APPENNINO
(III, p. 737; App. III, I, p. 115; IV, I, p. 141)
Geografia fisica. − Le conoscenze sull'A. sono enormemente aumentate nel corso degli anni e oggi è possibile tracciare uno schema strutturale della catena, più convincente del passato. Un fondamentale progresso è venuto negli anni Sessanta dagli studi stratigrafici e tettonici per la nuova Carta Geologica d'Italia e dall'adozione generalizzata delle teorie faldiste. Con gli anni Settanta le idee rivoluzionarie e i nuovi concetti di meccanica e cinematica crostale della teoria della tettonica a zolle applicati all'A. hanno permesso un nuovo balzo in avanti nell'interpretazione geodinamica della penisola. L'estensione dei ricoprimenti tettonici a tutto l'orogeno, gli studi geomorfologici, sedimentologici, paleontologici e paleomagnetici nonché una diversa definizione del vulcanismo hanno rinnovato il quadro strutturale, che ora è quello di una catena che in seguito alla dinamica crostale si trova in una posizione geografica diversa da quella originaria e tuttora in deriva verso E. In proposito decisivi sono stati gli studi sui fondali del Mediterraneo, cosicché una corretta interpretazione dell'orogeno appenninico deve comprendere i rapporti sia con le altre catene alpine sia con le aree marine adiacenti. In particolare va tenuta presente la scoperta della natura semioceanica e oceanica dei mari Ligure e Tirreno meridionale (che ha vulcani sottomarini basaltici).
L'A., facendo parte del sistema alpino, è un prodotto della collisione Europa-Africa, come già noto, ma anche della scomparsa di un oceano, la Tetide, il cui fondo sparì in subduzione. Le sue parti più superficiali però vennero ripiegate e affiorano come una striscia discontinua caratterizzata dalla presenza delle ofioliti, rocce appunto di natura oceanica, molto diffuse nell'A. settentrionale. Ora le montagne mediterranee sono disarticolate, ma si ritiene che esse, e quindi anche l'A., facessero parte di un unico corrugamento, la catena magrebide-appenninico-alpino meridionale-dinarica, generatasi in seguito alla deformazione del bordo africano. La penisola italiana doveva trovarsi addossata alla Francia e alla Spagna, a contatto quindi, una volta avvenuta la collisione, con il margine europeo, di cui invece la Corsica e la Sardegna erano parte integrante.
Durante il Paleogene si verificarono dei processi di segmentazione perché il blocco corso-sardo si staccò dal margine europeo, lasciando aperto il mare provenzale, e migrò in rotazione antioraria in seguito a movimenti sublitosferici, che trascinarono anche l'Appennino. Circa 10 milioni di anni fa si aprì un nuovo bacino a tendenza oceanica, il Tirreno, e mentre nell'A. in deriva verso E gli sforzi compressivi presero a propagarsi verso l'Adriatico, i cui sedimenti sono stati pertanto deformati da poco, la parte occidentale della catena già piegata fu investita da una tettonica distensiva e si disarticolò per il manifestarsi di fratture, che sono anche le vie di ascesa del magma che sostiene l'intenso vulcanismo della penisola. Mentre la tettonica distensiva sovrapponendosi ai motivi plicativi ha creato una serie di alti e bassi morfologici non sempre ma spesso coincidenti con quelli strutturali, l'edificio appenninico ha assunto una tendenza al sollevamento, anche per il necessario aggiustamento isostatico.
L'A. è quindi una regione instabile sia per i movimenti verticali sia per quelli traslativi, derivanti dai rapporti Europa-Africa che nuovamente convergono tra loro, tanto è vero che l'arco delle Eolie, il cui vulcanismo si è evoluto da calcalcalino a shoshonitico, sarebbe un esempio di arco-fossa. Il tutto nel quadro di una ''crosta'' appenninica meno spessa di quella alpina, variando la profondità della Moho da 10 km nel Tirreno a 25 km nelle fasce litoranee e a 30 km dall'asse della catena fino a tutto l'Adriatico, il che fa pensare al passaggio da una crosta di tipo oceanico a una di tipo continentale spostandosi verso E.
La sismicità della penisola appare determinata dalla deformazione tangenziale S-N della sua crosta e dalle conseguenze dei moti verticali. Se sismicità notevole si trova al piede dell'A. settentrionale padano e nel versante Sud delle montagne siciliane, la linea della massima sismicità corre lungo il crinale dell'Appennino. Va ricordato che dei 12 terremoti distruttivi che hanno interessato l'Italia nel 20° secolo la maggioranza si è avuta nell'A., l'ultimo dei quali quello terribile del 23 novembre 1980 in Campania e Lucania (circa 4000 morti). Le proposte di riclassificazione sismica elaborate dal CNR confermano la maggiore pericolosità dell'Italia centromeridionale, in particolare di Abruzzo, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia. Un'area a rischio sismico elevato è considerata comunque anche la Garfagnana (Toscana).
Nel campo delle catastrofi naturali si è sviluppato anche lo studio del rischio vulcanico (considerato elevato nell'isola di Vulcano, ma soprattutto attorno al Vesuvio) e quello del rischio idrogeologico. Stretti rapporti sembrano esistere fra la tettonica recente (e la sismicità) e l'evoluzione dei versanti, bersagliati da migliaia di frane. L'importante scoperta che molte frane appenniniche sono legate a deformazioni profonde dei versanti (come la frana di Ancona nel 1982) ha messo in luce il ruolo delle sollecitazioni tettoniche, oltre che quello della gravità, nel quadro del complesso campo di sforzi cui sono sottoposti i versanti dell'Appennino.
Notevoli conoscenze sono state acquisite sulla morfologia sia della catena che delle depressioni, quali i bacini intermontani, che delle pianure costiere e fluviali; per esse è risultato evidente un fitto intreccio di rapporti fra la esogenia continentale e/o marina, e la dinamica neotettonica, il che rende molto articolato il volto dell'A. e tale da richiedere ulteriori studi per poter giungere a sintesi ultraregionali. Così pure non esiste una sintesi generale, ma solo studi regionali, dell'evoluzione della rete idrografica, chiaramente condizionata anche da fattori strutturali. Qualche passo in avanti è stato fatto per la geomorfologia climatica sia con il riconoscimento di forme periglaciali, soprattutto falde detritiche stratificate sui versanti, sia con il ritrovamento di nuove tracce glaciali würmiane in diverse parti dell'A. fino alla Sila. In questo campo l'acquisizione più importante è il riconoscimento dell'esistenza di tracce di una glaciazione precedente l'ultima e probabilmente correlabile con la rissiana delle Alpi. Infine le ricerche minerarie confermano che le principali aree geotermiche nazionali si trovano nell'A. e i maggiori campi sfruttati o potenzialmente sfruttabili di risorse energetiche ad alta entalpia si localizzano in una fascia occidentale della penisola che va dai Campi Flegrei alla Toscana centro settentrionale.
Bibl.: P. R. Federici, On the Riss glaciation of the Appennines, in Zeitschrift für Geomorphologie, 24 (1980), pp. 111-16; Introduction à la géologie générale d'Italie, xxvi Congrès Géologique International, Parigi 1980; The geological and morphological history of Italy, in Italy, a geografical survey, Pisa 1980; A. Sestini, The Appennines and Sicily, in Geomorphology of Europe, Londra 1984; L. Ogniben, Relazione sul modello geodinamico ''conservativo'' della regione italiana, Roma 1985; Giornate di studio sulle Pianure minori italiane, in Geografia fisica e dinamica quaternaria, 1987.
Geografia antropica ed economica. − I fenomeni di spopolamento e crescente dipendenza dalle fasce costiere si sono notevolmente attenuati, sia per la congestione di queste ultime, sia per i numerosi rientri di emigrati, dovuti alla crisi economica delle grandi aree urbane settentrionali ed europee. Nella maggior parte dei casi, il movimento naturale della popolazione resta tuttavia debole e la struttura demografica tende all'invecchiamento, specie per quanto riguarda gli addetti al settore primario, mantenendo aperti i problemi della difesa del suolo e di un crescente fabbisogno di risorse nel campo sociale.
In alcune aree, specie meridionali, un notevole impulso alla migliore organizzazione del territorio è venuto dalla modernizzazione agricola, legata alla realizzazione di laghi-serbatoi per scopi irrigui e civili-industriali (per es., nei bacini dell'Ofanto e del Bradano). Zone di buona intensità colturale si individuano, oltre che nei fondovalle fluviali, in alcuni bacini intermontani (Fucino, Vallo di Diano, ecc.), mentre le attività allevatrici tendono a una più razionale selezione lungo tutto l'arco appenninico, portando rilevanti contributi alla formazione dei rispettivi prodotti regionali.
Ma è soprattutto la struttura industriale a manifestare significative modificazioni, in particolare con l'affermazione di distretti specializzati nella produzione di beni di consumo (abbigliamento, calzature, arredamento: è il caso delle Marche e del Teramano) o polifunzionali (industrie meccaniche, alimentari, dei materiali da costruzione), fra cui si segnalano quelli di Fabriano, ampliatosi a partire dall'antica tradizione cartaria, e di Venafro, che ha segnato la ripresa del Molise interno: non a caso, due fra le poche aree che fanno registrare una crescita accelerata della popolazione. Si vanno inoltre consolidando alcune localizzazioni esogene nei rami automobilistico e aeronautico (Cassino, Val di Sangro, Irpinia) che, pur determinando un forte impatto socio-economico, hanno − almeno in parte − risposto positivamente alle iniziali perplessità circa il loro effettivo decollo e contribuiscono senz'altro alla rivitalizzazione delle aree che su di esse gravitano. Nella Campania interna e in Basilicata taluni effetti propulsivi si devono anche all'opera di ricostruzione dopo il catastrofico terremoto del 23 novembre 1980 (circa 4000 vittime), pur se i programmi di trasferimento degli insediamenti in zone più sicure hanno incontrato forti resistenze da parte delle comunità locali. Altri eventi sismici, di intensità molto minore, hanno colpito la Val Nerina nel 1979, aggravandone il carattere ormai accentuato di marginalità, e l'alto Sangro nel 1984, con danni ad alcuni centri del Parco nazionale d'Abruzzo.
Il sistema di comunicazioni si è andato rafforzando con le autostrade La Spezia-Parma e Roma-Pescara, mentre l'apertura al traffico del traforo del Gran Sasso (1984) ha avuto effetti limitati per il mancato completamento del tronco Teramo-mare. Importanti anche le strade veloci di penetrazione, specie nei versanti basso-adriatico (Sangro, Trigno, Biferno) e ionico (Basento), come pure le numerose opere di miglioramento delle vecchie direttrici trasversali rappresentate dalle vie Salaria e Flaminia. Si ricordano, inoltre, la ''bretella'' fra le autostrade Roma-Napoli e Napoli-Bari, lungo le valli del Volturno e del Calore (Caianello-Benevento), mentre notevoli vantaggi alla mobilità nell'A. centrale potrebbero derivare dal progettato collegamento Civitavecchia-Viterbo-Orte-Terni-Rieti-Torano, parzialmente in costruzione, che salderebbe le autostrade tirreniche a quelle abruzzesi e alla superstrada Valle Umbra-Val Tiberina, verso Cesena.
Si delinea, in tal modo, una nuova armatura urbana, maggiormente integrata e capace di assumere funzioni autonome rispetto alle aree metropolitane (Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e inol tre Ancona, Pescara-Chieti e Taranto) che circondano il sistema appenninico, pur mantenendo, con le stesse, relazioni sempre più intense ed efficienti.
Ciò anche a vantaggio delle località turistiche, numerose e attrezzate: da Sestola all'Abetone, da Sarnano-Ussita al Terminillo, dagli altopiani abruzzesi a Campitello Matese, fino alla Sila (Camigliatello) e all'Aspromonte (Gambarie), verso cui si convoglia la domanda crescente di sport invernali e villeggiatura estiva, pur se a rischio di compromissioni ambientali, oggetto di ampio dibattito (emblematico, in proposito, il caso del Pollino).
Bibl.: L'Italia emergente, a cura di C. Cencini, G. Dematteis e B. Menegatti, Milano 1983; L. Pedreschi, I centri più elevati dell'Appennino, Bologna 1988; si vedano inoltre, per le singole regioni interessate al sistema appenninico, i volumi delle collane Conoscere l'Italia, Novara, pubbl. a partire dal 1979, e L'Italia, ivi, pubbl. a partire dal 1985.