approdare
Il verbo appare in due luoghi della Commedia, uno dei quali particolarmente d'interpretazione controversa. Alcuni ammettono la derivazione da ‛ proda ' (per il Buti " approdare è alla ripa arrivare e venire ") e accettano il significato di " accostarsi ", " approssimarsi ", " giungere in porto "; altri fanno derivare la voce da ‛ prode ', " interesse ", " utile ", e danno al termine il senso di " giovare ", " recare utilità ".
In If XXI 78 Tutti gridaron: " Vada Malacoda! "; / per ch'un si mosse - e li altri stetter fermi - / e venne a lui dicendo: " Che li approda? ": " quid prodest isti id quod petit, scilicet quod unus veniat qui audiat eum? quasi dicat: nihil ... ergo bene: che gli monta, che gli vale perch'io vada? " (Benvenuto); " Che gli sarà mai a pro, a prode, il parlare per salvarsi da' diavoli? Che gli fa venire quaggiù? " (Tommaseo), interpretazione seguita dalla maggioranza dei commentatori moderni. In Pg XIII 67 E come a li orbi non approda il sole, / così a l'ombre quivi, ond'io parlo ora, / luce del ciel di sé largir non vole: per il Lana, l'Ottimo, Benvenuto, e, tra i moderni, Blanc, Scartazzini, Mattalia, il verbo vale " giovare "; per il Buti la luce del sole " non s'approssima, imperò che non la possano vedere, e così non ne pigliano diletto né consolazione "; anche il Tommaseo, il Casini, il Chimenz ecc. accettano quest'ultima interpretazione, che sembra essere più aderente al contesto.