APULIA et CALABRIA
Con questa denominazione viene indicata la Regio II nella suddivisione augustea dell'Italia antica (Plin., Nat. hist., II, 11, 103). Essa comprendeva un territorio molto più ampio dell'attuale Puglia, includendo anche parti della Basilicata, della Campania e del Molise.
È evidente che l'organizzazione augustea rispettava molto sommariamente la dislocazione storica delle antiche popolazioni che avevano occupato e ancora occupavano il vasto territorio compreso nella Regio II. In esso, senza dubbio, il nucleo più compatto e consistente era formato dalle popolazioni iapigie, articolate ormai in due soli raggruppamenti: Apuli e Calabri, con l'assorbimento nell'ambito dei secondi anche del municipio di Tarentum. Malamente distribuiti tra la Regio II e le altre regiones contigue, risultavano invece i Lucani, gli Irpini, i Frentani. Dell'antica denominazione della regione, Ίαττυγία, restava solo, probabilmente, una labile traccia nel termine latino Apulia, così trasformato attraverso un precedente assorbimento della cultura osca, avvenuto nella parte più settentrionale della regione e mai diffusosi, ufficialmente, a S dell'antica Peucezia. Come questo, così anche gli altri due termini tradizionali, indicanti la parte settentrionale e quella meridionale della Puglia, Daunia e Messapia, dovevano essere caduti del tutto in disuso, in età augustea. Per la Messapia, infatti, erano stati adottati i nomi dei due gruppi etnici più resistenti all'occupazione romana, i Salentini e i Calabri, prevalendo poi questi ultimi nella terminologia ufficiale.
A questa notevole eterogeneità etnica corrisponde un analogo miscuglio di culture, accentuato ancor più dagli spostamenti di popoli e dai mutamenti verificatisi in questa ampia porzione di Italia meridionale, nel corso di numerosi secoli, a partire dalla media Età del Bronzo e per tutto il primo millennio a.C. In un arco cronologico così ampio si sono succedute diverse culture con differenti articolazioni territoriali.
Partendo da una notevole omogeneità culturale, corrispondente all'Appenninico e al Subappenninico della media e tarda Età del Bronzo, in cui si inseriscono elementi della civiltà micenea, si passa, durante il c.d. Bronzo Finale (XII-X sec. a.C.), a una prima frammentazione che prelude alla nuova situazione culturale propria dell'Età del Ferro la quale persisterà senza mutamenti rilevanti, nell'area pugliese, fino all'età romana. In particolare, nella prima Età del Ferro si assiste alla fioritura della civiltà iapigia, che interessa, con aspetti abbastanza uniformi, l'intera Puglia. Verso il confine occidentale, lungo la valle del Bradano, si sviluppa una cultura abbastanza affine alla precedente, quella enotria. L'alta Irpinia è interessata dalla cultura del tipo Oliveto-Cairano, mentre la valle caudina rientra nell'area culturale campana delle tombe a fossa del tipo Cuma-Torre Galli. Nell'età arcaica si definiscono meglio e si articolano gli aspetti culturali già avviati nel periodo precedente.
La civiltà iapigia della Puglia si differenzia, con manifestazioni affini, ma non identiche, nelle tre regioni storiche: Daunia, Peucezia e Messapia. Le ultime due, e specialmente la Messapia, risentono del forte influsso culturale proveniente dalle colonie greche del golfo di Taranto, soprattutto Metaponto e Taranto. Nell'ambito della civiltà daunia rientra ancora pienamente, in questo periodo, l'area melfitana, mentre un più autonomo sviluppo, se pure non privo di influssi daunî, si osserva nei centri dell'alta Irpinia e nell'area frentana. Aspetti culturali diversi e propri mostra, invece, l'area caudina che risente maggiormente degli influssi provenienti dalla costa campana.
Nel corso del V sec. e soprattutto nel IV, avvengono i principali mutamenti, sia nell'assetto etnico, sia, di conseguenza, in quello culturale. Il moto di espansione delle genti di stirpe sabellica dalle sedi interne, appenniniche, verso le coste sia del Tirreno sia dell'Adriatico, apporta ampie trasformazioni in tutta l'area qui esaminata. La Puglia settentrionale interna vede pericolosamente intaccato il proprio territorio e la propria cultura dalla pressione dei Sanniti, riscontrabile nel settore nordoccidentale (Teanum Apulum, Luceria) e nell'area melfitana, che già intorno alla metà del V sec. sembra aver perduto gran parte del precedente carattere daunio. D'altra parte dal settore meridionale della regione avanza verso Ν un decisivo influsso culturale ellenico, proveniente soprattutto da Taranto. Inoltre, a partire dagli ultimi decenni del IV sec. a.C., si assiste all'arrivo e all'occupazione stabile da parte dei Romani di una porzione del territorio daunio, prima attraverso le alleanze con Arpi, Tiati e Canusium, quindi con la deduzione della colonia latina di Lucera (315 o 314 a.C.) e più tardi (291 a.C.) con quella di Venusia, tra la Puglia e la Lucania. Da questo momento e da quest'area prende inizio il processo di romanizzazione dell'intera regione, che si fonde con l'ormai diffusa cultura ellenistica. Il processo di integrazione nel mondo romano delle culture e dei popoli preesistenti subisce una svolta decisiva in seguito alla Guerra Sociale (89 a.C.). Da quel momento tendono a scomparire completamente le differenze culturali tra le diverse aree comprese nell'ambito geografico della futura Regio II, cosicché appaiono accomunati gli Apuli e i Calabri della Puglia propria, i Lucani e gli Irpini delle zone appenniniche, infine i Sanniti Frentani, compresi tra i fiumi Fortore e Biferno.
Età del Bronzo. Cominciando dall'estrema punta del Salento si devono ricordare gli scavi condotti a Porto Cesareo (Lecce), in località Scala di Fumo, che hanno messo in luce un villaggio dell'Età del Bronzo comprendente numerose capanne, caratterizzate dalla presenza di ceramiche d'impasto associate con frammenti micenei, documentati senza soluzione di continuità dal periodo III A al III C2. Ugualmente nella penisola salentina, ma sul versante adriatico, a Punta Le Terrare (Brindisi), sono state svolte intense ricerche che hanno messo in luce una fitta successione di strati relativi all'insediamento dell'Età del Bronzo. Sono stati evidenziati numerosi fondi di capanne con battuti pavimentali argillosi, sovrapposti a strati di cocciame, messi in relazione ai caratteristici potsherdpavements presenti in ambiente mesoelladico e a Troia I-II. Nell'area occupata dalle capanne sono stati messi in luce anche piccoli forni utilizzati per la cottura dei vasi d'impasto. Accanto alla ceramica indigena di tipo appenninico si ritrova ampiamente ceramica micenea d'importazione. Fondamentali punti di riferimento cronologico sono forniti dall'associazione di ceramica d'impasto del Protoappenninico Β con ceramica del Miceneo I-II (1500-1425 a.C.) e, successivamente, di ceramica tipicamente appenninica con frammenti del Miceneo III A e III Β (1425-1300 a.C.). Proseguendo più a N, lungo la costa adriatica, si deve almeno accennare ai saggi eseguiti nell'ambito della città vecchia di Bari (v.), dove era già nota, dagli inizî del secolo, la presenza di una stazione dell'Età del Bronzo. Un'ulteriore prova degli intensi rapporti esistenti tra le popolazioni indigene di cultura appenninica e subappenninica e il mondo miceneo è data dai risultati degli scavi effettuati a Trani, sulla penisoletta di S. Maria in Colonna. Al di sopra degli strati più profondi, riferibili alle fasi più antiche dell'Età del Bronzo, è stato messo in luce un insediamento appenninico, formato da capanne a pianta circolare contenenti frammenti di ceramica d'impasto associati ad altri d'importazione, assegnabili al Miceneo III Β e III C.
Passando al bacino dell'Ofanto vanno menzionati gli scavi di Madonna di Ripalta (Cerignola), sulla sponda settentrionale del fiume. Vi è stata individuata la presenza di un insediamento che dura ininterrotto dalla media Età del Bronzo alla prima Età del Ferro e che ha dato abbondante ceramica d'impasto di tipo appenninico, subappenninico, protovillanoviano e figulina dipinta di stile protogeometrico iapigio. Risalendo il corso dell'Ofanto, in area melfese, sulla collina di Toppo d'Aguzzo (Potenza), sono state condotte ricerche sistematiche che hanno evidenziato la presenza di un insediamento perdurante dall'inizio del Bronzo Medio sino alla fine del Bronzo Recente, momento in cui si verifica una distruzione violenta dell'abitato subappenninico, al quale si sovrappone un insediamento orientato in maniera del tutto diversa e nel cui ambito sono presenti ceramiche d'impasto di tipo protovillanoviano e ceramiche dipinte protogeometriche iapigie. All'abitato subappenninico sono riconducibili, invece, alcuni frammenti del Miceneo III C. I ritrovamenti più significativi sono avvenuti nei primi anni '80, allorché sono state messe in luce tre tombe monumentali, dominanti sull'acropoli, secondo un'ideologia nota per l'ambiente egeo, ma del tutto inattesa in ambito appenninico. Il primo ipogeo aveva una pianta piuttosto complessa con un lungo dròmos che conduceva a una piccola cella «a forno». Tale complesso era stato, però, manomesso e riutilizzato per sepolture di età romana. Soltanto in alcuni punti sono stati individuati i livelli originari, contenenti materiale riferibile al Protoappenninico B. La seconda tomba, costituita da una grande fossa, conteneva materiale dello stesso orizzonte culturale. La terza tomba, la più imponente e conservata, era costituita da un dròmos che portava in una vasta cella rettangolare, in cui sono state rinvenute undici inumazioni in posizione distesa, con un ricco corredo comprendente perle di pasta vitrea, osso e ambra, nonché bronzi, tra i quali eccellono alcune spade di tipo egeo. Nella stessa tomba sono stati recuperati frammenti di vasi ascrivibili al Miceneo III Β o III Ci.
Ritornando sulla costa adriatica e procedendo verso N, un'altra località di grande interesse per questo periodo storico è quella di Coppa Nevigata (Manfredonia, Foggia), dove l'Istituto di Paletnologia dell'Università di Roma ha condotto numerose campagne di scavo. L'insediamento della media Età del Bronzo appariva difeso da un imponente muro di cinta, formato da pietrame e spesso m 5,60. All'interno sono stati messi in luce alcuni fondi di capanne con materiali riferibili alla cultura appenninica. Su questo strato si sovrapponevano i livelli subappeninici, in cui erano presenti anche frammenti di ceramica micenea del periodo III C.
Dalla prima Età del Ferro al periodo ellenistico. - Le intense ricerche effettuate nel Salerno, soprattutto nell'ultimo decennio, hanno rivelato un'enorme quantità di dati relativi agli abitati e ai luoghi di culto degli antichi Messapi, con una continuità ininterrotta dalla prima Età del Ferro a tutta l'età arcaica e oltre. L'insediamento indigeno (iapigio) di Porto Saturo, sulla costa a S di Taranto, la cui distruzione improvvisa è stata messa in rapporto con l'arrivo dei coloni spartani verso la fine dell'VIII sec. a.C., trova ora numerosi e più concreti riscontri, oltre che negli scarsi resti individuati a Taranto stessa, negli insediamenti di Cavallino, Otranto, Vaste, Porto Cesareo, in provincia di Lecce, nei quali, accanto alla ceramica indigena, il c.d. Geometrico iapigio, appare sempre più presente ceramica di importazione dalla Grecia, presumibilmente da Corinto, riferibile all'intero arco dell'VIII sec. a.C. e quindi a una fase di rapporti in parte ancora precoloniali tra la Grecia e l'Occidente. Tra i luoghi di culto messapici, risalenti all'età arcaica, si possono ricordare quello di Porto Cesareo, dedicato a una divinità indigena, Thana e quello di S. Maria di Leuca, dove è attestato il culto di Batios trasformato nelle tarde iscrizioni romane in Iuppiter Batius. Un carattere diverso, puramente ellenico presenta un altro straordinario luogo di culto (fonte della ninfa Satyria) quello scoperto a Porto Saturo, rientrante ormai nel territorio della colonia spartana.
Un carattere simile al santuario di Porto Saturo mostra quello individuato a Monte Papalucio, poco al di fuori dell'abitato messapico di Oria. Infatti i depositi arcaici sono contrassegnati dalla presenza di figurine fittili, che rappresentano una dea con pòlos in trono di tipo tarantino. Anche la ceramica è rappresentata da vasi attici a figure nere e rosse, nonché da una produzione, forse tarantina, imitante prototipi corinzî e ionici, presenti in gran numero anche a Porto Saturo e nella stipe tarantina del Pizzone. La fondazione del santuario sembra risalire alla metà del VI sec. a.C., contemporaneamente, cioè, alla concentrazione dei varî nuclei di abitati sparsi nel territorio sulla collina dell'acropoli di Oria, che ha dato, fra l'altro, recentemente, chiari segni di un'impronta fortemente ellenica che, se ampliati e confermati, la collegherebbe al contemporaneo impianto urbano di Cavallino, finora isolato nell'ambito dei centri indigeni della Messapia. Il santuario di Monte Papalucio sembra essere stato abbandonato nei primi decenni del V sec. per essere di nuovo frequentato soltanto a partire dalla seconda metà del IV sec. a.C.
Trattando dell'area urbana di Taranto, una particolare considerazione merita, tra le innumerevoli scoperte casuali, l'aver individuato, in località Pizzone, il sito della celebre stipe pertinente al culto di Persefone, dalla quale molti materiali erano stati portati, alla fine del secolo scorso, nel Museo Nazionale di Napoli. Gli scavi stratigrafici (1975) nel sito del santuario hanno consentito di individuare l'esistenza di due strati ben distinti anche cronologicamente: quello inferiore va dalla fine del VII al pieno VI sec. a.C., quello superiore dal V alla metà del IV sec. a.C. Fra le terrecotte figurate si riconoscono, in successione cronologica, quelle di stile tardo-dedalico, dorico e altre che risentono dell'influsso ionico. Tra la ceramica è abbondante quella corinzia, sia d'importazione sia d'imitazione locale, quella laconica, quella attica a figure nere e rosse e innumerevoli vasetti miniaturistici acromi, così come si osserva nel santuario di Porto Saturo. Sul fondo di uno skyphos arcaico era graffita l'iscrizione sinistrorsa ΓΑΙΑ, che conferma l'appartenenza della stipe a un santuario delle divinità ctonie: Kore-Persefone, Gaia. Terrecotte più recenti rappresentano il busto di Demetra, caratterizzato dalla fiaccola a quattro bracci e dal maialino sacrificale.
Alcuni saggi verso l'estremità orientale delle città antica hanno chiarito la struttura delle fortificazioni urbane in quel punto e confermato l'esistenza di un grande fossato che le recingeva all'esterno. Ma la quantità più imponente di documentazione è stata fornita dalla necropoli, i cui materiali meritano ormai un riesame generale e un'edizione sistematica.
Alle ricche tombe gentilizie tarantine si può collegare una sepoltura rinvenuta nel 1970 all'estremità del Salento, a Ugento, località ben nota per la scoperta della statua di bronzo dello Zeus stilita, conservata ora nel Museo di Taranto. La tomba, che rispecchia il grado di profonda ellenizzazione raggiunto dalle aristocrazie indigene, era formata da una cassa di lastre calcaree, stuccate e dipinte all'interno. Essa conteneva i corredi di due deposizioni successive: la prima della seconda metà del VI sec. a.C., la seconda assegnabile tra la fine del V e l'inizio del IV sec. a.C. Del corredo più antico facevano parte un'oinochòe rodia di bronzo, una hydrìa, pure di bronzo, probabilmente corinzia, un bacino su tripode, un'oinochòe baccellata con ansa antropomorfa, un alàbastron di alabastro. Il secondo corredo comprendeva, fra l'altro, una lèkythos e una hydrìa attiche a figure rosse, vasi protoitalioti a figure rosse e vasi attici e protoitalioti a vernice nera.
Passando nella Peucezia, il sito più intensamente e più regolarmente esplorato è quello di Monte Sannace (Gioia del Colle, Bari). Gli scavi dell'acropoli (1978-1985) hanno messo in luce un settore primario dell'antico centro indigeno, con una documentazione che va dalle capanne della prima Età del Ferro al periodo tardo-ellenistico. Dal villaggio capannicolo si passa a una prima sistemazione «preurbana», con la costruzione di due grandi edifici, certamente a carattere pubblico, in blocchi squadrati, che delimitano ambienti regolari coperti da tetti di tegole, decorati, in un caso, da terrecotte policrome di tipo magnogreco. A questa prima fase ellenizzante proveniente, probabilmente, dalla non lontana Taranto, succede, a partire dalla metà del IV sec. a.C., una generale strutturazione urbanistica dell'acropoli, che segna la nascita del centro urbano. Contemporaneamente vengono costruite le mura di cinta, mentre sull'acropoli si riorganizzano e si delimitano gli spazi disponibili e si creano numerosi edifici, cui si aggiungono monumentali tombe a semicamera, costruite in blocchi e intonacate e dipinte all'interno. Nel corso del III sec. si assiste a una nuova fase edilizia, in seguito alla quale l'acropoli viene occupata da sontuose abitazioni private che sembrano modificare radicalmente il carattere sacro e pubblico della precedente organizzazione. Le vicende successive, compresa la parentesi della guerra annibalica che distrugge gran parte della città bassa, sono evidenziate da un'imponente domus sita al centro dell'acropoli, la quale mostra una prima fase di decadenza e di trasformazione delle strutture in senso utilitario nel corso del II sec. a.C., per giungere alla sua definitiva distruzione nei primi decenni del I sec. a.C., allorché dall'intero centro di Monte Sannace sembra scomparire qualsiasi traccia di vita organizzata. Nell'area murgiana sono state condotte regolari campagne di scavo nei centri di Altamura e di Gravina. Ad Altamura è stata accertata la presenza di tre strati sovrapposti relativi alle tre principali fasi dell'abitato indigeno. Alla prima fase, dell'VIII-VII sec. a.C., appartengono ambienti irregolari, formati da muretti di pietre a secco, probabili zoccoli di strutture lignee; la seconda fase, di età arcaica, è rappresentata da ambienti quadrangolari con muri di pietre a secco più solidi dei precedenti, datati da frammenti di coppe «ioniche» e da ceramica attica a figure nere; la terza fase è riconoscibile dalla presenza di case a pianta regolare, formate da più ambienti, da strade rettilinee e dalla poderosa cinta muraria, megalitica; quest'ultima fase prende inizio nel V sec. e culmina in quello successivo. Infine dalla necropoli, formata da tombe a fossa e a grotticella, provengono ricchi corredi, in cui ai reperti indigeni si mescolano quelli d'importazione, databili dal VI al II sec. a.C. A Gravina, sulla collina di Botromagno, si sono succedute varie ricerche che hanno messo in luce le fasi di insediamento protostoriche, arcaiche e classiche, nonché l'abitato ellenistico sovrapposto a una necropoli arcaica.
Allo stesso ambiente geografico, quello dell'ampio bacino del fiume Bradano, fanno capo alcuni centri del Materano, come Montescaglioso, Timmari, Monte Irsi. A Montescaglioso numerosi interventi hanno evidenziato l'esistenza di diversi nuclei di abitati con le relative necropoli. Nell'attuale area urbana sono venuti alla luce fondi di capanne databili agli ultimi decenni del VII e nel VI sec. a.C., cui si affiancano numerose tombe coeve, sia del tipo a sarcofago litico sia a semplice fossa. In località Difesa di S. Biagio, al di sopra di un insediamento risalente al Bronzo Finale, sono stati riconosciuti resti di capanne, databili tra l'VIII e il VI sec. a.C., disturbate dall'impianto di tombe arcaiche a sarcofago e a fossa. Tra queste eccellono alcune, come la tomba 6 della fine del VI sec. a.C., che conteneva, tra l'altro, uno skyphos attico a figure nere, recante incise sul fondo quattro lettere in alfabeto acheo, due coppe «ioniche», di fabbrica coloniale, tre kỳlikes a vernice nera del tipo «C» e del tipo «Droop». Tali oggetti, uniti a quelli rinvenuti ad Altamura e a Gravina segnano la via seguita a partire dalla metà del VI sec. a.C. dai manufatti greci per giungere più a N, nei centri daunî del Melfese e a Canosa. Non dissimile è il panorama culturale presente a Timmari, dove, sulla collina S. Salvatore, sono stati riconosciuti i resti dell'abitato dell'Età del Ferro e arcaici, cui si accompagnano le tombe a sarcofago e a fossa, databili dal VII al IV sec. a.C., alcune delle quali contenevano anche oggetti in metallo prezioso e ambre.
Ritornando in Peucezia, una menzione particolare meritano gli scavi effettuati negli anni 1976-1980, a Rutigliano (Bari), in contrada Purgatorio. Qui sono state messe in luce alcune centinaia di tombe, databili tra il VI e il III sec. a.C. Le più ricche deposizioni erano quelle in sarcofagi di tufo del VI e V sec. a.C. Esse contenevano innumerevoli vasi corinzî e soprattutto attici a figure nere e rosse, cui si aggiungono, a partire dagli ultimi decenni del V sec., quelli protoitalioti delle officine di Metaponto e di Taranto. Nei corredi più antichi sono presenti, inoltre, bronzi d'importazione greca e ambre figurate, associati con ceramiche di produzione locale. Lo studio e la pubblicazione dei materiali della necropoli di Rutigliano, confrontabili per la ricchezza solo con quelli di Ruvo, ma, a differenza di quelli, in contesti sicuri, potranno dare una luce decisiva sui rapporti diretti tra la Grecia e i centri costieri dell'Adriatico nel VI e V sec. a.C.
Nella Daunia il centro forse più fiorente e più assiduamente esplorato in questi anni è Canosa, con ritrovamenti dalla prima Età del Ferro alla tarda antichità.
Risalendo la fascia costiera lagunare daunia, incontriamo altre due località, oggetto di ricerche negli anni scorsi: Salapia e Cupola. Nella prima località la ripresa degli scavi, dopo le campagne degli anni '60, ha confermato la presenza di un insediamento risalente al X sec. a.C. e di una vasta necropoli. In località Cupola (Manfredonia) la ripresa delle ricerche, sia pure saltuaria, ha portato alla luce una ricca e interessante documentazione sia dell'abitato capannicolo sia della necropoli, con attestazioni che vanno dall'inizio della prima Età del Ferro, attraverso l'età arcaica, fino al periodo ellenistico. Salendo ancora più a N, lungo la costa rocciosa del Gargano, incontriamo il sito di Monte Saraceno (Mattinata), già noto dalle ricerche degli anni '60, riprese con regolarità a partire dal 1981. L'area indagata è stata soprattutto quella della grande necropoli, che si estendeva verso la base del promontorio, al di là del fossato di difesa dell'insediamento. Nella Daunia centrale, fondamentali per lo studio della civiltà indigena sono le ricerche ad Arpi e a Ordona. Nella prima località (territorio di Foggia), scavi regolari hanno messo in luce un tratto dell'aggere (prima metà del VI sec.) e resti di capanne, mentre interventi d'emergenza hanno evidenziato tombe a grotticella e a camera con corredi del IV e III sec. a.C.
Le ricerche ininterrotte effettuate a Ordona dalla Missione Archeologica Belga oltre ad aver rilevato l'esistenza di strutture abitative e di necropoli della prima Età del Ferro hanno contribuito a chiarire il momento di passaggio dal villaggio, formato da gruppi di capanne sparse, alla fondazione della città, nonché i successivi sviluppi di questa fino alla distruzione del 210 a.C.
A O della Daunia propria si estende l'area melfitana (v. MELFI), indagata a fondo in anni recenti, di cui è ormai noto il carattere culturale composito, dovuto anche alla posizione di transito tra diverse correnti di scambio, esistenti tra i centri magnogreci del golfo di Taranto, l'area daunia e quella campana. È certo, tuttavia, che in età arcaica prevale la cultura daunia, mentre, a partire dalla metà del V sec., l'area viene investita dall'espansione delle genti sabelliche, acquisendo, nel IV sec., i caratteri comuni alla Lucania ellenizzata. Fa eccezione in questo Lavello, recentemente identificata con l'antico centro di Forentum, ricordato dalle fonti per la conquista romana del 317 a.C., che resta legata culturalmente alla Daunia, in particolare a Canosa. L'insediamento, sparso in più località tra la prima Età del Ferro (fondi di capanna a pianta ovaleggiante) e il VI-V sec. a.C. (edificio pubblico con funzione religiosa, abitazioni in muratura, tombe) si presenta con tale aspetto invariato fino al momento della romanizzazione. Più problematico appare l'inquadramento culturale della necropoli melfese scoperta in località Pisciolo, sulla riva destra dell'Ofanto (fine VII-fine V sec. a.C.). Da un carattere prettamente daunio (VI sec.) si verifica una maggiore apertura agli apporti enotri e campani, per giungere a sepolture (seconda metà del V sec.) ormai del tutto lontane dalla tradizione daunia, sia sul piano strutturale, sia per la natura degli oggetti di corredo.
Altre due località dell'area melfese esplorate negli anni più recenti sono Banzi, nella valle del Bradano, e Ruvo del Monte nell'alto corso dell'Ofanto. Nella prima località sono state scavate numerose tombe dal VI al IV sec. a.C., contrassegnate da inumazioni in posizione contratta e da ricchi corredi, formati da ornamenti personali e da vasi daunî, nella fase arcaica. Nel IV sec. si diffondono anche qui le tombe a grotticella, corredate da ceramica apula a figure rosse. L'insediamento, per tutto il lungo arco cronologico sopra indicato, resta sparso, con una distribuzione disordinata sul largo pianoro alla sommità di una collina. Le abitazioni si conservano nella forma di capanne a pianta tondeggiante anche nel V sec., mentre il passaggio verso strutture più solide con murature a secco come fondamenta e coperture di tegole è attestato soltanto per il pieno IV sec. a.C. La posizione strategicamente felice di Ruvo del Monte (Potenza) nell'ambito delle vie interne tra Basilicata, Puglia e Campania spiega la particolare floridezza dei suoi abitanti, attestata dai corredi della necropoli, databili tra la fine del VII e l'inoltrato V sec. a.C.
Dei centri dell'alta Irpinia, situati nei pressi della Sella di Conza, che mette in comunicazione l'alta valle dell'Ofanto e quella del Sele, il più noto e quello meglio esplorato è senza dubbio Cairano, che dà il nome, insieme al corrispondente centro nella valle del Sele, Oliveto Citta, alla cultura dominante l'area nella prima Età del Ferro. Dopo i precedenti ritrovamenti nella necropoli di Vignale, le ricerche si spostarono, nei primi anni '70, sulla collina del Calvario, portando alla scoperta di un abitato e della relativa ricca necropoli, databili dall'inizio del VI a tutto il V sec. a.C. Le abitazioni erano formate da fondamenta di pietre a secco, su cui dovevano impostarsi gli alzati lignei o di mattoni crudi; i tetti a spioventi erano formati da tegoloni e coppi. La ricchezza dei corredi della vicina necropoli ha indotto a ritenere che Cairano, in età arcaica, fosse dominata da un'élite, insediata sulla collina del Calvario. Nei corredi, oltre a vasi di fabbricazione locale, si rinvengono coppe «ioniche», kỳlikes attiche, ceramica di bucchero, daunia, enotria e vasellame di bronzo.
Passando rapidamente più a N, incontriamo Montesarchio, l'antica Caudium, dove scavi ormai ventennali hanno procurato un'enorme mole di documenti. È noto che la necropoli della prima Età del Ferro si inserisce nell'ambito della Fossakultur settentrionale, assumendo, però, subito caratteri propri per la presenza di importazioni di ceramica greca (protocorinzia) e pithecusana di stile geometrico. Nel VII e VI sec. a.C., accanto alla produzione indigena è presente ancora abbondante ceramica d'importazione: buccheri, vasi corinzi, coppe «ioniche», ceramica attica a figure nere. Nel V sec. è ancora frequente la ceramica attica a figure rosse, con esemplari di pregio eccezionale. Dopo i primi decenni del IV sec. diminuisce l'importanza della ceramica attica, sostituita da quella italiota, cumana e pestana. Né mancano alcuni esemplari pregevoli di ceramica dello stile di Gnathia.
A chiusura di questa lunga rassegna è necessario ancora un accenno alle scoperte effettuate a Larino, in territorio frentano, dove è stata scoperta una necropoli arcaica, in località Monte Arcano. Le tombe a fossa rettangolare erano ricoperte con grosse pietre. All'interno il defunto era deposto in posizione supina, con un corredo abbastanza modesto, costituito spesso da una grande olla per derrate e da un attingitoio. È presente, inoltre, una classe di ceramica affine a quella daunia, forse un'imitazione locale, e qualche vaso di bucchero. Ulteriori ricerche in Via Torre S. Anna hanno portato all'individuazione di una prima sistemazione urbanistica di Larinum, risalente alla fine del IV sec. a.C. Essa è caratterizzata da muretti a secco, delimitanti ambienti di grandi dimensioni.
Età romana. - Le ricerche e gli scavi in complessi di età romana nell'ambito della Regio II, sono ancora abbastanza rari, essendo stati privilegiati, in passato, gli aspetti della civiltà magnogreca e, più di recente, quelli relativi alle culture indigene.
Ritornando verso l'estremità meridionale della Puglia è di un certo rilievo, ai fini della ricostruzione topografica di Taranto romana, l'indagine svolta in Via Minniti, dove è stato messo in luce un lembo dell'abitato, ai limiti con la necropoli, riferibile alla colonia Neptunia del 123122 a.C.
Interessanti sono anche i risultati di un'esplorazione sistematica effettuata dalla Scuola Britannica a Otranto, in Via delle Torri, subito all'esterno delle mura aragonesi, dove, al di sotto di strutture bizantine e sopra una necropoli di età classica, è stata individuata la strada di accesso alla città di età romana, fiancheggiata da una necropoli a incinerazione databile dal I sec. a.C. al II d.C., cui si riferiscono alcuni cippi funerari iscritti.
Uno scavo sistematico, di ampie proporzioni, è quello effettuato a Brindisi in Via Cappuccini, dove è stata esplorata un'area di necropoli con tombe che vanno dall'inizio del III sec. a.C. al IV d.C.
A Canosa, nell'area del c.d. Tempio di Giove Toro, sono state messe in luce strutture databili tra l'età augustea e il II sec. d.C.
In provincia di Foggia il sito di gran lunga più esplorato e più noto di età romana è quello di Ordona. Finora è stato messo in luce gran parte del centro monumentale della città, la quale, a partire dalla ricostruzione iniziata nel II sec. a.C., dopo la distruzione annibalica, si sviluppa fino alla tarda antichità. Altri scavi di età romana, in provincia di Foggia, sono stati condotti ad Arpi (197172), a Teanum Apulum (1972-1973), in una grande villa rustica dell'aver herdonitanus (1972-1973), nella villa di Agnuli, presso Mattinata (Gargano, 1975-1976), a Lucera e a Siponto (1980). Né bisogna dimenticare lo scavo subacqueo di una nave (1981-1982), contenente un carico di centinaia di anfore vinarie, affondata presso le isole Tremiti, intorno al 20 a.C.
Si può chiudere questa breve rassegna delle recenti ricerche sull'età romana, ricordando le indagini svolte a Venosa, relative ai primi due secoli della colonia latina (1973), a Melfi, contrada Leonessa, in una necropoli di età imperiale (1975, 1977), a Banzi, su strutture abitative riferibili soprattutto al II sec. a.C. (1982). Infine, passando dall'area melfese a quella irpina, ricordiamo la ripresa degli scavi nella città romana di Aeclanum e l'individuazione (1981) di strutture tardoromane, riutilizzate e in parte modificate dagli ultimi abitanti di Caudium, prima del definitivo abbandono della città, in età tardoantica.
Bibl.: In generale: CIL, IX, passim-, Ch. Hülsen, in RE, II, 1895, c. 288 ss., s.v.; E. De Ruggiero, DEA, I, Roma 1895, p. 532 ss., s.v.; R. Thomsen, The Italie Regions, from Augustus to the Lombard Invasions, Copenaghen 1947, passim. Si vedano inoltre i volumi della BTCGI, Pisa-Roma 1977 ss.
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