Apprendimento
Nella ricerca psicologica attuale per apprendimento si intendono modificazioni adattive del comportamento di un qualsiasi organismo animale, non attribuibili del tutto a risposte innate o a meccanismi di maturazione, ma piuttosto funzione dell'esperienza. L'apprendimento umano, in particolare, è studiato rispetto a processi di sviluppo e a complesse strutture e modalità di conoscenza.
I primi studi sull'apprendimento animale rispondono all'esigenza di analizzare sperimentalmente i meccanismi psicologici alla base delle risposte apprese. Provocare reazioni o promuovere azioni al fine di avvicinarsi a stimoli presenti nell'ambiente, o di evitarli, presuppone innanzitutto una motivazione e quindi la necessità, da parte dello sperimentatore, di attuare un processo di rinforzo. Con rinforzo, si intende ogni elemento (appetitivo o avversivo) capace di aumentare la probabilità che si verifichi una determinata risposta. Non vengono quindi considerate risultato di apprendimento le modificazioni comportamentali dovute ai processi di sviluppo nonché quelle attribuibili a fenomeni di stanchezza, reazioni a droghe o traumi. Si ricorre all'animale per poter costruire situazioni sperimentali standardizzate, manipolando alcune variabili (modalità o intensità degli stimoli da associare con determinate risposte, caratteristiche del rinforzo, grado di complessità dei labirinti da esplorare ecc.) mantenendone altre costanti (età, condizioni di allevamento, livello di motivazione, durata dell'esperimento ecc.).
Anche se ampie differenze esistono fra le situazioni e le specie utilizzate nei diversi laboratori, questi studi hanno in comune la caratteristica di situarsi esclusivamente sul piano psicologico, prendendo in considerazione, da un lato, gli stimoli forniti dallo sperimentatore e, dall'altro lato, le risposte date dai soggetti. Questo approccio, denominato da J.B. Watson (1914) 'comportamentista' è stato adottato da diverse correnti che si differenziano considerando, nell'esempio di E.L. Thorndike (1911), C.L. Hull (1943) o E.R. Guthrie (1952), il soggetto come essenzialmente reattivo alle stimolazioni fornite dallo sperimentatore (associazionismo), o invece, nell'esempio di E.C. Tolman (1932), attivo in quanto impegnato a elaborare informazioni per raggiungere un obiettivo (cognitivismo).Le situazioni di apprendimento sono fondamentalmente di due tipi: non associative e associative.
a) Le situazioni non associative misurano le modifiche che intervengono nella percezione o nella reattività a stimoli ambientali in seguito a presentazioni ripetute. Esplorare meno un ambiente o reagire con minor intensità a un lieve stimolo nocicettivo nel corso di sedute ripetute è segno di assuefazione (habituation). Al contrario, aumentare l'intensità di una risposta in seguito a presentazioni successive di uno stimolo fortemente nocicettivo è segno di sensibilizzazione. Assuefazione e sensibilizzazione non richiedono risposte comportamentali elaborate, ma mostrano una modificazione progressiva del comportamento in funzione dell'esperienza.
b) Le situazioni associative appaiono più diversificate. Si possono raggruppare in situazioni di condizionamento classico, di condizionamento strumentale, di apprendimento complesso. Nel condizionamento classico (o di tipo 1), il soggetto deve fondamentalmente imparare a stabilire relazioni fra stimoli. Per es., utilizzando una risposta riflessa di salivazione (risposta non condizionata), provocata da uno stimolo non condizionato (polvere di carne), I.P. Pavlov (1927) dimostra che associando uno stimolo neutro (luce, suono ecc.) allo stimolo non condizionato, lo stimolo neutro diviene capace di evocare la risposta di salivazione. Da quel momento, lo stimolo neutro e la risposta di salivazione da esso evocata diventano rispettivamente stimolo e risposta condizionati (v. condizionamento). Il condizionamento classico si può stabilire praticamente in tutte le specie animali. Esso si instaura, tuttavia, rispettando rigorosi parametri temporali nell'associazione dello stimolo neutro allo stimolo non condizionato.
Nel condizionamento strumentale - detto anche operante (o di tipo 2) - ideato da B.F. Skinner (1938), l'animale deve stabilire una relazione fra risposta e rinforzo. Premere su una leva per ottenere del cibo o fuggire da un compartimento per evitare uno shock elettrico sono comportamenti tramite i quali l'animale impara essenzialmente a valutare l'impatto delle sue azioni sull'ambiente. Infine, le situazioni di apprendimento complesso raggruppano compiti di orientamento in labirinti, discriminazione, risposte ritardate (riconoscere uno stimolo già presentato in mezzo a un insieme di stimoli) e, nelle specie più evolute, di risoluzione di problemi tramite utilizzo o assemblaggio di utensili o, ancora, per osservazione e imitazione del comportamento di conspecifici.
Le situazioni di apprendimento complesso tendono a sondare delle capacità cognitive elaborate e, quindi, sempre più vicine a quelle umane: memoria spaziale, riconoscimento di figure presentate sotto varie angolazioni, apprendimento contemporaneo di più compiti.La tradizione strettamente comportamentista degli studi sull'apprendimento animale viene interrotta da K.S. Lashley (1929), che getta le basi di una nuova disciplina, la psicobiologia, il cui obiettivo iniziale è l'identificazione delle basi neurali dell'apprendimento. Successivamente, questo obiettivo verrà esteso in base alla necessità di fornire soluzioni terapeutiche alle numerose patologie che, nell'uomo, riguardano l'alterazione dei processi cognitivi. Attualmente, gli studi sulla psicobiologia dell'apprendimento si articolano intorno ai seguenti punti: fornire dei modelli animali che riproducano le varie forme - semplici o complesse - dell'apprendimento umano; analizzare i meccanismi neurali sottostanti; provocare alterazioni che riproducono i deficit cognitivi osservati in condizioni patologiche o di invecchiamento; individuare strategie terapeutiche.
Quindi, l'approccio psicobiologico si colloca precisamente nel punto di interfaccia fra discipline di analisi del comportamento (psicologia sperimentale, etologia) e discipline che indagano, a vari livelli di integrazione, sul funzionamento del sistema nervoso centrale: anatomia cerebrale, neurofisiologia, neurochimica, biologia cellulare, biologia molecolare. Storicamente, i primi tentativi di identificazione delle basi neurali dell'apprendimento vengono effettuati in una prospettiva neuroanatomica. Lashley, infatti, paragona il comportamento di ratti con lesioni corticali a quello di ratti integri. L'osservazione di un 'effetto di massa' (la rimozione di porzioni di tessuto corticale provoca un effetto deleterio sull'apprendimento proporzionale alla sola quantità di tessuto rimosso) dà luogo all'ipotesi di equipotenzialità, secondo la quale nessuna area gioca un ruolo specifico nei meccanismi dell'acquisizione. Questa ipotesi viene inizialmente controbilanciata da risultati a favore della localizzazione, che indicano un ruolo centrale per alcune aree corticali (corteccia frontale, parietale, occipitale) o sottocorticali (ippocampo, amigdala) in particolari forme di acquisizione.
La posizione odierna ammette che ogni processo di apprendimento è multidimensionale e, quindi, coinvolge diverse aree cerebrali organizzate in un circuito che varia a seconda del tipo di compito. Le aree reclutate nel circuito elaborano informazioni di natura diversa controllando sia operazioni totalmente aspecifiche (aree mesencefaliche e stato di attivazione generale) sia quelle più specifiche (amigdala e reazioni emotive, ippocampo e trattamento dell'informazione spaziale, corteccia frontale e programmazione dell'azione), ma ugualmente partecipi del processo di apprendimento. L'ippocampo, che sul piano anatomico riceve proiezioni da aree corticali e sottocorticali, potrebbe giocare un ruolo di comparatore fra informazioni provenienti dal mondo esterno e informazioni sullo stato interno dell'organismo. Attualmente, un'attenzione particolare viene dedicata alle proiezioni corticoippocampiche indicate come via o fascio perforante. Stimolazioni elettriche ripetitive di questa via inducono una facilitazione duratura della trasmissione sinaptica intraippocampica detta potenziamento a lungo termine (long term potentiation). Tale facilitazione, che permane anche a lungo dopo l'interruzione delle stimolazioni, sembra rappresentare un evento favorevole alla formazione di associazioni fra stimoli e risposte.
La nozione di circuito porta necessariamente gli psicobiologi a interessarsi dei meccanismi biochimici responsabili della propagazione dell'influsso nervoso a livello della sinapsi (punto di contatto fra due neuroni). Il principio di base della trasmissione sinaptica è il seguente: il primo neurone assicura la sintesi e il rilascio di sostanze chimiche - neurotrasmettitori - che si legano a recettori situati sul secondo neurone. È stato possibile stabilire una relazione fra diminuzione o blocco della neurotrasmissione dovuta all'acetilcolina (un mediatore chimico largamente diffuso nel sistema nervoso centrale e periferico) e basse prestazioni di apprendimento. L'ipotesi colinergica è stata poi ridimensionata in base a risultati che mostravano la possibilità di modulare le prestazioni di apprendimento mediante blocco o stimolazione di altri sistemi di neurotrasmettitori, quali catecolamine, GABA (acido γ-aminobutirrico), aminoacidi, peptidi. Tuttavia, il risultato più rilevante riguardo ai meccanismi biochimici implicati nell'apprendimento risiede nella dimostrazione che i neurotrasmettitori non agiscono come dei sistemi indipendenti. Nessun sistema sarebbe, quindi, esclusivamente implicato nei processi di acquisizione. Tali processi, invece, dipenderebbero da un equilibrio fra le attività dell'insieme dei sistemi di neurotrasmettitori regolato da rapporti di facilitazione e inibizione reciproche.
La ricerca di correlati neurali sempre più fini dei processi di acquisizione porta, infine, a interessarsi ai meccanismi molecolari che regolano l'attività della cellula stessa. La relativa semplicità del sistema nervoso di alcuni molluschi, quale l'aplisia, permette di descrivere la catena di eventi biologici che si verificano nell'organismo in relazione all'apprendimento. Sottoponendo aplisie a situazioni di assuefazione o sensibilizzazione a stimoli tattili, è stato possibile evidenziare il circuito di neuroni coinvolti nell'associazione stimolo-risposta, il neurotrasmettitore implicato nella trasmissione sinaptica (serotonina) e l'intera cascata di eventi molecolari (attivazione di un secondo messaggero, fosforilazione e traslocazione di proteine dal citosol alla membrana, apertura e chiusura di canali ionici) alla base di ogni risposta comportamentale. È stato inoltre mostrato che processi di memorizzazione a breve termine coinvolgono maggiormente dei meccanismi di fosforilazione di proteine, mentre processi di memorizzazione a lungo termine richiedono un aumento di sintesi proteica (Kandel-Schwartz-Jessel 1991).
Attualmente, l'uso estensivo di tecniche sofisticate che permettono, nei soggetti in vivo, di misurare il rilascio di alcuni neurotrasmettitori (microdialisi) o di visualizzare globalmente l'attivazione cerebrale (brain imaging) durante le prove stesse di apprendimento, lascia intravedere nuove prospettive per descrivere la dinamica dei meccanismi neurobiologici direttamente coinvolti nei processi di acquisizione.
I.
Lo studio dell'apprendimento umano fa uso di paradigmi sperimentali che a grandi linee possono essere definiti espliciti, quando al soggetto viene chiesto direttamente di apprendere e successivamente di recuperare un'informazione, e impliciti, quando lo sperimentatore deduce l'avvenuto apprendimento sulla base di una modificazione nell'esecuzione di un'attività.La forma più caratteristica di apprendimento esplicito, o diretto, comporta l'utilizzo del sistema della cosiddetta memoria episodica, che permette al soggetto di ricordare specifici episodi e avvenimenti. La memoria episodica dipende dal funzionamento di un circuito di connessioni neurali che collegano i lobi temporali, gli ippocampi e i lobi frontali. Molto di quanto sappiamo su questo sistema deriva dallo studio di pazienti che presentano danni specifici a tale circuito e conseguente classica sindrome amnestica: essi mostrano grandi difficoltà non solo a ricordare gli avvenimenti in corso, ma anche ad apprendere una vasta gamma di materiale di tipo sia visivo sia verbale sia semantico; pur essendo ancora in grado di accedere alle informazioni acquisite prima dell'instaurarsi dell'amnesia, grazie a un sistema usualmente definito memoria semantica, stentano a registrare nuove informazioni in questo sistema.
Se ne può dedurre, in breve, che la memoria episodica è importante non solo nel contenere le tracce che consentiranno il ricordo di specifici episodi, ma anche nell'acquisire nuove informazioni. L'efficacia operativa del sistema della memoria episodica appare fortemente legata al modo in cui l'informazione è elaborata, il che a sua volta dipende dall'azione della memoria di lavoro, che ha la funzione di trattenere provvisoriamente e manipolare l'informazione in arrivo (Baddeley 1992). È stato ipotizzato che la memoria di lavoro abbia tre componenti principali: un sistema 'esecutivo centrale', regolatore dell'attenzione, assistito da due sistemi ausiliari, di cui il primo, la memoria visuospaziale, trattiene e manipola il materiale visivo, mentre l'altro, la memoria fonologica, esegue una funzione simile per il materiale verbale. Il deterioramento di uno o l'altro dei sistemi ausiliari può interferire con l'acquisizione dell'informazione rispettivamente visuospaziale o linguistica, mentre il deterioramento del sistema esecutivo centrale, quale può verificarsi per un danno ai lobi frontali, porta a problemi più generali di organizzazione e controllo dell'apprendimento.
Ogni sistema di apprendimento richiede la capacità di codificare la nuova informazione, immagazzinarla e poi recuperarla come e quando è necessario. I diversi metodi di studio tendono a dare diversa enfasi a questi tre aspetti.
a) Codificazione. Tipicamente la codificazione è studiata selezionando la natura del materiale da apprendere o specificando la strategia che il soggetto deve usare. È, per es., possibile stabilire in che misura l'apprendimento si basa sul suono o sul significato, variando l'incidenza di questi fattori nel materiale da apprendere. I soggetti a cui viene richiesto di ascoltare e ripetere immediatamente una lista di parole tendono a trovare problematiche sequenze che sono simili nel suono (così ripetere 'cane, rane, pane, sane, tane' sarà più difficile di 'pozzo, penna, giorno, zuppa, caldo'), mentre la somiglianza di significato (per es., 'grande, ampio, vasto, alto, elevato') non crea analoghi problemi. In contrasto, l'apprendimento a lungo termine mostra un andamento opposto, con criticità della somiglianza di significato e molto minore rilevanza della somiglianza di suono. Un fattore importante nell'apprendimento è l'effetto della 'distribuzione dell'esercizio', secondo il quale si apprende molto meglio in molte sedute brevi che in poche sedute più lunghe.
b) Immagazzinamento. È tipico studiare i fattori di immagazzinamento utilizzando il paradigma dell'oblio, attraverso il quale viene analizzato l'effetto del ritardo sul consolidamento della memoria. Il riscontro di differenze marcate nella quota dell'oblio è tuttavia abbastanza raro, ed è stato notato che, purché abbiano ricevuto un apprendimento equivalente, pazienti amnesici e soggetti normali dimenticano nella stessa misura, così come i vecchi in confronto ai giovani. Il dimenticare è invece influenzato dall'interpolazione di altro apprendimento, in maniera tanto più sostanziale quanto più l'apprendimento interpolato è di natura simile, fenomeno noto con il nome di interferenza retroattiva. Dimenticare è probabile anche quando materiale di natura simile precede immediatamente l'apprendimento ('interferenza proattiva'). Gli effetti dell'interferenza si mostrano in maniera molto chiara nell'apprendimento delle lingue: per es., un inglese che abbia imparato da poco un po' di italiano e che cerchi di imparare lo spagnolo probabilmente troverà che l'italiano tende a venir fuori e viceversa.
c) Recupero. Se è possibile che alcuni effetti di interferenza riflettano la distruzione di una traccia mnestica da parte di un'altra, è molto più probabile che l'interferenza operi a livello del recupero, cioè del processo che consente di accedere alla traccia mnestica appropriata. È indubbio che una grossa parte dell'oblio sia causata da mancato recupero: ne è prova il fatto che spesso un'informazione apparentemente dimenticata riemerge spontaneamente qualche tempo dopo, come quando si cerca di ricordare il nome di una persona o una parola usata poco di frequente. Un metodo per manipolare le richieste di recupero in una prova è quello di usare, piuttosto che il richiamo, il riconoscimento, nel quale il dato da ricordare è presentato insieme ad altri dati irrilevanti o confusi. Si ritiene che il riconoscimento, meno soggetto a interferenza, semplifichi il problema dell'accesso alla traccia mnestica, portando a livelli di risultato migliori. Un modo intermedio di sondare l'apprendimento consiste nel fornire suggerimenti o chiavi, in modo da facilitare il ricordo di ciò che si è appreso. Si tratta di un modo molto efficace di rintracciare il dato esatto, soprattutto quando il suggerimento contiene esplicitamente la parola da ricordare.
Tale effetto, denominato della specificità di codificazione, forma il nucleo dell'approccio sviluppato da E. Tulving, che interpreta il recupero come l'evocazione di una traccia mnestica in risposta alla presentazione di un suo frammento (Tulving-Thomson 1973). Se l'effetto del contesto è particolarmente significativo quando esso è esplicitamente incorporato nell'apprendimento, anche effetti contestuali casuali possono rivestire un ruolo importante.
d) Livelli di elaborazione. Se è generalmente riconosciuto che ogni sistema di apprendimento deve essere capace di codificare, immagazzinare e recuperare le informazioni, è importante tenere presente il fatto che queste tre fasi sono così strettamente correlate fra loro che spesso è difficile, se non addirittura impossibile, separare la loro azione nella pratica, come dimostra il cosiddetto effetto dei livelli di elaborazione. F.I.M. Craik e R.S. Lockhart (1972) hanno ipotizzato che la permanenza dell'apprendimento sia direttamente in funzione della ricchezza o dell'approfondimento della codificazione del materiale durante l'apprendimento stesso. Le differenze di codificazione hanno effetto sulla permanenza della traccia mnestica, cioè sulla componente di immagazzinamento dell'apprendimento, e il meccanismo per il quale tale effetto si verifica quasi certamente coinvolge la maggiore possibilità di recupero della traccia semantica più ricca. Simili conclusioni non contrastano l'utilità di distinguere le fasi di codificazione, immagazzinamento e recupero, ma mettono in guardia da interpretazioni troppo semplicistiche di effetti particolari in termini di dipendenza da una singola fase.
2.
Se quello esplicito, per mezzo della memoria episodica, è l'aspetto più studiato dell'apprendimento umano, esso non è assolutamente l'unico. Studi su pazienti amnesici con importanti danni alla memoria episodica hanno mostrato che essi sono capaci di apprendere in maniera comparativamente normale un'ampia gamma di attività; i soggetti possono mostrare di aver appreso senza dover ricordare l'esperienza di apprendimento o il suo contenuto. Più che chiedere al soggetto di richiamare o di riconoscere un'esperienza precedente (Squire 1992), i paradigmi impliciti, quindi, traggono la prova dell'avvenuto apprendimento da miglioramenti nell'esecuzione di attività affrontate in precedenza. Nel caso di pazienti amnesici questi miglioramenti si verificano nello stesso tempo in cui i pazienti negano di essersi mai cimentati in quella attività. L'apprendimento implicito rientra nelle seguenti aree principali.
a) Condizionamento associativo. Durante i suoi esperimenti sulla salivazione dei cani, I.P. Pavlov osservò che se la somministrazione del cibo era costantemente preceduta dal suono di un campanello il cane imparava a salivare in risposta al solo campanello (v. sopra). Pazienti amnesici mostrano una reazione condizionata di battito delle ciglia: quando un suono è seguito regolarmente da un soffio d'aria nell'occhio che causa un battito delle ciglia, il suono da solo causa il battito delle ciglia, anche se il paziente non è in grado di ricordare gli esperimenti precedenti o di spiegare l'azione del dispositivo.
b) Condizionamento affettivo. Si tende a considerare meno attraenti le cose con cui non si ha familiarità. Per es., in un esperimento condotto negli Stati Uniti, a un gruppo di studenti fu fatta ascoltare una serie di melodie coreane: inizialmente le giudicarono spiacevoli, ma quanto più l'ascolto fu ripetuto, tanto più crebbe l'indice di gradimento. Un effetto del tutto analogo è stato riscontrato in pazienti amnesici, nonostante la loro incapacità di ricordare di aver mai sentito quelle melodie.
c) Apprendimento procedurale. Alcune abilità, come quelle coinvolte nell'andare in bicicletta o nel suonare il piano o nel leggere uno scritto allo specchio, sono tutte apparentemente apprese da pazienti amnesici allo stesso livello di soggetti con memoria episodica normale.
d) Facilitazione. Il termine facilitazione si riferisce all'incremento di rapidità di elaborazione percettiva di un elemento quando esso è stato incontrato precedentemente. Per es., se a un soggetto che ha appena letto un elenco di parole contenente il vocabolo 'metallo' si chiede di completare la parola 'me...', sostituendo delle lettere ai puntini, è più probabile che scelga 'metallo' piuttosto che un'altra parola non presente nell'elenco. L'effetto di facilitazione non viene accentuato da una codificazione più ricca e approfondita, processo che invece migliora decisivamente l'apprendimento esplicito. Viceversa l'effetto di facilitazione tende a essere sensibile alle caratteristiche fisiche della situazione, per es., se la parola la prima volta venga letta o ascoltata, fattori che al contrario esplicano un'influenza ridotta sull'apprendimento esplicito.
Gli esempi esaminati di apprendimento implicito si basano prevalentemente sul caso di pazienti amnesici. Tuttavia, numerosi studi hanno dimostrato che la dissociazione fra apprendimento esplicito e implicito si verifica anche in soggetti normali. L'apprendimento esplicito dipende in larga misura dall'approfondimento dell'elaborazione e dalla quantità di attenzione rivolta al materiale durante l'apprendimento ed è fortemente influenzato da fattori quali la pregnanza di significato del materiale e la sua compatibilità con la conoscenza preesistente; è invece relativamente indifferente che il materiale venga presentato in una modalità sensoriale, per es. in stampa, o in un'altra, per es. verbalmente.
Viceversa, l'apprendimento implicito tende a essere meno influenzato dall'attenzione prestata dal soggetto e meno sensibile alle varianti semantiche, ma fortemente dipendente dalle caratteristiche fisiche dell'apprendimento e delle situazioni di recupero. Conseguentemente, la presentazione verbale di una parola ne faciliterà il riconoscimento quando essa venga pronunciata, ma avrà un effetto minore sulla capacità di riconoscerla in forma scritta.
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