apprezzare
Il vocabolo è usato nel senso figurato di " pregiare, stimare cosa o persona per le sue qualità e il suo valore " ampiamente attestato, nei testi antichi, accanto a quello proprio di " valutare ", " fissare il prezzo ", in Pd V 21 Lo maggior don che Dio per sua larghezza / fesse... / e quel ch'e' più apprezza, / fu de la volontà la libertate. In Pg XXIV 34 Ma come fa chi guarda e poi s'apprezza / più d'un che d'altro, fei a quel da Lucca, / che più parea di me aver contezza, il Petrocchi è ritornato alla lezione s'apprezza, già prescelta dal Casella, contro si prezza della '21, largamente accolta negli incunaboli, e contro fa prezza (deverbale da ‛ prezzare ', analogamente a " fare stima "; cfr. Parodi, in " Bull. " III [1896] 118), di cui però il Tommaseo reperiva questa sola citazione, e che appariva piuttosto nata da facile lettura di f per s. Voci di largo uso erano, invece, si prezza e s'apprezza; per il secondo; il Petrocchi rinvia alla spiegazione che il Tommaseo dà di " apprezzarsi d'una cosa ", e cioè " apprezzare sé stesso a titolo di quella, compiacersene con più o meno vanto ", a proposito di B. Castiglione Cortegiano III II " sonomi dilettato di saper quali siano in queste cose i modi di che essi più s'apprezzano " (ed. Cian, Firenze 1947, 299 e nota 40), che la Crusca spiega " pregiarsi, stimarsi, vantarsi ". Nel passo dantesco, il verbo appare più decisamente un intransitivo pronominale, come l'analogo si prezzi di Rime CII 18 cotanto del mio mal par che si prezzi, / quanto legno di mar che non lieva onda, col senso di " fa stima ", " dà pregio (in relazione a sé) "; sono comunque sostanzialmente accettabili le interpretazioni (che si riferiscono, però, alla lezione si prezza) del Casini-Barbi (" si compiace ") e del Sapegno (" fa conto, mostra di stimare ").