Abstract
L’apprendistato è un contratto di lavoro subordinato volto a coniugare la prestazione lavorativa con la formazione del lavoratore. Il presente contributo illustra sinteticamente l’evoluzione della sua disciplina, dà conto del dibattito dottrinale in merito alla sua classificazione quale contratto di lavoro “a causa mista”, pone in evidenza le principali questioni interpretative e si sofferma, da ultimo, sulla più recente normativa (artt. 41-47 del d.lgs. 15.6.2015, n. 81), mettendone in evidenza l’apporto alla costruzione di un “sistema educativo di tipo duale”.
L’apprendistato è un istituto volto a favorire la preparazione professionale dei giovani nella fase di inserimento nel mondo del lavoro, coniugando, mediante un nesso indissolubile, lavoro e formazione. L’apprendistato può vantare una lunga e consolidata tradizione, avendo attraversato diverse epoche della vita economica e sociale dell’Europa: elemento cardine del sistema corporativo medioevale (Arias, G., La corporazione nell’economia italiana del medioevo, I, Firenze, 1936, 34 ss; Quef, P., Histoire de l’apprentissage, Paris, 1964, 19 ss.; Giovannelli, G., Disegno storico del rapporto di tirocinio in Italia, in Dir. lav., 1957, I, 250 ss.), ha conosciuto una seconda giovinezza nella fase di industrializzazione dei Paesi europei (Gayler, J.L., Industrial law, London, 1955, 33 ss.; Rudan, M., Il contratto di tirocinio, Milano, 1966, 36 e ss.) e si dimostra, anche nell’epoca cd. post-industriale, ancora dotato di grande vitalità al punto da essere oggetto di attenzione e promozione da parte dell’Unione europea e dei singoli Stati aderenti (v. Commissione europea, Documento su “Alleanza europea per l’apprendistato”, Bruxelles, 20.12.2009).
Se la finalità principale è rimasta inalterata, sono profondamente mutate nel corso dei secoli, in raccordo con l’evoluzione della legislazione sociale e del lavoro, le disposizioni che regolano il contratto di lavoro ed in particolare l’intreccio tra formazione e lavoro. A partire dalla seconda metà del secolo scorso, la diffusione nei sistemi educativi europei del cd. “modello duale” (cioè della facoltà concessa agli studenti di proseguire gli studi, dopo aver assolto l’obbligo scolastico, in alternanza tra studio e lavoro mediante percorsi di apprendistato, per il raggiungimento dei diversi titoli previsti dall’ordinamento), ha progressivamente ridisegnato la parte formativa dell’apprendistato. Nelle realtà che per prime hanno adottato questo impianto (Germania, Austria, Francia, Olanda, Danimarca) l’istituto è divenuto parte integrante del sistema educativo (o di segmenti di esso): di conseguenza l’attività di lavoro è stata sempre più intrecciata, oltre che con la formazione sul lavoro, con la frequenza di percorsi professionali, scolastici o universitari all’esterno dell’azienda (v. ISFOL, Modelli di apprendistato in Europa, Roma, 2012).
Nel 1938, con notevole ritardo rispetto ad altri Paesi europei, è stata approvata la prima disciplina organica dell’apprendistato (v. R.d.l. 21.9.1938, n. 1906, convertito in l. 2.6.1939, n. 739). Nel provvedimento l’attività di lavoro è accompagnata dall’addestramento in azienda e dalla formazione teorica acquisita mediante la frequenza di corsi professionali extra-aziendali.
Le “sobrie norme” dedicate dal Codice civile al tema (artt. 2130-2134), non apportano modifiche di rilievo a questo quadro normativo (Giovanelli, G., op. cit., 263 ss.; Rudan, M., op. cit. , 49). L’unica norma del codice civile valorizzata dalla dottrina è l’art. 2134 che espressamente dichiara applicabili all’apprendistato le disposizioni relative ai contratti di lavoro subordinato in quanto compatibili con la specialità del rapporto e non derogate da leggi speciali (Sala Chiri, M., Il tirocinio, Commento agli artt. 2130-2134 c.c., Milano, 1992, 17 e ss). La lettura coordinata della legge sull’apprendistato e della normativa codicistica consente di superare definitivamente le incertezze in merito alla natura del contratto in esame; come afferma autorevole dottrina, i caratteri del lavoro e della formazione emergono infatti con pari importanza (Barassi, L., Il contratto di lavoro, Milano, 1949, II, 322).
A metà degli anni Cinquanta la l. 19.1.1955, n. 25 (presto modificata dalla l. 8.7.1956, n. 706) sostituisce integralmente la disciplina del 1938 riconfermando però le finalità dell’istituto: portare ad una qualifica professionale i giovani rientranti nella fascia da 14 a 20 anni. Il rapporto tra lavoro e formazione è regolato senza scostamenti significativi rispetto all’impianto descritto in precedenza ma con maggiore dettaglio e puntualità (in specie a seguito del regolamento di esecuzione approvato con d.P.R. 30.12.1956, n. 1668). La dottrina ha apprezzato, in particolare, la minuziosa regolamentazione delle attività formative (Rudan, M., op. cit., 16 ss.): il datore di lavoro è obbligato ad impartire od a far impartire l’insegnamento necessario affinché l’apprendista assunto alle sue dipendenze possa conseguire la capacità tecnica per diventare lavoratore qualificato, è tenuto ad accordare all'apprendista, senza operare alcuna trattenuta sulla retribuzione (Retribuzione 1. Rapporto privato), i permessi occorrenti per la frequenza obbligatoria dei corsi di insegnamento complementare ed infine è chiamato a vigilare perché l'apprendista stesso adempia l'obbligo di tale frequenza.
Dalla successione dei provvedimenti citati emerge uno “speciale” contratto di lavoro la cui peculiarità è individuabile nel fatto che la prestazione di lavoro non viene scambiata, come nel rapporto tipico di lavoro subordinato, principalmente con la retribuzione ma anche con l’impegno dell’imprenditore a curare la formazione professionale del giovane lavoratore. Si può dunque affermare, con la dottrina prevalente, che l’apprendistato riassume in sé «la combinazione di elementi tipici di due diversi contratti: l’elemento “lavoro”, derivante dalla causa del negozio relativo, e l’elemento istruzione, proprio della causa del contratto di insegnamento» (Rudan, M., op. cit., 86 ss.). Questa impostazione ha portato a ricondurre l’apprendistato nella categoria dei contratti “a causa mista o complessa” (Napoletano, D., Il lavoro subordinato, 1955, 181 e 254; Balandi, G.G., La legge sull’occupazione giovanile, Milano, 1978, 50 e ss.; Ghezzi, G.-Romagnoli, U., Il rapporto di lavoro, Bologna, 1984, 137; Montuschi, Il tirocinio, in Trattato di diritto privato, XV, Torino, 1986, 293; in giurisprudenza v. Cass., 2.7.1987, n. 5777; Cass., 2.12.1983, n. 7227; Cass. 22.11.1978, n. 5479).
A bilanciamento degli obblighi formativi che ricadono sul datore di lavoro, la legge ha previsto la concessione di sgravi contributivi (v. art. 22).
Dopo il trasferimento alle Regioni delle competenze in materia di «istruzione professionale ed artigiana», avendo le Regioni deciso di non finanziare le attività corsuali extra-aziendali, si è aperta per l’apprendistato una lunga fase (dal 1972 al 1997) in cui la formazione è stata affidata al mero addestramento sul luogo di lavoro.
È solo a partire dalla metà degli anni Novanta che l’attenzione del legislatore è ritornata sull’istituto e sulle sue finalità formative. L’art. 16 della legge 24.6.1997, n. 196 ha ampliato l’ambito di applicazione (in particolare consentendo l’assunzione in apprendistato di giovani dai 16 ai 26 anni) e ha subordinato la concessione delle agevolazioni contributive alla partecipazione degli apprendisti alle attività di formazione esterna all'azienda previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro, attività normalmente pari ad almeno 120 ore medie annue. Ancor più incisivo l’intervento del d.lgs. 10.9.2003, n. 276: il legislatore delegato, cogliendo la complessità della condizione giovanile nella fase di transizione dalla scuola al lavoro e tentando di avvicinarsi ai modelli educativi di tipo duale descritti in precedenza, ha articolato l’apprendistato in tre tipi:
a) contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione; b) contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale;c) contratto di apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione.
Le ambiziose finalità del provvedimento sono state purtroppo ridimensionate da alcuni nodi relativi alla formazione dell’apprendista assunto con contratto di apprendistato professionalizzante. In primo luogo si è trascinato per lungo tempo un defatigante conflitto tra Stato e Regioni, incentrato sulla competenza relativa alla definizione dei “profili formativi” di tale tipo di apprendistato. La Corte ha costantemente ribadito che la disciplina dell'apprendistato è costituita da norme che attengono a materie per le quali sono stabilite competenze legislative di diversa attribuzione (esclusiva dello Stato ed esclusiva residuale delle Regioni). Sicché in tale contesto deve parlarsi di concorrenza di competenza e non di competenza ripartita o concorrente. Ne consegue che alla composizione delle interferenze si debba provvedere con strumenti attuativi del principio di leale collaborazione (v. C. cost., 13.1.2005, n. 50; C. cost., 4.12.2006, n. 406; C. cost., 6.12.2006, n. 425; C. cost., 22.1.2007, n. 21; C. cost., 24.1.2007, n. 24).
Inoltre, il d.lgs. n. 276/2003, ammettendo che la formazione potesse essere interna o esterna all’azienda, ha provocato incertezze nell’individuazione del soggetto responsabile della formazione (impresa o Regione). In proposito la Corte ha rilevato che, mentre la formazione da impartire all'interno delle aziende attiene precipuamente all'ordinamento civile, la disciplina di quella esterna rientra nella competenza regionale in materia di istruzione e formazione professionale, con interferenze però con altre materie, in particolare con l'istruzione, per la quale lo Stato ha varie attribuzioni: norme generali, determinazione dei principi fondamentali (v. C. cost., 7.7.2005, n. 279; C. cost., 13.7.2006, n. 286).
Nell’intento di superare i conflitti sopra indicati, nel 2011 si è giunti ad un’intesa in Conferenza Stato-Regioni e ad un Accordo tra Governo e parti sociali, i cui contenuti sono stati immediatamente ripresi nel d.lgs. 14.9.2011, n. 167. Al centro del provvedimento è stata posta una nuova disciplina dell’apprendistato professionalizzante, la cui finalità è stata identificata nel raggiungimento della qualifica contrattuale. Da ciò sono derivate due importanti scelte: da un lato è stata affidata esplicitamente al datore di lavoro la responsabilità della formazione professionalizzante, ridimensionando il ruolo delle Regioni/Province autonome (a cui è stato assegnato il compito di offrire percorsi integrativi di formazione, interna o esterna all’azienda, di base e trasversali per un monte ore complessivo non superiore a 120 ore nel triennio); dall’altro lato il decreto ha attribuito alla contrattazione collettiva compiti fondamentali per la definizione dei percorsi di formazione professionale (indicazione della qualificazione contrattuale da conseguire, durata della componente formativa del contratto, durata e modalità di erogazione della formazione professionalizzante e specialistica in funzione dei profili professionali stabiliti nei sistemi contrattuali di classificazione).
Nello stesso anno l’azione di sostegno all’apprendistato è stata rafforzata dall’art. 22 della l. 12.11.2011, n. 183 con cui si è proceduto al riordino degli sgravi contributivi e sono state destinate specifiche risorse al finanziamento delle attività formative (extra-aziendali) rivolte agli apprendisti, con priorità per quelle riguardanti la tipologia dell’apprendistato professionalizzante.
L’incessante ciclo di provvedimenti legislativi è proseguito con altri tre interventi in pochi anni: la l. 28.6.2012, n. 92, il d.l. 20.3.2014, n. 34 convertito in l. 16.5.2014, n. 78, e, infine, la riscrittura di tutte le disposizioni in materia nell’ambito dei decreti di riordino organico della disciplina dei contratti di lavoro e con l’abrogazione della disciplina previgente (v. artt. 41-47 e 55 del d.lgs. 15.6.2015, n. 81, l’art. 32 del d.lgs. 14.9.2015, n. 150, nonché l’art. 2 del d.lgs.14.9.2015, n. 148, in attuazione delle deleghe di cui alla l. 10.12.2014, n. 183).
La “riforma infinita” del contratto di apprendistato (Loffredo, A., La riforma dell’apprendistato: una riforma infinita, Padova, 2016), dovuta all’affannosa ricerca di un punto di equilibrio tra le finalità formative e le finalità occupazionali, ci consegna tre tipi di apprendistato; essi sono accomunati da uno zoccolo normativo comune su cui si innestano disposizioni differenziate in relazione alle peculiarità del tipo.
I tre tipi indicati dall’art. 41 del d.lgs. n. 81/2015 sono:
1) apprendistato professionalizzante;
2) apprendistato per l’acquisizione della qualifica professionale, del diploma professionale, del diploma di istruzione secondaria superiore e del certificato di specializzazione tecnica superiore;
3) apprendistato di alta formazione e di ricerca.
All’interno di questa tripartizione emerge, con sempre maggiore evidenza, la distinzione tra due filoni (Fagnoni, S.-Varesi, P.A., I contratti di apprendistato e la loro ulteriore differenziazione, Torino, 2016, 192 ss; Loffredo, A., op. cit., 39 ss):
- da un lato vi è l’apprendistato “professionalizzante”, erede della tradizione di quasi un secolo dell’apprendistato italiano; si caratterizza per essere rivolto (prevalentemente ma non solo, come vedremo) a giovani lavoratori che svolgono anche attività formative per il conseguimento di una qualificazione contrattuale a fini professionali;
- dall’altro lato possono essere collocati gli altri due apprendistati che danno corpo, invece, alla “via italiana al modello duale” (Bobba, L., Jobs Act: le novità dell’apprendistato, 2015; Garofalo, D., L’ennesima riforma dell’apprendistato, Bari, 2015, 345 ss), intesa come opportunità offerta a chi è interessato ad intraprendere un percorso di studio e di lavoro per acquisire, in alternanza tra formazione e lavoro, titoli del nostro sistema educativo. Per questo motivi nelle pagine seguenti questi due tipi di apprendistato verranno spesso accomunati sotto la dizione «apprendistati per l’acquisizione di un titolo di studio».
Quello che abbiamo definito “zoccolo normativo comune” è composto da importanti disposizioni che rappresentano il tessuto connettivo dell’istituto, a partire dalla definizione dello stesso. L’apprendistato è definito «contratto di lavoro a tempo indeterminato, finalizzato alla formazione ed alla occupazione dei giovani». Le finalità occupazionali e formative hanno dunque, in linea di principio, pari rilievo, anche se, come vedremo nelle pagine seguenti, sono perseguite mediante regole fortemente differenziate per tipo. Inoltre, in questa definizione trova conferma l’orientamento dottrinale che classifica l’apprendistato come “contratto a causa mista” (cioè basato sullo scambio tra prestazione lavorativa, da un lato, e retribuzione e formazione, dall’altro lato).
La definizione di contratto a tempo indeterminato è stata motivo di letture divergenti. Vi è chi ha inteso valorizzare questo elemento, interpretandolo come espressione della volontà del legislatore di «trasformare l’apprendistato da “contratto tipizzato” a mero “patto” inerente ad un contratto a tempo indeterminato, avente ad oggetto un periodo di formazione finalizzato al proseguimento (eventuale) del rapporto presso lo stesso datore di lavoro» (Carinci, F., E tu lavorerai come apprendista, in Quaderni Argomenti dir. lav., 2012, 55). È necessario però precisare che, nonostante la definizione sopra riportata, è riconosciuta alle parti la possibilità di sciogliere liberamente il rapporto al termine del periodo (formativo) di apprendistato (art. 42, co. 4). Ne consegue che la disciplina del recesso/licenziamento individuale nel contratto di apprendistato muta in relazione ai diversi periodi che vive il contratto: durante il periodo formativo si applica la disciplina comune (quella prevista per i contratti di lavoro subordinati a tempo indeterminato); al termine di tale periodo opera la libera recedibilità delle parti, ai sensi dell’art. 2118 c.c.; nel caso in cui le parti optino per la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il termine fissato per la formazione, ritorna ad applicarsi la disciplina restrittiva del potere di licenziamento. Tutto questo conferma la “specialità” di un contratto di lavoro che non assume “in toto” né le regole dei contratti a tempo indeterminato, né quelle dei contratti a tempo determinato. La definizione offertaci dal legislatore delegato va dunque letta nel suo insieme: l’apprendistato è un contratto di lavoro subordinato che, in ragione delle specifiche finalità formative ed occupazionali che lo caratterizzano, è assoggettato, su aspetti fondamentali del rapporto (tra cui il recesso) ad una disciplina del tutto peculiare.
La consapevolezza delle numerose e rilevanti norme che lo contraddistinguono da tutti gli altri contratti di lavoro fa apparire di scarso rilievo la disputa attorno alla definizione dell’apprendistato come contratto a tempo indeterminato. A maggior ragione ove si colgano anche gli aspetti di strumentalità insiti nella scelta del legislatore delegato. Da essa discendono alcuni vantaggi per il datore di lavoro quali, ad esempio, l’esonero dal contributo addizionale, pari all’1,4 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali, per il finanziamento dell’Assicurazione sociale per l’impiego (ora Naspi), dovuto per i rapporti di lavoro subordinato non a tempo indeterminato. Tale scelta è inoltre coerente con la sempre più ampia protezione sociale assicurata all’apprendista, in specie all’apprendista assunto con contratto “professionalizzante”, per quanto riguarda l’inclusione tra i potenziali beneficiari dei sostegni al reddito in caso di disoccupazione o di sospensione per cause economiche in costanza di rapporto di lavoro (v. infra, § 3.7).
Il d.lgs. n. 81/2015 ribadisce l’intento, già presente nel citato d.lgs. n. 167/2011, di ampliare il campo di applicazione dell’apprendistato; in tal modo il legislatore cerca di proiettare l’istituto ben oltre i tradizionali confini. L’apprendistato può essere utilizzato da tutti i datori di lavoro privati in tutti i settori, pur con limitazioni relative al numero massimo di apprendisti in rapporto al numero di lavoratori specializzati o qualificati in servizio presso il datore di lavoro (limitazioni comunque meno rigide per le imprese artigiane e per i piccoli datori di lavoro). Anche le agenzie di somministrazione possono assumere apprendisti (solo al fine di procedere alla somministrazione a tempo indeterminato), facendosi carico dell’assolvimento degli obblighi formativi e fornendo, dunque, un servizio aggiuntivo all’utilizzatore. A conferma della tendenza espansiva può essere segnalata la norma che include le Pubbliche Amministrazioni tra i datori di lavoro che possono assumere mediante apprendistato professionalizzante e apprendistato di alta formazione e di ricerca (v. art. 47, co. 6); invero l’attivazione di questa facoltà è subordinata all’emanazione di un apposito d.P.C.m. ad oggi non ancora emanato. Il d.lgs. in esame si muove nella stessa direzione laddove consente il ricorso all’apprendistato di alta formazione e di ricerca «per il praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche» (art. 45, co. 1). Ancor più interessanti sono le aperture sul fronte dei lavoratori assumibili. La disposizione che, in astratto, potrebbe avere gli effetti più rilevanti per la diffusione dell’istituto è quella che consente l’assunzione mediante contratto di apprendistato professionalizzante, senza limiti di età, dei lavoratori collocati in mobilità e dei beneficiari di trattamenti di disoccupazione al fine di consentire la loro qualificazione o riqualificazione professionale (art. 47, c. 4).
La disciplina del contratto di apprendistato è in parte stabilita direttamente dal legislatore (si veda la necessità della forma scritta e della predisposizione di un piano individuale di formazione, la durata minima prevista in sei mesi, la disciplina del licenziamento illegittimo durante lo svolgimento del rapporto e del recesso al termine del periodo di apprendistato); per altra parte è rinviata ad «accordi interconfederali ovvero a contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale». Le disposizioni della contrattazione collettiva devono però rispettare alcuni principi fissati dalla legge:
- divieto di retribuzione a cottimo;
- possibilità di stabilire un salario d’ingresso (vedi oltre la parte sugli incentivi);
- presenza di un tutore o referente aziendale;
- possibilità di finanziare la formazione aziendale da parte dei Fondi interprofessionali;
- possibilità di riconoscimento della qualificazione contrattuale e delle competenze acquisite ai fini del proseguimento degli studi;
- possibilità di prolungare il periodo di apprendistato in caso di malattia, infortunio o altra causa di sospensione involontaria del lavoro di durata superiore a trenta giorni;
- possibilità di definire forme e modalità per la conferma in servizio.
Il d.lgs. n. 81/2015 ribadisce l'essenziale funzione formativa dell'istituto pur articolandola, come vedremo meglio in seguito, in relazione ai diversi tipi, sia per quanto riguarda la durata che per quanto concerne i contenuti.
Nella disciplina in esame possono essere individuati due elementi comuni ai diversi tipi di apprendistato diretti ad assicurare, oltre alla semplificazione delle procedure, la qualità della formazione: è richiesta l’individuazione di un tutore aziendale e di un tutore formativo nonché la predisposizione di un piano formativo individuale (P.F.I.). Vi è una disposizione, invece, che pur essendo anch’essa finalizzata alla qualità del processo formativo, investe solo gli apprendistati per l’acquisizione di titoli di studio: sono ammessi a stipulare tali contratti solo i datori di lavoro in possesso di particolari requisiti tecnici ed organizzativi (v. in proposito l’art. 3 del d.i. 12.10.2015).
Il P.F.I. è volto a stabilire i contenuti e la struttura del percorso, gli obiettivi formativi da raggiungere nonché a specificare le modalità della formazione. Nell'apprendistato professionalizzante è il datore di lavoro che lo predispone; nell'apprendistato per l’acquisizione di titoli di studio il piano formativo individuale è predisposto, invece, dall'istituzione formativa «con il coinvolgimento dell'impresa» (art. 42, co. 1, 3° periodo) e ciò caratterizza questo tipo di apprendistato.
Nell'ottica della semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese, il legislatore ha disposto che esso venga redatto, nell’ambito del contratto individuale di lavoro, in forma sintetica e definito anche sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali (art. 42, co. 1).
Il percorso formativo può essere svolto all’esterno o all’interno dell'impresa. Nell’intento di potenziare l’offerta formativa aziendale e di alleggerire gli oneri economici che ricadono sul datore di lavoro, il decreto ammette che tale attività possa godere del sostegno dei fondi paritetici interprofessionali, anche mediante accordi con le Regioni (art. 42, co. 5, lett. d).
Il d.lgs. n. 81/2015 indica anche le sanzioni in caso di constatato inadempimento nell'erogazione della formazione a carico del datore di lavoro di cui egli sia esclusivamente responsabile e che assuma rilievo tale da impedire la realizzazione delle finalità formative delle diverse tipologie di apprendistato: il datore di lavoro è tenuto al pagamento della «differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale superiore che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100 per cento, con esclusione di qualsiasi sanzione per omessa contribuzione» (v. art. 47, co. 1). Si noti che, qualora il personale ispettivo del Ministero del lavoro rilevi un inadempimento nell’erogazione della formazione prevista nel piano formativo individuale, non irroga direttamente la sanzione; viene infatti adottato un provvedimento di “disposizione”, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. 23.4.2004, n. 124, mediante il quale si assegna al datore di lavoro un congruo termine per adempiere.
La normativa in esame non offre indicazioni in merito ad ulteriori possibili conseguenze a fronte di un grave inadempimento dell’obbligo formativo imputabile esclusivamente al datore di lavoro. Dottrina e giurisprudenza si sono chieste, se in tal caso vi siano gli estremi, in aggiunta alle sanzioni sopra indicate, anche per la riqualificazione del contratto di apprendistato in un normale contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con il conseguente riconoscimento al lavoratore, tra l’altro, della differenza tra le retribuzioni percepite e quelle relative al livello retributivo del lavoratore qualificato. A tale domanda si può dare risposta positiva. La Cassazione, infatti, ha ritenuto, con riferimento alla disciplina previgente (sul punto sostanzialmente identica), che al venir meno dell’essenziale attività formativa, debba essere rimessa al giudice di merito la ricostruzione degli elementi di fatto dai quali può anche emergere, sul piano del concreto atteggiarsi del rapporto, la sussistenza di un normale contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (v. Cass., 11.5.2002, n. 6987 e Cass., 5.11.2015, n. 22624; in dottrina v. Loffredo, A., Diritto alla formazione e lavoro. Realtà e retorica, Bari, 2012, 158 e ss). Sul punto vanno peraltro registrati orientamenti dottrinali che si discostano da questa ricostruzione e limitano le conseguenze del mancato adempimento dell’obbligo formativo alla perdita dei benefici economici e normativi (Bellocchi, P., Apprendistato e contratto di inserimento, in Pedrazzoli, M., a cura di, Il nuovo mercato del lavoro, Bologna, 2004, 529 e ss.; Vallebona, A., Apprendistato professionalizzante e parere di conformità degli enti bilaterali, in Guida lav., 2005, n. 41, 12 e ss ).
Si è già detto che, al fine di promuovere assunzioni mediante contratto di apprendistato, la legge riconosce ai datori di lavoro vantaggi economici e normativi.
Per quanto riguarda i vantaggi economici va innanzi tutto segnalato che, nel solco di una lunga tradizione, sono concessi sgravi contributivi.
Agli apprendisti si applica una contribuzione ridotta per tutta la durata dell’apprendistato (attualmente pari all’ 11,31 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali).
Al termine del periodo di apprendistato l’agevolazione contributiva viene riconosciuta anche per i dodici mesi successivi.
Inoltre, per il biennio 2017-2018, l’art. 1, co. 308-310, l. 11.12.2016, n. 232, ha introdotto un particolare regime agevolativo volto a sostenere la continuità occupazionale di coloro che sono giunti al termine di contratti di apprendistato per l’acquisizione di titoli di studio. Infatti, l’assunzione con contratto a tempo indeterminato – anche in apprendistato – di giovani che hanno svolto presso il medesimo datore di lavoro periodi di apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore o periodi di apprendistato di alta formazione e ricerca dà diritto al datore di lavoro di beneficiare dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali a suo carico per un periodo massimo di trentasei mesi, con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Inail, nel limite massimo di euro 3.250 su base annua. Questa agevolazione può essere ottenuta solo nel caso in cui il titolo di studio sia stato acquisito da non più di sei mesi.
Si è già fatto cenno alla facoltà riconosciuta alla contrattazione collettiva di prevedere una “retribuzione di ingresso”: è ammesso, infatti, il sotto-inquadramento dell'apprendista per non oltre due livelli “rispetto a quello spettante in applicazione del CCNL ai lavoratori addetti a mansioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al cui conseguimento è finalizzato il contratto”; in alternativa, il datore di lavoro può determinare la retribuzione in percentuale di quella spettante al lavoratore qualificato e proporzionata all’anzianità di servizio, sempre assumendo a riferimento quanto stabilito dal CCNL.
Esclusivamente nel caso di contratti di “apprendistato per l’acquisizione del titolo di studio” la retribuzione è determinata sulla base di una specifica disciplina (v. infra, § 7).
Sempre con riferimento agli incentivi economici, va segnalato che l’art. 32, co. 1, del d.lgs. n. 150/2015 come modificato dall’art. 1, co. 240, l. n. 232/2016, indica ulteriori benefici concessi, a titolo «sperimentale» fino al 31 dicembre 2017 per le assunzioni con contratto di apprendistato per l’acquisizione di titoli di studio. In tal caso:
- non trova applicazione il contributo di licenziamento di cui all'art. 2, co. 31 e 32, della l. n. 92/2012;
- l'aliquota contributiva è ridotta al 5 per cento della retribuzione imponibile ai fini previdenziali;
- è riconosciuto anche lo sgravio dei contributi a carico del datore di lavoro per il finanziamento dell'Aspi (ora Naspi) e della formazione professionale (0,30 per cento, previsto dall'art. 25 della l. 21.12.1978, n. 845).
Quanto agli “incentivi normativi”, è da segnalare l’esclusione degli apprendisti dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative ed istituti (ad esclusione delle ipotesi previste dagli artt. 12, 20, 26 e 29 del d.lgs. n. 148/2015, riguardanti la disciplina delle integrazioni salariali).
In sintonia con quanto previsto dall’art. 2134 c.c., il contratto di apprendistato offre un’ampia protezione in materia di previdenza ed assistenza sociale obbligatoria, ormai molto simile a quella tradizionalmente operante in favore dei lavoratori subordinati. Più in dettaglio, agli apprendisti si applicano le forme di protezione sociale riguardanti:
a) l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
b) l’assicurazione contro le malattie l’invalidità e la vecchiaia;
c) l’assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia;
d) la maternità;
e) l’assegno familiare;
f) l’assicurazione sociale per l’impiego (la nuova forma di indennità di disoccupazione ora denominata Naspi).
Inoltre, l’art. 2 del d.lgs. n. 148/2015 estende ai soli apprendisti assunti con contratto professionalizzante l’intervento della cassa integrazione guadagni o, al di fuori dell’ambito di applicazione della cassa integrazione, l’accesso ai sostegni previsti dai Fondi di solidarietà.
Nell’ambito dei tre tipi di apprendistato quello che fino ad ora ha suscitato l’interesse prevalente dei datori di lavoro è l’apprendistato professionalizzante. Questo contratto di lavoro può essere utilizzato in tutti i settori di attività ed è volto in primo luogo a favorire l’assunzione di giovani dai 18 ai 29 anni al fine di consentire loro di raggiungere una qualificazione professionale valida ai fini contrattuali (l’età minima può essere abbassata a 17 anni se il lavoratore è già in possesso di una qualifica professionale ai sensi del d.lgs. n. 226/2005). È di particolare interesse il fatto che questo tipo di apprendistato può essere impiegato anche per l’assunzione dei lavoratori beneficiari dell’indennità di mobilità o di altro trattamento di disoccupazione, senza i limiti di età sopra indicati, ai fini della loro qualificazione o riqualificazione.
L’ampliamento del potenziale bacino di utenza è bilanciato, nel caso di assunzioni mediante apprendistato professionalizzante, dalla norma del decreto legislativo che, con riferimento esclusivo ai datori di lavoro che occupano almeno 50 dipendenti, subordina la facoltà di effettuare tali assunzioni alla stabilizzazione di almeno il 20 per cento degli apprendisti assunti nei 36 mesi precedenti. Lo stesso decreto consente però ai contratti collettivi nazionali di lavoro di individuare limiti diversi da quelli sopra indicati.
La durata dell’apprendistato e le modalità di erogazione della formazione sono definite dalla contrattazione collettiva. La durata deve comunque essere racchiusa entro il limite minimo di sei mesi ed il limite massimo di tre anni (salvo per particolari figure del settore artigiano, per le quali il limite massimo è stabilito in cinque anni).
La formazione di tipo professionalizzante, svolta sotto la responsabilità del datore di lavoro, è integrata dalla offerta formativa pubblica per l’acquisizione di competenze di base o trasversali. Quest’ultima, organizzata dalle Regioni, non può comunque impegnare il lavoratore per un monte ore complessivo superiore a 120 ore nel triennio. L’offerta di formazione pubblica deve essere comunicata dalla Regione al datore di lavoro entro 45 giorni dalla comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro. In assenza di questa comunicazione il datore di lavoro non può essere considerato inadempiente agli obblighi formativi. Si noti che, per i datori di lavoro che svolgono le loro attività in cicli stagionali, i contratti collettivi nazionali di lavoro possono prevedere specifiche modalità di svolgimento del contratto di apprendistato, anche a tempo determinato.
Come anticipato, questo tipo di apprendistato è finalizzato all’acquisizione di un titolo di studio (nel caso in esame la qualifica, il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore o il certificato di specializzazione tecnica superiore); ciò incide significativamente sulla sua disciplina, fortemente caratterizzata.
Il contratto di apprendistato in esame può essere utilizzato in tutti i settori per l’assunzione di giovani dai 15 ai 25 anni.
La durata dell’apprendistato varia in considerazione del titolo di studio da conseguire è di norma stabilita in tre anni (quattro anni nel caso di diploma professionale, di diploma di scuola secondaria superiore). È concessa al datore di lavoro la facoltà di prorogare il contratto per un ulteriore anno nel caso in cui ciò si renda necessario per il completamento del percorso formativo e per consentire l’acquisizione del titolo.
Il datore di lavoro che intende assumere un giovane mediante questo tipo di contratto di apprendistato, deve sottoscrivere un protocollo con l’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto. In tale documento sono definiti, tra l’altro, il contenuto e la durata degli obblighi formativi del datore di lavoro. Come anticipato, il Piano formativo individuale è redatto dall’istituzione formativa o scolastica di riferimento con il coinvolgimento dell’impresa.
L’attività di lavoro e formativa svolta dall’apprendista risulta divisa in tre parti, a cui corrispondono diverse discipline per quanto attiene alla retribuzione:
- vi sono ore di lavoro, retribuite sulla base di quanto stabilito dal contratto collettivo applicato;
- vi sono ore di formazione formale interna all’azienda (da intendersi come attività formativa a carico del datore di lavoro da svolgersi secondo quanto previsto dall’art. 2, co. 1, lett. b), del d.lgs. 16.1.2013, n. 13; salvo diverse disposizioni della contrattazione collettiva queste ore sono retribuite in misura non inferiore al 10 per cento di quanto previsto per la normale attività lavorativa;
- vi sono, infine, ore di formazione esterna all’azienda svolte presso l’istituzione formativa o scolastica. Si tratta di un’attività formativa corposa la cui durata in ore è rapportata all’orario ordinamentale dei diversi percorsi (ad esempio, per i percorsi svolti nell’ambito del sistema regionale di istruzione e formazione professionale non può superare il 60 per cento, per il secondo anno, ed il 50 per cento, per il terzo e quarto anno, dell’orario ordinamentale pari a 990 ore annue). Fatte salve diverse previsioni dei contratti collettivi, per queste ore il datore di lavoro è esonerato da ogni obbligo retributivo.
L’incardinamento dell’apprendistato per l’acquisizione di titoli di studio del sistema educativo non impedisce l’ulteriore prosecuzione del rapporto di lavoro con lo stesso datore con un contratto di apprendistato di tipo professionalizzante. Infatti, successivamente all’acquisizione della qualifica o del diploma professionale o del diploma di istruzione secondaria superiore è possibile la trasformazione del contratto in apprendistato professionalizzante, per conseguire la qualificazione professionale a fini contrattuali. In questa ipotesi, l’indicazione della durata massima complessiva dei due periodi di apprendistato è demandata alla contrattazione collettiva.
Nell’ambito dell’apprendistato per l’acquisizione di titoli di studio, il legislatore delegato disciplina anche il contratto di apprendistato di alta formazione e di ricerca finalizzato al conseguimento di titoli universitari e dell’alta formazione (ad es. lauree, dottorati di ricerca) e di diplomi degli Istituti tecnici superiori. Può essere inoltre finalizzato allo svolgimento di attività di ricerca e per lo svolgimento del praticantato per l’accesso alle professioni ordinistiche.
Esso può essere utilizzato in tutti i settori di attività, pubblici o privati, per l’assunzione di giovani tra i 18 ed i 29 anni in possesso di diploma di istruzione secondaria superiore (o in possesso di un certificato di specializzazione tecnica superiore o del diploma di maturità professionale).
Conformemente a quanto già descritto in precedenza, nell’illustrazione della disciplina dell’altro contratto per l’acquisizione di titoli di studio (v. infra, § 5), il datore di lavoro che intende assumere un giovane mediante il contratto di apprendistato in esame deve sottoscrivere un protocollo con l’istituzione formativa a cui lo studente è iscritto o con l’ente di ricerca. In tale documento sono definite la durata e le modalità della formazione a carico del datore di lavoro. Il suddetto protocollo deve anche indicare anche i crediti formativi riconoscibili a ciascun studente per la formazione svolta a cura del datore di lavoro, in ragione del numero di ore di formazione. Considerato il ruolo centrale affidato ala istituzione formativa, anche in questo tipo di apprendistato il Piano formativo individuale è redatto dall’istituzione formativa di riferimento con il coinvolgimento dell’impresa. La formazione esterna svolta nell’istituzione formativa (usualmente l’Università) non può, di norma, essere superiore al 60 per cento dell’orario ordinamentale.
La regolamentazione e la durata del periodo di apprendistato in esame sono rimesse alle Regioni e Province autonome, sentite le parti sociali. In assenza di tali regolamentazioni, l’attivazione dell’apprendistato di alta formazione e di ricerca è disciplinata da quanto previsto dal citato d.i. 12.10.2015.
La retribuzione spettante al giovane assunto mediante contratto di apprendistato di alta formazione o di ricerca è disciplinata con regole identiche a quelle descritte in precedenza al § 5 (è prevista la retribuzione contrattuale per le ore di lavoro, mentre, fatte salve diverse disposizioni della contrattazione collettiva, la retribuzione è ridotta al 10 per cento per le ore di formazione aziendale ed è previsto l’esonero da ogni obbligo retributivo per le ore di formazione esterna).
La “bipartizione” dell’apprendistato a cui si è fatto cenno nell’introduzione (v. supra, § 3.1) è stata accolta anche dalla dottrina più critica con il provvedimento in esame (Loffredo, A., op. cit., 39 ss). Alla luce di questa distinzione si può sostenere che gli “apprendistati per l’acquisizione di titoli di studio” sono contratti di lavoro rivolti a studenti-lavoratori che accompagnano il loro percorso di studi con attività di formazione e lavoro in azienda; l’apprendistato professionalizzante è destinato, invece, a chi, nello svolgimento di un’attività lavorativa, intende accrescere o affinare le proprie competenze professionali.
Questa distinzione ha indotto il legislatore delegato a compiere un ulteriore passo nella direzione dell’alleggerimento degli oneri connessi alla formazione del lavoratore nel caso di “apprendistati per l’acquisizione di titoli di studio”, direzione invero già intrapresa nel 2014 (v. co. 2-ter, dell'art. 3, del d.lgs. n. 167/2011, come modificato dall'art. 2, co. 1, lett. b), d.l. 20.3.2014, n. 34, conv. con mod. dalla l. 16.5.2014, n. 78). Come anticipato, le nuove norme (artt. 43, co. 7 e 45, co. 3 del d.lgs. n. 81/2015) consentono al datore di lavoro, salvo diversa previsione della contrattazione collettiva, di non retribuire le ore di formazione svolte dall’apprendista presso l'istituzione formativa competente e di retribuire in misura ridotta l’attività, di lavoro o formazione, svolta in azienda (a commento v. Loffredo, A., op. cit., 2016, 50 ss; Lassandari, A., L’apprendistato, Torino, 2016, 244 ss; Garofalo, D., op. cit., 357 ss; Fagnoni, S.-Varesi, P.A., op. cit., 224 ss).
In sintesi, è possibile affermare che, laddove l’apprendistato sviluppa in massima misura finalità formative adottando gli schemi del “modello duale” (e ciò avviene tipicamente nell’apprendistato per l’acquisizione di titoli di studio), il legislatore delegato ritiene opportuno prevedere che la retribuzione sia corrisposta solo per le ore di lavoro e per le ore di formazione formale in azienda, prevedendo peraltro, per queste ultime, una retribuzione ridotta.
Non è retribuito, invece, il tempo dedicato dallo studente-lavoratore alla formazione presso le istituzioni formative riconosciute (si tratta di sette tipi di istituzioni individuate dall’art. 2 del d.i. 12.10.2015). Questo indirizzo di politica legislativa può però essere mitigato o contraddetto dalla contrattazione collettiva.
L’assenza di retribuzione durante le ore trascorse dallo studente/lavoratore presso l’istituzione formativa necessita di inquadramento sistematico. A questo fine è stata avanzata l’ipotesi che il contratto di lavoro in esame sia sottoposto, durante il periodo di formazione extra-aziendale, alla contemporanea sospensione delle principali prestazioni corrispettive (lavoro e retribuzione), mutuando lo schema previsto dal legislatore in occasione della collocazione in cassa integrazione dei lavoratori. Nel caso dell’apprendistato del primo e del terzo tipo la ragione che giustifica tale sospensione è rinvenibile nella volontà del legislatore di favorire l’acquisizione di un titolo di studio, in attuazione degli artt. 34 e 35, co. 2, Cost. (Fagnoni, S.-Varesi, P.A., op. cit., 224 ss). Ne consegue che, pur in presenza di un rapporto di lavoro di apprendistato a tempo pieno, la retribuzione, salvo diverse disposizioni della contrattazione collettiva, sarà dovuta solo per l’attività di lavoro e per l’attività di formazione formale svolta in ambito aziendale.
Alla luce di queste considerazioni può essere affrontato il problema della quantificazione dell’importo della retribuzione spettante all’apprendista per l’attività svolta in azienda. In proposito gli artt. 42, co. 5, lett. b), 43, co. 7 e 45, co. 3, formano un mosaico che richiede un ulteriore approfondimento; il compenso relativo all’attività svolta in azienda va distinto, infatti, tra la retribuzione dovuta per le ore di lavoro e la retribuzione relativa alle ore destinate alla “formazione interna”.
La prima è stabilita, ai sensi dell’art. 42, co. 5, lett. b), dalla contrattazione collettiva che può ricorrere, in alternativa, all’inquadramento inferiore (per un massimo di due livelli) rispetto a quello spettante ai lavoratori addetti a mansioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al cui conseguimento è preordinato il contratto di apprendistato oppure alla percentualizzazione della retribuzione spettante al lavoratore in possesso della qualificazione anzidetta; l’attività di formazione formale svolta in azienda, invece, è retribuita in misura minima pari al 10 per cento di quanto stabilito per le ore di lavoro, sempre fatte salve diverse previsioni dei contratti collettivi. Questa interpretazione trova conferma anche nei primi accordi sindacali applicativi dell’art. 43 del d.lgs. in esame (v. Accordo Interconfederale Confindustria-CGIL/CISL/UIL 18.5.2016 e Accordo interconfederale del 4.3.2016 Associazioni lombarde dei datori di lavoro artigiani e CGIL/CISL/UIL Lombardia per la disciplina dell’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale nel settore artigiano).
Artt. 2130-2134 c.c.; Art. 22, l. 12.11.2011, n. 183; Artt. 41-47 e art. 55 d.lgs. 15.6.2015, n. 81; Art. 32 d.lgs. 14.9.2015, n. 150; Art. 2 d.lgs. 14.9.2015, n. 148.
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