rapida e abbondante corrente idrica.
Nefridî chiusi sono ancora alcuni organi segmentali di Policheti e Oligocheti, formati da un canalicolo terminato da cellule provviste ciascuna di un lungo ciglio vibrante (solenociti); ma essi segnano, rispetto ai precedenti, un'importante innovazione funzionale; compare qui la disgiunzione topografica tra la funzione di estrarre dal sangue i cataboliti specifici - localizzata negli epitelî atrocitari del canalicolo - e quella di filtrarne l'acqua, che ne sarà invece il veicolo, propria dei solenociti. Con che si delinea, ormai decisamente, anche quell'ufficio di regolazione della concentrazione del mezzo interno, che, in tutte le forme superiori, fa caratteristicamente parte delle funzioni renali, ma il cui primo accenno è forse da vedersi già in quei vacuoli pulsanti dei Protozoi, nei quali i cataboliti che vi si accumulano richiamano osmoticamente acqua dal citoplasma - con la quale verranno espulsi all'esterno - e che sembrano appannaggio caratteristico delle forme di acqua dolce, a difesa dal pericolo di eccessiva idratazione cellulare.
Analoga differenziazione funzionale presentano i metanefridî, caratteristici della maggior parte degli Anellidi, i quali però s'aprono con imbuto ciliato nella cavità celomatica, da cui filtra il liquido vettore, mentre alle cellule del tubolo, dotate di alto potere atrocitario e ricche di inclusi granulari e vacuolari, spetta il compito di raccogliere ed eliminare i cataboliti, estratti direttamente dal liquido celomatico, o derivati dalle cellule migranti, ma comunque provenienti dal sangue, per l'azione intermediaria degli elementi cloragoghi già ricordati nell'epitelio peritoneale, che costituiscono intorno ai vasi sanguigni i cosiddetti escretofori.
A questo stesso tipo di nefridî sono riconducibili gli organi renali dei Molluschi, aperti anch'essi sulla cavità pericardica, omologa del celoma, e collegati con le ghiandole pericardiche più sopra accennate, e forse anche i cosiddetti organi segmentali degli Onicofori, nei quali l'equivalente del celoma sarebbe fornito da altrettante vescicole chiuse (sacculo), dove si apre l'imbuto ciliato del tubolo nefridiale (labirinto). Analoga interpretazione potrebbero ricevere le ghiandole antennali e mascellari dei Crostacei, i reni coxali degli Aracnidi, i reni labiali dei Diplopodi e Tisanuri (paranefridî), dove la differente elettività atrocitaria delle cellule del sacculo (per il carminio ammoniacale) e di quelle del tubolo (per l'indigosolfonato) potrebbe documentare la duplicità di elementi - celomatici e nefridiali - da cui questi nefridî superstiti, fra gli Artropodi, trarrebbero origine.
Mentre nell'anfiosso l'organo escretore segmentale si può paragonare ai nefridî chiusi con solenociti, il rene dei Vertebrati si origina sotto forma di tuboli mesodermici metamerici, aprentisi nel celoma con un imbuto ciliato, in piena analogia con i metanefridî degli Anellidi. Canalicoli di tal genere - nefroni aperti di I tipo - localizzati in corrispondenza dei segmenti più anteriori cefalici e confluenti in un collettore comune, si trovano a costituire il pronefro, funzionante nell'Ammocoetes, negli stadî giovanili di alcuni Teleostei e nelle larve degli Anfibî. In corrispondenza dell'imbuto, il cui movimento ciliare convoglia verso il tubolo i cataboliti dal celoma, la parete di questo sporge nella cavità, abbracciando un groviglio di anse vascolari d'origine aortica, paragonabile a un grosso glomerulo (glomo) indipendente. Col procedere però dello sviluppo, l'abbozzo del pronefro scompare o si trasforma in una massa linfoide, mentre in corrispondenza ai metameri successivi si differenzia un secondo organo renale - il metanefro - funzionante per tutta la vita nei Selaci, nei Ganoidi e in alcuni Teleostei, fra i Pesci, nonché poi negli Anfibî, mentre negli altri Vertebrati esso è attivo solo nel periodo embrionale. Nei canalicoli che lo costituiscono, il glomerulo arterioso, ormai del tutto indipendente dal celoma, è in diretto rapporto con il tubolo, in corrispondenza della sua estremità prossimale; della primitiva connessione conservandosi, in alcuni di essi, il ricordo con un diverticolo che, innestato sul tubolo poco a valle del corpuscolo di Malpighi, si apre con l'altro estremo nella cavità peritoneale, con un imbuto ciliato. Di questi due tipi nefronici, l'ultimo - nefrone aperto di II tipo - si riscontra quasi soltanto nel mesonefro larvale e adulto degli Urodeli, mentre l'altro, il nefrone chiuso di III tipo, col suo glomerulo e i successivi cinque segmenti del canalicolo, costituisce l'unità renale caratteristica non solo del mesonefro, nella maggior parte dei casi, ma ancora e soprattutto del rene definitivo - metanefro - di tutti i Vertebrati superiori. Nel quale dunque l'indipendenza dal celoma è ormai totale, anche nell'origine stessa dell'organo da una massa di tessuto nefrogeno situata posteriormente al mesonefro.
Addentrandoci, sia pur brevemente, in qualche particolare strutturale, aggiungeremo che, dei cinque segmenti sopra ricordati (per la cui funzione, v. appresso: Fisiologia umana), il I (collo) e il III (pezzo intermedio), limitatamente agli eterotermi, presentano epitelio ciliato, che manca invece agli omeotermi: esso funzionerebbe nei primi come mezzo propulsore per l'urina, e sarebbe superfluo nei secondi per l'elevarsi della pressione arteriosa nelle anse del glomerulo. In questi ultimi, la porzione distale, tra il III e il IV segmento, si complica, per lo sviluppo dell'ansa di Henle, comune a tutti i nefroni nei Mammiferi, limitata ai nefroni midollari negli Uccelli. Accettando, come interpretazione generale, che il glomerulo elimini un ultrafiltrato del plasma, nel quale si ritroverebbero con eguale concentrazione tutti i componenti non colloidi di esso, e che le sostanze soglia vengano riassorbite dal II segmento, mentre l'acqua in eccesso ritornerebbe in circolo sia a livello di questo sia soprattutto in corrispondenza al IV, lo sviluppo dell'ansa di Henle fornirebbe il substrato anatomico del fatto che, mentre gli eterotermi eliminano sempre urina ipotonica rispetto al plasma, gli Uccelli eliminano urina quasi isotonica e i Mammiferi decisamente ipertonica.
Un ultimo tipo di nefrone è quello aglomerulare di molti Teleostei marini (Syngnathus; Hyppocampus, Siphonostoma, Opsanus, Lophius, Gasterostomus, ecc.), privo di corpuscolo malpighiano e riconducibile sostanzialmente al II segmento dei nefroni ordinarî. All'analisi fisiologica, questi reni aglomerulari non presentano mai glicosuria, nemmeno sotto quelle azioni stimolatrici (florizina), che la inducono invece negli altri, indizio della filtrazione dal glomerulo del glucosio, riassorbito poi in corrispondenza del canalicolo. Né si lasciano permeare da alcuna di quelle sostanze coloranti, che d'ordinario appaiono nell'epitelio del tratto principale, in quanto anch'esse ne vengono riassorbite dopo filtrazione del corpuscolo malpighiano; mentre poi presentano alcune caratteristiche glandolari, che autorizzerebbero secondo alcuni l'attribuzione di analoghe proprietà al II segmento dei nefroni ordinarî, con i quali hanno in comune la capacità di eliminare il rosso fenolo.
Particolare interesse ha lo studio anatomocomparativo del nefrone, nonché di tutto l'apparato urinario, in riferimento alle condizioni ecologiche, che sembrano avere parte notevole nel modellarne le particolarità strutturali, in rapporto alle esigenze della difesa del patrimonio idrico dell'organismo.
Tra i Vertebrati inferiori, i Teleostei, costretti, per il loro habitat in un mezzo a concentrazione inferiore a quella del plasma, a difendersi dal pericolo di disidratazione attraverso le mucose, di fronte al fattore limite fornito dall'incapacità del rene a eliminare urina ipertonica rispetto al plasma, ricorrono, per economizzare acqua, alla riduzione del volume di urina emessa (parte dei cataboliti sono eliminati per altra via, in soluzione ipertonica) e riducono perciò di numero e di efficacia filtrante i dispositivi glomerulari, sino talvolta ad annullarli del tutto, col nefrone di quarto tipo. Il che è in netta antitesi con la grande ricchezza, che i filtri malpighiani presentano nei Teleostei d'acqua dolce, dove devono invece allontanare, con un copioso flusso urinario, l'acqua abbondantemente assorbita attraverso le mucose da un mezzo che è ipotonico rispetto al plasma.
La riduzione dell'apparato glomerulare ritorna, come necessità consecutiva all'habitat terrestre e soprattutto a particolari aspetti di esso (lunghe migrazioni, clima desertico), nei Rettili e negli Uccelli, dove di fatto i glomeruli sono poco numerosi, con poche anse, e con spesso epitelio rivestente e abbondante connettivo, che riducono fortemente l'efficienza filtratoria di questi organelli. Tali previdenze possono essere poi integrate dal riassorbimento di acqua a livello della cloaca, che un'urina originariamente ipotonica trasforma in masse poltacee o addirittura solide, eliminate in talune forme, solo a intervalli di mesi.
La differenziazione dell'ansa di Henle, moltiplicando le possibilità assorbenti della porzione distale del nefrone, concilierebbe, nei Mammiferi, le antitetiche esigenze dell'economia di acqua e di un ampio dilavamento dei cataboliti, mediante abbondante filtrazione da parte di un ricco ed efficiente corredo glomerulare.
Condizioni queste, brevemente accennate, che trovano i loro equivalenti nel vario andamento dei processi catabolici. Ché la possibilità di produzione ed eliminazione di urea - sostanza facilmente diffusibile - implica la possibilità di una rapida e abbondante asportazione dei cataboliti, a mezzo di una cospicua disponibilità idrica, come si può avere nelle forme di acqua dolce e come ritorna nei Mammiferi per la particolare loro architettura nefronica; mentre là dove il veicolo scarseggia (Rettili, Uccelli), il catabolita azotato è fornito da una sostanza poco diffusibile quale l'acido urico.
A complemento di quanto sopra, ricorderemo brevemente che la differenziazione della vescica urinaria, con uno sbocco indipendente all'esterno anteriore all'apertura anale, è dato caratteristico dei Mammiferi. Fanno però eccezione i Monotremi, nei quali gli ureteri sboccano nella cloaca. Condizione analoga a questa si riscontra poi negli Uccelli, e in molti Rettili, mentre negli altri (Chelonî e alcuni Sauri), come poi ancora negli Anfibî, la cloaca presenta una estroflessione anteriore, in cui si raccoglie separatamente l'urina e che funziona come una sorta di vescica. Essa assume spesso l'importanza di un vero e proprio serbatoio, dove l'acqua d'origine urinaria può essere accumulata e riassorbita in circolo a economia del patrimonio idrico dell'organismo e a difesa dal pericolo di carenza: dispositivo questo, che come quello analogo riassorbente già citato per la cloaca degli Uccelli e dei Rettili, rientra nel quadro generale degli adattamenti del sistema urinario all'ambiente terrestre.
Fisiologia umana.
A) Rene. -1. Generalità. - Con il prodotto dell'attività funzionale dei reni, cioè con la secrezione dell'urina, vengono eliminati la più gran parte dell'acqua e quei prodotti terminali del ricambio che rappresentano sostanze inutili o dannose all'organismo e al regolare svolgimento delle sue attività biochimiche. I reni costituiscono in tal modo i fondamentali emuntori dell'organismo, e tra i principali organi deputati alla regolazione di essenziali processi biochimici.
Anche altri organi e tessuti come i polmoni; l'intestino, mediante i prodotti di rifiuto contenuti nelle feci (derivati proteici e salini); la cute, mercé la secrezione del sudore, possiedono un'attività emuntoria che peraltro è assai più limitata e in complesso (salvo che per l'eliminazione dell'anidride carbonica attraverso il polmone) molto meno importante di quella renale. Solo in speciali condizioni patologiche della secrezione renale, la capacità di eliminare alcune scorie o sostanze accumulate in eccesso nell'organismo può essere assunta dall'attività secretiva di altri organi, per es. del fegato con la bile, dello stomaco con il succo gastrico, con il fine di compensare relativamente l'insufficiente eliminazione renale, alla quale peraltro queste vie suppletive restano sempre di molto inferiori.
Con l'allontanamento dei prodotti inutili o dannosi e con la regolazione di fondamentali processi biochimici, i reni contribuiscono in modo preponderante a mantenere pressoché costante, entro limiti molto vicini, la costituzione fisico-chimica del plasma sanguigno, e in tal modo allo svolgimento regolare e armonico delle funzioni organiche. La quantità e i rapporti fra le diverse frazioni proteiche del plasma, così importanti per i rapporti osmotici fra sangue e tessuti, il contenuto di acqua del plasma, la costanza della reazione del sangue (concentrazione degl'idrogenioni) che rappresenta una condizione indispensabile per la vita, la conservazione entro certi limiti di quelle sostanze azotate del sangue che devono considerarsi come prodotti di rifiuto (urea, acido urico, creatina, creatinina, basi puriniche, ecc.) e il cui accumulo altera gravemente gli scambî fra plasma e tessuti esercitando altresì, quando sia molto cospicuo, una particolare azione tossica, la relativa costanza dei varî composti minerali (sodio, cloro, potassio, calcio, ferro, fosforo, solfo, ecc.) importanti per lo svolgimento di fondamentali attività biochimiche, sono tutte alla dipendenza, se non esclusiva, certo preponderante dell'attività dei reni. I quali completano la loro funzione secretiva di depurazione e regolazione con l'intervenire, mediante particolari attività del loro parenchima, in alcuni processi di secrezione interna che presentano notevole importanza nello svolgimento di talune funzioni organiche.
All'insieme di queste complesse e delicate attività funzionali provvedono essenzialmente i due sistemi del parenchima renale: quello glomerulare, rappresentato dai corpuscoli del Malpighi e dalla capsula di Bowmann, e quello tubulare costituito da un sistema di canali che, iniziando a fondo cieco dal corrispondente glomerulo, proseguono con decorso tortuoso e con aumento del loro lume fino a sboccare in tubi più grandi, che raccolgono l'urina di più glomeruli e canalicoli e la portano fino alle papille renali, donde sbocca nei calici e di qui penetra nel sistema delle vie urinarie.
I glomeruli sono costituiti da un insieme di anse capillari più o meno numerose e ravvolte a matassa; da una delle estremità penetra il vaso afferente, ultima diramazione delle arterie interlobulari, più grande di quello efferente e a parete più spessa e più ricca di elementi muscolari; dall'altra esce quello efferente che raccoglie tutte le anse glomerulari e dopo breve percorso si sfiocca in varî rami contribuendo all'irrorazione capillare del rene, oppure discende con altri rami fra i canalicoli urinarî di maggior calibro. Di guisa che il sangue, giunto ai glomeruli dalle ultime diramazioni del ricco circolo arterioso dell'organo, è costretto a ristagnarvi sia per la tortuosità, la ristrettezza e il numero delle anse capillari, sia per la caduta di pressione che avviene fra un vaso di calibro ampio e a pareti spesse com'è quello afferente e le anse, le quali all'altra loro estremità sboccano tutte in un vaso a lume più ristretto. Appunto durante la circolazione nelle anse avvengono i fenomeni, ancora imperfettamente conosciuti, in seguito ai quali filtra dai capillari un liquido (che con il successivo intervento dell'epitelio tubulare diventa l'urina) che si raccoglie nella capsula del Bowmann e quindi nel tubulo che da questa ha inizio, così come un liquido si raccoglie dal filtro nell'imbuto che lo contiene. È dimostrato che, almeno in alcuni animali, non tutti i glomeruli sono contemporaneamente aperti alla circolazione sanguigna e funzionanti, ma che la circolazione in essi s'alterna. Nei glomeruli passa dunque continuamente tutto il sangue che giunge al rene, e che solo dopo questo passaggio irrora i tubuli, pure essendo ammesso che una piccola parte del circolo arterioso renale non debba necessariamente far capo ai glomeruli, ma termini direttamente nei capillari della corteccia e in quelli dei tubuli.
I tubuli renali iniziano a fondo cieco dalla capsula di Bowmann che avvolge completamente la matassa glomerulare con i suoi foglietti invaginati l'uno nell'altro, fra i quali resta un piccolo spazio nel quale appunto si può raccogliere il filtrato glomerulare. Alla capsula fa seguito il tubulo contorto di primo ordine cui dopo un breve decorso tortuoso fa seguito l'ansa di Henle, di cui si distingue una branca discendente verso le piramidi e le papille renali e una ascendente verso il glomerulo da cui il tubulo ha preso origine; a questa segue il tubulo contorto di secondo ordine e quindi il tratto intercalare che si spinge nuovamente nella midollare dove sbocca in un tubo collettore nel quale terminano anche i tratti intercalari di altri tubuli. I tubi collettori a loro volta sboccano in canali più grossi, e questi infine nei tubuli che s'aprono alla sommità delle papille renali. Questo complicato sistema di canali ha una funzione puramente meccanica, cioè di trasporto dell'urina già secreta, solo nella sua parte inferiore e cioè a partire dal tratto intercalare, mentre fra questo e il tubulo contorto di 1° ordine possiede anche un'attività certamente fondamentale per quanto non ancora chiarita nella produzione dell'urina, attività che spetta agli elementi epiteliali della prima porzione dei tubuli e specialmente all'epitelio del tubulo contorto di 1° ordine, e di cui sono manifestazioni morfologiche alcune particolarità di struttura degli elementi epiteliali. Certamente, peraltro, la funzione di ogni tubulo è strettamente collegata a quella del corrispondente glomerulo non solo in quanto l'irrorazione tubulare è dipendente da quella glomerulare, ma anche perché l'attività secretiva e meccanica di ogni singolo canalicolo è subordinata al passaggio del liquido glomerulare in esso e viene meno, come insegnano diversi esempî della patologia renale, quando questo liquido non viene più filtrato dai glomeruli distrutti.
Per la natura stessa delle sue attività funzionali, la circolazione arteriosa come l'innervazione del rene hanno un'importanza particolare nella funzione dell'organo. La ricca irrorazione del rene è assicurata, non solo dal volume dell'arteria renale, molto sviluppato in proporzione dell'organo, ma dalla ricca suddivisione in rami i quali convogliano ai glomeruli, e quindi ai tubuli, la quasi totalità del sangue arterioso del rene. I nervi giungono al rene lungo i vasi o direttamente dai plessi dello splancnico e del vago; essi si distribuiscono ai vasi e al parenchima. È negata da alcuni, ammessa da altri, un'influenza nervosa diretta sull'attività secretrice dei reni mentre è indubbia quella indiretta attraverso l'attività vasomotoria.
2. L'urina. - L'urina dell'uomo è un liquido di colore giallo o giallo carico, emesso in quantità di circa 1000-1500 cmc. nelle 24 ore, che contiene in soluzione i prodotti terminali del ricambio azotato, quelli del ricambio solforato, sali organici e inorganici, piccole quantità di pigmenti, e alcuni prodotti terminali di processi di coniugazione di composti tossici o di secrezione interna del rene. Le sostanze solide rappresentano in complesso circa il 4-5% contro il 95-96% d'acqua, e vengono eliminate in media in ragione di 40 a 60 gr. giornalieri. Tutti i caratteri fisici e chimici dell'urina sono estremamente variabili già in condizioni fisiologiche in rapporto con i più diversi fattori.
La quantità dell'urina giornaliera può oscillare su cifre assai diverse da quelle normali da 1000-1500 cmc. a seconda dell'età, poiché è noto che, mentre nei bambini la quantità è inferiore a quella degli adulti fino al 10°-12° anno, negli adulti si hanno variazioni anche notevoli con l'avanzare della vita, più spesso nel senso di una diminuzione che di un aumento; e a seconda del sesso, giacché nella donna la quantità è di regola più scarsa che nell'uomo specie in determinati periodi dell'attività genitale (ciclo mestruale). Anche la gravidanza importa di regola una diminuzione della diuresi, per particolari e complesse modificazioni del ricambio idrico e della funzione renale. La posizione e la temperatura del corpo (in ambienti caldi la diuresi è di solito minore), soprattutto la quantità di acqua bevuta o assunta con gli alimenti nonché l'entità delle eliminazioni idriche per la via extrarenale (polmonare, intestinale e cutanea) hanno una particolare e pronta influenza sulla quantità dell'urina giornaliera, aumentandola quando gl'introiti idrici sono abbondanti e le altre eliminazioni scarse, diminuendola nel caso contrario. Anche alcuni alimenti carnei o vegetali possono influire sulla diuresi. L'urina eliminata di giorno è in quantità molto superiore a quella della notte: già durante la giornata varia molto nelle singole frazioni. È noto l'aumento della diuresi dopo i pasti e quello che segue le influenze emotive più svariate.
Il colore dell'urina dal giallo carico può variare al giallo pallido e al giallo scuro fino al rossastro a seconda della quantità della diuresi - di regola è tanto più carico quanto questa è minore e viceversa - nonché dei pigmenti normali contenuti nell'urina.
Il peso specifico oscilla in media dai 1014 ai 1035 e oltre, ma può variare notevolmente nelle singole frazioni urinarie e con le variazioni della temperatura; esso sta in rapporto con la quantità delle sostanze solide contenute nell'urina, specie dell'urea e del cloruro sodico, nonché con la quantità della diuresi. Un'urina abbondante, come per esempio l'urina eliminata dopo introduzione di liquidi, contiene poche sostanze solide e pertanto presenta una densità piuttosto bassa che può giungere fino a 1004-1002; l'urina scarsa, carica, eliminata dopo scarso introito liquido o dopo perdite notevoli di acqua per le vie extrarenali, quella ricca di scorie soprattutto azotate eliminate in quantità superiore alla norma, presenta invece un alto peso specifico, fino a 1030-1035 e oltre, proporzionato all'altissima concentrazione dell'urea e dei cloruri. L'aspetto dell'urina può essere leggermente torbido anche in condizioni normali per commistioni di elementi cellulari, per es. nella donna, provenienti dai genitali; più spesso in rapporto con la reazione dell'urina. L'urina acida è limpida appena emessa ma raffreddando s'intorbida per precipitazione di urati poco solubili (quando questi sono abbondanti si forma il noto deposito rosso mattone, sedimentum lateritium), mentre quella alcalina è torbida già al momento dell'emissione per la presenza di fosfati alcalino-terrosi e di carbonati.
La reazione dell'urina è acida; l'acidità, che corrisponde a una concentrazione in idrogenioni di 10-5 a 10-7 e quindi a un pH, di 4,8-7,3, è dovuta essenzialmente ai sali degli acidi che si formano durante il ricambio delle proteine (fosfati acidi, urati, solfati di potassio, sodio, magnesio, calcio, ecc.), nonché al risparmio delle basi, che avviene per mantenere costante la reazione del sangue. La reazione dipende però molto da varie condizioni, e soprattutto dal genere dell'alimentazione. Con un'alimentazione esclusivamente vegetariana anche nell'uomo l'urina può presentare reazione alcalina, perché i sali contenuti abbondantemente negli alimenti vegetali liberano i radicali acidi che vengono ossidati, mentre le basi sono eliminate con le urine. Il digiuno provoca invece un aumento dell'acidità, per eliminazione di corpi chetonici.
La concentrazione molecolare è, come il peso specifico e la quantità di sostanze solide eliminate, molto variabile, e misurata dal punto di congelamento oscilla fra −1,2 e −2,5. Su essa influiscono gli stessi fattori già ricordati. La concentrazione molecolare è tuttavia un indice assai più fine delle oscillazioni di concentrazione dell'urina; solo alle più evidenti variazioni di essa corrispondono modificazioni della densità degne di nota. La cospicua ipertonia dell'urina rispetto al sangue (Δ − 0,56) è un indice semplice e sicuro del lavoro osmotico, che il rene compie per le sue funzioni di secrezione e depurazione.
I pigmenti contenuti nell'urina normale sono diversi e di varia origine. Il più importante è l'urocromo che dà all'urina il suo colore giallo caratteristico, e che proviene da processi del ricambio non ancora ben conosciuti, nei quali comunque sembra avere un'importante interefrenza il rene, forse attraverso un'attività di sintesi del cromogeno o delle sue sostanze madri. È noto infatti che in affezioni renali decorrenti con insufficienza funzionale cronica dell'organo l'urina diventa pallida, anche quando non esiste una forte ritenzione dei composti urinarî e talora molto prima di qualunque fenomeno di ritenzione. Un altro pigmento di grande importanza soprattutto nei riguardi della funzione epatica e del ricambio dell'emoglobina è l'urobilina, la quale si forma nell'intestino per azione dei batterî sulla bilirubina e viene in piccola parte eliminata con le feci, per la più gran parte riassorbita, portata al fegato con il sistema portale e quindi eliminata come un cromogeno che con gli acidi o spontaneamente si trasforma in urobilina. Di minore interesse sono l'uroeritrina, le porfirine, ecc., contenute nell'urina normale solo in piccolissime quantità.
La composizione chimica dell'urina è molto complessa. In essa infatti sono contenute numerose sostanze libere o combinate, organiche o inorganiche, la cui quantità è assai variabile in rapporto con numerosi fattori, e soprattutto con l'alimentazione. Inoltre con l'urina vengono eliminati altri composti, sostanze tossiche combinate con altre che le rendono innocue, altri derivati del ricambio, sostanze di origine alimentare, ecc., sull'eliminazione dei quali esistono solo pochi fatti sicuramente dimostrati. Le cifre massime e minime dell'eliminazione dei principali costituenti organici e inorganici, come di quelli più scarsi o di minore interesse, sono all'incirca le seguenti (riferite alla quantità normale di 1000-1500 cmc. al giorno):
L'urea, che chimicamente è un diamide dell'acido carbonico
è il principale prodotto terminale del ricambio azotato che compare nell'urina dell'uomo e dei Vertebrati superiori; essa infatti rappresenta, espressa come azoto ureico, circa l'80-90° di tutto l'azoto urinario. L'urea si forma dai processi di deaminazione degli amminoacidi, per combinazione dell'NH3 che si distacca con il CO2, e formazione intermedia di carbonato e carbammato di ammonio. La quantità eliminata è essenzialmente legata alla quantità di proteine dell'alimentazione; nella dieta mista abituale dell'uomo adulto, contenente approssimativamente da 100 a 150 gr. di proteine, l'urea è contenuta nell'urina giornaliera in quantità media di 25-30 gr., ma può molto oscillare intorno a queste cifre con le modificazioni dell'alimentazione. Variazioni egualmente cospicue si hanno nelle diverse ore della giornata, soprattutto in rapporto con i pasti. Nel digiuno la quantità dell'urea come quella dell'azoto totale s'abbassa notevolmente pur persistendo su cifre relativamente elevate (7-8-10 gr.), in rapporto col processo di disintegrazione delle proteine; anche in tali condizioni l'urea rappresenta circa il 60% dell'N totale.
Parallela all'eliminazione dell'urea è quella dell'azoto totale, le cui variazioni dipendono principalmente da quelle del suo più importante componente, cioè dell'urea. Gli amminoacidi si trovano solo in piccola quantità nelle urine, e la loro eliminazione (glicocolla, alanina, cistina, arginina, ecc.) è in rapporto con processi di scomposizione delle sostanze albuminoidi, più spesso però assume un significato patologico (insufficienza epatica, alterazioni del ricambio proteico). Degli altri componenti azotati, l'acido urico è per circa la metà di provenienza esogena come l'urea, e varia a seconda dell'andamento dei processi del metabolismo dei nucleoproteidi, per un'altra quota di provenienza endogena. La creatinina proviene tutta dai processi di scomposizione endogena delle sostanze azotate, ed è pertanto largamente indipendente dall'alimentazione. Lo stesso avviene per l'ammoniaca, le cui variazioni dipendono essenzialmente dall'andamento dei processi di deamminazione degli amminoacidi nel fegato, e dalla sintesi che viene compiuta ad opera dei reni.
L'acido urico, endogeno ed esogeno, viene eliminato in quantità complessiva di circa 0,50-0,60 nelle 24 ore: ma con una dieta apurinica può ridursi molto al disotto di queste cifre, mentre con dieta ricca di purine o quando esiste un aumento dei processi di scissione di questi corpi nell'organismo può aumentare a cifre molto superiori. Com'è noto, l'acido urico proviene in parte dalle nucleine degli alimenti, in parte da quelle dei tessuti attraverso complessi processi di scissione che probabilmente si svolgono in modo analogo sia per la quota di origine esogena (alimenti come il fegato, i reni e ogni altro organo molto ricco di nuclei, tè, caffè, ecc.), sia per quella di provenienza endogena (distruzione dei tessuti, particolarmente dei nuclei cellulari). Tali processi hanno inizio con la scissione dei nucleoproteidi ad opera di speciali enzimi intestinali e tissurali in nucleosidi, nucleotidi, acido fosforico, idrati di carbonio e alcune basi, fra cui di principale interesse quelle puriniche, le quali direttamente dalla xantina o indirettamente attraverso la xantosina, l'ipoxantosina, ecc., conducono per ossidazione all'acido urico, che nell'uomo e in alcuni Mammiferi è l'ultimo prodotto del ricambio purinico. In altri Mammiferi e nella maggior parte dei Vertebrati si giunge invece a un ulteriore prodotto, l'allantoina. Nell'urina dell'uomo l'acido urico si trova in piccola quantità libero, in maggior quantità combinato come urato di sodio e potassio. Si trovano inoltre delle basi xantiniche (0,20-0,30 nelle 24 ore), derivanti anch'esse dal processo di scissione ora accennato, ma non ossidate fino all'acido urico. Il rapporto acido urico: urea è in media di 1:40. Da quanto è stato detto, risulta che un'aumentata eliminazione di acido urico non può in nessun modo esprimere un'alterazione del ricambio dei nucleo-proteidi e tanto meno uno stato di iperuricemia o di gotta, come comunemente si crede dai profani, dipendendo essa dall'alimentazione e dai processi di distruzione cellulare. Al contrario può avere se mai un valore una diminuzione dell'acido urico urinario, che si osserva - tenendo sempre conto dell'alimentazione - nell'imminenza di un accesso gottoso e in alcune malattie renali croniche.
L'ammoniaca viene eliminata in quantità di circa 0,5-0,7 nelle 24 ore. Nell'urina lasciata stare all'aria per qualche tempo oppure in alcune condizioni patologiche della vescica (ritenzione, cistite, ecc.), l'ammoniaca può aumentare notevolmente per fermentazione dell'urea che avviene spontaneamente o ad opera di alcuni germi, fra cui il Micrococus ureae. Nel corso della giornata l'eliminazione dell'NH3 varia molto, perché, rappresentando essa uno dei meccanismi con cui il rene regola la reazione del sangue, diminuisce o aumenta a seconda della necessità di trattenere nell'organismo, a spese dell'ammoniaca, radicali basici per neutralizzare gli acidi. Così, per es. durante la secrezione gastrica, nella quale si libera un acido forte come l'HCl, l'ammoniuria aumenta, mentre al contrario diminuisce nella secrezione pancreatica. Anche il genere dell'alimentazione, secondo la capacità o meno di produrre sostanze acide, aumenta l'eliminazione dell'NH3. La formazione dell'ammoniaca costituisce uno dei processi di secrezione interna del rene, per quanto probabilmente tale organo non sia il solo a produrre l'ammoniaca, e per quanto siano ancora incerte le trasformazioni chimiche, che pare avvengano nei tubuli, attraverso le quali il rene forma tale base. Un'altra secrezione interna avviene con la produzione dell'acido ippurico, che si trova solo in tracce nell'urina dei carnivori mentre è più abbondante in quelle degli erbivori, e rappresenta il prodotto della sintesi dell'acido benzoico con la glicocolla. L'acido benzoico origina dalla putrefazione intestinale di alcuni amminoacidi aromatici e possiede azione tossica, neutralizzata appunto dalla sintesi che ne viene compiuta ad opera del rene e forse anche del fegato.
La creatinina (gr.1,0-1,5 nelle 24 ore) deriva essenzialmente dai processi del ricambio intermedio, e la sua eliminazione non è quasi per nulla influenzata dall'alimentazione. La sua origine non è ancora bene conosciuta, per quanto siano ammessi intimi rapporti con la creatina dei muscoli. La creatininuria si può considerare come espressione del metabolismo proteico endogeno, ed è abbastanza costante in uno stesso individuo. Aumenta in quelle condizioni in cui si produce una rapida distruzione dei tessuti, specie di quello muscolare; in queste stesse circostanze compare anche la creatina, la quale si trova altresì nelle urine in casi di affezioni muscolari, e in piccola quantità nella gravidanza e nei primi anni di vita.
Fra i composti inorganici riscontriamo nell'urina alcuni anioni come cloro, fosforo, solfo, e alcuni cationi come potassio, sodio, calcio, magnesio e ammonio. Il cloro viene eliminato come cloruro sodico e rappresenta il più importante composto inorganico dell'urea, con l'urea il principale composto urinario. Esso viene eliminato in media in quantità di 10 a 15 gr., ma tale cifra è fra le più variabili in rapporto con svariati fattori. Innanzi tutto con l'alimentazione, la quale contenendo quantità variabili di sale produce degli scarti notevoli nell'eliminazione del NaCl urinario oppure, se povera o quasi priva di sale, provoca una diminuzione notevolissima (fino a 1-0,5 gr. per giorno), mentre il tasso del cloruro sodico del sangue, indispensabile al mantenimento della pressione osmotica, s'abbassa solo leggermente o resta invariato. Speciali modificazioni del ricambio idrosalino possono influenzare l'eliminazione clorosodica urinaria, e così pure alterazioni di ghiandole endocrine, soprattutto dell'ipofisi. Cospicue perdite idrosaline per la via gastrointestinale, come vomito e diarree insistenti, producono altresì una ipocloruria. Processi infiammatorî che alterano il ricambio del cloruro sodico, come per es. la polmonite, provocano egualmente diminuzione sino alla quasi scomparsa del cloro urinario: così pure lo diminuiscono alcuni stati di alterazione del circolo. I fosfati derivano in parte dagli alimenti, in parte dalla scissione dei nucleoproteidi e degli idrati di carbonio fosfati. I solfati sono di origine alimentare o derivano dalle proteine. Gli altri sali hanno minore importanza, esclusi quelli di calcio che forniscono dati utili per il ricambio di questo catione (malattie delle ossa decorrenti con decalcificazione), e gli ossalati il cui aumento (ossaluria) è indice di alcune alterazioni del ricambio, specie a carico dei carboidrati che rappresentano le principali sostanze generatrici di acido ossalico.
Come solfoeteri s'indicano dei composti che, originando dalla putrefazione proteica nell'intestino, vengono combinati con l'acido solforico ed eliminati sotto forma di composti potassici. Queste sostanze sono per lo più molto tossiche (fenolo, indolo, scatolo, cresolo, ecc.) e pertanto vengono rapidamente e completamente coniugate ad opera del fegato e in parte del rene, così che normalmente ne passano nel sangue solo piccolissime quantità. La più importante di esse è l'indacano (indossilosolfato potassico), il quale è il prodotto di ossidazione e di coniugazione dell'indolo - derivato dal triptofano - e può aumentare nelle urine quando s'accrescano i processi di fermentazione intestinale.
3. La secrezione dell'urina. - Come s'è già detto, la funzione depuratrice e regolatrice dei reni avviene ad opera dei glomeruli e dei tubuli, ed è legata alla quantità del sangue che irrora l'organo, alle sue modalità di circolo e alla sua costituzione chimica. Ma tra il sangue che circola nei glomeruli e il liquido che si raccoglie nei tubuli e che poi viene eliminato come urina esistono profonde differenze di composizione chimica: a parte l'acqua, che si trova in quantità assai vicina in entrambi i liquidi (90-92% per il sangue, circa 95% per l'urina) e alcuni composti inorganici di minore importanza (sodio), tutte le sostanze organiche e inorganiche appaiono nell'urina in quantità assai superiore a quella del sangue, e tale cambiamento di concentrazione è per alcune di esse (urea, solfati, acido urico, ecc.) assai alto, da 30 fino a 60 volte. Questo fatto indica che l'attività funzionale dei reni non consiste in un semplice processo di sottrazione meccanica, per filtrazione, delle scorie azotate e inorganiche al sangue, ma in una serie di processi assai più complicati, nei quali entrano in giuoco particolari attività degli elementi funzionali dell'organo (lavoro del rene). Tuttavia la natura e il modo di svolgersi dei varî processi restano ancora non del tutto chiariti.
Evidenti ragioni morfologiche e numerosi argomenti fisiologici suggeriscono che la lunzione dei due sistemi, quello glomerulare e quello tubulare, sia da considerare separata, pure essendo, secondo alcuni, varî punti comuni fra l'attività dei corpuscoli e quella dei canalicoli urinarî.
La funzione dei glomeruli è stata per molto tempo ed è tuttora da alcuni considerata come un semplice processo fisico di filtrazione, per il quale passano dal sangue tutti i componenti organici e inorganici eccetto le sostanze proteiche, trattenute quasi completamente dalla parete capillare (in realtà, minime quantità di proteine, dimostrabili con metodi speciali, possono passare nell'urina anche normalmente). Questo concetto, che è uno dei fondamentali della classica dottrina di K. F. Ludwig sulla funzione renale (1844), ha in suo favore fra l'altro i dati sperimentali che dimostrano gl'intimi rapporti fra la pressione e la quantità del sangue circolante nel rene (e quindi nei glomeruli) e la diuresi, la quale aumenta quando aumenta per vasodilatazione la portata sanguigna glomerulare, diminuisce quando questa s'abbassa e quando diminuisce la pressione sanguigna. Secondo altri (E. H. Starling), oltre alla pressione meccanica avrebbe importanza anche quella colloido-osmotica, in senso inverso alla prima. Ma contro l'idea di una semplice filtrazione del liquido glomerulare dal sangue parlano diversi fatti clinici e sperimentali, fra cui quello che alterazioni tossiche dell'endotelio dei capillari (nella rana), pure senza modificare in nessun modo la circolazione dei glomeruli (né quella dei tubuli, che nella rana ricevono sangue da un altro ramo arterioso), portano egualmente a una cospicua diminuzione della diuresi. Pertanto altri autori, seguendo il concetto dell'altra classica dottrina della secrezione renale di R. P. Heidenhain (1899), ammettono che i glomeruli non possiedano soltanto un'attività di filtrazione, ma anche di secrezione, che alcuni vorrebbero limitata ai prodotti azotati, altri invece all'acqua.
La funzione dei tubuli è certamente molto complessa come già indica il fatto che, ammettendo che il liquido filtrato o secreto dai glomeruli sia affine al plasma dealbuminizzato, tutte o quasi le profonde differenze di costituzione fra sangue e urina si stabiliscono a livello dei tubuli. Secondo alcuni, come già nel concetto di Heidenhain, i tubuli eliminano l'urea, secondo altri l'acqua e i sali, ma comunque hanno un'attività fondamentale nella secrezione dell'urina, attività che spetta soprattutto all'epitelio del tubulo contorto e che sarebbe dimostrata da diverse esperienze fisiologiche e morfologiche eseguite con i metodi istologici delle sostanze coloranti. Secondo il concetto più recente di A. R. Cushny, discusso da fisiologi e clinici ma accettato da molti e certo seducente, i tubuli più che una funzione secretrice avrebbero una particolare attività di riassorbimento del liquido che giunge ad essi dai glomeruli, attività che si esplica in modo selettivo fra le sostanze indispensabili ai bisogni dell'organismo e fra quelle invece non necessarie o dannose. A tale riguardo i componenti urinarî contenuti nel filtrato glomerulare si possono distinguere in due gruppi: uno, che comprende appunto sostanze utili per i bisogni dell'organismo e pertanto in quantità abbastanza costante nel sangue, come il glucosio, i bicarbonati, il sodio, il calcio, in parte gli amminoacidi, ecc., sarebbe costituito da composti che possiedono una determinata "soglia" di riassorbimento, cioè vengono sempre riassorbiti, a meno che nel sangue, e quindi nel filtrato glomerulare, non ve ne sia una quantità superiore a una certa concentrazione e quindi alla soglia di ognuna di essi, nel qual caso possono essere riassorbiti incompletamente ed eliminati anche in forti quantità con l'urina; l'altro, invece, che comprende le sostanze senza soglia di riassorbimento, cioè l'urea, la creatinina, i solfati e altre scorie inutili o dannose per l'organismo, le quali vengono sempre escrete con l'urina e riassorbite solo in piccola quantità. Ma probabilmente il processo di riassorbimento differenziale è ancora più complesso e non spiegabile soltanto nel modo ora accennato, ma piuttosto come il mezzo principale che possiede l'organismo per mantenere inalterata la composizione fisico-chimica del plasma, e per prevenire la perdita di quelle sostanze che non possono essere facilmente sostituite. Nell'attività di riassorbimento dell'epitelio tubulare, che conduce alla produzione di un liquido fortemente ipertonico rispetto al sangue, il rene compie un lavoro che si può calcolare approssimativamente dal consumo di ossigeno, e che risulta molto elevato tenendo conto del volume dell'organo.
Oltre all'attività ora detta, che riguarda essenzialmente la secrezione dell'urina, spetta ai tubuli la massima se non forse esclusiva influenza nei varî processi di secrezione interna dei reni. Come s'è già ricordato, questi consistono principalmente nella formazione dell'acido ippurico dall'acido benzoico e in quella dell'ammoniaca. Ma anche nella formazione dei fosfati si vuol vedere da alcuni un processo di sintesi, operato dall'epitelio tubulare per azione di uno speciale enzima sui composti esosofosfati. Inoltre è da ammettere, almeno sperimentalmente, che i tubuli intervengano nel determinare l'acidità dell'urina. S'è già detto delle sintesi dei cromogeni urinarî.
4. La funzione regolatrice dei reni. - Con la secrezione dell'urina e con le sue attività di formazione diretta di alcuni composti urinarî, il rene adempie dunque alla sua funzione regolatrice di alcune fondamentali costanti del sangue, e indirettamente anche dei tessuti. Questa funzione regolatrice s'esplica in vario modo, e cioè col mantenere costante la pressione osmotica del sangue, necessaria al normale svolgimento delle varie attività cellulari, col regolare l'equilibrio acido-base e in buona parte anche quello minerale; inoltre con l'allontanamento delle sostanze tossiche secondo i processi già sopra descritti.
L'attività regolatrice dei reni sull'osmosi sanguigna avviene alle dipendenze della secrezione dell'urina, con la quale viene fornito un liquido ipertonico rispetto al sangue. Ma con il normale svolgimento della diuresi il rene permette altresì una sufficiente costanza di quei fattori plasmatici che maggiormente influenzano la pressione osmotica, e cioè dell'urea, del cloruro sodico e dei bicarbonati, la cui situazione ha stretti collegamenti con l'equilibrio acido-base e con quello minerale. Inoltre è anche ammessa oggi l'influenza della funzione renale sulla pressione oncotica, cioè sulla pressione con cui le proteine trattengono l'acqua. Probabilmente alle alterazioni dell'osmosi sanguigna si devono alcuni stati morbosi, che seguono a profonde modificazioni di uno o più dei fattori suddetti, e pertanto in condizioni normali di funzione renale viene mantenuta in limiti assai vicini la quantità di questi nel plasma. È dubbio invece che alterazioni isolate di uno di tali fattori possano essere compensate o comunque seguite da modificazioni in senso inverso di un altro, come alcuni vogliono ammettere per l'urea e per i cloruri del plasma, mentre è vero che le modificazioni dell'osmosi si riflettono su quelle dell'equilibrio acido-base.
La regolazione dell'equilibrio acido-base s'esplica anch'essa con diverse attività: con l'eliminazione delle sostanze acide e la formazione di sistemi tampone urinarî, con la sintesi dell'ammoniaca e la scissione dei corpi chetonici. Soprattutto importanti sono la produzione dell'ammoniaca e le modalità di eliminazione degli acidi; perché l'ammoniuria renale, oltre a costituire un mezzo di neutralizzazione degli acidi, rappresenta una modalità di risparmio delle valenze basiche (sodio, calcio, potassio, ecc.) che dovrebbero combinarsi con questi acidi e che invece restano libere e vengono in gran parte trattenute nell'organismo. Quanto agli acidi di provenienza dai processi del metabolismo (acido fosforico, solforico, cloridrico, chetoacidi, acido lattico, ecc.), essi vengono eliminati in quantità superiore a quella delle basi, e precisamente in modo che al massimo di valenze acide corrisponde il minimo di basi. Con l'insieme di tali processi il rene interviene in modo predominante, se non esclusivo nella regolazione dell'equilibrio acido-base, che normalmente ha la sua espressione più importante nel mantenimento della reazione attuale del sangue (misurabile con il pH). Se infatti la funzione renale è profondamente alterata, avvengono profonde alterazioni dell'equilibrio acido-base che conducono in definitiva a un accumulo di acidi e a un impoverimento di basi del sangue, cioè a uno stato di acidosi. Un'altra costante del sangue, che misura indirettamente la situazione di quest'equilibrio, è la riserva alcalina, cioè la misura della quantità di bicarbonati che si possono sviluppare da un determinato volume di plasma, e anch'essa si trova facilmente alterata (diminuita) quando la funzione dei reni è insufficiente. Inoltre, come s'è già accennato, esistono rapporti abbastanza intimi fra riserva alcalina e situazione del Cl nel sangue, nel senso che quando esiste uno stato di acidosi e quindi un abbassamento della riserva alcalina, si può verificare una diminuzione della frazione clorica plasmatica e un relativo aumento di quella globulare, cioè un'alterazione degli scambî che continuamente avvengono fra plasma e globuli. È anche ammesso, ma solo in parte dimostrato, che le modificazioni di tali rapporti si riflettono sui tessuti, nei quali si può accumulare il cloro che invece diminuisce nel plasma.
La regolazione dell'equilibrio minerale, oltre che attraverso i processi ora accennati, s'esplica in modo diretto o indiretto attraverso il comportamento delle altre costanti fisico-chimiche e dell'equilibrio acido-base. Con la secrezione urinaria, inoltre, il rene regola opportunamente la situazione dei varî anioni e cationi, in modo da mantenere una notevole costanza di queste sostanze nel plasma, specie di quelle come il cloro, il sodio, il calcio, ecc., che sono necessarie allo svolgimento delle normali attività dei tessuti e al mantenimento dell'equilibrio acido-base e della pressione osmotica.
B) Vie urinarie. - I bacinetti renali o pelvi, gli ureteri, la vescica e l'uretra rappresentano un sistema di canali che, raccogliendo l'urina continuamente secreta dai reni, ne permettono l'allontanamento dall'organismo mediante l'atto della minzione. All'effettuazione di questo i singoli tratti delle vie urinarie partecipano in modo alquanto diverso secondo le loro rispettive funzioni, che sono strettamente dipendenti dall'influenza del sistema nervoso, e che si svolgono in modo ritmico e regolare, corrispondente alle modalità con cui s'effettua la secrezione renale.
I calici renali, raccogliendo l'urina che fuoriesce dalle papille alle cui estremità si aprono i grossi tubuli collettori, la versano nella pelvi, da cui essa passa nell'uretere. Questa prima parte del deflusso urinario si svolge essenzialmente alle dipendenze della pressione con cui l'urina abbandona gli ultimi tratti del sistema tubulare, mentre i calici e i bacinetti rappresentano più che altro dei piccoli depositi, in cui l'urina si raccoglie per breve tempo, per passare poi negli ureteri. Qui il suo deflusso verso la vescica non avviene soltanto per gravità, ma è notevolmente agevolato dal ripetersi di onde in senso peristaltico, che percorrono l'uretere dalla pelvi alla vescica e si seguono a intervalli brevissimi. È noto che tali onde si verificano anche nell'uretere separato dal sistema nervoso centrale, ciò che depone per la loro natura autoctona.
Dall'uretere l'urina si raccoglie nella vescica, la cui funzione meccanica è la più importante e complessa di tutto il sistema delle vie urinarie. L'urina che vi sgocciola continuamente dagli ureteri, la riempie sotto una pressione che va aumentando e che è determinata da ciò, che la vescica per contrazione degli sfinteri rappresenta una cavità chiusa; tale pressione costituisce appunto lo stimolo abituale dell'atto della minzione quando abbia raggiunto una certa soglia di eccitamento, che in condizioni normali oscilla intorno a una pressione di 20-30 cm. di acqua. La soglia di eccitamento e cioè la pressione intravescicale, varia normalmente con la quantità dell'urina che si raccoglie in vescica, specie se questa vi discende rapidamente; ma poiché lo strato muscolare della parete vescicale (m. detrusore) ha, come ogni altro tessuto muscolare liscio, un'attività tonica per cui riesce ad adattarsi a diverse quantità di liquido senza modificare notevolmente la pressione che agisce dall'interno, così l'eccitamento alla minzione non è direttamente proporzionale alla quantità dell'urina in vescica, ma dipende anche dal maggiore o minore stato di tonicità del muscolo detrusore. Comunque, quando sia raggiunta una certa pressione interna, cioè una certa distensione delle pareti vescicali, partono da queste degli impulsl nervosi che, percorrendo varie vie afferenti (contenute nel plesso vescicale, nei nervi ipogastrici, nel ganglio mesenterico inferiore e nei nervi splancnici), giungono alle catene simpatiche e al midollo dorso-lombare. Qui, all'altezza dell'ultima radice toracica e delle prime due lombari, risiede il centro dell'arco riflesso: le vie efferenti seguono il simpatico lungo i nervi ipogastrici, il parasimpatico lungo i nervi erigenti che terminano nel plesso vescicale. Di qui parte l'impulso alle diverse attività muscolari che permettono lo svuotamento della vescica attraverso l'uretra che, come già i calici e la pelvi, ha solo l'ufficio di un canale che non coadiuva di per sé il progredire dell'urina; il muscolo detrusore si contrae fortemente sul contenuto della cavità vescicale spingendolo verso l'unica via di uscita, l'imbocco uretrale, dove contemporaneamente i muscoli sfinteri, cioè lo sfintere interno (liscio) e quello esterno (striato), si rilasciano, permettendo così la fuoruscita dell'urina attraverso l'uretra.
L'arco riflesso avente sede nella 12ª radice toracica e nelle prime due lombari è dunque assolutamente indispensabile per il normale effettuarsi della minzione. Quando esso è distrutto per lesioni dei corrispondenti segmenti del midollo spinale, tutto l'atto della minzione ne resta profondamente alterato; manca la sensazione dello stimolo, il potere di adattamento tonico del muscolo detrusore è molto diminuito, la sua forza di contrazione è egualmente diminuita, è cessato il giuoco di alterna chiusura e apertura degli sfinteri, per cui ogni aumento della pressione vescicale provoca delle contrazioni, le quali peraltro sono deboli e non riescono a svuotare completamente il contenuto endovescicale. Ma il centro nervoso lombare è sempre comandato dai centri superiori encefalici, che possono anche inibirne l'attività; è da essi infatti che partono gl'impulsi efferenti i quali si trasmettono ai centri midollari e di qui alla vescica nel modo già detto, e attraverso essi possono giungere ai centri inferiori e alla vescica degli stimoli inibitori, che aumentano la contrazione degli sfinteri e fanno rilasciare il muscolo detrusore in modo che, cessando la pressione interna, diminuisce lo stimolo alla minzione. Quando il centro midollare è separato da questi centri superiori, per esempio per una ferita del midollo, l'atto della minzione si svolge in via riflessa, diventa cioè involontario ogni volta che la pressione endovescicale raggiunge la soglia necessaria all'eccitamento.
Fisiopatologia.
A) Rene. - 1. Generalità. - La fisiopatologia generale dei reni comprende lo studio di tre grandi categorie di fenomeni. In un primo gruppo vengono inclusi quei fatti morbosi che testimoniano l'esistenza di alterazioni anatomiche di varia natura nelle diverse strutture del tessuto renale funzionante, e cioè nei glomeruli, tubuli e vasi arteriosi: essi costituiscono i sintomi urinari delle affezioni renali, svelabili con l'esame delle urine e conosciuti come i più comuni e significativi delle varie forme di nefropatie (albuminuria, modificazioni della diuresi, cilindruria, ematuria, ecc.). Un secondo gruppo riguarda i disturbi della funzione renale, che tanta parte occupano nella moderna fisiopatologia renale per la loro grande importanza teorica e pratica e per la loro frequenza, determinata dagl'intimi rapporti fra le attività funzionali del rene e le delicate strutture dell'organo per cui le prime risentono facilmente delle modificazioni che queste possono subire. Infine nel terzo e non meno importante gruppo troviamo una serie di fenomeni detti extrarenali, i quali non indicano direttamente l'esistenza di alterazioni anatomiche né funzionali renali, ma bensì di modificazioni funzionali e in parte strutturali di determinati apparati, organi e tessuti all'infuori dei reni (circolo arterioso e capillare, cuore, ecc.) apparentemente collegate a quelle del rene pur potendo esistere in altre condizioni senza lesioni di quest'organo: tali soprattutto l'ipertensione arteriosa, le varie modificazioni cardio-vascolari a essa collegate, e l'edema renale.
Questi tre gruppi di fenomeni non si presentano uniti in tutte le malattie del rene, e neppure nel maggior numero di esse. Quando le alterazioni anatomiche, di qualunque natura esse siano, colpiscono uno solo dei reni, come accade nel più gran numero delle nefropatie di dominio chirurgico, esistono più o meno completi i sintomi urinarî e spesso i disturbi funzionali, ma mancano i fenomeni extrarenali, cioè la partecipazione del circolo al processo morboso e l'edema. Se entrambi i reni sono ammalati, come accade nella totalità delle nefropatie di cui più propriamente s'occupa la medicina interna, il raggruppamento dei varî fenomeni dipende dall'estensione, sede e natura delle lesioni anatomiche. Quando queste sono limitate all'apparato tubulare, cioè al gruppo di nefropatie indicate come nefrosi (processi degenerativi), esistono solo alcuni sintomi urinarî ed extrarenali (albuminuria, edemi), mentre mancano di regola disturbi funzionali salvo che in certe forme particolari. Nelle malattie che colpiscono in primo luogo i vasi arteriosi (nefrosclerosi) predominano la partecipazione del circolo sanguigno extrarenale (ipertensione e connessi fenomeni cardio-vascolari) e in secondo luogo i disturbi funzionali per estensione del processo a una sezione del parenchima funzionante (glomeruli), mentre sono scarsi o assenti i sintomi urinarî e l'edema. Le malattie infiammatorie vere e proprie del tessuto renale (nefriti) limitate al tessuto interstiziale (nefriti interstiziali) s'accompagnano a scarsi sintomi urinarî e talora a spiccati disturbi funzionali solo in quanto provocano una partecipazione diretta o indiretta degli elementi nobili del tessuto renale, cioè dei glomeruli e dei tubuli; quelle che colpiscono l'apparato glomerulare restando limitate ad alcune parti di esso (glomerulo-nefriti a focolaio) dànno luogo solo ai sintomi urinarî, non a quelli funzionali ed extrarenali. Al contrario i processi morbosi infiammatorî che colpiscono diffusamente i glomeruli (glomerulonefriti diffuse) e s'estendono di frequente anche ai tubuli e ai vasi, prendono i loro sintomi da tutti i tre gruppi di fenomeni, per quanto con aspetti diversi a seconda della fase della malattia (nefrite diffusa acuta, subcronica, cronica) e della maggiore o minore partecipazione degli altri costituenti del parenchima.
2. Esame clinico della funzione renale. - Dai cenni già ricordati nella trattazione della fisiologia del rene risultache tre tipi di fenomeni ci possono fornire un'idea sufficiente sullo svolgimento della funzione renale e dei processi biochimici dell'organismo a essa intimamente collegati. I primi riguardano la quantità della diuresi e la composizione dell'urina escreta, i secondi il comportamento della diuresi in condizioni particolari che importano o una forte concentrazione delle sostanze solide in poca quantità di liquido o al contrario l'eliminazione di una cospicua quantità di acqua, in modo da esaminare le variazioni della diuresi e l'indipendenza fra diuresi acquosa ed eliminazione delle sostanze solide propria del rene normale; gli altri, infine, si riferiscono alla situazione delle diverse costanti fisico-chimiche del sangue che esprimono le condizioni della biochimica tissurale e la cui conservazione entro limiti assai vicini è strettamente dipendente dalla funzione renale.
Perciò le più semplici e comuni indagini funzionali si eseguiscono: prendendo in considerazione la quantità dell'urina e la sua composizione nei riguardi dei principali prodotti terminali del ricambio, praticando le prove della diuresi provocata e della concentrazione e l'analisi chimica di alcuni componenti del sangue.
a) La quantità della diuresi, che in condizioni normali oscilla in media fra i 1000 e 1500 cmc. per giorno, è peraltro sottoposta ad ampie variazioni fisiologiche di cui occorre tener conto prima d'ammettere l'esistenza di modificazioni funzionali del rene. Queste si hanno solo con cifre nettamente superiori o inferiori ai massimi e minimi normali, ma possono essere presenti anche con una diuresi in limiti fisiologici. Oltre che la quantità dell'eliminazione giornaliera, che può essere più o meno fortemente diminuita (oliguria), o aumentata (poliuria), si deve prendere in considerazione il ritmo della diuresi nei diversi periodi della giornata e soprattutto il confronto fra la quantità dell'urina eliminata durante il giorno e quella eliminata durante la notte: questa normalmente è sempre assai inferiore a quella diurna, ma in condizioni di insufficienza renale può raggiungerne la quantità o anche superarla (nicturia). Altro dato utile, oltre alla quantità, è rappresentato dal colore dell'urina, che in certe condizioni può permettere a prima vista un giudizio sulla funzione renale; quando questa è conservata e specie quando la diuresi è piuttosto scarsa, un colore giallo carico o rossastro indica (naturalmente se viene esclusa la presenza di sangue, pigmenti patologici, ecc.) una buona o anche un'aumentata eliminazione di scorie, mentre in certe fasi dell'insufficienza renale è tipica un'urina abbondante, pallida-verdastra, come acquosa.
L'eliminazione delle sostanze solide si può studiare nel modo più semplice con la determinazione del peso specifico (densimetria urinaria), che è in diretto rapporto con la concentrazione dei più importanti prodotti di eliminazione, urea e cloruri, nel volume di urina esaminato. Nei soggetti con normale funzione dei reni determinando la densità nelle urine della giornata, in campioni parziali o meglio nelle varie frazioni raccolte ogni 2-3 ore, s'osserva che essa (e quindi l'eliminazione delle sostanze solide) può essere molto bassa (intorno a 1004-1002) oppure molto alta (intorno a 1030 e oltre) in rapporto con le diverse condizioni in cui il rene deve fornire una diuresi adatta ai bisogni dell'organismo. Quando, p. es., dopo introduzione di un eccesso d'acqua, occorre allontanare l'acqua dal circolo e dai tessuti, il rene fornisce una diuresi abbondante e di basso peso specifico che rapidamente ristabilisce l'equilibrio idrico, mentre quando è necessario eliminare una forte quantità di scorie fornisce una diuresi più scarsa, ma fortemente concentrata in modo da eliminare in poco volume le scorie che altrimenti verrebbero trattenute nell'organismo. Questa facoltà di adattamento del rene normale si basa dunque sulla possibilità di eliminare le scorie e l'acqua in completa indipendenza fra loro, la quale invece è diminuita o perduta nel rene insufficiente. La determinazione diretta delle sostanze solide eliminate durante la giornata può limitarsi all'urea e ai cloruri, ma non dà informazioni più sicure della densità e necessita inoltre la conoscenza della composizione dell'alimentazione. Solo cifre molto elevate parlano per una buona funzionalità dei reni; cifre più basse devono essere inquadrate fra i risultati delle altre indagini funzionali. Lo stesso vale per altri composti urinarî, come p. es. l'acido urico.
b) La prova di diluizione studia la capacità di risposta del rene a un cospicuo e rapido carico idrico quale viene determinato dall'ingestione di 1000-1500 cmc. d'acqua. Quando la funzione è normale, l'acqua introdotta viene rapidamente e completamente eliminata già entro 4 ore dall'ingestione mediante una diuresi che è particolarmente abbondante alla 1ª e 2ª ora e che s'accompagna a un peso specifico molto basso (1002-1004). Numerosi fattori extrarenali (perdita di acqua per altre vie: sudore, vomito, diarrea, presenza di edemi, insufficienza circolatoria, stati febbrili, ecc.) influiscono peraltro sui risultati. La prova di concentrazione studia invece la capacità del rene a eliminare una notevole quantità di scorie senza il normale apporto di acqua; in tali condizioni di superlavoro, il rene normale fornisce un'urina scarsa e molto concentrata, di guisa che in poche ore la densità arriva a 1028-1030 e oltre. Anche sui risultati di questa prova possono influire gli squilibrî del ricambio idrico, le condizioni del circolo, ecc.
c) L'esame chimico del sangue deve prendere in considerazione per lo studio della funzione renale i seguenti composti: 1. sostanze azotate non proteiche, che sono di speciale importanza rappresentando una sintesi dello svolgimento del ricambio azotato alle dipendenze della funzione renale; di esse si può studiare la quantità complessiva nel sangue dealbuminizzato (azoto totale non proteico o azoto residuo: mgr. 20-40% di siero nel normale) oppure le singole frazioni quali l'urea (mgr. 11-25%), gli amminoacidi (mgr. 6-9%), l'acido urico (mgr. 2-4%), i corpi creatinici, ecc.; 2. alcune sostanze minerali e soprattutto i cloruri (mgr. 570-620% di plasma), la cui quantità nel siero resta abbastanza costante in condizioni normali, mentre può essere frequentemente aumentata o diminuita nell'insufficienza dei reni; 3. i composti aromatici e l'indacano di provenienza intestinale per scissione putrefattiva di alcuni derivati delle proteine; normalmente tali prodotti tossici vengono coniugati per opera del fegato e sotto influenza del rene per cui nel siero di sangue se ne riescono a dimostrare solo piccolissime quantità; 4. la riserva alcalina, che esprime la quantità di CO2 che si può sviluppare dai bicarbonati presenti nel plasma; essa rappresenta il mezzo più semplice per lo studio dell'equilibrio acido-base (normalmente 50-70 volumi % di plasma). L'importanza delle ricerche emato-chimiche è grandissima, per quanto quasi tutti i composti ora elencati possano subire non di rado modificazioni anche molto spiccate con funzione renale conservata e reni anatomicamente indenni.
d) Altre numerose e svariate indagini sono state proposte per lo studio della funzione renale, ma solo poche fra esse possiedono una reale importanza pratica pur non superando per sicurezza alcune delle prove precedenti, e soprattutto la prova della concentrazione e i dati ematochimici. Ricordiamo soltanto: 1. la prova della fenolsulfonftaleina (iniezione di 1 mgr. di questa sostanza colorante: si determina nelle urine quale percentuale di essa viene eliminata dopo 1-2 ore oppure dopo 70′), molto usata nelle indagini urologiche, meno in quelle mediche dove è facilmente soggetta a cause di errore; 2. la "costante di Ambard", la più classica delle varie prove che esprimono mediante rapporti matematici le modalità di eliminazione delle scorie azotate in relazione alla loro concentrazione nel sangue e alla diuresi: fondata su una formula molto discussa, questa prova conserva ancora valore pratico nelle indagini urologiche e fino a un certo punto anche nelle nefropatie mediche; 3. il "coefficiente di depurazione ureica" ("urea clearance"), altra prova fondata sugli stessi principî ma su formule diverse, più esatta e sicura della costante di Ambard, i cui risultati peraltro vanno per lo più paralleli a questa e alla prova di concentrazione.
3. Sintomi urinarî. - a) Albuminuria. - Scoperta dall'italiano D. Cotugno nel 1770, la presenza di albumina nelle urine è stata messa in rapporto con le affezioni del rene per la prima volta da R. Bright (1827). Essa rappresenta uno dei sintomi più noti e importanti delle malattie renali. Tuttavia un'albuminuria può esistere spesso senza lesioni renali clinicamente e anatomicamente dimostrabili.
Queste albuminurie non nefritiche sono caratterizzate per lo più dalla loro scarsa entità, dalla mancanza di ogni altro segno di un'affezione renale, dagli stretti rapporti con il fattore causale, dalla transitorietà. A prescindere dalla cosiddetta a. fisiologica dimostrabile con metodi speciali in molti soggetti normali e dall'a. spuria che si ha per disfacimento di elementi cellulari contenuti in gran numero nell'urina, p. es. in casi di piuria, ematuria, ecc., queste forme di albuminuria sono state osservate nelle più diverse condizioni: dopo marce o violenti sforzi sportivi, dopo bagni freddi, dopo palpazione del rene nei casi di ptosi dell'organo, dopo iniezioni di adrenalina, nei neonati, durante il periodo mestruale, in alcune affezioni nervose (epilessia, emorragie, traumi, ecc.) e psichiche, in affezioni dell'apparato digerente, in dati soggetti dopo ingestione di certe albumine alimentari, ecc. Un posto a sé spetta all'albuminuria da stasi così frequente nelle varie condizioni d'insufficienza circolatoria, e all'albuminuria ortostatica o intermittente, frequente in bambini e in adolescenti, e caratterizzata dalla comparsa durante la posizione eretta di un'albuminuria anche cospicua che scompare nella posizione supina; tale forma viene ricondotta a un disturbo della circolazione renale provocato da uno stato particolarmente accentuato di lordosi lombare (a. lordotica), con la concomitanza di altri fattori costituzionali, neuro-endocrini, circolatorî, ecc. L'albuminuria ortostatica può durare per molti anni o decennî, ma infine scompare in seguito a cure d'irrobustimento o con l'avanzare dell'età.
Le albuminurie nefritiche caratterizzano in vario modo tutte le diverse forme di nefropatie. Solo in casi del tutto eccezionali una lesione acuta o cronica dei reni può non accompagnarsi ad albuminuria. Di solito le affezioni che importano un'estesa partecipazione dell'apparato tubulare, primitiva o associata a lesioni glomerulari, ecc., s'accompagnano ai gradi più alti di albuminuria; le lesioni glomerulari senza o con scarse lesioni tubulari producono un'albuminuria più lieve, quelle vascolari un'albuminuria lievissima o anche l'assenza di albuminuria tranne che in casi complicati.
Il grado dell'albuminuria puo essere variabilissimo, da tracce fino a 30-50 gr. per litro (sono noti casi con il 65-80‰), ma non indica affatto la gravità dell'affezione renale. Infatti le forme con più elevata albuminuria (nefrosi) sono spesso suscettibili di guarigione, mentre le nefropatie inguaribili, come la nefrite cronica, le nefrosclerosi, ecc., s'accompagnano a un'a. spesso lieve o lievissima. Non sono ancora conosciute le complesse modalità del passaggio dell'albumina nelle urine; è però noto che essa presenta la stessa composizione delle albumine del sangue, dalle quali generalmente s'ammette debba derivare. È incerto tuttora se l'albumina urinaria venga filtrata da quella del sangue attraverso i glomeruli lesi o se essa provenga dall'epitelio tubulare, come indicherebbe l'entità dell'albumina nelle affezioni tubulari. Non è escluso che una piccola parte dell'albumina derivi anche dalle proteine di altri organi e tessuti.
b) Ematuria. - L'ematuria, cioè la presenza nelle urine di sangue nei suoi componenti liquidi (plasma) e corpuscolati, può essere macroscopica (colore rosso, rosso bruno dell'urina), oppure microscopica (presenza di globuli rossi, in minor grado di leucociti nel sedimento), e costituisce un sintomo frequente, di significato clinico diverso a seconda dei casi.
Il sangue giunge nelle urine attraverso una lesione più o meno estesa dei vasi renali o dei glomeruli per alterazioni delle pareti, per infiltrazioni emorragiche, per traumi, per occlusioni vascolari, per diatesi emorragica, ecc. Le affezioni chirurgiche dei reni che dànno ematuria sono numerose: basti ricordare i traumi, le calcolosi, i tumori, la tubercolosi. Fra le affezioni bilaterali l'ematuria è fenomeno caratteristico delle glomerulonefriti specie acute, manca invece in molte nefrosi acute e in quelle croniche pure; è scarsissima o assente nelle sclerosi.
c) Cilindri urinarî (ialini, granulosi, misti cerei, epiteliali, ecc.). - Si formano dalle sostanze proteiche per speciali condizioni fisico-chimiche ancora non conosciute, oppure per distacco del rivestimento epiteliale dei tubuli. Si trovano in quasi tutte le nefropatie, ma sono abbondanti soprattutto nei processi degenerativi tubulari. In queste stesse condizioni si trovano nel sedimento urinario epitelî renali e sostanze ipoidi in granuli, riconoscibili per la caratteristica birifrangenza alla luce polarizzata.
3. Alterazioni funzionali dei reni. - a) Anuria. - All'anuria, caratterizzata dalla completa e più o meno persistente sospensione della secrezione urinaria, si riaccostano in pratica i casi nei quali la secrezione dell'urina diviene estremamente scarsa (50-100 cmc. e meno al giorno), i quali d'altronde passano di frequente nell'anuria completa. Le cause di questa grave sindrome morbosa sono molteplici. L'abolizione della secrezione si può produrre per gravi malattie diffuse di entrambi i reni (nefriti, nefropatia da mercurio) o di uno solo quando l'altro sia mancante o ipoplasico, Per alterazioni tossiche dell'intero organismo, specie se associate a intense perdite di liquidi per altre vie (colera, gastroenteriti acutissime), per gravi disturbi circolatorî, per influenze nervose a punto di partenza da uno dei reni, per es. in casi di calcolosi (anuria riflessa), per ostacoli meccanici nei reni o nelle vie urinarie di ambo i lati.
In seguito alla sospensione o all'estrema scarsezza della diuresi tutte le scorie del ricambio e l'acqua vengono trattenute nell'organismo, e s'accumulano nel sangue e nei tessuti. Questa condizione abnorme può essere in principio compensata relativamente con modalità non conosciute, ed è un fatto che spesso l'anuria persiste per diversi giorni senza sintomi degni di nota, nonostante il continuo accumulo delle scorie e lo stato latente d' intossicazione. Ma se essa persiste, compare il quadro dell'intossicazione urinosa nel quale all'enorme aumento dei composti azotati e aromatici nel sangue, all'acidosi, ecc., corrispondono fenomeni affini a quelli dell'uremia, cioè astenia, vomito, prurito, scosse muscolari, sete viva, ecc., mentre mancano di regola gli edemi nonostante la completa ritenzione idrica. Se l'anuria regredisce, i fenomeni tossici di solito diminuiscono e così pure quelli ematochimici, pure persistendo per qualche tempo uno stato gravissimo di insufficienza renale anche quando la diuresi ricompare particolarmente abbondante. Anche in questa fase l'anuria è spesso mortale, pur essendo non rari i casi di guarigione dopo diversi giorni di anuria ed eccezionalmente anche dopo qualche settimana.
b) Ipostenuria e isostenuria. - Come già s'è accennato, il rene insufficiente per alterazioni più o meno cospicue del suo tessuto funzionante ha perduto la capacità di adattamento alle varie esigenze dell'organismo propria del rene normale, mercé la quale questo può produrre secondo le circostanze un'urina scarsa e ricchissima di scorie (concentrata) oppure abbondante e povera di sostanze solide (diluita), cioè fornire una diuresi in cui l'eliminazione dell'acqua e quella delle scorie sono largamente indipendenti fra loro. La perdita completa di questa attività costituisce l'isostenuria, nella quale l'organo leso può produrre soltanto un'urina poverissima di scorie, quasi affatto variabile nella sua composizione in sostanze solide e quindi nella sua densità che si stabilisce sulle cifre di 1009-1011 (vicine alla densità del plasma dealbuminizzato), e non aumenta né diminuisce quali che siano le condizioni a cui viene sottoposto il rene e le necessità dell'organismo. Quando il potere di adattamento e di concentrazione delle scorie è soltanto diminuito si ha l'ipostenuria, nella quale la concentrazione delle scorie e quindi le densità urinarie possono variare fra 1004-1006 e 1024-1026, senza raggiungere le più alte cifre normali (1030 e oltre).
Tali difetti funzionali si producono abitualmente quando il parenchima di entrambi i reni è diffusamente alterato o nella sua porzione glomerulare o in quella vascolare o in entrambe. Una lesione isolata, anche se grave, dell'apparato tubulare, non produce invece ipostenuria, e così le lesioni che colpiscono in modo circoscritto tutti e due i reni (ad es., nefriti a focolaio). Se è colpito uno solo dei reni quando l'altro è integro, non si ha spesso neppure una lieve ipostenuria, mai l'isostenuria.
c) Insufficienza renale relativa e assoluta. - La diminuzione dell'eliminazione e concentrazione degli ultimi prodotti del ricambio soprattutto azotato, che si ha in diverso grado nell'ipostenuria e nell'isostenuria, può avere due diverse conseguenze sulla situazione dei corrispondenti prodotti nel sangue e nei tessuti. Questi prodotti, e in prima linea quelli azotati (acido urico, urea, azoto totale non proteico, ecc.), possono non essere aumentati (non "ritenuti") nel sangue malgrado l'esistenza di un'ipostenuria più o meno grave o anche di isostenuria, e allora si parla d'insufficienza renale relativa oppure essere ritenuti, insieme di solito con altre alterazioni ematochimiche, in modo più o meno intenso e si ha l'insufficienza renale assoluta. Le ragioni per cui malgrado l'insufficiente eliminazione di scorie i prodotti terminali del ricambio azotato vengono egualmente allontanati senza che s'accumulino nel sangue, stanno nell'esistenza e nell'efficacia di meccanismi di compenso e sopra tutto della poliuria (poliuria compensatoria), che riescono a produrre una sufficiente eliminazione complessiva di scorie, relativo compenso che invece è inefficace (pur esistendo poliuria talora intensa) nell'insufficienza renale assoluta, nella quale il rene non riesce a eliminare completamente neppure i prodotti azotati derivanti dal ricambio endogeno, che pertanto vengono ritenuti. Per giudicare esattamente di quest'ultima condizione occorre innanzi tutto sottoporre i malati a un'alimentazione assai povera di sostanze proteiche giacché in caso contrario anche uno stato d'insufficienza renale che si dimostra "relativo" dopo un'opportuna regolazione del regime alimentare, può apparire in principio come una condizione d'insufficienza renale assoluta. Occorre inoltre che non vi sia neppure un'eccessiva produzione di scorie azotate da disintegrazione tissurale, come avviene in molti stati infettivi, e che la diuresi non sia molto ridotta, perché in tal caso anche con una buona o buonissima concentrazione delle scorie nell'urina queste vengono in complesso eliminate in quantità insufficiente e s'accumulano nel sangue (oliguria relativa).
L'insufficienza renale assoluta e la sua espressione più evidente quale l'iperazotemia (aumento dell'N residuo, urea, acido urico, ecc.) sono assai più frequenti e più gravi quando esiste isostenuria; più di rado possono mancare in questa ed essere di particolare entità in casi d' ipostenuria. L'una forma d'insufficienza può del resto passare nell'altra; dall'assoluta alla relativa nelle forme renali acute che evolvono alla guarigione, dalla relativa all'assoluta in quelle croniche o subacute. In queste, specie nelle nefriti croniche e nelle nefrosclerosi, l'isostenuria con iperazotemia non è più emendabile neppure con l'esistenza di una cospicua poliuria compensatoria.
d) Uremia. - Si raccoglie nel quadro dell'uremia un insieme di fenomeni morbosi a carico di diversi organi e apparati, soprattutto di quello nervoso e digerente, che possono comparire nel corso di varie affezioni renali quando entrambi i reni sono gravemente insufficienti ed esiste cioè isostenuria con insufficienza renale assoluta; fenomeni che già da tempo sono stati messi in rapporto con la ritenzione nel sangue e nei tessuti di varî prodotti che il rene non riesce a eliminare, e con la conseguente intossicazione dell'organismo. Questa è l'unica condizione morbosa a cui oggi si riserva il nome di uremia (uremia vera, cronica, astenica, iperazotemica, ecc.), e che per opera principalmente di G. Ascoli dapprima, di F. Volhard e di altri in seguito, viene ormai nettamente separata da altri complessi morbosi osservabili nel corso delle nefropatie, e con i quali l'uremia vera veniva un tempo confusa (pseudo-uremie). Tali sono la pseudo-uremia eclamptica (acuta) e la pseudo-uremia cronica angiogena o degli arteriosclerotici, nelle quali i sintomi sono essenzialmente nervosi, mancano molti dei principali fenomeni dell'uremia vera e, soprattutto, può non esistere insufficienza renale né iperazotemia; oppure esiste insufficienza lieve con scarsa ritenzione azotata. In base appunto alla mancanza o alla scarsa entità dell'insufficienza renale queste forme non possono ricondursi a uno stato d'intossicazione da insufficiente eliminazione delle scorie come l'uremia vera: sono "false" uremie, dipendenti bensì dall'esistenza di una nefropatia ma attraverso tutt'altro meccanismo.
La pseudo-uremia eclamptica è una complicazione frequente della nefropatia delle gravide, più raramente della glomerulonefrite diffusa acuta e più di rado ancora di quella cronica. La sua genesi viene generalmente ricondotta a disturbi circolatorî cerebrali, dipendenti dall'ipertensione arteriosa che accompagna le affezioni renali ora dette, i quali colpiscono i capillari cerebrali e meningei producendo un edema cerebrale con alcuni caratteri infiammatori, e provocando in definitiva un disturbo della nutrizione e dell'eccitabilità dei centri nervosi. La sindrome morbosa preceduta spesso da prodromi varî (equivalenti eclamptici: cefalea, disturbi visivi, aumento della pressione arteriosa, oliguria, ecc.) consta essenzialmente di uno o più episodî convulsivi generalizzati a tipo francamente epilettiforme, accompagnati da febbre e da aumento più o meno cospicuo della pressione arteriosa, disturbi visivi, rallentamento del polso, vomito, ecc. Vi può essere un solo attacco o più di frequente numerosi attacchi che talora assumono un tipo subentrante (stato eclamptico). L'eclampsia riesce letale abbastanza spesso nelle gravide (in cui si ha l'interessamento di altri organi, specie del fegato, e probabilmente anche l'intromissione di fattori tossici legati alla gravidanza), e nelle nefriti croniche in cui s'associa all'insufficienza renale, mentre ha un decorso più benigno nelle nefriti acute. Di rado accanto agli accessi convulsivi e agli altri sintomi nervosi è stata descritta una sindrome meningea, da ricondurre agli stessi fattori ora accennati.
La pseudo-uremia cronica angiogena sta in rapporto con alterazioni arteriosclerotiche o funzionali dei vasi cerebrali. È relativamente facile a riscontrare in soggetti arteriosclerotici e ipertesi con o senza partecipazione dei reni. Clinicamente si manifesta con disturbi nervosi varî: perdita della memoria, diminuzione del patrimonio intellettuale, fenomeni visivi, paresi o paralisi transitorie, convulsioni, ecc. Nella genesi di questi sintomi s'ammette anche l'importanza di bruschi spasmi vascolari ("crisi vasali") che si producono nei territorî vasali cerebrali alterati dall'arteriosclerosi e dall'ipertensione.
L'uremia vera per le ragioni ricordate nella definizione, cioè per la sua obbligatoria dipendenza dall'isostenuria e dall'insufficienza renale assoluta, si riscontra soltanto nelle nefropatie che producono un'estesa e irreparabile distruzione del parenchima funzionante di entrambi i reni. Tali condizioni si verificano soprattutto nelle nefriti croniche avanzate e negli ultimi stadî delle nefrosclerosi, più raramente nei reni grinzi di altra origine o in altre affezioni bilaterali dei reni, di rado nelle nefriti acute (glomerulonefriti e alcune nefropatie da avvelenamenti). Come s'è già detto, la sindrome clinica equivale a un quadro di profonda intossicazione dell'intero organismo conseguente all'incapacità da parte del rene di eliminare le scorie prodotte nei processi del ricambio e ai gravi perturbamenti biochimici che ne derivano; ma non è ben noto quali siano fra questi quelli di maggiore importanza nel determinismo dei sintomi, e quali le scorie trattenute che esercitano l'azione tossica. Oggi s'ammette che le sostanze tossiche, i "veleni dell'uremia", siano molteplici e responsabili ognuno di una parte dei fenomeni morbosi; il maggior valore spetta, non tanto alla ritenzione dell'urea e di alcuni composti azotati, quanto ad alcuni corpi tossici fra cui principalmente i corpi fenolici, alle alterazioni dell'equilibrio acido-base, in parte anche ad alcune modificazioni dei composti minerali.
A queste profonde alterazioni svelabili nel sangue corrispondono paralleli disturbi della biochimica di tutti i tessuti, donde l'intossicazione di tutto l'organismo. Predominano nel quadro clinico i disturbi nervosi e gastro-intestinali: astenia profonda, scosse muscolari, insonnia o sonnolenza, dimagramento, miosi, vomito, diarrea; alito urinoso. Nelle fasi estreme il sopore trapassa nel coma che si conclude con l'esito letale. A carico della cute si ha sempre pallore intenso, inoltre spesso prurito; altri fenomeni importanti sono la pericardite, le modificazioni del respiro (respiro di Kussmaul), la non rara diatesi emorragica, la costante e profonda anemia. Nel sangue si hanno sempre molto spiccati i segni della ritenzione e dello squilibrio biochimico: aumento cospicuo dell'N residuo oltre i 100-200 mgr. % e fino a 250-300 e più, dell'urea, acido urico e degli altri composti azotati, aumento dei corpi aromatici e dell'indacano, spostamento dell'equilibrio acido-base verso l'acidosi, frequente diminuzione del calcio e del cloro, ecc. A quadro dichiarato la sindrome è sempre mortale, solo raramente si può osservare una transitoria remissione dei sintomi.
4. Fenomeni extrarenali. - a) Edema. - La comparsa di edemi nel sottocutaneo, nelle mucose e nelle cavità sierose, rappresenta un fenomeno frequente e abbastanza caratteristico di alcune forme di nefropatie bilaterali diffuse. Nei processi degenerativi o nefrosici, cronici o subacuti, l'edema è quasi costante e raggiunge di solito la massima entità ed estensione, specie per quanto riguarda la partecipazione delle sierose; può essere egualmente spiccato in certe forme di nefriti acute e croniche, mentre manca o è eccezionale, oppure dovuto non direttamente all'affezione renale, in altre nefropatie acute e croniche. Il liquido dell'edema contiene in soluzione quasi tutti i componenti del sangue, e per la sua composizione può ritenersi un trasudato con contenuto proteico in media dell'1%, contenuto salino di solito leggermente superiore a quello del plasma, dal quale differisce anche per altri caratteri chimici e chimico-fisici. Sotto il punto di vista clinico alcuni caratteri sono particolarmente notevoli nell'edema renale: la sede prediletta in tutte le parti in cui esiste un connettivo lasso e quindi la sua comparsa in regioni (guance, palpebre) che di solito non vengono colpite dall'edema dipendente da altre cause (per es., da insufficienza circolatoria), la consistenza pastosa, e il colore pallido dei tessuti edematosi. Talora cause irritative agenti sui tegumenti possono rendere evidente un edema latente; altre volte questo è dimostrabile solo con accorgimenti speciali, soprattutto con successive determinazioni del peso dei pazienti. Una raccolta di liquido, quando l'edema è cospicuo, si ha anche negli organi interni, ma è dimostrabile soltanto a carico del cervello; questo edema cerebrale, come s'è detto, avrebbe in alcune condizioni una speciale importanza patogenetica.
La patogenesi dell'edema renale non è ancora completamente chiarita. Escluso che l'abnorme trasudazione di liquido derivi dal solo aumento della pressione idrostatica come nell'edema da insufficienza circolatoria, o da uno stato discrasico del sangue, come avviene probabilmente per l'edema delle gravi anemie - per quanto sia l'anemia sia lo scompenso cardiaco, così spesso presenti in certe forme di nefropatie con edemi, possano eventualmente contribuire alla produzione di questi e in certi casi esserne il fattore patogenetico pressoché esclusivo - s'è molto discusso e si discute tuttora se la formazione dell'edema sia di origine primitivamente renale, e cioè dovuta alla ritenzione nei tessuti, per incapacità da parte del rene di eliminare sia l'acqua sia alcuni composti salini (specie cloruro sodico) capaci di richiamare o di trattenere l'acqua, oppure primitivamente extrarenale e quindi indipendente dai fattori ora accennati. La concezione più comunemente seguita a tale riguardo è che l'impermeabilità del rene all'acqua e ai sali costituisce non la causa, ma la conseguenza della raccolta di liquido nei tessuti e al massimo un fattore coadiuvante di essa, mentre la causa prima risiede fuori del rene, in particolari condizioni della composizione del sangue e della funzione dei capillari, ognuna delle quali ha speciale importanza per la genesi dell'edema delle nefriti e di quello delle nefrosi. Per le nefriti (glomerulonefriti), dato che il liquido edematoso ha il più alto contenuto proteico riavvicinandosi in certo modo agli essudati ed esistono d'altra parte lesioni capillari diffuse, s'ammette che l'edema derivi da queste alterazioni della parete capillare che così diventerebbero abnormemente permeabili all'acqua e ad alcuni componenti del sangue, pur senza escludere, almeno in alcune condizioni, l'importanza della ritenzione idrica e salina per insufficiente eliminazione renale. Per le nefrosi, invece, s'assegna il massimo valore ad alcune alterazioni dei composti proteici del sangue, caratteristiche di tali nefropatie e consistenti in una diminuzione delle proteine più spiccata a carico della frazione siero-albumina rispetto alla frazione siero-globulina, ond'è abbassato il quoziente proteico e più o meno diminuita la pressione oncotica, cioè la forza con cui le proteine del plasma trattengono l'acqua opponendosi alla sua fuoriuscita dai capillari e attirando nuova acqua nel plasma. A loro volta le alterazioni proteiche dipenderebbero dalla continua cospicua perdita di albumina con le urine, caratteristica, come s'è detto, dei processi degenerativi del rene. Altri fattori sono probabilmente in giuoco, ma la loro importanza non è ancora chiarita.
b) Ipertensione arteriosa. - L'aumento più o meno cospicuo della pressione arteriosa è da tempo noto come uno dei sintomi più comuni e importanti delle nefropatie, pur rappresentando un fenomeno che in altre condizioni morbose anche più frequenti è completamente indipendente da qualunque lesione renale (ipertensione essenziale, arteriosclerotica, da ipertiroidismo, ecc.). L'ipertensione non è un fenomeno comune ai principali gruppi di nefropatie fin qui ricordati; anzi il suo valore clinico sta innanzi tutto nel fatto che essa, mentre è quasi costante in certe fasi delle glomerulonefriti diffuse acute e croniche e nelle sclerosi vascolari, diventa più rara in altre affezioni bilaterali acute o croniche decorrenti con estesa distruzione del parenchima renale (reni grinzi di altra natura, reni policistici, ecc.) e manca nelle nefropatie unilaterali nonché in quelle bilaterali che interessano esclusivamente l'apparato tubulare (nefrosi) o colpiscono solo parzialmente i glomeruli e i vasi (nefriti a focolaio). Sono dunque essenzialmente le malattie che colpiscono in modo primitivo o secondario, ma sempre diffuso, il circolo arterioso del rene (arterie e arteriole, capillari glomerulari) quelle che s'accompagnano a ipertensione. In casi più rari processi renali degenerativi decorrono con aumento della pressione o perché sono colpiti anche i vasi e i glomeruli (per es., amiloidosi) o perché l'ipertensione dipende da cause particolari risiedenti nel rene o fuori di esso (certe nefropatie da avvelenamenti, nefropatie gravidiche).
Nelle forme acute i valori pressorî sono di regola poco elevati (raramente fino e oltre 200 mm. Pr. Mx.) e spesso anche di breve durata. Quando la malattia va a guarigione, l'ipertensione scompare rapidamente; il contrario può accadere nei casi che passano alla cronicità. Nella nefrite acuta diffusa un evidente aumento pressorio manca solo raramente. Nell'anuria, in certe nefropatie da avvelenamenti, il comportamento è variabile. In tutte queste condizioni l'ipertensione può mancare quando i fattori che la determinano sono, per così dire, neutralizzati da cause morbose agenti in senso opposto; così in casi di febbre elevata, di gravi processi infettivi, d'intossicazione, d'insufficienza cardiaca. Nella nefrite cronica la pressione, superato lo stadio acuto, può restare elevata oppure normale per un periodo di tempo anche assai lungo, ma successivamente aumenta in modo più o meno progressivo fino a raggiungere i valori più elevati nello stadio terminale della malattia (rene grinzo secondario): eccezionalmente può mancare per cause particolari. Nella nefrosclerosi arteriolosclerotica l'ipertensione precede per un periodo di tempo più o meno lungo l'instaurarsi delle lesioni renali. In questa forma morbosa s'osservano non di rado i valori pressorî più elevati (fino a 250-300 mm. di Mx.; 150-107 di Mn.).
L'ipertensione arteriosa, oltre a un grande valore diagnostico e fisiopatologico, possiede un interesse clinico e prognostico di prim'ordine, rappresentando uno dei fenomeni più gravi e più pericolosi di una nefropatia. Come in altre forme d'ipertensione non legate ad affezioni renali, essa può non dare segni subiettivi e obiettivi di sé per molto tempo, ma ciò avviene solo di rado, mentre quasi sempre esiste una lunga serie di fenomeni a carico dei varî organi e apparati, soprattutto dei vasi e del sistema nervoso: lesioni arteriose arteriosclerotiche, alterazioni funzionali a tipo di crisi vasali, fenomeni d'ipertensione endocranica, emorragia o trombosi cerebrale, ecc. Un fenomeno importante strettamente collegato all'ipertensione è la retinite albuminurica, frequentissima nella nefrite cronica e nella nefrosclerosi primitiva, assai più rara o assente in altre nefropatie ipertensive, caratterizzata da restringimento dei vasi arteriosi della retina, edema peripapillare, emorragie e presenza di essudati al polo posteriore (chiazze bianche "a fiocco di cotone"). Tali alterazioni oggi vengono ricondotte a un disturbo circolatorio della retina concepito in vario modo secondo i varî autori, ma comunque dipendente sempre dall'aumento pressorio. Si tratta di un fenomeno grave non tanto per i disturbi visivi che produce, ma in quanto indica alterazioni del circolo cerebrale ed esistenza di cospicua ipertensione. Inoltre i gradi più avanzati della retinite coesistono di regola con i segni dell'insufficienza renale assoluta, pur non dipendendo affatto dalla ritenzione delle scorie.
L'organo che più facilmente e spesso più gravemente risente dello squilibrio circolatorio provocato dall'ipertensione è il cuore, il quale di fronte alle aumentate resistenze circolatorie che ne derivano reagisce con l'ipertrofia del ventricolo sinistro. Il "cuore renale", quale s'osserva in modo classico nelle nefrosclerosi con altissima ipertensione, è difatti caratterizzato dal cospicuo e talora enorme aumento di spessore delle pareti del ventricolo sinistro, che fa aumentare il peso del viscere del doppio e talvolta anche del triplo. Tuttavia non esiste sempre un parallelismo assoluto fra l'altezza e la durata dell'ipertensione e l'intensità dell'ipertrofia cardiaca, pure essendo vero che questa raggiunge di regola i suoi gradi più elevati nelle nefropatie croniche ipertensive in fase più avanzata. Anche nelle nefropatie acute con ipertensione (nefriti acute diffuse) s'osserva un'ipertrofia, ma più lieve, e di solito preceduta da una modica dilatazione del cuore. Di rado in queste condizioni, assai più di frequente nelle forme croniche, l'ipertrofia e la dilatazione cardiaca non riescono a compensare neppure in modo relativo l'iperlavoro cui è sottoposto l'organo per l'aumento delle resistenze periferiche; insorge allora l'insufficienza cardiaca, frequentemente grave e irreparabile come irremediabile è la causa che la produce. Naturalmente quando il cuore è già leso in precedenza (vizî valvolari, lesioni miocardiche) questa evenienza è assai più comune. Inoltre l'età degli individui, il sesso, le varie condizioni individuali, sono fattori importanti nel determinismo e nella conservazione di questa capacità di adattamento del muscolo cardiaco alle nuove esigenze circolatorie provocate dall'ipertensione. Le cavità destre del cuore partecipano di frequente al quadro dell'insufficienza, ma sempre in associazione o secondariamente allo scompenso del cuore sinistro.
La patogenesi dell'ipertensione nel campo delle nefropatie ripete le incertezze e le difficoltà che s'incontrano nell'analizzare il complesso determinismo di ogni altra forma d' ipertensione. Anche qui alcuni concetti fisiopatologici sono ormai generalmente accettati: innanzi tutto, che il fattore fondamentale del fenomeno ipertensivo risiede nell'aumento delle resistenze periferiche, non essendo possibile assegnare una particolare importanza a modificazioni particolari né del centro circolatorio né della composizione fisico-chimica del sangue; in secondo luogo, che l'ostacolo circolatorio risiede nelle sezioni più fini dell'albero arterioso, nelle arteriole secondo la maggioranza degli autori, nei capillari secondo altri la cui opinione peraltro sembra avere minore valore o solo per forme particolari d'ipertensione renale; e, infine, che la natura dell'ostacolo circolatorio, risieda esso nelle arteriole o nei capillari, è almeno in principio essenzialmente funzionale cioè non consiste in lesioni anatomicamente dimostrabili delle pareti vasali, ma in modificazioni della proprietà contrattile dei vasi, che entrano in uno stato di vasocostrizione diffusa per aumento, come si crede, del tono della loro parete, pure essendo vero che nelle forme croniche di nefropatie, specie nelle nefrosclerosi, compaiono abbastanza precocemente lesioni anatomiche dei vasi assai estese, che peraltro vengono considerate come secondarie alla primitiva alterazione funzionale.
Ma l'identificazione della causa o delle cause che producono questo aumento del tono vascolare è ancora lungi dall'essere completa e sicura. Si pensa generalmente all'intervento di fattori di varia natura, così alcune ghiandole endocrine come le surrenali e l'ipofisi, l'attività del sistema nervoso, forse anche certe sostanze ad azione ipertensiva presenti o aumentate nel sangue degl'ipertesi; in favore di ognuno dei quali potrebbero parlare varî fatti che peraltro sono ancora oggetto di discussione. Soprattutto valorizzata è l'importanza delle surrenali e dell'ipofisi la cui presunta iperfunzione trova riscontro nella frequentissima iperplasia di queste ghiandole (corticale e midollare surrenali; elementi basofili dell'ipofisi diffusi per tutta la ghiandola), e nella dimostrata presenza di ormoni ipofisarî e surrenali in quantità abnorme nei liquidi inorganici in casi di ipertensione (urine, sangue).
Anche i rapporti che collegano queste alterazioni con l'affezione renale sono molto discussi perché, pur considerando almeno per l'ipertensione delle forme croniche un'affinità di meccanismi patogenetici con le forme ipertensive primitive, le relazioni che corrono fra nefropatia e aumento pressorio sia nelle forme acute sia in quelle croniche sono troppo suggestive per non dovere esser tenute presenti: tali il già ricordato comparire e l'aumento dell'ipertensione col progredire del processo morboso nella nefrite cronica, la sua grande frequenza in tutti i processi renali con raggrinzamento dell'organo, il parallelismo fra ipertensione e processo renale nella nefrite acuta, in certe forme di nefropatie tossiche, di anuria, ecc. Certamente si tratta di rapporti e forse anche di meccanismi patogenetici diversi nelle singole malattie renali. Per la nefrosclerosi primitiva è generalmente ammesso che l'ipertensione rappresenta il fatto primitivo e le lesioni renali il fatto secondario; l'ipertensione prodottasi al principio con un meccanismo puramente funzionale favorisce per un meccanismo non ancora ben noto ma con speciale predilezione le alterazioni arteriosclerotiche dei più piccoli rami arteriosi del rene, le quali a loro volta possono aumentare l'ipertensione. Al contrario, per le forme acute l'aumento pressorio appare secondario alla lesione renale, per quanto sia tuttora incerto se da questa si giunga all'ipertensione attraverso un angiospasmo diffuso o per riflessi reno-surrenali o reno-vascolari oppure, limitatamente al caso della nefrite acuta diffusa, per lesioni capillari diffuse. In casi speciali, nell'anuria e in certe forme di nefropatie tossiche, l'ipertensione si può considerare come un fenomeno vasale riflesso determinato dalla ritenzione di sostanze tossiche non identificate; ma in generale non esistono rapporti costanti fra ipertensione e insufficienza renale anche quando questa è assoluta. Nelle nefriti croniche forse il principale momento patogenetico può vedersi nel progressivo ostacolo al circolo renale che avviene con il raggrinzamento dell'organo e nel conseguente adattamento compensatorio del circolo generale, senza escludere l'influenza delle lesioni vasali diffuse e dei fattori endocrini e nervosi già ricordati, specie in soggetti predisposti all'ipertensione.
B) Vie urinarie. - 1. Generalità. - I fenomeni morbosi che si riscontrano nelle affezioni della pelvi, degli ureteri e della vescica appartengono essenzialmente al primo gruppo di sintomi già considerati per le malattie del rene, quelli urinarî. Tuttavia solo alcuni dei fenomeni urinarî delle nefropatie s'osservano nelle affezioni pelviche o vescicali non associate a un'affezione del rene o quanto meno a una partecipazione più o meno estesa di esso. Così l'albuminuria, che si può riscontrare nelle pieliti, nella calcolosi, nelle cistiti, ecc., quando non è spuria (v. sopra) e soprattutto quando non è lievissima (al disopra dell'1-2‰) indica l'estensione per quanto lieve del processo infiammatorio al rene, oppure è in rapporto con alterazioni degenerative di questo consecutive allo stato infettivo, febbrile, ecc. Ancora più significativa per una contemporanea partecipazione renale è la presenza di cilindri e di epiteli renali. I lipoidi mancano quasi sempre nel sedimento urinario, anche se una malattia delle vie urinarie è estesa al rene. Assai frequenti e spesso caratteristici delle affezioni pelvivescicali sono invece l'ematuria e la piuria: la prima costituisce infatti, come già s'è brevemente accennato, una delle più importanti manifestazioni della calcolosi sia pelvi-ureterale sia vescicale, oltreché di certe forme di pielite, ecc., mentre la presenza di pus nelle urine, pure essendo spesso un sintomo di affezioni renali quali la tubercolosi, più di rado di alcuni processi suppurativi, caratterizza più frequentemente affezioni comuni quali le varie forme di pielite, di cistite, ecc., all'infuori di una qualunque partecipazione renale.
Le malattie delle vie urinarie non s'associano invece che in casi del tutto particolari ai fenomeni extrarenali delle nefropatie, cioè all'ipertensione e agli edemi. In realtà, in certe forme croniche della pelvi, della vescica o dell'uretra (stenosi uretrali, cistopieliti, pieliti, idropionefrosi) quando il processo morboso ha durato a lungo provocando tali conseguenze infiammatorie o meccaniche sul parenchima renale da determinarne un'estesa distruzione o il raggrinzamento (rene grinzo ascendente), si può avere un aumento della pressione anche cospicuo come nei reni grinzi infiammatorî o arteriolosclerotici; ma anche in queste condizioni non comuni il primo momento causale dell'ipertensione compare solo con la sclerosi del parenchima renale. Eccezionalmente un ostacolo meccanico al deflusso dell'urina dal rene alla vescica d'ambo i lati può produrre un lieve aumento pressorio. I fenomeni di insufficienza renale si hanno solo quando un processo infiammatorio si estende dalle vie urinarie ad uno o a entrambi i reni (per esempio, cistopielonefrite), oppure nel caso ora accennato di ostacolo meccanico cronico e incompleto (idronefrosi, pionefrosi, ecc.) o acuto e completo (p. es., calcolosi, compressioni, ecc.) uni- o bilaterale. Le alterazioni possono essere nei casi più avanzati quelle già ricordate per le affezioni proprie del rene (oliguria, ipo-isostenuria, iperazotemia, uremia vera, ecc.). Anche il grave quadro dell'anuria si osserva non di rado in tali condizioni, più spesso per compressione bilaterale degli ureteri oppure in via riflessa, come nell'anuria da calcolosi.
2. Calcolosi delle vie urinarie. - Un gruppo di processi morbosi particolarmente frequenti e caratteristici nell'ambito delle vie urinarie è rappresentato dalla formazione nella cavità della pelvi, della vescica e nel lume dell'uretere, di concrementi solidi che si producono per lo più dalla precipitazione di alcuni sali normalmente disciolti nell'urina. Questi concrementi possono essere molto numerosi e piccoli come sabbia (renella), oppure più grandi in scarso numero (concrementi propriamente detti) e infine unici e voluminosi (calcoli). Questi ultimi possono raggiungere anche il peso di parecchi ettogrammi, eccezionalmente oltre il mezzo chilogrammo fino a un chilogrammo. Le sedi predilette sono la pelvi renale e la vescica, nella quale però i calcoli possono cadere dai bacinetti; i calcoli pelvici possono inoltre penetrare nell'uretere. Raramente si formano calcoli nelle dilatazioni degli ultimi tratti delle vie urinarie ancora compresi nel parenchima renale (cosiddetta calcolosi intraparenchimatosa). Qualunque sia la sede e, fino a un certo punto, il volume, i calcoli possiedono alcune ben note proprietà fisico-chimiche e soprattutto possono condurre alle identiche conseguenze morbose.
Dal punto di vista della loro struttura e delle loro modalità di formazione, i calcoli possono essere distinti in infiammatorî e non infiammatorî. Questi ultimi si formano dalla precipitazione di varî sali, come gli urati, gli ossalati, i fosfati di calcio, oppure di prodotti terminali del ricambio purinico e dello zolfo come la xantina e la cistina. A sua volta s'ammette che la precipitazione dei sali e di questi composti in concrementi solidi possa avvenire in modo apparentemente primitivo per una saturazione dell'urina da parte delle singole sostanze disciolte, oppure in via secondaria con la precipitazione a strati successivi di sali su un nucleo centrale costituito dal primitivo concremento, precipitazione che avviene per condizioni fisico-chimiche urinarie diverse ed essenzialmente per lo stato di acidità dell'urina (con urine acide precipitano secondariamente gli urati, con urina neutra gli ossalati con l'acido urico, con urine alcaline i fosfati). Il primo tipo costituisce pertanto i nuclei dei calcoli, il secondo i comuni calcoli stratificati. Anche i calcoli infiammatorî si distinguono in primitivi (nuclei) e secondarî (stratificati): quelli si formano per precipitazione dei fosfati ammonio-magnesiaci nella fermentazione ammoniacale delle urine, questi generalmente per sovrapposizione di fosfati e di urati di ammonio su un nucleo formato da un calcolo non infiammatorio stratificato o no, oppure su un corpo estraneo nelle vie urinarie. Assai rari i cosiddetti calcoli di albumina o costituiti da masse batteriche.
Le conseguenze dei calcoli sono di varia natura. Una delle più comuni è l'infezione (cistite, pielite), la quale a sua volta può favorire la formazione di nuovi calcoli ed estendersi in via ascendente o discendente (pielocistite, cisto-pielite), talvolta interessando anche il parenchima renale (pielonefrite, cisto-pielonefrite). Per la loro azione meccanica i calcoli possono produrre ulcerazioni seguite da cicatrici e quindi da stenosi del tratto leso (uretere), lesioni vasali con successiva ematuria, arresto o ostacolo nel deflusso urinario con conseguente dilatazione a valle, ristagno di urina e facile infezione (idronefrosi, pienefrosi), o l'insorgenza di un'anuria che può essere veramente meccanica per calcolosi bilaterale o più spesso riflessa quando il calcolo è da una parte sola. I calcoli formatisi in vescica o cadutivi dall'uretere possono essere eliminati spontaneamente attraverso l'uretra.
3. Ostacoli meccanici al deflusso dell'urina. - In ognuno dei varî tratti delle vie urinarie si possono formare degli ostacoli meccanici di varia natura, le cui conseguenze immediate sul deflusso dell'urina e quelle mediate sono abbastanza vicine nei loro caratteri generali. A parte i calcoli e i rari corpi estranei di altra natura, questi ostacoli sono generalmente rappresentati da esiti di processi infiammatorî intrinseci o estrinseci alle vie urinarie, da compressioni dall'esterno, da malformazioni congenite, ecc., e agiscono con susseguenze dannose particolarmente in tratti già ristretti, come nell'uretere, sul collo vescicale, nell'uretra. Un processo di stenosi alta o bassa dell'uretere per calcoli, per infiammazioni, per compressione, per decorso anomalo o per angolature di questo canale, un ostacolo nel collo vescicale per ipertrofia dello sfintere o della prostata, una stenosi ureterale per pregressa blenorragia, ecc., importano come prima conseguenza una dilatazione del tratto situato subito a valle del punto ristretto e, se le condizioni anatomiche lo permettono, anche un'ipertrofia dalle sue pareti. Quest'ultimo fatto, che costituisce almeno per qualche tempo un parziale compenso all'ostacolo, s'osserva in modo caratteristico nella vescica quando esiste ipertrofia prostatica o stenosi del collo vescicale; la vescica presenta allora un cospicuo ispessimento delle sue pareti, e i suoi fasci muscolari spiccano ipertrofici sotto la mucosa che li ricopre (vescica a colonne). Negli altri tratti si ha invece per lo più una dilatazione che può colpire l'uretere o la pelvi e i bacinetti (idronefrosi). All'una o all'altra di queste conseguenze segue una stasi urinaria che può essere molto spiccata nella vescica e nella pelvi, nella quale inoltre il liquido raccolto per effetto della stenosi perde alcuni dei caratteri dell'urina in ragione di speciali fattori fisico-chimici; la stasi urinaria a sua volta favorisce l'infezione, e questa è in definitiva l'ultima e più grave conseguenza di ogni ostacolo meccanico, conducendo da una parte a un'ulteriore lesione del parenchima renale già leso, dall'altra a frequenti stati settici generali. Inoltre, quando la stasi è molto cospicua, provoca o fin dall'inizio oppure per via retrograda la dilatazione dei grossi tubi collettori renali che sboccano nei calici; ne consegue stasi in tutta la via d'efflusso intrarenale e atrofia secondaria del parenchima, spesso favorita dall'infezione (rene grinzo ascendente).
Chirurgia.
Il compito dell'urologo di fronte a un malato sospetto di una lesione di uno degli organi delle vie urinarie è triplice: egli deve stabilire innanzitutto se esiste la malattia, dove sia ubicata, quale sia la cura adeguata.
Nei riguardi del primo quesito: se esiste un'affezione di uno degli organi urinarî, sovviene innanzi tutto l'anamnesi. Questa conserva sempre intatto il suo valore, anche con le moderne scoperte. Generalmente è sufficiente per raccogliere la storia, rivolgere al malato sei domande riguardanti rispettivamente: 1. alterazione nella frequenza delle minzioni; 2. difficoltà nell'urinazione; 3. modificazioni del getto; 4. presenza di urine sanguinolente o di urine torbide; 5. dolori; 6. febbre. Questo per l'anamnesi prossima; per quella remota è bene indagare soprattutto se l'individuo abbia sofferto blenorragia, lue o di manifestazioni tubercolari, specie degli organi genitali (annessi e testicoli): per quella familiare interessa stabilire se vi siano collaterali con lesioni tubercolari o con affezione discrasiche: gotta, artritismo e calcolosi.
Per risolvere il secondo quesito della ubicazione, cioè, della malattia, si pratica l'esame obiettivo.
L'esame obiettivo del malato, anch'esso sistematico, comprende l'ispezione, la palpazione, la percussione. Si comincia con l'osservare dal dorso l'infermo messo a sedere sul letto ricercando l'eventuale presenza di sporgenze o arrossamenti della cute delle due regioni lombari, le quali sono comprese tra la colonna vertebrale e una linea ideale parallela alla precedente, distante circa quindici centimetri, e in senso verticale fra la dodicesima costola e la cresta iliaca. Disteso poi l'ammalato sul letto, supino, a gambe flesse, leggermente divaricate con i piedi ben poggiati sul piano resistente, perché si rilascino i muscoli addominali, s'indaga sulla presenza di tumefazioni situate sotto l'arcata costale, evenienza assai rara, o al disopra della sinfisi pubica, cosa relativamente più frequente, specie nei cosiddetti prostatici ritenzionisti con globo vescicale.
La palpazione sarà preceduta dalla ricerca di punti dolorosi i quali dovrebbero rivelare l'esistenza di un'affezione dell'organo corrispondente, ma che, per la verità, hanno un valore assai relativo: possono mancare in quei casi nei quali dovrebbero essere presenti e viceversa. Di questi punti che s'indicano col nome dell'autore che li ha descritti, esiste un numero considerevole e sono scaglionati lungo la proiezione cutanea del sistema escretore urinario. I principali di essi sono: 1. il punto costo-vertebrale, situato nel punto di unione della XII costola con la vertebra corrispondente; 2. il costo-muscolare, nel punto di attacco del margine esterno del quadrato dei lombi alla costola. Essi si ricercano, come tutti gli altri, spingendo il polpastrello dell'indice teso verso la profondità. Molto attendibile è la manovra di D. Giordano, la quale s'esegue percotendo la regione lombare col margine ulnare della mano. Se il rene è malato, la manovra riesce dolorosa. Anteriormente si ha: 3. il punto pielico, al disotto dell'estremo inferiore della Xª costola; 4. il punto, o meglio la zona ureterale superiore lunga 4-5 cm., nel punto d'incrocio tra la linea ombelicale trasversa e la verticale tirata sul punto di MacBurney; 5. il punto ureterico medio, nel punto d'incrocio tra la bispiniliaca e la verticale tirata sulla spina del pube; 6. infine il punto ureterico inferiore che nell'uomo si ricerca dal retto al disopra e al difuori delle vescicole seminali, e nella donna nella porzione anteriore del fornice laterale vaginale.
Questi due ultimi punti, ma specialmente l'ultimo, sono quelli che possono fornirci qualche dato veramente interessante. Premendo sul punto medio, difatti, si può determinare un dolore che s'irradia in alto e in basso, e talora anche dall'altro lato (riflesso controlaterale di D. Taddei); in corrispondenza di quello inferiore si può palpare l'uretere infiltrato e ingrossato.
La palpazione del rene si pratica con varî metodi, il più diffuso dei quali consiste nel porre la mano controlaterale (la destra se si esplora il rene sinistro e viceversa) posteriormente sotto il fianco e l'altra anteriormente sotto l'arcata costale, in modo che le due palme si guardino. Tenendo ferma la prima e abbassando dolcemente, progressivamente l'altra, mentre l'individuo respira profondamente, si cerca di sorprendere l'organo nei suoi movimenti di va e vieni. Se ne annota la forma, il volume, la superficie, la consistenza, la dolorabilità e la mobilità. Ognuno di questi caratteri può presentare deviazioni notevolissime dalla norma (v. rene).
Non è sempre agevole però la percezione di questi segni; a essa s'oppone lo spessore delle pareti addominali e talora la difesa. Qualche volta invece la tumefazione si prende facilmente tra le mani e presenta il cosiddetto ballottamento, ossia trasmette alla mano superiore l'impulso impressole da quella inferiore.
L'insufflazione del colon praticata dal retto serve, specie a sinistra, a distinguere una tumefazione intraddominale qualunque, da una extra, come il rene. Nel primo caso, difatti, la distensione del grosso intestino spinge in avanti la tumefazione aumentandone l'ottusità, nell'altro, invece, il colon si sovrappone alla massa e ne impicciolisce l'area propria.
L'uretere sfugge completamente all'indagine clinica.
Anche la vescica si sottrae quasi sempre all'ispezione, salvo nei casi, oggi rari, di ripienezza eccessiva, quando prende nome di globo vescicale.
È interessante sapere che una volta queste distensioni vescicali simulavano, in soggetti predisposti (donne isteriche), tumori ovarici, detti tumori fantasmi perché scomparivano con un cateterismo vescicale tempestivo. La vescica si sottrae anche alla percussione, non solo quando è vuota, ma anche quando sia modicamente riempita, com'è di consueto. Se la vescica è distesa, essa si lascia palpare e circoscrivere con la palpazione bimanuale, ossia con una mano sull'addome e un dito nel retto. Con l'esplorazione rettale si percepiscono bene eventuali infiltrazioni della parete posteriore sulla vescica.
L'esplorazione dell'uretra, fino al meato, offre raramente dati d'importanza, eccezion fatta per gl'indurimenti postblenorragici, le fistole che da essa dipartono o gli ascessi periuretrali.
A questo punto l'esame degli organi urinarî è terminato: ma per i rapporti intimi che possiedono, sarebbe incompleta l'indagine se non fosse conchiusa con il rilievo delle condizioni degli organi sessuali. Con opportuna tecnica (esplorazione rettale) s'esplora la prostata, si esaminano anche le vescichette seminali situate all'esterno e al disopra di essa. La prostata ha la forma e grandezza di una castagna. È liscia, elastica, indolente. Le vescichette seminali normalmente non si riconoscono bene; quando sono infiammate, s'apprezzano come due piccole tumefazioni grandi quanto una mezza noce situate nella posizione anzidetta, bernoccolute, più o meno dure, dolenti, fisse.
Segue l'esame dello scroto, dopo quello del suo contenuto: didimo, epididimo, funicolo.
Il didimo ha la forma di una noce, liscia, elastica, dotata di una squisita sensibilità specifica, mobilissima, sovrastata posteriormente dall'epididimo, corpo allungato liscio, duro-elastico, sessile, distinto in testa, corpo e coda. Queste tre parti che s'affinano un poco mano a mano che si scende da un estremo all'altro, si continuano con un'ansa e poi nel deferente vero e proprio, il quale si palpa, in mezzo alla massa molle delle vene del plesso pampiniforme, come un cordoncino liscio, duro-elastico, mobilissimo, indolente. Degli involucri ricoprenti gli organi anzidetti, e che prendono il nome di scroto, va osservata la cosiddetta vaginale del testicolo, suscettibile di essere presa tra due dita, pizzicottata, come si dice, e che assume una grande importanza per la diagnosi differenziale nelle malattie del testicolo.
Infine si esamina il pene con i suoi corpi cavernosi, il glande.
Terminato questo esame degli organi del sistema urinario, si passa a quello clinico generale - e non c'è bisogno di spendere troppe parole per indicarne l'importanza - poi a quello nervoso.
Polso, respiro e temperatura, pressione sanguigna hanno un grande valore, soprattutto per la diagnosi.
Finito l'esame obbiettivo clinico, si passa all'esecuzione di tutte quelle indagini che l'urologo riterrà oppurtune ai fini di un perfezionamento di una giusta diagnosi di sede prima e di natura poi.
Cistoscopia. - Uno degli esami più importanti è la cistoscopia che consente la vista dell'interno della vescica. Il cistoscopio moderno rappresenta il perfezionamento di un'idea lungamente accarezzata dagli urologi, ed è costituito nel modo seguente: una camicia simile a un catetere metallico porta alla sua estremità distale una lampadina elettrica, dall'altra un foro piccolo per il passaggio di un catetere uretrale e uno più grande per la parte ottica. Ai lati sono inoltre due piccoli rubinetti destinati al riempimento e al lavaggio continuo della vescica.
Per eseguire una cistoscopia, controindicata assolutamente da un'uretrite acuta, occorre innanzi tutto che l'uretra consenta agevolmente il suo transito: il calibro degli strumenti attualmente in uso è vario secondo l'età e il soggetto. Sono state praticate cistoscopie anche in bambini di pochi giorni. Negli adulti la presenza di restringimenti può differirla, ma non impedirla. Una volta si richiedeva una capacità di almeno 100-120 cmc. di acqua; oggi bastano 50 e anche 30. Tuttavia in simili casi cessa la praticità dell'indagine. Infine il terzo ostacolo di un tempo, quello di avere un mezzo liquido di persistente trasparenza, è superato con il lavaggio continuo. Introdotto che sia lo strumento e distesa la vescica con acqua sterile tiepida, se ne inizia lo studio, da eseguirsi con modalità sempre eguale, scolasticamente così: con l'ottica in alto e tirando piano piano lo strumento indietro si esamina tutta la cupola vescicale: poi ruotatolo di 90° e spingendolo in avanti si guarda la parete laterale sinistra. Giunti sul fondo, nuovo giro di 180° e trazione di nuovo fino al collo, per esplorare la parete laterale destra, e poi giro completo fino a tornare in basso per esaminare, dopo il collo, il trigono e gli sbocchi ureterali. Della mucosa vescicale s'annotano: il colore che dal giallo roseo normale può assumere tutte le gradazioni del rosso, la lucentezza, la superficie, che da liscia può scavarsi per ulcere o diverticoli o elevarsi per tumori e edemi, la presenza eventuale di sangue, pus, calcoli o corpi estranei.
Quasi tutte le affezioni vescicali possono essere così riconosciute; qualche volta la diagnosi va lasciata in sospeso e ripresa in un secondo tempo dopo un periodo di riposo o di cura. Molte malattie renali, prima fra tutte la tubercolosi, si rivelano con lesioni vescicali e con alterazioni degli sbocchi ureterali. Questa osservazione del meato - meatoscopia - ha un'importanza straordinaria; se ne osserva il numero che, normalmente, di due, può esser diminuito, ma anche aumentato fino a quattro, la forma (a ferro di cavallo, a colpo d'unghia, puntiforme), l'ubicazione (gli sbocchi possono risiedere anche in una sede anomala: perfino nel vestibolo vulvare e nei pressi del collicolo), e soprattutto il modo di contrarsi. L'eiaculazione dagli sbocchi, espressione del lavoro degli ureteri, si studia più facilmente con la iniezione endovenosa di 1 centigrammo di indigo-carminio sciolto in 5 cmc. di soluzione fisiologica. Questa indagine che si chiama cromocistoscopia e che sarà ricordata a proposito degli esami per la funzione separata dei due reni, serve anche per lo studio della dinamica ureterale. Il getto dev'esser netto, preciso, ritmico, forte. Quando invece esiste un'ipotonia, il getto è breve, interciso, fiacco, o addirittura sbavante. Infine si può passare al cateterismo degli ureteri e alla raccolta separata delle urine, mediante l'impiego di sottili cateteri che vengono spinti e guidati con una piccola leva manovrata dall'esterno (unghietta di Albarran).
Uretroscopia posteriore. - L'uretroscopia posteriore non si pratica mediante strumenti specifici, come un tempo, ma con lo stesso cistoscopio a fuoco corto. L'esame dell'uretra posteriore, da praticarsi dopo quello della vescica, va fatto dall'indietro in avanti. S'osserva la forma del collo vescicale, e la sua mobilità passiva di fronte a bruschi afflussi d'acqua, quella attiva invitando il paziente a urinare, ordine non facile a vedersi eseguito. Traendo indietro lo strumento s'esaminano i frenuli, la fossetta prostatica, il collicolo con l'otricolo, gli sbocchi dei dotti eiaculatori, la cresta uretrale, lo sfintere esterno.
Tutti gli elementi anzidetti sono perfettamente riconoscibili: così le loro affezioni, come: infiammazioni, edemi, cisti, polipi, sclerosi del veru, aumento di volume (enorme nell'ipertrofia) dei lobi mediani e laterali prostatici, briglie, calcoli, corpi estranei, angiomi, fistole, esiti d'intervento e via dicendo.
Uretroscopia anteriore. - Questa indagine viene eseguita con l'uretroscopio a secco. Lo strumento, assai semplice, è formato di una camicia con il suo mandrino, da sostituirsi con l'ottica portalampada. Il lume uretrale va asciugato delicatamente con tamponcini montati d'ovatta. S'osserva la figura centrale, punto verso il quale convergono le pliche, i vasi, le ghiandole di Littré, le lacune del Morgagni. Quasi sempre si ricorre a quest'indagine per la cura di focolai isolati neisseriani, origine di persistenza e recidiva d'un'infezione blenorragica.
Esami di laboratorio. - Degli esami chimico-biologici, il più importante è quello delle urine. Esso va praticato preferibilmente poco dopo la loro emissione determinandone: il volume delle 24 ore, l'aspetto, il colore, il peso specifico, la reazione. Normalmente la quantità giornaliera s'aggira sui 1200 cmc. nella donna, 1500 nell'uomo, aumenta con il freddo, con l'ingestione abbondante di liquidi, in condizioni di nervosismo: diminuisce con il caldo, la fatica; l'aspetto è limpido; il colore giallo nelle sue varietà intermedie; il peso specifico compreso tra 1014-1022 tenuto conto della temperatura; la reazione acida o neutra. Come si sa, l'urina contiene numerosi componenti normali: di solito se ne ricercano alcuni dei più importanti. Tra questi sono l'urea la cui determinazione è facile e che nelle 24 ore raggiunge un valore eguale a 18-35 gr., e i cloruri i quali possono presentare grandi oscillazioni tra la norma (10-12 gr. al giorno) e gli stati patologici. Si determinano, senza che abbiano quell'importanza che si tende a dar loro, i fosfati e carbonati, o talora altri componenti tra i quali l'acido urico.
Viceversa, la ricerca di alcuni elementi patologici rappresenta un'indagine d'importanza fondamentale, insostituibile.
S'incomincia con l'albumina la cui presenza si stabilisce o a freddo o a caldo e si continua con lo zucchero, l'acetone, l'acido diacetico, i pigmenti biliari, l'indacano, l'urobilina, il sangue. Importanza non inferiore spetta al sedimento, il quale s'ottiene o lasciando sedimentare l'urina o centrifugandola.
Normalmente vi si riscontrano cristalli di acido urico, urati, fosfati, ossalato di calcio, triplofosfati, qualche cellula di sfaldamento delle basse vie urinarie e - nell'uomo - qualche spermatozoo. Patologici sono invece quei sedimenti nei quali si riscontrano cilindri (che possono essere ialini, granulosi, ialino-granulosi, epiteliali, ematici), sangue, germi, parassiti, pus. Tra i germi assumono un'importanza straordinaria il bacillo della tubercolosi da ricercarsi con preparati colorati, il colibacillo, lo streptococco, lo stafilococco, da isolarsi con precauzioni speciali.
Prima di procedere all'intervento, bisogna sincerarsi sia delle condizioni di resistenza dell'individuo (esame della funzione renale globale) sia dell'integrità e della capacità funzionale del rene, destinato a rimanere solo, e quindi a sopperire ai bisogni dell'intero organismo. A tale scopo si praticano i varî esami qui sotto elencati.
Prove di carico dei reni. - Per formarsi un'idea più esatta possibile dello stato e della capacità lavorativa dei reni, esistono le cosiddette prove di carico, prove che ci dovrebbero permettere di esprimere in cifre quella capacità di riserva su cui il rene potrebbe contare in caso di abnorme lavoro (limitazione di liquidi, febbre, interventi e via dicendo). La funzione renale può esser saggiata non solo globalmente, ma anche separatamente. Si hanno così: 1. esame della funzione renale: a) in condizioni fortuite; b) sotto le prove di carico; 2. esame delle funzioni separate dei reni, anch'esso distinto come sopra. L'esame delle urine delle 24 ore ci fornisce una idea abbastanza esatta della capacità funzionale del sistema urinario in questione. Se in condizioni normali di vita, l'individuo emette un'urina che, scevra da prodotti patologici, contiene da 8 a 10 gr. di cloruri, da 18 a 25 gr. di urea e presenta un peso specifico intorno ai 1020, se ne può concludere che quei reni sono sani. Con ogni probabilità i reni sani possono far fronte a richieste abnormi, ma le prove di carico sono state istituite per i casi limite, quelli cioè nei quali l'attività fortuita sfiora i minimi o v' è al disotto di poco. Purtroppo è proprio qui che si rivela la deficienza dei metodi, poiché qualche volta i risultati pratici non corrispondono ai dati teorici. E in tutti e due i sensi: individui con discrete prove non hanno superato l'intervento, malati con indici cattivi hanno potuto ricuperare la salute senza gravi perturbamenti del loro stato. Comunque, tra le varie prove, meritano speciale menzione quella della concentrazione, la quale è basata sulla capacità di eliminare una grande quantità di scorie in un piccolo volume di acqua. L'individuo deve astenersi dall'ingestione di liquidi per 12-14 ore: il peso specifico deve salire fino a 1030 circa. Minore è lo spostamento della densità, minore è la capacità di riserva di quel sistema urinario.
Un'altra prova molto discussa, perché influenzabile da numerosi fattori extrarenali, è quella della diluizione, con la quale si saggia il tempo necessario all'eliminazione di una grande quantità d'acqua introdotta massivamente, a digiuno, nell'organismo (750 cmc. d'acqua diuretica in pochi minuti). Anche in questa come nella precedente, la prova si basa sul fatto accertato che maggiore è la lesione, minore è la capacità di riserva dell'organo, e quindi minore è lo spostamento dei valori abituali funzionali.
Più pratica, fedele, facile è la prova della fenolsulfonftaleina (F. S. F.) consistente nel dosaggio globale di questa sostanza nelle urine, praticato 70 minuti dopo la sua iniezione endovenosa. Normalmente, vi se ne trovano dal 40 all'80%.
Queste sono, oltre molte altre, le indagini correnti della funzione renale globale.
Esame delle urine separate dei due reni. - Ma all'urologo interessa assai spesso conoscere lo stato anatomico e funzionale di ognuno dei due reni presi separatamente.
A tale scopo esiste la cromocistoscopia che viene eseguita, come già detto, iniettando nella vena del gomito, 1 ctg. d'indigo-carminio sciolto in 5 cmc. di soluzione fisiologica e osservandone il ritorno dagli orifici ureterali. Questo deve avvenire tra 2′ 30″ e 6′, con getto pieno, deciso.
Un ritardo netto o addirittura la mancanza del ritorno indicano che il valore funzionale di quel lato è più o meno alterato.
La prova è da considerarsi assai fedele, anche se qualche volta non corrisponde allo scopo. L'eccezione più grave è rappresentata dai tumori del rene che abbiano rispettato una gran parte del parenchima renale. Bisogna aggiungere subito, però, che la deficienza non è specifica del metodo, ma di tutte le altre prove funzionali. Più complessa, ma ancor più sicura, è la raccolta delle urine con il cateterismo ureterale separato dei due reni. Per far questo occorre procedere alla cistoscopia, e all'introduzione di due piccoli cateteri nei due ureteri. Anche in questo caso si possono determinare riflessi, inibitorî per lo più, che possono simulare una diminuzione notevole della funzione, e quindi del valore dell'organo; ma, nella maggioranza dei casi, le risposte sono tra le più preziose.
Ancora migliore è l'esame dei due reni studiati separatamente praticato con il cateterismo ureterale. Con l'introduzione di due piccolissimi cateteri spinti nell'uretere, si raccolgono le urine separate dei due reni. Purtroppo qualche volta il catetere determina riflessi che falsano i risultati, ma nel complesso essi sono attendibilissimi.
Prove sul sangue. - Partendo dal concetto che, essendo malato il filtro renale, l'organismo ritenga le scorie del ricambio, altre indagini vengono eseguite sul sangue: tra le quali quella della cosiddetta azotemia. La determinazione cioè dell'azoto ureico nel sangue è considerata come la prova più attendibile, quella sulla quale è possibile regolare una prognosi a scadenza immediata. Essa si esegue prelevando a digiuno un poco di sangue dalla vena del braccio e determinandone il contenuto in azoto, mediante un apparecchio adatto. I valori normali oscillano tra il 0,20 e il 0,40‰.
Tra 0,40 e 0,70‰ esiste ritenzione azotemica, ma il fenomeno di solito è facilmente reversibile: tra 0,80 e 1, la prognosi è già riservata, e, nel caso, l'intervento è da rimandarsi; al disopra dell'uno addirittura da sconsigliarsi.
Costante di Ambard. - Sul confronto degl'indici funzionali tratti dall'esame del sangue con quelli dell'urina, L. Ambard ha basato tre leggi riassunte nella cosiddetta "costante".
La formula della costante è:
nella quale: Ur = azotemia; D = è la quantità totale di urea eliminata nelle 24 ore; P = il peso dell'individuo (in chilogr.); c = la concentrazione dell'urea nell'urina, essendo tutti gli altri valori espressi in grammi. La K normale è = 0,07: una di 0,10 significa che il parenchima renale è ridotto della metà; di 0,14 a 1/4; di 0,21 a 1/9.
C'è da osservare che a prescindere dai valori alti, una riduzione della metà può indifferentemente essere dovuta alla perdita di tutto un organo o alla lesione di metà di ambedue. Quindi la risposta è fedele, ma cieca.
Esame radiografico. - La lista delle indagini possibili non sarebbe davvero esaurita, ma l'esperienza di tutti i giorni ha dimostrato l'opportunità - da un lato - di limitare le prove funzionali a quelle più attendibili, e dall'altro a non perdere mai di vista l'esame clinico del malato e i suoi risultati. Questa considerazione dev'esser tenuta presente ancora durante la lettura delle indagini radiografiche degli organi urinarî, indagine che, si può dire, viene eseguita nella quasi totalità dei malati urologici.
Interventi chirurgici sugli organi urinarî. - Tutti gli organi urinarî sono suscettibili di varî interventi chirurgici. Per ognuno di essi esistono tecniche oramai bene regolate.
Il rene si aggredisce eccezionalmente per via addominale transperitoneale. Generalmente si raggiunge il rene per via extraperitoneale con taglio lombare. Incisi i muscoli gran dorsale e grande obliquo, piccolo obliquo e dentato posteriore, il trasverso, scansato il grasso pararenale, s'incide la capsula di Zuckerkandl. Il rene è immerso nel grasso epirenale. Una volta isolato (manovra che può riuscire assai semplice o molto difficile, secondo la posizione, la mobilità o le aderenze dell'organo), si procede all'intervento, stabilito di solito prima dell'operazione, o deciso durante questo tempo.
Si può eseguire: la nefrectomia, ossia l'asportazione, allacciando i vasi e sezionando l'uretere (in caso di tumori o tubercolosi); la nefrotomia cioè l'incisione, di solito longitudinale (calcolosi); la resezione, vale a dire l'asportazione di una parte di esso (cisti, lesioni suppurative acute localizzate); la sezione di un istmo, di un ponte carnoso nei reni fusi; la nefrostomia, ossia il drenaggio del rene attraverso un tramite di parti molli: lo scapsulamento (nelle perinefriti dolorose, nelle nefriti ematuriche) consistente nell'asportazione della capsula propria; la nefropessi, fissazione del rene (nei reni ptosici e mobili dolorosi).
La stessa tecnica esposta per raggiungere il rene vale anche per la pelvi.
Sul bacinetto renale si eseguisce la pielotomia, incidendone le pareti (calcolosi), la pielostomia cioè il drenaggio dell'ampolla pielica alla pelle (pionefrosi non giustiziabile con la nefrectomia) varie operazioni plastiche (plicatio, uretero-pielostomia, resezione, ecc.) nelle forme di idronefrosi extrarenali.
L'uretere, nella parte alta, si mette allo scoperto con la stessa incisione del rene, in quella bassa con un taglio iliaco o mediano. L'incisione transvescicale è riservata ai casi di affezioni della parte endovescicale nelle quali però il metodo cruento è stato quasi completamente sostituito da quello endoscopico, con la corrente ad alta frequenza. Sull'uretere si eseguono l'ureterotomia, cioè l'incisione, per l'estrazione di calcoli, e l'ureterorrafia, nei casi di sezione, l'ureteroplastica, per gli esiti di quest'ultima; l'ureterectomia nelle affezioni flogistiche neoplastiche e nei cosiddetti empiemi dell'uretere; l'uretero-cisto-neostomia vale a dire il reimpianto dell'estremo inferiore dell'uretere nella vescica (sezione per tumore vescicale, e nei diverticoli); l'ureterostomia, cioè l'abboccamento dell'uretere alla pelle, il trapianto degli ureteri nel grosso intestino (per la cura di astrofie vescicali o dopo l'asportazione totale della vescica). La vescica viene raggiunta quasi sempre con un'incisione mediana di rado inguinale, e quasi di regola per via extraperitoneale. L'operazione più semplice è la puntura soprapubica, da eseguirsi nelle ritenzioni di urina con uretra impervia; la cistotomia, cioè l'incisione della vescica, che rappresenta il primo tempo di tutte le operazioni cruente endovescicali; la cistostomia, ossia l'abboccamento della vescica alla pelle; la cistectomia ossia l'asportazione della vescica, che può essere totale o parziale (cura dei tumori); la diverticolectomia, le operazioni plastiche per fistole e incontinenze. Per la cura delle affezioni prostatiche (ipertrofia) si eseguisce la prostatectomia, di solito per via soprapubica, più di rado per quella perineale. Incisa la parete addominale, e la vescica, si snocciolano con il dito le masse adenomatose. La stessa cosa si può fare procedendo con un'incisione dal perineo: la prostatomia, in casi di ascessi che si raggiungono con un taglio perineale. Nei casi di tumori maligni si procede all'asportazione della prostata e di tratti di tessuti e organi vicini.
Le vescicole seminali, prese isolatamente, offrono di rado campo a interventi: si raggiungono dal basso con la stessa incisione perineale della prostata.
Di solito si asportano nell'ablazione della prostata nei cancri di questa.
Sull'uretra l'operazione più semplice è la meatotomia, ossia l'incisione del meato che spesso è ristretto congenitamente.
L'uretrotomia, incisione dell'uretra, può essere praticata dall'interno e dall'esterno. A quest'ultima via si ricorre quando falliscano i tentativi di servirsi della prima. L'uretrotomia interna si pratica sulla guida di una minugia alla quale viene avvitata una guida scanalata, sottilissima. In questa, introdotta fino all'uretra posteriore, viene fatta scorrere una lama triangolare ad apice smusso che, nella sua corsa, incide in più punti i restringimenti uretrali (strumentario del Maisonneuve). Il risultato va consolidato con l'applicazione di una sonda e poi con il passaggio metodico delle sonde di Beniqué. L'uretrotomia esterna viene eseguita col bisturi, a livello del restringimento insormontabile, attraverso i tegumenti esterni. Generalmente, attraverso questa incisione, si riesce poi a introdurre una sonda dal meato urinario esterno, fino in vescica. L'indicazione abituale dell'uretrotomia è data dai restringimenti uretrali postblenorragici, mentre per quelli posttraumatici è indicata la resezione uretrale previa derivazione temporanea soprapubica delle urine.
L'uretrostomia consiste nell'abboccamento dell'uretra alla pelle.
Varie operazioni plastiche si eseguono sull'uretra in casi d'ipospadia o epispadia quando cioè l'uretra manca in parte o quasi tutta e sbocca su un punto più o meno lontano dalla sede normale sulla pelle del perineo o del pene. Queste operazioni plastiche, che raggiungono talora successi brillanti, richiedono anni di tempo e ripetuti interventi.
Quasi sempre l'uretra viene ricostituita a spese della cute circostante.
Nei casi di restringimenti traumatici si procede alla resezione del punto stenotico e alla sutura a capo dei monconi. In casi d'incontinenza dell'uretra femminile si eseguono operazioni di rifacimento dell'intera uretra.
Negli ascessi urinosi, nelle cosiddette infiltrazioni urinose, veri e proprî flemmoni d'origine periuretrale, occorrono incisioni ampie, molteplici, ripetute.
Sugli organi genitali vengono eseguite: la circoncisione per la cura della fimosi, la sezione del cingolo strozzante, nella parafimosi, l'amputazione del pene, associato allo svuotamento dei ganglî tributarî, nel cancro della verga.
I testicoli possono essere asportati in toto: emicastrazione (per tumore), o in parte epidimectomia: di solito per tubercolosi. Le vene del plesso pampiniforme vengono resecate per la cura del varicocele, la vaginale viene asportata o eversa per guarire l'idrocele. Infine i testicoli possono essere abbassati nelle borse, in casi di ritenzione o di ectopia (orchidopessia).
Radiologia.
L'esame radiologico completo dell'apparato uropoietico richiede un doppio ordine di ricerche: a) l'esame diretto (del rene, della vescica, della prostata, dell'uretra, ecc.); b) l'esame indiretto, con i mezzi di contrasto: 1. con liquidi opachi; 2. con gas (pneumorene, pneumoretzius). Si pratica prima l'esame diretto; la necessità di usare i mezzi di contrasto sarà vagliata volta per volta a seconda dello scopo dell'esame.
Esame diretto. - Poiché, com'è noto, un buon radiogramma s'ottiene solo quando vi sia fra le varie parti un contrasto (p. es., nel torace ove il cuore e i polmoni offrono un buon esempio di contrasto naturale), è chiaro che, per quanto riguarda l'addome, occorre una tecnica perfetta per ottenere un certo contrasto fra quelle ombre che si confondono nella cavità addominale.
Infatti un radiogramma dell'addome richiede anzitutto una buona pulizia intestinale ed è preferibile un clisma di pulizia a un purgante, che spesso provoca un maggior meteorismo intestinale per cui le anse distese da gas finiscono con nascondere la tenue ombra renale. Sul negativo le anse distese dal gas appaiono com'è noto in nero (il gas ha lasciato passare i raggi che hanno impressionato la gelatina d'argento): le ombre renali avranno una tinta grigia che può risaltare abbastanza bene sui due lati della colonna vertebrale (in bianco sul negativo). È certo però che solo con l'introduzione (relativamente recente) in radiografia degli antidiffusori (tipo Potter-Bucky) si è riusciti a ottenere nell'esame diretto radiogrammi ben contrastati: anzi con gli antidiffusori è possibile con una pellicola di grosso formato praticare un radiogramma d'insieme dei reni, degli ureteri e della vescica. Non è quindi più necessario seguire la tecnica oggi superata di H. E. Albers-Schönberg (1901) dell'uso del limitatore compressore eseguendo tre pose: posa costolombare, posa iliaca, posa pelvica (questa centrale o sui due lati).
La radioscopia nell'esame diretto non può essere che di orientamento (grossi calcoli, ecc.): sul radiogramma noi possiamo tener conto: 1. della forma renale; 2. dei contorni (il polo superiore è un po' meno visibile); 3. della densità dell'ombra (uniforme in condizioni normali); 4. della sede; 5. del volume; 6. della presenza di speciali ombre (calcoli). Ma in realtà, in condizioni patologiche, è possibile studiare solo pochi particolari; si può avere qualche criterio sulle ectopie renali, sulle deformazioni dell'ombra (da tumori, ecc.), ma essenzialmente l'esame diretto fornisce ragguagli sulla presenza o meno di concrezioni. La visibilità dei calcoli è in rapporto con il loro peso specifico, la loro struttura, il volume e lo spessore; i più densi sono i calcoli di carbonato di calcio, di fosfato bicalcico, di ossalato di calcio; i meno densi sono quelli di urato di sodio, di acido urico. Possiamo distinguere calcoli renali e ureterali; possiamo distinguere calcoli del bacinetto (triangolari) e dei calici (coralliformi), ma in realtà senza l'impiego dei mezzi di contrasto non avremo mai un criterio sulle condizioni anatomiche e funzionali delle vie urinarie, e molti calcoli (di poca densità) possono facilmente sfuggirci. Inoltre, se la struttura di alcune ombre parla senz'altro per la diagnosi di calcolo renale, altre volte le ombre hanno sede e significato incerto e s'impone senz'altro la diagnosi con i mezzi di contrasto per differenziarle da altre ombre calcaree endoaddominali (calcoli biliari, appendicolari, ganglî calcificati, ecc.).
Anche l'esame diretto della vescica non può darci che ragguagli incompleti e anche in questo caso il radiogramma mette in evidenza specialmente la presenza di calcoli. Questi possono essere unici o multipli, ovalari o circolari, a strati concentrici e, se ovalari, disposti con l'asse maggiore trasversalmente; possono essere molto o poco densi, di volume vario fino della grossezza di un mandarino, ecc.
Per l'esame della vescica le proiezioni possono essere varie: nella proiezione sagittale si centra sul terzo inferiore della linea ombelico-pubica; nella proiezione laterale il paziente deve giacere con la regione trocanterica sul piano del letto; il cilindro limitatore poggia sulla regione trocanterica opposta o va abbassato sul davanti della spina iliaca anteriore; nella proiezione assiale il paziente deve stare seduto sul piano del letto a tronco flesso verso l'indietro; si centra sulla regione vescicale inclinando l'ampolla di 15° verso la testa.
Per quanto riguarda l'esame diretto della prostata tutto si riduce (se non si usano liquidi di contrasto per studiare il comportamento vescicale) alla possibilità di constatare calcoli prostatici (concrezioni fosfatiche: le azotate sono invisibili); così l'esame diretto dell'uretra maschile non può farci constatare che la possibile presenza di calcoli; solo l'uso di sostanze di contrasto ci può dare ragguagli sulle condizioni del canale uretrale stesso.
Esame con i mezzi di contrasto. - L'introduzione dei mezzi di contrasto, alla quale dobbiamo progressi meravigliosi in radiologia urinaria, può attuarsi per via endovenosa (urografia endovenosa o discendente o di eliminazione) o per via naturale, introducendo un catetere opaco, o meglio, praticando un'iniezione di sostanza di contrasto attraverso un catetere ureterale introdotto per via cistoscopica (ureteropielografia ascendente). Questa seconda modalità è la più antica e in realtà non può essere sostituita dalla pielografia endovenosa; piuttosto l'una e l'altra possono completarsi a vicenda a seconda dei fini della diagnosi. Con la pielografia di eliminazione, quando la sostanza di contrasto eliminata si sarà raccolta in vescica, si ottiene anche una cistografia; come possiamo averla iniettando la sostanza di contrasto direttamente in vescica mediante un catetere. Con lo stesso mezzo, invece di una sostanza di contrasto opaca, possiamo iniettare in vescica del gas (trasparente) e far arrivare il gas al bacinetto e ai calici renali. Gli esami con i mezzi di contrasto possono pertanto essere raggruppati così: 1. cistografia e ureteropielografia ascendente o retrograda (con liquidi opachi); 2. pneumocistografia e pneumopielografia; 3. pneumorene, pneumoretzius, pneumoperitoneo, pneumovaginale (introduzione di gas rispettivamente nella capsula adiposa del rene, nello spazio prevescicale, nella cavità peritoneale, nella vaginale del testicolo); 4. esame dell'uretra; 5. urografia discendente o endovenosa o di eliminazione.
Ureteropielografia ascendente. - Dopo i primi tentativi di ureteropielografia con sonde metalliche, solo l'introduzione di sostanze colloidali prima e di soluzione di alogeni poi e successivamente di composti organici iodati (gli stessi che sono impiegati nel metodo endovenoso) ha permesso un largo impiego della pielografia ascendente. In genere, i più preferiscono il cateterismo ureterale unilaterale (previa cistoscopia) salvo a farlo bilaterale in caso di necessità. Per iniettare la sostanza di contrasto nella pelvi (capacità anatomica 30 cmc., capacità normale di distensione, 3-6 cmc.) ci si può valere o del metodo della buretta scorrevole (fissata a 50 cm. di altezza sul tavolo), o del metodo della siringa (A. Bianchini); in questo caso alzando la siringa piena del liquido di contrasto, la discesa del pistone si ottiene lentamente per il dislivello. In genere il paziente avverte dolore nella regione renale, ma qualche volta (dilatazione della pelvi) il segno dolore può far difetto e la quantità di liquido introdotto non può essere condizionata da questo segno. In genere dopo fatta l'iniezione si vede anche l'uretere e si può del resto, ritirando un poco la sonda, iniettare altro liquido a mano a mano che la sonda discende. Per liquido di contrasto intendiamo i mezzi di contrasto positivi: soluzioni di ioduro di sodio al 10-20%, soluzioni di bromuro di potassio al 10%, soluzione al 25% di ioduro di litio (umbrenal). Di queste varie sostanze un buon impiego trova ancora lo ioduro di litio ma anche questo tende ormai a essere sostituito da quei preparati che vengono usati per l'urografia endovenosa e precisamente l'uroselectan l'abrodil, ecc. L'uroselectan appare ben tollerato anche in quantità maggiori (fin 10-20 cmc.). Accanto a questi contrasti positivi può essere utile qualche volta l'impiego di sostanze di contrasto negative (gas): per mezzo di un apparecchio tipo Forlanini può essere introdotto ossigeno o anidride carbonica sia nella pelvi sia in vescica, specialmente nel caso che vengano sospettati calcoli assai trasparenti. In realtà oggi le sostanze di contrasto positive iniettate non sono così dense come poteva essere lo ioduro d'argento un tempo impiegato; sono tuttavia sufficientemente dense da opacizzare bene la pelvi (che, com'è noto, può essere anche studiata radioscopicamente). Con questo mezzo si svelano talvolta anche calcoli trasparenti ai raggi X, che possono rimanere intonacati dalla sostanza di contrasto stessa, dopo che il paziente sia stato invitato a mingere.
Il pielogramma normale. - Riassumendo, in rapporto al nostro oggetto, i dati anatomici (v. sopra), sappiamo che l'uretere è il condotto muscolomembranoso che va dal rene alla vescica e che nella parte superiore si divide in un certo numero di rami (calici). La dilatazione tra uretere e calici prende, secondo gli anatomici, il nome di bacinetto o pelvi: ma più giustamente dal punto di vista radiologico è preferibile chiamare bacinetto o pelvi tutto il territorio di raccolta delle urine sostituendo al nome di "pelvi" quello di "ampolla". Dicendo pielogramma vogliamo indicare l'opacizzazione dell'ampolla e dei calici. Il rene, com'è noto, è costituito da tanti reni semplici fusi e ognuno è formato da una piramide di Malpighi più la corteccia; l'apice della piramide s'infossa nel calice. Ogni apice o papilla è ricevuta da un calice, quindi il numero dei calici è in dipendenza del numero delle papille. I piccoli calici si riuniscono in calici medî e grandi; i grandi si riuniscono per formare l'uretere, ma nel punto dove si riuniscono esiste appunto una dilatazione che gli anatomici chiamano pelvi o bacinetto (ampolla pelvica dei radiologi). Lo studio radiografico ha mostrato una grande varietà di forme che del resto si possono riportare alle cinque seguenti: a) bacinetto biforcato (è il tipo più comune), ampolla assente, divisione dell'uretere in due calici che si congiungono a formare l'uretere; b) bacinetto triforcato, ampolla bene costituita, tra i due calici maggiori se ne osserva un terzo che può dividersi a sua volta in calici minori; c) bacinetto ampollare, esiste soppressione per assorbimento dei grandi calici, esistono solo piccoli calici impiantati a ventaglio su questa ampolla globosa; d) emibacinetto, esistenza di due calici di cui l'inferiore molto sviluppato forma da solo quasi tutto il bacinetto e riceve i calici; e) bacinetto ramificato, ampolla spesso triangolare, i calici maggiori poco sviluppati si ramificano subito in calici di II e III ordine.
Nel tipo più frequente, il bacinetto biforcato, il calice superiore è obliquo in alto, lungo e stretto, il calice inferiore è orizzontale o obliquo in basso, largo e corto. Ciascuno dei grandi calici riceve calici di II ordine e questi calici di III; qualche volta, come abbiamo detto, un calice di II ordine può prendere importanza e assumere i caratteri di un calice di I ordine, questo calice medio può sboccare fra i due calici principali o qualche volta più spesso nel superiore che nell'inferiore. I calici sono orientati dall'avanti all'indietro e il loro estremo appare a clava, per la sovrapposizione dei piani, o a ventosa triedra. L'estremo libero dei calici è falcato perché il calice abbraccia la papilla come la vagina abbraccia il collo dell'utero. La pelvi è obliqua dall'infuori all'indietro e dall'avanti all'indietro e infatti l'uretere esce dalla parte posteriore e inferiore del rene. L'asse della pelvi forma un angolo di 45° aperto in basso; sul radiogramma la pelvi corrisponde alla 1ª apofisi trasversa lombare e l'uretere abbandona la pelvi (e l'ilo) renale all'altezza del 2° processo trasverso lombare. In un radiogramma di profilo la pelvi viene a sovrapporsi alla colonna vertebrale e viene a vedersi quasi di scorcio (unitamente ai calici, tranne quelli di II e III ordine orientati dall'avanti all'indietro).
L'uretere quando è opacizzato non appare di calibro uniforme. Esso decorre in avanti e all'esterno delle apofisi trasverse lombari e in basso avanti all'articolazione sacroiliaca. Si può distinguere nell'uretere il colletto con la dilatazione sovrastante infundibulare (4-9 cm.), poi il tratto lombare (lungo 8-9 cm.), poi il tratto pelvico (separato dal precedente dal restringimento iliaco) lungo circa 10 cm. conformato a fuso come il tratto lombare e convergente verso il basso. Quando la pelvi e l'uretere appaiono bene opacizzati, si può allo schermo (pieloscopia) studiare il modo come la pelvi si vuota. Quando si pratica la pielografia ascendente prima si riempie l'ampolla e poi i calici; tolto il catetere, si ha prima la contrazione del calice superiore (preceduta da uno strozzamento del collo), poi l'inferiore, poi il medio (se esiste), quando l'ampolla è piena, si ha dapprima un anello di contrazione che la stacca dall'infundibulo; poi si ha la sistole dell'ampolla, con il rilasciamento dell'anello soprabulbare; la sostanza di contrasto passa così nell'uretere; il liquido di contrasto resta per alcuni momenti nel bulbo perché si ha la contrazione dello sfintere sottobulbare tanto che un poco di liquido può tornare indietro nei calici in diastole. Si chiude poi l'anello soprabulbare, si apre quello sottobulbare, si ha la contrazione del bulbo e il liquido passa in basso. Sicché il vuotamento procede in due tempi; nel primo tempo si ha una ondata di contrazione sul bulbo, si apre lo sfintere sottobulbare, si chiude il soprabulbare e il liquido scende in basso. Si comprende come per cause molteplici si possa avere una disarmonia di questi movimenti i quali possono anche compiersi con rapidità come anche assai lentamente; in condizioni normali in ogni modo il tempo di evacuazione del bacinetto si compie in due-otto minuti con un'evacuazione intermittente (2-3 cmc. al secondo).
Il pielogramma patologico. - Schematicamente il pielogramma patologico può presentare: a) un'immagine in eccesso: eccesso totale (ingrandimento delle cavità renali per dilatazione) o parziale.
Nel primo caso si ha una dilatazione della pelvi, un arrotondamento dei calici; le ombre appaiono più intense e all'estremo i calici appaiono arrotondati. Nel caso di un'immagine in eccesso parziale si può avere una dilatazione solo di alcuni calici o si possono avere escavazioni varie per distruzione con irregolarità dei contorni e offuscamento delle ombre.
b) Immagine in difetto. - L'immagine in difetto si può presentare con diverse particolarità: 1. decapitazione o amputazione dei calici (spesso da tumore); 2. insenature (p. es., masse vicino alla cavità); 3. immagini ristrette, nastriformi (per masse che comprimono le cavità renali, anche qualche volta dall'esterno); 4. falsi accorciamenti (strozzature persistenti: sono utili in tal caso le proiezioni oblique) e veri accorciamenti (p. es., nel rene policistico: aspetto a tipo quadrilatero per accorciamento dei calici di mezzo); 5. lacune: l'origine di queste lacune può essere varia.
Si può trattare di calcoli (veri: cavitarî, parenchimali; o falsi calcoli, per es., nella tubercolosi renale); di coaguli; di tumori. Nell'ipernefroma i calici appaiono lunghi e stretti: il calice superiore può apparire deformato e secondariamente anche l'ampolla può apparire ristretta e deformata. Nel cancro e nel papilloma della pelvi l'ampolla è piccola e deformata e i calici appaiono dilatati; nel rene policistico i calici appaiono allungati, il calice di mezzo appare raccorciato; l'ampolla appare sottile, gli assi dei calici e dell'ampolla appaiono alterati. Come si vede, il mancato riempimento assume un'importanza notevole nel pielogramma patologico; naturalmente non sempre facile ne è l'interpretazione e va tenuto conto del modo di comportarsi dell'immagine cavitaria. Una deformazione globale si ha in genere per masse che spostano e che comprimono prima che si manifesti la reazione di adattamento (ciò può essere un buon segno differenziale per cause che comprimono dall'esterno); si può avere invece una deformazione a tipo periferico e ciò si verifica in genere per un ostacolo meccanico a insorgenza graduale che provoca un certo adattamento.
c) Immagini patologiche di posizione. - Anche in questo caso si può avere un'immagine patologica di posizione globale o parziale; nel primo caso si può trattare di uno spostamento in alto, di uno spostamento verso la colonna vertebrale, di uno spostamento in basso o verso l'esterno, di uno spostamento sagittale con la pelvi spostata verso l'indietro. Nel caso di uno spostamento parziale, esiste una variazione dei rapporti di direzione fra i diametri dell'ampolla e dei calici e un'alterazione nella distanza di questi varî elementi; si hanno così immagini tozze, allungate, deformi. L'uretere può seguire la deformazione nel tratto pieloureterale di passaggio (inginocchiamento, alterazione d'imbocco nella pelvi, ecc.)
d) Immagini patologiche di trasparenza. - Sul radiogramma si possono bene studiare le variazioni di densità nell'immagine: variazioni per strie di sclerosi, variazioni per calcoli, variazioni nel senso che ombre più dense e più chiare (per distruzione) vengono ad alternarsi nell'immagine del pielogramma, ecc.
e) Alterazioni di spostabilità del rene (e del pielogramma).
Per studiare la spostabilità del rene (e del pielogramma) occorrono almeno due radiogrammi: uno assunto in posizione eretta, l'altro assunto in posizione supina. Ma a parte questa spostabilità che si verifica con il cambiamento di posizione, può verificarsi l'evenienza (nel caso che sia palpabile una tumefazione in sede renale e pararenale) che sia necessario vedere il modo come il pielogramma si sposti spostando la tumefazione stessa manualmente, in modo da stabilire così i rapporti fra rene e tumefazione palpabile. Si pratichi il radiogramma prima senza spostamenti manuali; poi si pratichi un secondo radiogramma spostando con la mano la tumefazione, poi un altro radiogramma spostando la tumefazione in direzione opposta. Se il tumore si sposta e il pielogramma non si sposta, si tratta in genere di tumori estrarenali; se il pielogramma si sposta nello stesso senso del tumore, la massa palpabile appartiene al rene. Se una parte sola del pielogramma si sposta è assai probabile che si tratti di aderenze, ad es., sul polo inferiore; se il bacinetto infine è già spostato (p. es., per un ascesso pararenale) il tumore offre in genere una resistenza elastica allo spostamento e il bacinetto non si sposta.
Passiamo brevemente in rassegna l'aspetto del pielogramma nelle varie malattie renali.
Anomalie congenite dei reni e degli ureteri. - la pielografia è di evidente utilità anzitutto nelle anomalie di numero (reni e ureteri doppî, unilaterali o bilaterali con uretere completo o non, a fondo cieco o meno, con rene rudimentario, ecc.). Si presuppone che l'urologo debba cateterizzare tutti gli sbocchi; ma se lo sdoppiamento dell'uretere avviene al disopra dello sbocco, la diagnosi sarà possibile solo con l'urografia endovenosa. Se il rene è assente o aplasico (rene solitario unico vero) la ricerca invece è tutt'altro che semplice; può mancare lo sbocco in vescica e l'uretere essere rudimentale o meno; ma la diagnosi differenziale può farsi solo talvolta col pneumorene in quanto non è facile discriminare il rene a ferro di cavallo, il rene fuso unilaterale, la falsa assenza del rene per ectopia crociata rispetto all'uretere. Nel rene fuso il pielogramma può mettere però in evidenza due distinte circoscrizioni, mentre nel rene a ferro di cavallo due sono le pelvi e due sono i gruppi dei calici. Utile è il pielogramma nelle anomalie di forma e grandezza: allungamento, dilatazione, stretture dell'uretere; aumento o diminuzione del volume renale, ecc. Nelle anomalie di posizione e di orientamento è certo che la pielografia (e spesso la stereografia) è di un'importanza enorme per la diagnosi; il rene a ferro di cavallo frequentemente è fuso per il polo inferiore (con concavità craniale); più rara è la fusione per il polo superiore o per gli orli interni. Sul pielogramma, in caso di rene a ferro di cavallo, i due assi longitudinali prolungati formano un angolo aperto in alto (e non in basso) e il rene o è parallelo alla colonna vertebrale o è più spesso obliquo con direzione inversa alla fisiologica. Nel pielogramma i calici non sono diretti a ventaglio verso l'esterno, ma hanno una direzione sagittale convergente verso il basso. In casi fortunati i calici si vedono proiettati sull'asse mediano del corpo, sulla colonna vertebrale. Si può del resto (se ci sono calcoli) sospettare il rene a ferro di cavallo se detti calcoli in sagittale vengono a proiettarsi sulla colonna vertebrale mentre nel radiogramma di profilo vengono proiettati al davanti della colonna vertebrale stessa oppure vengono a disporsi lungo un asse a direzione invertita o lo stampo calcoloso viene a proiettarsi diretto verso l'interno. Le distopie o eterotopie congenite omolaterali o crociate, uni- o bilaterali sono del resto facilmente diagnosticabili con lo pielografia.
2. Rene mobile. - Data la conformazione della loggia renale, il rene non può scendere che in basso e verso la linea mediana: la distopia può essere addominale, addomino-pelvica, pelvica. È facile riconoscere la distopia sul pielogramma anche eseguito in supino (in casi di una certa entità) ma naturalmente spesso il confronto tra due radiogrammi uno preso in supino e l'altro in posizione eretta s'impone. L'ampolla in ogni modo appare spostata in basso e all'esterno e nei casi gravi esiste contemporaneamente rotazione sull'asse trasversale.
3. Calcolosi. - Abbiamo accennato come già un radiogramma diretto sia sufficiente nella maggior parte dei casi a far diagnosi di calcolosi e di sede della calcolosi (calcoli della pelvi: rotondi, a seme di dattero o a cuore; calcoli dei calici: a fiasco o a dente molare; calcoli del bacinetto [ampolla più calici] coralliformi o a tricorno). Ma in ogni modo il pielogramma è sempre utile per conoscere le condizioni anatomiche e funzionali dell'ampolla e dei calici; è necessario nella piccola calcolosi e specialmente nei calcoli trasparenti e poco densi che possono rimanere intonacati dalla sostanza di contrasto; è necessario nella calcolosi ureterale per conoscerne la sede precisa e la possibile dilatazione dell'uretere.
4. Tubercolosi renale. - L'esame pielografico - del resto poco indicato - dà scarsi segni nelle forme tubercolari iniziali: modica dilatazione della pelvi, alterazione magari di un solo calice deformato allungato o dilatato a clava, ecc. Nei casi più gravi la diagnosi pielografica è abbastanza facile, gli estremi dei calici slargati vengono ad affondarsi irregolarmente nel parenchima onde i contorni appaiono frastagliati a cavolfiore. È questo in genere il quadro delle forme primitivamente aperte che s'approfondano nel parenchima renale; se la forma, invece, è primitivamente chiusa e s'apre secondariamene nei calici, il pielogramma ci mostrerà la presenza di cavità con tramiti tortuosi; i confini della caverna appaiono sfumati per il pus e spesso si hanno quasi immagini a tipo lacunare inegualmente dense. Del resto talvolta (rene mastice) il rene è già visibile all'esame diretto irregolarmente addensato. L'uretere è quasi sempre secondariamente colpito e si presenta largo, tozzo, senza curve (periureterite: le forme ascendenti di tubercolosi renale sono più rare).
5. Reni policistici e cisti del rene. - Nel rene policistico tutto il parenchima è pressoché sostituito da cisti di varia grandezza e sporgenti alla superficie dell'organo; il rene appare ingrandito, l'asse invariato, il contorno esterno irregolare; l'ampolla ha una capacità normale o poco maggiore; i calici si presentano allungati e sottili; il bacinetto nel suo insieme si presenta quasi a ragno e i calici ricordano le prime tre dita della mano divaricate, con estremi papillari irregolarmente slargati. Qualche volta, invece, l'aspetto è quello di un'ampolla quadrilatera con calici monchi (amputazioni).
Le cisti del rene, siano esse sierose sia di echinococco, ecc., dànno in genere segni quando si siano aperte nel bacinetto perché la sostanza di contrasto viene a opacizzare una grossa cavità inscritta nel rene stesso. Però se la cisti (come spesso avviene) è sviluppata su un polo renale, si può avere una deformazione del calice corrispondente; i calici possono apparire divaricati se la cisti si sviluppa fra essi.
6. Tumori del rene. - I tumori del rene dànno come segn non solo l'aumento di volume e spesso la dislocazione dell'organo, ma un mutato orientamento dell'organo stesso e caratteri abbastanza importanti sul pielogramma. L'ipernefroma dà alterazioni dell'ampolla e dei calici; spesso è compresso il calice superiore, l'ampolla o i calici possono essere amputati, i calici apparire sottili; se l'ipernefroma proviene dalla capsula, il bacinetto è spostato e i calici finiscono con essere rivolti verso il basso. Il papilloma e il carcinoma papillifero più facilmente s'impiantano sulle pareti del bacinetto; allora sono importanti i difetti lacunari, la dilatazione eccentrica dell'ampolla, lo spostamento in alto delle ampolle e dei calici, la deformazione dell'uretere, l'aumento di volume renale; ma il segno più importante è senza dubbio quello del difetto di riempimento, difetto che può essere globale o parziale.
7. Idronefrosi, pielite, ureteropielonefrite, pionefrosi. - L'idronefrosi o uronefrosi è una dilatazione limitata al bacinetto renale (ritenzione cronica asettica con distensione delle cavità pieloureterali). In genere alla distensione partecipa anche l'uretere; qualche volta la raccolta può anche suppurare (idropionefrosi). Dal punto di vista etiologico esistono delle idronefrosi congenite (specialmente per anomalie dell'apparato urinario oltre a forme congenite pure) e delle idronefrosi acquisite (da ritenzione in malattie renali, da cause traumatiche, da cause varie per compressioni esterne, per restringimenti ureterali e uretrali, ecc.). Si possono distinguere da un punto di vista anatomo-radiologico le piccole, le medie, le grandi, le giganti idronefrosi. Le piccole idronefrosi, assai importanti dal punto di vista clinico per il quadro doloroso spesso di non facile interpretazione, sono le più difficili a diagnosticare radiologicamente; esiste scarso aumento di capacità dell'ampolla e scarsa dilatazione dell'ampolla stessa; qualche volta la dilatazione è solo in un distretto e a carico dei piccoli calici; più spesso si dilata per prima l'ampolla, talvolta ricorda il tipo del bacinetto ampollare e senza i dati ricavati dal modo come la pelvi si vuota (lentamente) sarebbe difficile differenziare queste forme da un'ampolla normale. Le medie idronefrosi presentano una sacca principale corrispondente all'ampolla e sacche secondarie più o meno grandi comunicanti con la prima; le grosse idronefrosi presentano una cavità unica sacciforme a contorno netto o appena ondulato; i calici sono scomparsi. Nelle forme giganti (talvolta chiuse) il rene è ridotto a uno strato sottile contenente liquido simile ad acqua. A parte questi caratteri generali nel quadro pielografico, l'idronefrosi presenta qualche speciale carattere nelle singole malattie (ptosi, calcolosi, tumori, ecc.).
La diagnosi della pielite e della ureteropielonefrite è affidata alla pieloscopia e alla pielografia; esiste modificata capacità del bacinetto (e solo in secondo tempo verrà la dilatazione); esiste ipermotilità spastica delle pareti del bacinetto che solo in uno stato più avanzato presenterà una dilatazione passiva atonica. Già con 1-2 cmc. di liquido si provoca dolore, le cavità appaiono sottili ed evanescenti e contrazioni dall'esterno dei calici all'ampolla cacciano via rapidamente il liquido. Nello stadio più avanzato, quando è cominciata la dilatazione delle cavità, si possono distinguere due forme principali: la forma cronica sclerosa con bacinetto immobile, indistensibile, per cui il riempimento pielografico è scarso e l'estremo dei calici appare dilatato a palla; la forma pionefrotica (pionefrosi) nella quale il liquido riempie l'ampolla e i calici e le cavità accessorie tortuose che hanno tramiti irregolari e spesso sfumati per pus denso che ostruisce le cavità (nell'idronefrosi infetta in genere esiste larga dilatazione dei calici comunicanti con l'ampolla pelvica dilatata, mentre questa nelle pionefrosi primitive rimane per lungo tempo normale, giacché le prime modificazioni sono a carico dell'estremo dei calici).
Cistografia (con il catetere). - Basta una sonda molle e uno schizzo a tre anelli per riempire con facilità la vescica della sostanza di contrasto (ioduro di litio, sospensione acquosa di bario tiepida, ecc.). Talvolta può giovare un mezzo di contrasto negativo (pneumocistografia) introducendo ossigeno il quale può mettere in evidenza calcoli trasparenti, in altro modo non visibili. Può del resto talvolta giovare la combinazione dei due sistemi. Occorre praticare radiogrammi (come già abbiamo insistito nella parte generale) nelle varie proiezioni di esame: sagittale, laterale, assiale.
La vescica normale in un medio riempimento si presenta a pera ad apice superiore, poi con la distensione maggiore la faccia superiore si fa convessa, onde un aspetto ovoidale che sporge al disopra del pube nell'addome. Nella donna la vescica è ellittica, ovoide con il grande asse trasversale; a maggiore riempimento è a pera ma con base superiore.
Possiamo distinguere per la cistografia delle indicazioni necessarie e delle indicazioni utili: fra le prime, i tumori, i diverticoli, l'uretere forzato, le fistole; fra le seconde, i calcoli vescicali o i corpi estranei a basso peso specifico, l'ipertrofia prostatica, lo studio della funzionalità postoperatoria.
Nei tumori vescicali la cistografia ci dà segni, non solo sulla sede e l'estensione del tumore, ma spesso anche sulla natura; infatti i tumori maligni sporgendo nella cavità vescicale con larga inserzione dànno una grossa immagine lacunare a limiti irregolarmente sfrangiati mentre la capacità vescicale è assai ridotta; i tumori henigni dànno ombre più nette e limitate, qualche volta mutabili di sede se peduncolate, mentre la capacità vescicale si presenta normale.
I diverticoli vescicali che possono essere sospettati nella cistoscopia trovano nel radiogramma la possibilità di una diagnosi precisa; si tratta di formazioni congenite che hanno sede più frequente sulla faccia posteriore della vescica: sono di forma rotonda o allungata con un colletto spesso bene definito; qualche volta sono piccoli, altre volte sono grandi fino ad avere una capacità come quella della vescica stessa. Si vedono bene alla fine del vuotamento o all'inizio o durante il vuotamento stesso, quando il diverticolo è dispiegato e s'invita il paziente a mingere, prima si vuota il contenuto vescicale e poi il diverticolo, anzi spesso, sotto lo sforzo di mingere, la vescica si riduce e il diverticolo si distende; se s'invita il paziente a fermare la minzione, il liquido del diverticolo passa in vescica fino a che si è ristabilito l'equilibrio vescico-diverticolare; questo giuoco si può ripetere più volte in proporzioni minori (minzione in più tempi: A. Bianchini). Se s'invita il paziente a mingere ma nello stesso tempo ci si oppone alla minzione, il diverticolo si fa più evidente ("si minge nel diverticolo").
L'uretere forzato consiste in un'insufficienza dell'orificio ureterale, onde reflusso centripeto dalla vescica nella pelvi e nei calici. Se la patogenesi è oscura (alterazioni della pressione endovescicale, alterazione per malattie varie del fascio muscolare chiave) la cistografia permette una diagnosi a colpo sicuro. Nel caso di calcoli a basso peso specifico è spesso utile, invece della sostanza di contrasto opaco, usare un mezzo di contrasto negativo (ossigeno: pneumocistografia); anche la prostata nella pneumocistografia si rende evidente come un'ombra conica nell'arco trasparente vescicale; del resto l'ipertrofia prostatica, deformando la vescica, si rende bene visibile nel cistogramma ottenuto con sostanza opaca.
Pneumorene, pneumoretzius, pneumoperitoneo e pneumovaginale. - Con il pneumorene s'introduce gas (ossigeno) nell'atmosfera adiposa renale creando localmente un enfisema artificiale permettendo così di differenziare il contorno renale dai tessuti circostanti.
Il metodo introdotto prima da Carelli di Buenos Aires ha avuto in Italia larga diffusione (fu particolarmente studiato da E. Mingazzini) e riesce utile quando naturalmente ci sia una netta indicazione alla ricerca. Nella puntura, l'ago deve raggiungere il grasso perirenale che sta tra la capsula fibrosa propria del rene e la fascia retroperitoneale o di Zuckerkandl (e non nella fascia di Gerota del tessuto adiposo parerenale, altrimenti si viene a provocare un enfisema pararenale che ricorda il pneumoperitoneo ma non permette la visibilità del contorno renale). Secondo l'autore del metodo, il punto di elezione è la proiezione sulla cute dell'estremo superiore esterno della 2ª apofisi trasversa lombare: sotto radioscopia si tracciano dei punti di repere cutanei: quindi, a paziente bocconi, si affonda l'ago perpendicolarmente fino a incontrare l'apofisi stessa; si ritira allora l'ago, si riaffonda scavalcando il margine superiore del processo trasverso e si affonda l'ago per uno, uno e mezzo centimetri.
S'introducono 400-600 cmc. di gas. La ricerca dell'apofisi trasversa non è facile negl'individui un po' grassi: A. Bianchini suggerisce un artificio. Si tracciano le linee costali sui due lati dell'esterno fino alla colonna vertebrale, si traccia la linea che segna le apofisi spinose, si traccia il piano delle due ali iliache. A sette centimetri dal punto di partenza superiore si traccia per 4 cm. una linea perpendicolare: al suo estremo è il punto corrispondente all'apofisi trasversa; oppure si può risalire dalla bisiiliaca per 12 centimetri, tracciando poi la perpendicolare alla linea che segna le apofisi spinose per 4 cm. di lato. Se anche non esistono controindicazioni assolute al metodo, tuttavia questo è sempre un metodo di eccezione da usare quando in altro modo non è possibile la diagnosi e ne va di mezzo la salute del malato (necessità di conoscere l'esistenza o meno di un rene per lesioni opposte, sospetto di tumore della superficie renale, ecc.).
Con il metodo della cistografia in fondo noi studiamo il calco della cavità stessa ma non possiamo in altro modo studiare la parete vescicale (p. es., in caso di sospetta infiltrazione) se non praticando un pneumoretzius (magari associando a questo la cistografia con mezzo opaco di contrasto). Lo spazio di Retzius s'estende dal pavimento pelvico all'ombelico; indietro c'è il foglietto ombelicoprevescicale, in avanti e in alto la guaina dei retti; in basso l'osso del pube: insufflando gas nella loggia prevescicale (pungendo sopra la sinfisi rasente al pube) si viene a produrre un enfisema prevescicale (400-800 cmc. di gas) che ci permette di studiare i particolari della parete vescicale.
In caso di liquido nella vaginale dei testicoli è facile introdurre gas nello spazio vaginale (pneumovaginale) e studiare così gli organi genitali stessi; ma l'insufflazione si può agevolmente del resto praticare anche senza presenza di liquido nella vaginale stessa. Per quanto riguarda il pneumoperitoneo, v. la relativa voce.
L'esame dell'uretra (calcoli, restringimenti, false vie) è reso assai facile dall'introduzione di sostanze di contrasto; il radiogramma (in proiezione obliqua) ci permette di studiare tutta l'uretra dalla porzione peniena fino alla porzione posteriore che è in genere la più difficile altrimenti a esplorare.
Urografia endovenosa. - L' introduzione in radiologia della urografia endovenosa (o pielografia discendente o pielografia di eliminazione) ha aperto il campo a nuovi studî nella diagnosi urologica. Come la tetraiodofenolftaleina eliminandosi per la bile è capace di opacizzare la colecisti, così l'uroselectan (che è stato il primo preparato studiato) si elimina per il rene ed è capace pertanto di opacizzare tutte le vie urinarie. L'uroselectan è un preparato organico di iodio e contiene il 42% di iodio che rimane legato anche nelle urine (iodopiridonacetato di sodio). Al congresso radiologico di Monaco nel 1929, M. Swick e A. v. Lichtenberg comunicavano i risultati ottenuti in 83 pazienti. Il primo studiò il metodo endovenoso e ne fissò la tecnica, il secondo completò lo studio dal punto di vista clinico, stabilendo specialmente la tollerabilità di quel preparato studiato per primi da Binz e Rath. Il preparato s'è andato perfezionando in questi ultimi anni e oggi quello messo in commercio, l'uroselectan B (in fiale pronte per l'uso e in quantità, 20 cmc. inferiore a quella che era necessaria nei primi tempi dell'introduzione del metodo) è perfettamente tollerabile. Altri preparati sono stati messi in commercio: p. es., l'abrodil e successivamente il perabrodil (diiodopirodo, acetato di dietanolamina) il quale ultimo contiene il 52% di iodio organicamente legato e s'inietta nella stessa quantità dell'uroselectan B. Anche in Italia oggi si prepara un ottimo prodotto che va sotto il nome di pielofanina. L'uroselectan si elimina attraverso i reni nell'80-95%. Il resto si elimina attraverso il fegato; nessun inconveniente durante l'iniezione se ben fatta; al più senso di calore dal capo in giù, qualche dolore al braccio, secchezza alla bocca. Poche controindicazioni (insufficienza renale-tireotossicosi, scompenso cardiaco): tuttavia sia nella tireotossicosi, sia nella tubercolosi polmonare il timore dei fatti di iodismo è esagerato data la perfetta tollerabilità del preparato e la sua stabilità. In fondo le controindicazioni sono anche maggiori nella pielografia ascendente nella quale, a parte la questione delle forme infettive o emorragiche, le manovre sono impossibili nelle stenosi uretrali, nei disturbi vescicali con riduzione della capacità, negl'inginocchiamenti e nelle stenosi dell'uretere, ecc. Come avviene in genere per tutti i metodi nuovi, s'è creduto da alcuni all'inizio che la pielografia endovenosa potesse senz'altro sostituire il metodo ascendente; sta in realtà che i due metodi si completano uno con l'altro e che, partendo da processi di tecnica diversa, anche diversi sono spesso i risultati che essi dànno.
Praticata l'iniezione endovenosa, si deve subito dopo (o dopo 5 minuti) praticare il 1° radiogramma; il 2° radiogramma sarà assunto dopo 15 minuti; dopo tre quarti d'ora il 3°; dopo un'ora e un quarto il 4°; ma in realtà esistono variazioni tra individuo e individuo e la tecnica sarà adattata a seconda del modo di eliminazione: in genere i più utili appaiono i radiogrammi eseguiti dopo un quarto e dopo tre quarti d'ora.
Esaminando i radiogrammi noi possiamo notare:
a) Assenza bilaterale di colorazione.
b) Assenza unilaterale di colorazione.
c) La colorazione è presente e in questo caso si deve tener conto: 1. del tempo di comparsa dell'ombra che in genere è presente dopo 5 minuti: di solito esiste ritardo di comparsa dal lato malato, ma qualche volta invece il tempo di comparsa si verifica più presto per il lato malato, forse in rapporto all'eliminazione dell'acqua e delle sostanze saline; 2. della durata dell'eliminazione (normalmente dopo un'ora è finita); 3. dell'intensità della colorazione, e in questo caso si possono avere variazioni in difetto (rene malato, rene che non concentra), o in eccesso (stasi pelvica, idronefrosi, compressione periferica degli ureteri).
d) Caratteri dell'urogramma.
S'è discusso se le immagini della pelvi siano paragonabili a quelle ottenute per via retrograda; secondo alcuni nella pielografia ascendente le cavità sono maggiori del normale, secondo altri minori (per contrazione riflessa); nella pielografia discendente, invece, dette cavità sarebbero più vicine alla norma e non s'avrebbe alcuna alterazione e deformazione. Ma i pielogrammi ottenuti con il metodo retrogrado con l'uroselectan (più tollerato) e quelli ottenuti col metodo endovenoso all'uroselectan non sono affatto sovrapponibili (A. Bianchini) e quindi neppure con il metodo discendente s'avrebbero immagini corrispondenti alle reali, per quanto forse le immagini più ampie sarebbero quelle più vicine alla norma perché senza contrazioni.
La mancata colorazione bilaterale, a parte la possibilità di errori di tecnica o di alterazioni del circolo periferico, è l'espressione di un'alterazione renale (blocco renale, reni ipostenurici, alterazione dei glomeruli) e pielica (ipermotilità nelle pieliti). La mancata colorazione unilaterale - a parte l'aplasia renale - si ha specialmente nelle nefropatie chirurgiche (tumori, tubercolosi); qualche volta però la mancata colorazione si ha proprio dal lato sano (eliminazione più affrettata dal lato sano, più lenta dal lato malato).
La facilità della tecnica, la facile tollerabilità anche nei bambini, la larghezza delle indicazioni, la scarsità delle controindicazioni farebbero del metodo endovenoso un mezzo prezioso d'indagine, specialmente se esso potesse in tutto e per tutto sostituire il metodo retrogrado. Infatti esso permette la visione del rene oltre che delle cavità (nefropielografia), permette una visione di confronto, permette, entro certi limiti, di avere un criterio circa la funzione del rene, ma nell'apprezzamento e nell'interpretazione delle immagini bisogna tener conto dei fattori funzionali che possono modificare l'immagine stessa. Bisogna infatti tenere conto: 1. delle condizioni del circolo periferico (scompensi, diabete, ecc.); 2. dello stato del filtro renale (reni ipostenurici e alterazione di concentrazione a seconda che sono lesi i glomeruli o i tubuli); 3. delle condizioni della pelvi (pielite con ipermotilità); 4. condizioni delle vie di deflusso (ostacoli, ecc.).
È chiaro che in queste condizioni l'uroselectan non può costituire che una prova di funzionalità relativa; nei riguardi del tempo di eliminazione del preparato si è cercato di fissare il dosaggio di iodio nel sangue e nelle urine, cercando di costruire e fissare delle curve di eliminazione; nei riguardi del peso specifico si è cercato pure di fissare delle curve di eliminazione e di variazioni del peso specifico. Ma mentre alcuni autori sostengono che i risultati in questo senso si equivalgono a quelli ricavati dalla prova dell'indigocarminio, altri negano assolutamente il valore delle prove funzionali renali nella pielografia endovenosa. Ed ecco, specialmente nei primi tempi in cui il metodo fu introdotto, alcuni denigrare l'urografia endovenosa, altri sostenerla come metodo superiore a qualunque altro. Sta di fatto che, preso a sé, il metodo per quei fattori funzionali che intervengono nella formazione dell'immagine sul pielogramma è talvolta d'interpretazione difficile; esso non può sostituire in tutto e per tutto il metodo retrogrado né i metodi di esplorazione funzionale renale, ma ha valore in quanto li completa e con essi si combina.
Anche a proposito dell'urografia endovenosa noi dobbiamo tener conto del tempo di comparsa dell'ombra, della durata di colorazione, dell'intensità della colorazione, dei caratteri del pielogramma (in eccesso, in difetto, variazioni di posizione, ecc.).
Buoni risultati s'ottengono specialmente in alcune anomalie che la pielografia ascendente assai spesso non potrebbe risolvere (uretere bifido, doppie pelvi, alterazioni di posizione, di numero, di forma del rene). Belle immagini si hanno in casi di ostacolato deflusso (calcolosi uretrale più o meno stenosante, inginocchiamenti ureterali, ecc.); buoni i risultati nelle cistiti, ureteriti, pieliti, ipertrofia prostatica, pieliti delle gravide. I risultati sono invece talvolta difficili a interpretare in altre malattie, come nel rene policistico, nella tubercolosi, nell'idronefrosi, nei tumori. Però assai spesso è possibile nei tumori osservare immagini lacunari e amputazioni dei calici; è possibile nella tubercolosi osservare dilatazione delle cavità, e specialmente una dilatazione precoce e isolata dell'uretere; talvolta anche immagini irregolari a tasche e sacche. Talvolta, invece l'immagine è mancante e può aversi (come del resto può avvenire in altre malattie) una pielectasia controlaterale, spesso semplicemente funzionale non facilmente interpretabile senza le altre prove di funzione renale. Nell'idronefrosi assai spesso (se c'è ostacolo al deflusso) le immagini delle cavità renali si presentano assai belle: talvolta, invece, forse perché il liquido è rinnovato o diluito o perché l'eliminazione manca, l'immagine fa difetto, mentre si vede meglio l'altro rene che compensa o che è il solo funzionante. Ma da quanto siamo venuti esponendo balza chiara dinnanzi agli occhi l'importanza che è andata assumendo l'esplorazione radiologica nel campo dell'urologia; dall'introduzione diretta della sostanza di contrasto dentro l'organo, si è giunti a far colorare l'organo stesso mediante sostanze che, introdotte per via endovenosa, si eliminano elettivamente per detto organo. Né sono mancate ricerche (analogamente a quanto è avvenuto per la colecistografia ove il metodo orale s'è oggi affermato) dirette a ricercare la possibilità d'intrudurre la sostanza sia per via rettale sia per via orale. La via rettale può rappresentare un metodo di necessità nel caso d'impossibilità di praticare l'iniezione endovenosa e i risultati sono abbastanza utilizzabili; l'introduzione per via orale della sostanza di contrasto non ha avuto finora possibilità pratiche di utilizzazione. (V. tavv. CXIII e CXIV).
Bibl.: F. Legueu, E. Papin, G. Maingot, Exploration rad. de l'app. urin., Parigi 1913; E. Mingazzini, Il pneumorene, in Arch. ital. urolog., I (1926), p. 4; E. Papin, La pyélographie, Parigi 1921; F. Legueu, B. Fey, L. Truchot, La pyéloscopie, ivi 1927; G. Nisio, Il pneumorene, Bologna 1927; A. Bianchini, in Trattato italiano di radiologia medica, Ferrara 1928; C. Ravasini, Pielografia ascendente e pielografia discendente, Bologna 1931; A. Köhler, Limiti del normale e del patologico, Milano 1932; H. R. Schinz, Lehrbuch der Röntgendiagnostik, 3ª ed., Lipsia 1932; H. Böminghaus e V. Zeiss, Die Erkrank. der Harnorgane in Röntgenbild, Lipsia 1933; A. Busi, Trattato di diagnostica radiologica, Torino 1933; H. Assmann, Die klin. Röntgendiagnostik d. inn. Erkrank., 2ª ed., Berlino 1934.
Patologia veterinaria.
I disturbi derivanti dall'insufficienza funzionale dei reni causata da nefrosi o da nefriti acute e croniche, o da ostacolo all'escrezione dell'urina, producono la cosiddetta insufficienza urinaria. Se ne possono riconoscere diversi tipi clinici e fondamentalmente una forma azotemica e una cloruremica o idropigena (F. Widal).
Forma azotemica (iperazotemia, uremia), frequente, specie nel cane e gatto. È caratterizzata da ottundimento del sensorio, sonnolenza, contrazioni fibrillari dei muscoli, albuminuria, respirazione tipo Kussmaul o Cheyne-Stokes, stomatite, gastro-enterite. Il tasso di urea del sangue può elevarsi da gr. o,80 a gr. 5 per mille. Le uremie da cause meccaniche hanno esito felice quando l'ostacolo, mediante intervento cruento, possa venire tolto. Le uremie da cause funzionali hanno generalmente prognosi infausta. Si consiglia dieta idrica, soluzione acquosa di lattosio al 5%; dopo la caduta dell'urea sanguigna, regime a base d'idrati di carbonio; piccoli salassi ripetuti, diuretici.
Forma idropica. - Più comune nel cavallo. È caratterizzata da albuminuria, oliguria e da edemi nelle parti più declivi del corpo. La ritenzione del cloruro di sodio è la causa dell'accumulo di liquido nei tessuti, perciò il trattamento comporta un regime aclorurato, l'impiego di diuretici, di purganti drastici.
Nefropatie degenerative: nefrosi. - Sono caratterizzate da semplici processi degenerativi interessanti i tubuli renali. Negli animali si sono finora riscontrate soltanto la nefrosi adiposa e la nefrosi amiloidea. Le cause si riconoscono in veleni organici e inorganici, in prodotti della decomposizione di materiali dell'organismo, in tossine batteriche. Le manifestazioni della nefrosi adiposa sono limitate, consistendo in leggiera albuminuria, talora edemi e idropisie cavitarie, cilindri ialini, globuli adiposi; quelli della n. amiloide sono più imponenti essendo date da albuminuria massiva, poliuria, edemi incostanti, rari cilindri ialini. Il trattamento della prima forma comporta regime latteo, privo di grassi e l'uso di diuretici, quello della seconda l'uso di diuretici e di ioduri.
Nefriti. - Sono le infiammazioni dei reni. Dal punto di vista evolutivo si distinguono in acute e croniche.
Nefriti acute. - S'osservano specialmente nel cane; sono la conseguenza d'infezioni acute generalizzate o localizzate e d'intossicazioni endogene ed esogene. Il freddo, i traumatismi agiscono come cause occasionali. Le lesioni intime del tessuto renale sono caratterizzate da congestione, da infiltrazione specie leucocitaria, da degenerazione e distacco sotto forma di cilindri cellulari delle cellule epiteliali. Le manifestazioni cliniche più salienti sono date da oliguria, anuria, albuminuria con elementi cellulari renali, ematuria, da dolenzia alla regione lombare, da turbe di ordine generale. La guarigione radicale è rara; la prognosi è subordinata al decorso dell'albuminuria e al grado d'insufficienza renale. Il trattamento curativo è dietetico (regime ipoazotato e ipoclorurato, dieta liquida con zucchero se v'ha minaccia d'uremia; regime latteo, foraggi verdi nei casi meno gravi) e medicamentoso (salasso, derivazione cutanea, diaforetici, purganti drastici, diuretici, ecc.).
Nefrite cronica. - Insorge sotto l'azione prolungata e di mediocre intensità delle infezioni e intossicazioni croniche. È frequente nel cane. Essa è essenzialmente caratterizzata da una distruzione del tessuto renale e da una proliferazione del tessuto connettivo. Lo stato generale degli ammalati è generalmente compromesso: sono rilevabili inappetenza, vomiti intermittenti, dimagramento, anemia, ecc. Dal lato funzionale sono sintomi di notevole valore: polidipsia, poliuria, albuminuria (albumina di filtrazione), ecc., ipertrofia compensatrice del ventricolo sinistro, ipertensione arteriosa. La malattia è compatibile con una lunga sopravvivenza, a condizione che i meccanismi compensatori siano rispettati. Per la cura si utilizzano i diuretici, i derivativi intestinali, i tonici cardiaci, alimentazione ipoazotata e ipoclorurata.
Pielite e pielonefrite. - È l'infiammazione del bacinetto renale e di questo e del rene. È sempre di natura infettiva; il rene può essere raggiunto per via ematica o per via urinaria ascendente. Essa rappresenta spesso la complicanza d'infezioni batteriche. Solo nel cavallo e nel bue si è descritta una pielonefrite che sarebbe causata da un germe specifico e rispettivamente il B. nephritis equi e il B. pyelonephritidis bovis. Il rene è ipertrofico, disseminato di focolai ascessuali e sclerotici; il bacinetto è coperto di essudato membranoso, di ulcerazioni, contiene spesso un essudato purulento. La malattia è resa manifesta da gravi turbe generali, da dolorabilità renale, da stranguria, piuria, albuminuria; l'urina contiene cellule renali, del bacinetto, corpuscoli rossi e pus. Il pronostico è grave. Il trattamento curativo è spesso illusorio; si può ricorrere ai disinfettanti delle vie urinarie, ai diuretici, alla vaccinoterapia; può essere tentata la nefrotomia o la nefrectomia.
Idronefrosi. - Consiste nella dilatazione del bacinetto e del rene e talora dell'uretere, causata da urina asettica, quando trova ostacolo al normale defluire. La malattia è specialmente nota nel bue e nel maiale, quando l'ostruzione risiede a valle dell'uretere la lesione è bilaterale. In tal caso però l'ostruzione delle vie urinarie non può essere completa. Quando l'idronefrosi è unilaterale, si può intervenire con la nefrectomia.
Calcoli renali. - Sono comuni in tutte le specie animali. Essi passano spesso inosservati, oppure specie quando il calcolo passa dal bacinetto all'uretere, si hanno coliche, frequente atteggiamento per urinare con emissione di scarsa urina. La cura più razionale è l'estrazione del calcolo mediante la nefrotomia.
Parassiti del rene. - Non sono rari in tutte le specie; prendono dimora nel parenchima o nel bacinetto. Il più importante per la gravità dei disturbi determinati è l'eustrongilo gigante, parassita del rene del cane. Oltre a disturbi funzionali simulanti la calcolosi renale, il cane presenta gravi manifestazioni generali, disturbi nel movimento degli arti anteriori, vere forme di paraplegia, sintomi rabidiformi. La cura mira all'allontanamento del parassita mediante la nefrotomia. Il rene degli animali domestici può essere sede di tumori di svariata natura.
Malattie della vescica. - Cistite. - È l'infiammazione della vescica urinaria. Le varie forme di cistite sono di origine microbica. L'infezione avviene per via ascendente o di vicinanza, per via sanguigna e per impianto diretto. Esercitano un'azione predisponente i traumatismi, le tossinfezioni, le intossicazioni, le ritenzioni urinarie. Sono frequenti in tutti gli animali, specie nei carnivori. Dal punto di vista clinico si distinguono in acute e croniche.
Cistite acuta. - Si esprime con turbe generali, minzione dolorosa e frequente, sensibilità vescicale alla palpazione, piuria con urina chiara, con forti depositi e con poca albumina. Quando la cistite acuta non si risolve in 2-3 settimane, passa allo stato cronico. Nel trattamento curativo si deve mirare a rendere le urine meno irritanti con bevande abbondanti e alcaline, con cibi verdi negli erbivori e alla disinfezione vescicale mediante antisettici urinarî e con la disinfezione diretta.
Cistite cronica. - Quando non succede alla forma acuta, è legata allo sviluppo di calcoli o di neoplasie. I sintomi sono quelli della cistite acuta più attenuati. Il pronostico è riservato; il trattamento si confonde con quello della cistite acuta.
Cistite emorragica dei bovini (ematuria cronica). - È una malattia cronica, afebbrile, che colpisce tutti i bovini a eccezione di quelli molto giovani e a preferenza le vacche gestanti e in periodo di lattazione, caratterizzata dall'emissione di urine emorragiche e albuminuriche, da nefrite emorragica, da cistite emorragica, polipo-verrucosa, da anemia, idroemia, cachessia. È una malattia legata a determinate zone i cui terreni granitici, gneistici e sabbiosi dànno, secondo J. Schlegel, una vegetazione di erbe acide e tossiche, povere di calcio e acido fosforico. Questa concezione che fa dell'ematuria cronica una malattia tossica e da carenza, viene convalidata dai risultati terapeutici intesi a rimettere l'organismo in equilibrio minerale con la calcioterapia o semplicemente alimentando gli ammalati con ottimo foraggio ricco di calcio, o allontanandoli dalle zone colpite.
Spostamenti della vescica. - Questo organo può spostarsi dalla sua normale sede, dando luogo a prolasso, rovesciamento, ernia (ernia vaginale, ventrale, inguinale, scrotale, ecc.).
Calcoli vescicali. - Sono frequenti in tutti gli animali specie nel cavallo. Solo quando compromettono la regolare funzione della vescica dànno manifestazioni oggettive: frequente atteggiamento di urinare, emissione dolorosa dell'urina in quantità limitata; stranguria, disuria, iscuria, ecc. Queste manifestazioni funzionali possono essere convalidate da rilievi induttivi. La cura razionale consiste nell'allontanamento del calcolo.
Anche la vescica può essere sede di tumori di svariata natura.