Appello e cassazione
Le novità in tema di giudizio di appello mirano alla semplificazione del rito. Le Sezioni Unite hanno chiarito che, al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento che ha deciso la controversia, vale il principio dell’apparenza e dunque assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento (S.U., 11.1.2011, n. 390). Nella fase di trattazione, la possibilità di delega di attività al singolo consigliere si può desumere da Cass. n. 12957 del 14.6.2011, secondo la quale la violazione della regola della trattazione collegiale dell’appello, non si traduce tout court in un vizio relativo alla costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c., con conseguente nullità assoluta della pronuncia, occorrendo a tal fine la specifica deduzione e il positivo riscontro che l’attività stessa abbia, in concreto, comportato l’esplicazione di funzioni riservate dalla legge al Collegio. È stata poi ritenuta compatibile con il giudizio di appello – in assenza di un’espressa previsione che ne limiti l’applicabilità al solo giudizio di primo grado – la norma dell’art. 281 sexies c.p.c., che consente al giudice, al termine della discussione, di redigere immediatamente il dispositivo e la concisa motivazione della sentenza (Cass., 27.1.2011, n. 2024). Giova poi segnalare Cass., 26.5.2011, n. 11617, la quale ha sancito che, nel caso in cui il fascicolo di parte sia disordinatamente tenuto e confusamente composto ed i numeri dell’indice non corrispondano ai documenti prodotti, il giudice d’appello non ha alcun onere di reperire da sé la documentazione malamente indicizzata, così evidenziando implicitamente anche gli obblighi di collaborazione tra parti e giudici nell’elaborazione delle difese, materia che trova riscontro nella feconda produzione di protocolli per la conduzione dei processi civili d’appello (nella specie di Milano e Bari) documentata in Foro it., 2011, V, 145 e ss. Con riguardo al giudizio di cassazione, tenuto conto della ventata riformatrice (d.lgs. n. 40/2006 e l. n. 69/2009), che ha concentrato l’attenzione sulla tecnica di redazione del ricorso, vanno segnalate: Cass., 16.3.2011, n. 6279 (che riprende S.U. n. 16628/2009) secondo la quale il ricorso per cassazione è inammissibile se il ricorrente, anziché narrare i fatti di causa ed esporre l’oggetto della pretesa come prescritto dall’art. 366, co. 1, n. 3, c.p.c., si limiti a trascrivere integralmente gli atti dei precedenti gradi del giudizio ovvero si limiti ad allegare, mediante «spillatura», tali atti al ricorso. Cass., 5.2.2011, n. 2805, che ha precisato come la censura per vizio di motivazione deve specificamente indicare il «fatto» controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per «fatto» non una «questione» o un «punto» della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioé un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioé un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo. Cass., S.U., 3.11.2011, n. 22726 la quale ai fini del deposito degli «atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda», di cui all’art. 369, co. 2, n. 4, c.p.c., ha composto i contrasti tra una linea più rigorista e altra più permissiva, in favore di quest’ultima, ritenendo sufficiente, quanto agli atti ed ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369, co. 3, c.p.c. (ferma in ogni caso l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, c.p.c., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi). Di rilievo è anche S.U., 19.4.2011, n. 8925 che ha escluso l’applicabilità della norma dell’art. 334, co. 2, c.p.c. – secondo cui, ove l’impugnazione principale sia dichiarata inammissibile, l’impugnazione incidentale tardiva perde efficacia – nell’ipotesi di rinuncia all’impugnazione principale. Contraddicendo un precedente del 2009, Cass. n. 11185 del 20.5.2011 ha sostenuto che anche in camera di consiglio le sezioni semplici della Corte di cassazione possono enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge ai sensi dell’art. 363, co. 3, c.p.c., su una questione ritenuta di particolare importanza; tale facoltà non è circoscritta alle ragioni per le quali il ricorso è stato dichiarato inammissibile, potendo invece concernere tutte le ragioni di merito o processuali, che sono state fatte oggetto del giudizio di legittimità.