APROSIO, Angelico (al secolo Ludovico), detto il Ventimiglia
Nacque a Ventimiglia il 29 ott. 1607, da Marco e Petronilla Aprosio. Compiuti i quindici anni, contro "il desiderio dei suoi volle vestire l'abito degli eremitani di S. Agostino, mutando il nome di battesimo, Ludovico, in quello di Angelico, per rinnovare la memoria dello zio, p. Angelico Aprosio, che era morto negli agostiniani nel 1618. Trascorse tre anni a Genova per il noviziato; quindi passò nel convento di Siena, dove rimase sei anni (1626-32), intrecciando i primi contatti letterari. Quando scoppiò la polemica sull'Adone, originata dalla pubblicazione dell'Occhiale di T. Stigliani (1627), l'A. si schierò immediatamente tra i difensori dei Cavalier Marino; ma l'opera allora composta e intitolata La Sferza poetica, restò per molti anni ancora inedita. Fu mandato poi come lettore di filosofia a Monte San Savino (1632-34), dove si legò in stretta amicizia con P. F. Minozzi, per il quale curò la stampa delle Libidini dell'Ingegno, sotto il suo nome primitivo di Ludovico. Rientrato a Genova nel 1634 per disposizione del suo Ordine, vi si trattenne fino al 1637, anelando a ripartirne. Nominato infatti priore del convento di Chiavari nonostante la sua giovane età, preferì rifiutare l'incarico per tornare di nuovo in Toscana. Ma giunto a Pisa, v'incontrò il confratello N. Campiglia, che si recava a Treviso, e lo seguì in quella città. Questa predisposizione a cambiar continuamente di luogo e l'insofferenza a costrizioni ed ordini furono già da contemporanei dell'A. segnalati come tratti dominanti del suo carattere, che fin da questi primi anni di attività si rivela non poco bizzarro ed originale. Durante il viaggio di trasferimento i due religiosi fecero tappa a Firenze e a Bologna, dove l'A. ebbe modo di conoscere personalmente i letterati più famosi: l'Adimari, il Buonmattei, I. Gaddi e Udeno Nisieli; il Benamati e l'Achillini. Il 7 luglio 1637 giunsero a Treviso, dove l'A. pubblicò il suo primo libro, ancora in polemica con lo Stigliani: Il Vaglio critico di Masoto Galistonida Terama sopra il "Mondo Nuovo" del cav. Tomaso Stigliani da Matera, in Rostock per Vuillelmo Vuallop, 1637 (in realtà, Treviso, per G. Righettini).
Dopo un soggiorno a Treviso di circa due anni, il priore del convento I. Venza da Feltre, che andava a prendere possesso della sua nuova sede nel convento di Feltre, lo volle con sé; l'A. poi si trasferì con lui nel convento dell'isola di Lesina quando il Venza fu nominato vicario generale della Congregazione di Dalmazia. In ambedue i posti l'A. si trovò malissimo. Dopo quattro mesi di soggiorno a Lesina, dei quali diede una comica descrizione nella sua Biblioteca,egli praticamente ne fuggì, arrivando dopo dodici giorni di cattiva navigazione a Venezia. Preceduto com'era dalla fama della sua indole non troppo accomodante, l'A. non trovò facilmente una sistemazione che lo soddisfacesse. Dopo essere stato ospitato nel convento di S. Stefano, passò in quello di S. Cristoforo a Murano; poi, nella quaresima del '40 si recò a predicare nel Trevigiano; quindi ottenne di entrare nel convento di Chioggia, e vi stette fino alla Pasqua del 1641. Solo allora rientrò a Venezia, dove rimase sette anni, che sono tra i più fecondi della sua vita.
L'A. era già allora in relazione con L. Mancini, G. Scioppio, L. Allacci, il Gronovio; tra i letterati veneziani praticava soprattutto G. F. Loredano e Pietro Michiele, autore di quell'Arte degli Amanti, canzoniere amoroso, che l'A., superando con molta disinvoltura gli scrupoli moralistici, pubblicò nel 1642 con un copioso commento erudito (Annotazioni di Oldauro Scioppio All'Arte degli Amanti dell'Illustriss. Sig. Pietro Michiele Nobile Veneto, Venezia 1642). Ma la parte più importante della produzione aprosiana è rappresentata anche qui dalle opere antistiglianesche. L'A., infatti, proseguì con slancio e talvolta con acredine la polemica intrapresa anni prima con Il Vaglio critico, sebbene essa rischiasse di apparire ormai anacronistica e attardata. Il Vaglio critico era stato pubblicato sotto il finto nome di Masoto Galistoni da Terama, il quale altro non è che l'anagranuna di Tommaso Stigliani da Matera: con ciò l'A. aveva voluto dire che lo Stigliani si confutava da sé solo, ed infatti egli usa molte delle considerazioni dello stesso Occhiale per criticare il Mondo Nuovo dello Stigliani. Secondo lo Stigliani, l'A. stesso avrebbe finto una risposta a quest'opera con il volumetto intitolato Il Molino, nel quale si sarebbe celato sotto il nome di Carlo Stigliani figliuolo dello stesso Tommaso, per poter di nuovo rispondere e rincarar la dose con Il Buratto, Replica di Carlo Galistoni al "Molino" del Sig. Carlo Stigliani, Venezia 1642, nel quale lo pseudonimo ha la stessa funzione polemica che nell'opera precedente (Carlo Galistoni = Carlo Stigliani, che si confuta con i suoi stessi argomenti), e il titolo si spiega pensando che, come il padre di Carlo Galistoni, Masoto, aveva fatto Il Vaglio, e il figlio dello Stigliani Il Molino, così egli, per cavar farina dalla crusca, si era servito del Buratto. Altre opere legate a questa polemica sono L'Occhiale Stritolato di Scipio Glareano, per risposta al Sig. Cav. Tommaso Stigliani, Venezia 1641, nella quale l'A. esamina e difende i primi tre canti dell'Adone (buona parte di quest'opera fu poi inserita nel Buratto); La Sferza Poetica di Sapricio Saprici, lo Scantonato Accademico Eteroclito, per risposta alla prima censura dell'"Adone" del Cav. Marino, fatta dal Cav. Tommaso Stigliani, Venezia 1643, scritta a Pisa fra il '29 e il '30, forse la più impegnata e documentata fra tutte, divisa in ventisette capitoli come l'Occhiale dello Stigliani, che controbatte punto per punto; Il Veratro, Apologia di Sapricio Saprici per risposta alla seconda censura dell'Adone del Cav. Marino fatta dal Cav. Tommaso Stigliani, I, Venezia 1647; II, Venezia 1645.
La posizione dell'A. nella polemica sull'Adone è di difesa ortodossa e totale del barocco o, per meglio dire, del marinismo. Analogamente a G. Aleandro, autore della nota Difesa dell'Adone, egli si pone di fronte alla figura e alle opere del Marino in un atteggiamento di completa accettazione, tanto è vero che anche le caute critiche dei letterati moderato-barocchi gli sembrano da rifiutare; la difesa del Villani è, ad esempio, per lui troppo cauta e remissiva. Neanche gli sembra accettabile la formula dell'Errico, secondo la quale l'Adone poteva considerarsi "poema amoroso", ché per lui esso è propriamente poema epico. Egli afferma che "la dottrina dello Stigliani è un puntino di vero vestito con un'infinità di bugie"; che l'Adone "ha delle imperfezioni, ma le critiche dell'Occhiale sono più che altro suggerite da invidia e da livore"; che il Mondo Nuovo viceversa è "poema che l'Adone supera in quella guisa di Saul col popolo ebreo". L'A. è ossequiente alle regole, ai precetti, ai principi di autorità, che utilizza però in chiave nettamente barocca, cioè modema; sembra qua e là opporsi al contenutismo erudito di alcuni critici dell'Adone, ma questa reazione, come è stato giustamente scritto, "non è però da sopravvalutare, un po, perché l'A. si lascia Poi trascinare nelle dispute che condanna e un po' perché le questioni poetiche, le "opposizioni da poeta" si riducono per lui ad osservazioni regolistiche, di lingua, di proprietà, di fedeltà a miti, invece che a verità filosofiche ecc., a una esattezza cioè diversa dalla scientifica, ma non per questo libera dal contenutismo secentesco" (F. Croce); per cui non ci si può stupire che sia lui stesso ad usare spesso gli strumenti della sua immensa erudizione per coonestare le ardite invenzioni metaforiche del Ahmo, citando esempi di esse negli autori antichi più famosi. In sostanza, nessuna posizione critica veramente originale esce da questa abbondante produzione polemica dell'A., della quale bisognerà invece segnalare il piglio sicuro e talora convincente, la disinvoltura delle batture e degli schemi, la divertente bizzarria.
Sempre a Venezia l'A. fu impegnato in un'altra polemica, questa volta di costume e di moralità. Nel 1638 era apparsa di F. Buoninsegni una Satira Menippea contro il lusso donnesco, componimento mediocre elaborato sulla scia di una lunga tradizione di luoghi comuni, viva ancora nel Seicento. Ad essa rispose una monaca veneziana, A. Tarabotti, con un'Antisatira in risposta al lusso donnesco, Satira Menippea del Sig. Francesco Buoninsegni, Venezia 1644 (insieme con essa venne ristampata l'operetta dei Buoninsegni). L'A., a mano a mano che l'Antisatira della Tarabotti si veniva stampando, conosciutala per una compiacenza dell'editore, scriveva una replica, La Maschera scoperta di Filofilo Misoponero, che però non poté essere pubblicata per mene segrete della monaca. L'opera, allora, fu ripresa e notevolmente ampliata dal PA., che ne fece in un certo modo un trattato in generale contro la moda, la vanità, i vizi, e poté pubblicarla coi titolo: Lo Scudo di Rinaldo, ovvero lo Specchio dei disinganno, opera di Scipio Glareano, Venezia 1642. L'A. vi si occupa, con intento tra pedantesco e satirico, dei più vari argomenti attinenti il costume delle donne; nei capitoli VII e VIII, si domanda, ad esempio, se le donne siano atte alle armi e alle lettere, e conclude negativamente la sua indagine; nel capitolo VI pone il problema, "quale peccato fosse maggiore, o quello di Adamo o quello di Eva"; altrove estende la sua indagine alle usanze degli uomini, e in particolare degli ecclesiastici, fino a scendere ai particolari più minuti, come quello, che occupa un intero capitolo, "della barba in riguardo ai religiosi; se sia meglio il lassarla crescere, o podarla, o tosarla qui, pettine, o raderla in tutto o in parte". In quest'opera, insomma, noi cominciamo a trovare quella bizzarra commistione di minuta erudizione e di spiriti arguti, parodistici e satirici, che è forse il tratto più caratteristico del nostro smttore, e che ritroveremo m maniera ancor più accentuata in altri suoi componimenti successivi.Nel 1647 l'A. fu convinto dal nobile genovese Giuliano Spinola, del cui figlio era istitutore, a rientrare a Genova, dietro promessa di pagamento delle spese di trasporto della già allora cospicua biblioteca del frate. Lo Spinola curò inoltre che venisse rapidamente pubblicata la seconda parte del Veratro, la quale finì per apparire, proprio per l'intervento del munifico signore, quando la prima parte era ancora sotto i torchi.
Nel 1648 l'A. cominciò a far pratiche perché la sua biblioteca fosse ospitata nel convento di Ventimiglia, e le proseguì, tra varie opposizioni, anche quando fu vicario generale della Congregazione genovese.
Già nel 1653 la biblioteca fu riconosciuta con breve di Innocenzo X. Quando nel 1654 l'A. lasciò la carica, essa divenne la sua cura prevalente e costante: riuscì a far ampliare il convento, perché la sua sede fosse più degna e appropriata, e ne aumentò sempre di più la dotazione. Il numero dei volumi raccolti, nel periodo di maggior ricchezza, oscilla, nelle testimonianze dello stesso A., tra i sette e i dodici mila. La biblioteca subì una forte decurtazione nel 1798, quando dalla Repubblica ligure fu soppresso l'Ordine agostiniano: molti volumi furono trasferiti a Genova presso la costituenda Biblioteca nazionale, tra cui le raccolte manoscritte delle lettere dell'Aprosio.
In quest'ultimo periodo della sua vita l'A. approfondisce particolarmente gli studi eruditi, valendosi delle sue sterminate letture e della sua enorme cerchia di amicizie letterarie. Ai nomi già citati dei suoi più attivi corrispondenti, vanno aggiunti ora quelli del Naudé e dei Lambecio, del Redi e del Dati, del Marchetti e dell'Errico, del Van den Brocke e del Gronovio, dei cardinali L. de' Medici e G. Mazzarino; e soprattutto di A. Magliabechi, con il quale l'A. scambiò informazioni preziose per la cura e l'accrescimento delle rispettive biblioteche, e di A. Muscettola, del quale l'A. pubblicò la tragedia La Belisa,Lovano 1664 (in realtà Genova), facendola precedere da uno studio intitolato Le bellezze della Belisa.IlMuscettola lo mise poi m contatto con gli ambienti culturali meridionali, facendogli conoscere, almeno epistolarmente, il Battista, il Crasso, lo Staibano, il Teodoro, il Celano, il Cuppone, ecc.
Frutto di questo ampio commercio culturale e delle letture assidue compiute dall'A. in diretto rapporto con l'arricchùnento della sua biblioteca fu l'opera La Biblioteca Aprosiana, passatempo autunnale di Cornelio Aspasio Antivikilmi tra' Vagabondi di Tabbia detto l'Aggirato, Bologna 1673.
È, un minuziosissimo, anche se non molto vasto repertorio, di cui la prima parte contiene diverse particolarità della vita dell'A. stesso e la seconda un indice alfabetico, ordinato secondo i nomi propri, di quegli autori che gli avevano fatto dono di qualche libro, con il titolo intero di questo, e molte notizie sulla vita e le opere dello scrittore in questione. L'opera, che avrebbe dovuto essere continuata. non contiene in effetti che le prime tre lettera dell'alfabeto. Ci troviamo di fronte, in queste Biblioteca,all'erudizione accademica dell'A., estremamente ricca e minuziosa, ma anche pedantesca e asistematica, soffocante, sproporzionata, il più delle volte fine a se stessa. D'altra parte, il campo abbastanza ristretto su cui essa si esercita, toglie molto interesse al materiale qui raccolto, anche se l'informazione appare generalmente accurata e precisa.
In un'altra opera ci pare di poter meglio ravvisare il genio vero dell'A., sempre ai confini della bizzarria e del paradosso, e precisamente in quella intitolata in modo molto significativo La Grillaia, Curiosità erudite di Scipio Glareano, Napoli 1668, dedicata al Muscettola, che ne curò ed ottenne la pubblicazione, nonostante l'opposizione della censura ecclesiastica (altra ed., Bologna 1673, molto mutilata). La qualità degli argomenti trattati può esser intesa immediatamente dal contenuto di alcuni fra i molti "grilli" che compongono l'opera: il primo, ad esempio, si occupa della "generatione di prole Maschile, ò Feminile, come intesa dalla Natura. Se sia meglio generar Maschi, ò Femine. Ricetta per hauer Maschi"; il secondo "della moltitudine de' Pazzi: e se vi sia rimedio per la pazzia"; il trentaquattresimo, "se sia vero che tra due litiganti il terzo goda"; altri, "se senza ber vino si possa poetare con Eccellenza" e "se gli Eunuchi possano essere adulteri". Di fronte ad un materiale di questo genere, il lettore moderno potrebbe cedere facilmente alla tentazione di vedere un intenzionale spirito parodistico e in un certo senso autocritico, là dove invece non c'è altro che la superfetazione seriosa di quello spirito grettamente erudito, di cui troviamo il volto accademìco, ufficiale, nella Biblioteca:manifestazione dunque anche questa di una cultura fratesca, intimamente pedante e supefficiale anche negli atteggiamenti di scherzo, più che libera manifestazione fantastica di parodia e riso su elementi di un trito sapere. Nondimeno, la bizzarria dell'A. è autentica, e il gusto lievemente monomaniaco con cui egli affastella citazioni dalla Bìbbia, dai Vangeli, dai Padri della Chiesa, dagli autori classici, dagli italiani di tutti i secoli e dai contemporanei, per appoggiare le sue futili dimostrazioni, ha una sua punta di originalità, che, qualunque sia il giudizio da dare sulla consapevolezza dell'autore in merito alla scherzosità dell'insieme, riesce talvolta a divertire e far sorridere ancora oggi.
L'A. morì il 23 febbr. 1681 di febbre terzana. Era stato iscritto alle Accademie degli Incogniti di Venezia, dei Geniali di Codogno, degli Ansiosi di Gubbio, degli Apatisti di Firenze, dei Vagabondi di Taggia, degli Infecondi di Roma.
Altre opere e pubblicazioni dell'A.: Sermoni di tutte le Domeniche, e Festività dei Santi, che occorrono nell'Avvento del. Signore, fino alla Purificazione della Vergine, disposti in varie rivoluzioni morali, per opera del P. Agostino Osorio Provinciale ne, Regni della Corona d'Aragona, trasportati dalla Spagnuola nell'Italiana favella da Oldauro Scioppio, Venezia 1643; Della Patria di A. Persio Flacco, Dissertazione di Lodovico Aprosio Accademico Incognito di Venezia, Genova 1664; Le Vigilie del Capricorno, note tumultuarie di Paolo Genari da Scio, Accademico Incognito di Venezia, ecc. all' "Epistole eroiche", poesie del famosissimo ed eruditissimo Lorenzo Crasso, Avvocato napoletano, Venezia 1667 e 1678; La Visiera Alzata, Hecatoste di Scrittori, che vaghi d'andare in Maschera fuor del tempo di Carnovale sono scoperti da Gio' Pietro Giacomo Villani, Senese Accademico Humorista Infecondo Geniale ecc. Passatempo canicolare, Parma 1689 (si dà notizia di cento scrittori, che si sono serviti di nomi finti; fu dal Magliabechi, cui era stato dedicata, pubblicata postuma).
Bibl.: La fonte più importante per la conoscenza della vita dell'A. è la prima parte della sua Biblioteca, dalla quale i biografi successivi poco si discostano. Ci limitiamo perciò a segnalare solo le voci biografiche più importanti: D. A. Gandolfo, Fiori poetici dell'eremo agostiiniano, Genova 1682, cc. 46 p. 221; L. Crasso, Elogi d'uomini letterati, II, Venezia 1666, pp. 238 ss.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, I, 2, Brescia 1753, pp. 887-896; G. B. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, V, Genova 1858, pp. 5-12; G. Rossi, Storia della città di Ventimiglia ,Torino1859, pp. 227-231. Più ambiziosi i saggi di C. Micellone, P. A. A. Contributo alla storia letteraria e culturale del sec. XVII., estr. dall'Annuario d. R. Liceo Ginnasio G. D. Cassini per l'anno scolastico 1926-27, Sanremo1927, e di F. Noberasco, P. A. A., in Atti d. R. Deput. di storia Patria per la Liguria, Sezione di Savona, XVII (1935), pp. 215-232, privi però ambedue di un giudizio criticopreciso. Suquestioni particolari e sulle polemiche dell'A .hanno scritto: V. Grossi, Il P. A A. da Ventimiglia e la sua biblioteca, in Riv. ligure di scienze e lettere, Oneglia1869; A. Neri, Alcune librerie in Firenze nel Seicento, in La Rass. naz., V, vol. XII (1883), pp. 527-536; Id., Intorno a due libri curiosi del sec. XVII. Note bibliografiche. I; Il vero autore dell'Alcibiade fanciullo a scola s. II. La prima edizione de "La Grillaia", in Giorn. stor. d. letter. ital., XII (1888), pp. 227-232; F. Corcos, Appunti sulle Polemiche suscitate dall'"Adone" di G. B. Marino, Cagliari 1893, pp. 13-16; Id., Il lusso donnesco e una contesa letteraria nel 600, in Il Pensiero italiano, XIV (1895), fasc.54, pp. 141-155; A. Belloni, Il seicento, Milano s. d.[ma1899], pp. 426-429 e passim; U. Tria, D. Antonio Muscettola duca di Spezzano e il P. A. A. da Ventimiglia, Napoli s. d.[ma 1898]; G. Manacorda, Dai carteggi Allacciani. Note bibliografiche, in La Bibliofilia, III(1901-1902), pp. 213-231, 298-300, 382-387; IV (1902-1903), pp. 37-42, 157-167, 242-249; E. Mele, Opere del Gracián e d'altri autori spagnuoli fra le mani del P. Casalicchio, in Giorn. stor. d. letter. ital., LXXXII(1923), p. 74; F. Picco, in La Rassegna, XXXVI(1928), pp. 53 s. Cenni in B. Croce, Storia dell'età barocca in Italia, Bari 1957, pp. 165, 218; Saggi sulla letteratura italiana del Seicento. Bari 1948, pp. 144, 407; Nuovi saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1931, pp. 176, 229, 230, 250, 251. Sintetico ma esauriente e preciso il giudizio di F. Croce sull'A. polemista, Giambattista Marino, in I classici italiani nella storia della critica, II, Firenze 1955, pp. 51 s.