APPONYI (Nagy-Apponyi) [pron. òppogni]
Famiglia ungherese di conti, la cui origine genealogica risale alla famiglia dei Pécz. Il più antico antenato della famiglia è Stefano, figlio di Leyk, che i documenti e le cronache rammentano nel 1295 col nome di Ivánka Pécsi. Figlio di Ivánka era Aladár, che ebbe per figlio Tommaso Vörös. Costui ebbe tre fratelli: Laszló, castellano di Privigye Máté Csák, morto prima del 1326; Giovanni, fondatore della famiglia dei Csuri, e Nicola Orosz, che fondò la famiglia degli A. Tommaso Vörös ebbe un figlio, Pietro, ricordato dai documenti dell'epoca coi nomi di Vecsei, Eöri, Nadlónyi, e Nadányi. Nel 1392, la famiglia ebbe in dono da re Sigismondo i possedimenti di Apponyvár e dintorni, un tempo appartenuti ai Cseklészi. Il castello di Apponyi passò in possesso del figlio di Tommaso Vörös, Pietro, che coi suoi figli assunse allora il nome di A. Nel sec. XV Pietro ebbe una certa parte nelle guerre combattute dagli Ungheresi, sotto la guida di Giovanni Hunyadi, contro i Turchi. Con i figli di Nicola A., vissuto alla fine del sec. XVI, la famiglia si divise in due rami. Gaspare fu il fondatore del ramo più vecchio, Pietro quello del ramo più giovane. La famiglia ben presto ebbe i titoli nobiliari. Il 28 giugno 1606, Paolo, fratello di Pietro, ebbe il titolo di barone, ma questo ramo si spense con lui. Cosi pure si spense il ramo di Balszá che ebbe il titolo baronale il 12 marzo 1624. Lazzaro A. ebbe, il 6 febbraio 1728, il titolo di barone, il 20 maggio 1739 quello di conte. Egli è il fondatore del più vecchio ramo dei conti, mentre il ramo più giovane fu fondato da Giovanni A. l'8 aprile 1808.
Lo stemma della famiglia è definito dal diploma del 1624 relativo al baronato: un braccio teso con in mano una spada a due tagli e tre gigli bianchi; accanto, una testa di moro.
Nei tempi moderni, i più noti conti della casa A. furono i seguenti:
Antonio Rodolfo. - Figlio di Antonio Giorgio e di Carolina Maria Lodron Laterano, nacque il 1° settembre 1782, e morì il 17 ottobre 1852 ad Appony, nella provincia di Nitra. Iniziò la sua carriera diplomatica nel 1806 alla legazione austriaca presso il principato del Württemberg. Nel 1810 fu nominato ministro a Baden, nel 1815 a Firenze, nel 1816 a Roma, nel 1825 inviato straordinario a Napoli, nel 1826 ambasciatore a Parigi, carica che conservò per quasi un quarto di secolo, fino al I848, allorché si ritirò a vita privata. Egli fu uno dei più caratteristici e più influenti diplomatici del periodo che seguì al congresso di Vienna: il suo spirito fine e pieghevole trovava la via d'uscita anche nelle situazioni più scabrose. Quale fiduciario di Metternich, cooperò con tutta la sua attività per il mantenimento della pace e dell'equilibrio europeo. A questo proposito ebbe grandi successi, specialmente in Francia, dove trovò modo di accordarsi con il governo democratico di Luigi Filippo, proprio com'era riuscito ad andare d'accordo con quello legittimista, nonostante la sua situazione non fosse sempre delle più semplici. Infatti, fin dal principio ebbe contraria l'opinione pubblica liberale, per il fatto che, in conformità degli ordini avuti, si rifiutò di riconoscere i titoli che non avevano carattere militare dei generali di Napoleone, come quelli di principe di Dalmazia, di Ragusa ecc. Per questo motivo, tutta la stampa gli fu contro, e Victor Hugo protestò nella sua Ode à la Colonne contro l'intromissione, nelle questioni di Francia, dell'"ussero magiaro". Ma l'A., con il suo fine tatto, seppe vincere tali battaglie e, abbattendo tutti gli ostacoli, seppe rendere amichevoli i rapporti fra le due corti. In seguito a tale sua opera, l'Austria e la Monarchia di luglio non solo si compresero, ma proseguirono anche per la medesima via in numerose questioni. Contribuì a questi successi anche la moglie di lui, che era di origine italiana, la contessa Teresa Nogarola, la divine Thérèse, la quale, con la sua bellezza, il suo fascino e il suo spirito rese il palazzo dell'ambasciata austro-ungarica di Parigi il ritrovo più ricercato e preferito della migliore società. Nel corso della sua lunga permanenza a Parigi, l'A. stese un diario, pubblicato da E. Daudet, che per molti riguardi getta un'interessante luce sulla vita privata e pubblica dell'epoca della Restaurazione e della Monarchia di luglio (Vingt-cinq ans à Paris, 1826-1850, Journal du Comte Rodolphe A., voll. 4, Parigi 1913-1914). L'A. fu anche mecenate e protettore delle scienze. Acquistò per 70.000 fiorini la biblioteca fondata dal padre, nota col nome di biblioteca Apponyi, e nel 1827 la fece trasportare da Vienna a Pozsony. Qui voleva renderla biblioteca pubblica, ma siccome il municipio di Pozsony non era disposto a creare la carica di bibliotecario, fece trasportare la ricchissima raccolta nel suo castello di Nagyappony (1850). Prima però, fece dono al Museo nazionale ungherese dei volumi più preziosi, circa duemila "hungarica".
Giorgio. - Uomo di stato ungherese, nato il 29 dicembre 1808 a Pozsony (ora Bratislava), morto il 1° marzo 1899 ad Eberhard, nella provincia di Pozsony. Dopo di aver compiti gli studî all'Accademia di giurisprudenza di Pozsony, non ancora ventenne (1827) iniziò la sua attività pubblica. Dapprima fu segretario onorario alla prefettura della provincia di Tolna, poi segretario onorario della cancelleria della corte. Nella politica richiamò su di sé l'attenzione dell'assemblea nazionale (1839-40), quale uno dei capi del partito conservatore "ponderatamente progressivo". Con le sue doti oratorie, col suo atteggiamento calmo e riflessivo e con il suo maschio carattere si guadagnò anche le simpatie dell'onnipotente Metternich. Dovette a lui la nomina, per quanto giovane, a vice-cancelliere, avvenuta nel 1844. Partendo dalla persuasione che non bisognava lasciare solamente all'opposizione l'iniziativa relativa alle riforme di carattere popolare, l'A. concretò un ricco programma di governo, e per realizzarlo volle porre anzitutto a fondamento un forte e compatto partito. A tale scopo, a capo delle provincie che parteggiavano per l'opposizione, mise degli amministratori, i quali avrebbero dovuto frenare l'agitazione che sempre più intensamente andava svolgendo l'opposizione. Ma il loro intervento fu talmente violento, da creare un'agitazione in tutto il paese, la quale si diffuse anche nell'assemblea nazionale del 1847-48. L'opposizione pretese all'unanimità la testa dell'A., il quale, proprio allora (6 novembre 1847), fu nominato cancelliere. L'agitazione generale non poté essere mitigata né dal discorso pronunciato in lingua ungherese all'assemblea dal sovrano, né dalla nomina a palatino di Ungheria del popolare arciduca Stefano. L'assemblea fu conquistata completamente dall'irresistibile fascino oratorio del Kossuth. E quando l'A. ne meditò un eventuale scioglimento, lo scoppio della rivoluzione a Vienna (13 marzo 1848) diede un'altra direzione agli avvenimenti politici. L'A. si dimise dalla carica (16 marzo) e si ritirò a vita privata per un lungo periodo di tempo. Riprese a partecipare alla vita pubblica soltanto nel 1860, allorché, per diretto desiderio del sovrano, entrò a far parte del Consiglio rafforzato dell'Impero. Sul principio del 1861 fu nominato commissario regio. In tale qualità, cercò di fare tutto il possibile, perché fossero risolti i contrasti che sussistevano tra sovrano e nazione, e non fu certo causa sua se il compromesso non poté essere realizzato. Rimase in carica anche dopo lo scioglimento dell'assemblea, ma il 3 aprile 1863 fu esonerato, perché in un memoriale che aveva preparato dietro invito del sovrano, accennava alla necessità di ripristinare la "continuità del diritto" come uno dei pochi modi per raggiungere il compromesso tra Ungheria ed Austria. Con ciò ebbe fine la sua carriera politica. Non ebbe parte direttiva nell'assemblea del 1865-68, che era chiamata a concludere il compromesso. Ma nel corso della sua lunga vita ebbe la soddisfazione di veder riconosciuto che la sua attività era stata ispirata da sentimenti patriottici.
Alberto. - Figlio del cancelliere Giorgio A. e della contessa Giulia Sztaray, nacque il 29 maggio 1846 a Vienna. Compì i suoi studî nel collegio dei gesuiti di Kalkenburg e alle università di Pest e di Vienna. Dopo un lungo viaggio nell'Europa occidentale, nel 1870 entrò a far parte della camera dei magnati, e nel 1872 della camera dei deputati con il programma del partito di Déak. Non fu rieletto nel 1875, ma dopo due anni tornò alla camera quale membro del partito conservatore diretto da Paolo Senneye, al quale succedette nella direzione. D'allora in poi non fece che procedere nella sua lunga carriera di uomo politico. Le sue qualità, la sua vasta cultura, e soprattutto la sua arte oratoria fecero ben presto il suo nome noto e stimato. Si occupò dapprima degli interessi agricoli del paese, ma più tardi, e sempre con maggiore intensità, passò allo svolgimento in senso nazionale del contenuto del compromesso del 1867, e specialmente nel campo militare cercò di far valere i diritti della nazione. Prese gran parte anche nella disputa ecclesiastica iniziatasi nel 1892, la quale tenne per anni di seguito in continui ondeggiamenti di calma e di agitazione la vita pubblica ungherese. Dopo la caduta di Bánffy e l'avvento di Kálmán Szell insieme con tutto il suo partito e col partito nazionale, entrò a far parte del partito liberale (2 marzo 1899). Nel 1901 divenne presidente della camera; ma rinunziò a tale carica il 30 ottobre 1903 e il 26 novembre dello stesso anno, insieme con alcuni suoi aderenti, uscì dal partito governativo, perché nel programma di quest'ultimo non vedeva garantita la realizzazione delle richieste ungheresi relative alle questioni militari. Da quel momento fu accanito avversario del governo di Stefano Tisza ed ebbe gran parte nel determinare la clamorosa vittoria delle opposizioni riunite in blocco alle elezioni del 26 gennaio 1905. Diventò ministro della Pubblica istruzione nel gabinetto di coalizione formatosi sotto la presidenza di Alessandro Wekerle, e tenne quella carica dall'8 aprile 1906 al 17 gennaio 1910. Come tale, promulgò la legge relativa all'insegnamento elementare gratuito e definì in via legale i diritti della lingua ungherese nelle scuole delle minoranze. Dopo la caduta del gabinetto di coalizione, si schierò col partito per l'indipendenza e partecipò un'altra volta intensamente alle lotte contro i governi che emanavano dal partito del lavoro. Il 15 luglio 1917 ebbe ancora una volta il portafoglio dell'Istruzione in un gabinettto di coalizione, e lo tenne fino all'8 maggio 1918. Dopo l'armistizio e dopo la caduta del regime comunista, fece parte ancora dell'assemblea nazionale, della quale fu il decano. Alle trattative di pace fu lui a rappresentare l'Ungheria, meravigliando i delegati della conferenza per la perfetta conoscenza di tante lingue. Rappresentò il paese anche alle sessioni di Ginevra della Società delle Nazioni.
Bibl.: Su Giorgio A.: Vasárnapi újság, 1899, n. 10. Su Alberto, v. i suoi Discorsi, voll. 2, Budapest 1897, e le Memorie. Cinquanta anni, Budapest 1922. Inoltre: A. Petho, A. Appony, Budapest 1926; E. Halmay, L'ottantenne Apponyi, Budapest 1926; id., Memorie su Appony, Budapest 1926.