AQUILA
L'a. aveva avuto straordinaria importanza nella mitologia e nell'arte del mondo antico, orientale, greco e romano; era stata infatti considerata uccello divino e, in quanto attributo di Giove e sua messaggera era spesso raffigurata con un fascio di folgori stretto negli artigli. Veniva inoltre rappresentata in lotta con il serpente e in atto di afferrare animali da preda; fu l'insegna delle legioni romane ed ebbe il ruolo di psicopompo nell'apoteosi degli imperatori.L'a. fu inoltre largamente rappresentata anche nell'arte funeraria ellenistica e romana, su are, stele, urne e pitture tombali; scrittori antichi l'avevano descritta sia in poesia sia in trattati di storia naturale, attribuendole anche qualità favolose. Il suo volo elevato e rapido la rendeva poi l'ideale tramite fra cielo e terra; secondo le leggende inoltre non poteva essere colpita dal fulmine, poteva fissare il sole senza esserne abbagliata e in vecchiaia volava verso il sole, per poi immergersi tre volte nell'acqua, uscendone ringiovanita (Aristotele, Hist. anim., CX, 32). L'a. aveva anche un ruolo nella medicina e nella magia (Plinio, Nat. Hist., 29, 118, 123).L'a. è citata dall'Antico Testamento con elogi e simbologie che danno rilievo alla potenza protettrice delle sue ali (Es. 19, 4), alla vigilanza con cui difende la sua nidiata (Dt. 32, 11), alla rapidità del suo volo (2 Re 1, 23; Ger. 4, 13; Lam. 4, 19). In Sal. 103 [102], 5 si parla dell'anima che ringiovanisce come l'a.; il tema venne poi ripreso e diffuso da numerosi commentari. In complesso le qualità miracolose e positive prevalgono nettamente su quelle negative (Gb. 39, 27-30). Vari testi dedicano spazio all'a.: sul cap. 6 del Physiologus, che raccolse parte del contenuto di scritti anteriori dando loro un'interpretazione cristiana, si basarono, seppure con variazioni, i bestiari del Medioevo, mentre scritti apocrifi orientali come gli Acta Andreae et Matthiae confermarono all'a. funzioni di messaggero e di psicopompo. Isidoro di Siviglia rilevò dal canto suo la capacità dell'a. di distinguere e catturare pesci nel mare e di portarli via in volo (Etym., XII, 7; PL, LXXXII, col. 460), mentre nella Disputatio puerorum, Alcuino, commentando il salmo 103 [102], 5, paragonò la renovatio dell'a. alla resurrezione e ascensione di Cristo (PL, CI, col. 1133). Testi molto estesi riguardanti l'a., che raccolgono fonti anteriori, si trovano anche in Rabano Mauro (Enarratio super Deuteronomium, IV, 9, PL, CVIII, coll. 974-975; Comm. in Cantica, PL, CXII, coll. 1138-1139; De Universo, VI, PL, CXI, coll. 243-244). Filippo di Thaon (Le bestiaire, a cura di E. Walberg, Genève 1970, p. 76) elogia in rime le qualità dell'a. e amplia il contenuto del Physiologus: nel v. 2065, l'a. significa il 'figlio di Maria', nel v. 2095 l'a. è l'angelo che porta le anime a Dio. Passi riguardanti l'a. si trovano anche in altre fonti dei secc. 12° e 13°: Onorio Augustodunense (Speculum ecclesiae; PL, CLXXII, col. 958A), Guillaume le Clerc (Le bestiaire, a cura di R. Reinsch, Leipzig 1890), Brunetto Latini (Li livres dou trésor, a cura di F.J. Carmody, Berkeley 1948). Dante chiama l'a. "uccel di Dio" e "santo uccello" (Par. VI, v. 4; XVII, v. 72) e nel cielo di Giove fa radunare i beati in modo da formare un'a. (Par. XVIII-XIX).L'importanza dell'a. è rilevante nell'arte sia religiosa sia profana; l'eredità antica è evidente in quest'ultima, ma è tuttavia presente, pur se in grado minore, anche nell'arte religiosa, soprattutto quella sepolcrale. La rappresentazione dell'a. simboleggia in particolare la vittoria sulle forze del male, immagine già ben nota nell'Antichità; essa ha in particolare la funzione di affiancare e custodire - generalmente con una raffigurazione doppia - i grandi simboli cristologici.L'arte classica raffigurava l'a. prevalentemente secondo una visione realistica e di solito con le ali spiegate, tradizione che persistette nella Tarda Antichità, come mostrano il mosaico con a. e serpente del palazzo imperiale di Costantinopoli (Istanbul, Arasta Mozaik Müz., metà sec. 5°) e il rilievo del dittico consolare del Mus. del Duomo di Monza, dell'inizio del 6° secolo.Nell'Europa dell'età delle Migrazioni, l'a. con ali piegate compare su fibule decorate di pietre policrome incastonate, come la fibula proveniente da Cesena, del sec. 5° (Norimberga, Germanisches Nationalmus.; Leclercq, 1923; Holmqvist, 1958, tav. 88). Alcune crocette longobarde in lamina d'oro mostrano al punto d'incrocio una minuscola a. (crocetta da Civezzano, fine sec. 6°, Innsbruck, Tiroler Landesmus. Ferdinandeum). A S. Maria in Valle a Cividale appare una delle prime a. rappresentate su un pulpito.Le miniature altomedievali occidentali raffigurano l'a. di profilo o di fronte, mentre nell'arte bizantina prevalgono le a. in rigida posizione frontale che l'artista cerca di abbellire con ornamenti, spesso geometrici, come per es. nel Sacramentario Gelasiano del 750 ca. (Roma, BAV, Reg. lat. 316, c. 132; Zimmermann, 1916, II, tav. 137b) e in un tetravangelo copiato da un codice più antico nel 949 (Roma, BAV, gr. 354; Grabar, 1963, tav. LXVI, 1).I tessuti bizantini mostrano figure d'a. con una ricca ornamentazione e con le code in forma di ventaglio; esempi del sec. 10° sono la casula conservata a Bressanone (Mus. Diocesano) e una stoffa nella chiesa di Saint-Eusèbe ad Auxerre (Grabar, 1963, tav. LXXIIIa). La raffigurazione di a. fortemente stilizzate persistette ancora a lungo; nella prima metà del sec. 12° l'abate Suger trasformò un vaso di porfido in una figura d'a. di forme rigide, quasi astratte (Parigi, Louvre, proveniente da Saint-Denis; Deér, 1955, fig. 53).L'arte dell'Italia meridionale creò dalla fine del sec. 12° e nel corso del 13° figure di a. realistiche, basandosi sullo studio di modelli antichi (Deér, 1955, fig. 66b). Analoghe tendenze si evidenziano nelle sculture dei Pisano, per es. nel pulpito di Nicola nel battistero di Pisa del 1260 e nel rilievo della Fontana Maggiore di Perugia del 1279 (Hoffmann-Curtius, 1968, fig. 10).L'a. è raramente dotata del nimbo, a meno che non si tratti del simbolo dell'evangelista Giovanni, come su un piatto smaltato, opera islamico-artuquide del 1170 ca. (Innsbruck, Tiroler Landesmus. Ferdinandeum), o come, con altro significato, in una scultura proveniente dalla porta di Capua del tempo di Federico II (Capua, Mus. Prov. Campano; Lipinsky, 1961, p. 345, n. 23).Eccettuata l'araldica, è rara anche l'effigie dell'a. coronata (mosaico del palazzo reale di Palermo, sec. 12°; Deér, 1955, fig. 85). Le figure d'a. copte sono arricchite di vari attributi: crocette nel becco, amuleti (fra i quali bullae) al collo, astucci per testi magici, lunulae e, secondo la tradizione classica e paleocristiana, anche rami e corone. Rara è la figura dell'a. con la pietra magica aetite nel becco (Plinio, Nat. Hist., 30, 14, 44; Donceel-Voûte, 1983, tav. LXIII). Peraltro le a. di produzione sveva erano talvolta ornate di gemme (Lipinsky, 1961).L'antichissimo motivo dell'a. bicipite appare sia in opere bizantine sia occidentali, come un pluteo del sec. 11° (Sofia, Nat. archeologitcheski muz.; Grabar, 1976, nr. 70) e un piviale del sec. 13° (Anagni, Tesoro del Duomo), mentre un'a. tricipite si trova fra le sculture della cattedrale di Autun (Mus. Lapidaire Saint-Nicolas; Débidour, 1961, fig. 295).L'a. è spesso raffigurata con animali predati: il tema della lotta con il serpente è frequente fin dall'Antichità e se ne distinguono diversi tipi. Molto diffusa è l'immagine di lotta in cui risalta il serpente che attacca, per es. in un cammeo proveniente dall'Italia meridionale, del sec. 12° (Aia, Koninklijk Kab. van Munten; Gnudi, 1980, fig. 40); sulla porta di legno del S. Nicola di Ochrida (sec. 13°-14°) un serpente a due teste circonda l'a. (Grabar, 1976, nr. 116).Un altro tipo di rappresentazione sottolinea la vittoria dell'a.: esempi altomedievali sono l'Evangeliario di Valeriano, del 675 ca. (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 6224, c. 82v), e l'Evangeliario di Drogone, della metà del sec. 9° (Parigi, BN, lat. 9388, c. 150v; Zimmermann, 1916, I, tav. 7; Mütherich, 1986, fig. 14). Il pavimento a tarsie di S. Miniato a Firenze, del sec. 13°, mostra invece l'a. con il serpente stretto nel becco (Wittkower, 1938-1939, tav. 52g).Anche il motivo dell'a. che ha afferrato la lepre varia: su rilievi del sec. 11° (Atene, Byzantine Mus.), l'a. è immobile sopra la sua preda (Grabar, 1976, nrr. 55-56), così come in opere del sec. 12° (per es. su un pluteo in S. Ciriaco ad Ancona), mentre la scena è più movimentata in opere del sec. 13°, come un rilievo champlevé nella rotonda di S. Giorgio a Salonicco o la scultura dell'archivolto interno del portale centrale di S. Marco a Venezia. Più rara è la figura dell'a. con il pesce, che si trova per es. in una stele copta del sec. 6° (Monaco, Staatl. Antikensammlungen und Glyptothek; Lucchesi-Palli, 1981, tav. 28) e che appare in codici miniati, come un evangeliario della fine del sec. 10° dove un'a. in volo porta via un pesce (Parigi, BN, lat. 8851, c. 13v; Mütherich, 1986, fig. 5). Le a. nei capitelli frammentari del sec. 9° del ciborio di S. Ambrogio a Milano sono invece posate su pesci; nel sec. 13° a. e pesce si trovano ancora su patere veneziane (Swiechowski, Rizzi, Hamann-McLean, 1982, tavv. 20, 35). I capitelli romanici mostrano peraltro una grande varietà di tipi nel motivo dell'a. con animali predati (Nothnagel, 1937; Débidour, 1961).L'a. compare spesso in illustrazioni di testi sacri e libri liturgici. Nelle scene dell'Antico Testamento essa ha un posto rilevante nella creazione degli animali ed è facilmente riconoscibile, per es. in una miniatura di un ottateuco del sec. 11° (Roma, BAV, gr. 746, c. 31). È rara invece l'illustrazione di Dt. 32, 11: il Salterio di St Albans conservato a Hildesheim (St. Godeshardskirche, 1169, c. 223), del 1120 ca., mostra, sotto un'a. ad ali spiegate, Davide e le dodici tribù d'Israele. Il Libro di Giobbe del monastero di S. Giovanni a Patmos (bibl., 171, c. 475), forse del sec. 9°, illustra il versetto di Gb. 39, 27 con la figura di un'a. su una roccia (Jacopi, 1932-1933, fig. 116).Nel Nuovo Testamento la figura dell'a. appare nell'illustrazione di evangeliari, perché simboleggiante momenti salienti della vita di Cristo, in particolare l'ascensione. Nell'Evangeliario di Bernward (Hildesheim, Diözesanmus. mit Domschatzkammer, 18), dell'inizio del sec. 12°, l'a. con le ali levate sta al di sotto della figura di Cristo che ascende al cielo (Gutberlet, 1935, p. 244, tav. XXIX). Il volo dell'a. con gli aquilotti, accompagnato dalle figure di Mosè (Dt. 32, 11) e Giobbe (Gb. 28, 7), è raffigurato sotto l'Ascensione di Cristo nella Bibbia di Floreffe, della metà del sec. 12° (Londra, BL, Add. Ms 17738, c. 199; Wehrhahn-Stauch, 1967, fig. 1). L'a. di Ap. 8, 13 con il triplice grido "guai" è illustrata nell'Apocalisse di Treviri, dell'inizio del sec. 9° (Treviri, Stadtbibl., 31), al di sopra degli angeli con le trombe. Nell'Apocalisse, dell'inizio del sec. 14°, conservata a New York (Metropolitan Mus. of Art, The Cloisters), l'a. tiene nel becco un cartiglio con la scritta "Ve ve ve habitantibus"; il tema è illustrato anche dai commentari dell'Apocalisse di Beato di Liebana (DomínguezBordona, 1930, I, tav. 22c).La scena più diffusa relativa all'a. nelle illustrazioni del Physiologus e dei bestiari è invece la renovatio, cioè il volo verso il sole, cui segue l'immersione in una fonte. Solo accennata nel Physiologus di Berna (Burgerbibl., 318, c. 10v; von Steiger, Homburger, 1964, p. 35), del sec. 9°, dove l'a. alza le ali per il volo, nel Physiologus di Millstatt (Klagenfurt, Kärtner Landesarch., 6/19), della prima metà del sec. 12°, si vede, oltre al volo verso il sole e all'immersione, anche un'a. che strofina il becco, diventato troppo lungo, contro una roccia (Wittkower, 1938-1939, p. 315, n. 3). Un'immagine singolare appare in un bestiario inglese del sec. 12° (Leningrado, Saltykov-Ščedrin, Lat. Q.v.V.1; Dinkler-von Schubert, 1964, fig. 138), dove due a. guardano il cielo mentre della terza, immersa nell'acqua, si vedono solo le penne caudali. L'immagine dell'a. che costringe gli aquilotti a fissare il sole per scoprire quelli in grado di sostenerne la vista compare isolata al di fuori di cicli; è raffigurata in un rilievo in legno, databile verso il 1325, nel coro della cattedrale di Colonia e in una scultura all'esterno della cattedrale di Strasburgo, del sec. 14° (Kallenbach, 1937, fig. 4; Débidour, 1961, fig. 461). Un disegno nel taccuino di Giovannino de Grassi (Bergamo, Bibl. Civ. A. Mai, Cassaf. 1.21, già Delta, VII, 14, c. 17v), non di sua mano e della fine del sec. 14°, mostra l'a. nel nido che respinge due aquilotti incapaci di fissare il sole.Sono numerose le raffigurazioni di a. unite ai due grandi simboli cristologici della croce e dell'agnello di Dio. L'a. è fra i pochi animali scelti per stare ai lati della croce e per custodirla; nell'arte bizantina il motivo è frequente: per es. in un pluteo del sec. 9° (Atene, Byzantine Mus.; Sotiriu, 1955, p. 13, tavv. IX-X) e in un sarcofago della metà del sec. 13° conservato ad Arta, nella chiesa di S. Teodora (Grabar, 1976, p. 145, tav. CXXIVa). In Occidente il motivo ha una certa diffusione in miniature altomedievali e a. appaiono sia a fianco della croce sia vicino al crocifisso, come nel già citato Evangeliario di Valeriano (c. 202v) e nelle Lettere di s. Paolo, illustrate nel tardo sec. 8°, di scuola anglosassone (Würzburg, Universitätsbibl., M.p. theol. fol. 69, c. 7; Zimmermann, 1916, I, tav. 4; III, tav. 220; V, pp. 148, 257). La croce in mezzo a due a. si trova anche su lastre sepolcrali e monete (Wehrhahn-Stauch, 1967, figg. 11-12; Deér, 1955, p. 116: moneta dell'imperatore Arrigo VI).La figura dell'agnello di Dio è spesso circondata da a.; il motivo appare già nel sec. 5° nella volta a mosaico della cappella arcivescovile di Ravenna. Nel Sacramentario Gelasiano (Roma, BAV, Reg. lat. 316, c. 3v) una croce con l'Agnus Dei al centro è affiancata da medaglioni con due croci e due a. (Zimmermann, 1916, II, tav. 135a). Su un rilievo, di discussa interpretazione, del Santo Sepolcro nella chiesa di St. Cyriakus a Gernrode in Germania (1120 ca.) la fenice nimbata e l'a., probabilmente simboli della resurrezione e dell'ascensione, stanno ai lati dell'agnello di Dio (Pinder, 1943, tav. 137). Una chiave di volta della chiesa di Le Thor (dip. Vaucluse), della fine del sec. 12°, è formata da un medaglione con l'agnello, intorno al quale sono disposte cinque a. (probabilmente otto in origine).Importante elemento nell'arte funeraria classica e paleocristiana, l'a. non è estranea neanche ai monumenti sepolcrali medievali. Nell'arte copta è addirittura il motivo principale sulle stele: assieme alla croce, che spesso tiene con le ali, essa è valida protettrice contro i demoni e difende dalle forze malefiche (Lucchesi-Palli, 1981, p. 121; interpretazione diversa in Wehrhahn-Stauch, 1967, pp. 13-14).Nell'arte sepolcrale europea - orientale e occidentale - l'a. appare invece solo sporadicamente. Sculture tombali del sec. 11° a Prespa (Grecia) mostrano due a. nell'atto di aggredire altri animali, immagine in cui è palese il significato di difesa contro le forze del male (Grabar, 1976, nr. 50). In Occidente l'a. appare al sommo di alcune croci istoriate dell'Irlanda e della Northumbria, per es. sulla Croce di Ruthwell, della fine del sec. 7°, interpretata da Saxl (1943, pp. 1-19, tav. 4d) come simbolo dell'ascensione. Nel convento di Santa Cruz a Jaca (Spagna) il sarcofago di donna Sancia, del 1100 ca., mostra due a. che, con gli angeli, accompagnano l'anima della defunta in forma di bambina: questa iconografia, assieme ai grifoni sui lati, deriva chiaramente dall'arte sepolcrale romana (Panofsky, 1964, p. 65 ss., fig. 236). Si nota un influsso dell'iconografia paleocristiana anche in un sarcofago, della fine del sec. 13°, nel chiostro della basilica del Santo a Padova: un'a. trionfale sopra una corona ne costituisce il motivo centrale.L'a. appare inoltre nelle raffigurazioni della Fons vitae, per es. in un tetravangelo dell'inizio del sec. 12° (Parma, Bibl. Palatina, Pol. 5, c. 9), dove l'a. è posta al di sopra di una fonte (Hoffmann-Curtius, 1968, fig. 92). L'a. è usata anche come tema decorativo di fontane pubbliche; ne offrono esempio il già citato rilievo della Fontana Maggiore di Perugia (1279) e una fontana del sec. 13° a Goslar in Germania (Hoffmann-Curtius, 1968, pp. 30-32, figg. 10, 88).L'a. è inoltre attributo di diverse personificazioni, tra cui la Castità, come nel pergamo di Giovanni Pisano nel duomo di Pisa (1302-1312). Nella raffigurazione dei quattro elementi è attributo dell'Aria, per es. sulla croce-reliquiario in argento sbalzato dell'abbazia di Engelberg (Svizzera), eseguita fra gli anni 1197-1223 (Beck, 1975, p. 36); l'a., inoltre, è attributo specifico di numerosi santi (Kallenbach, 1937, coll. 178-179).Il simbolismo dell'a., già molto ampio nell'Antichità, divenne ancora più ricco nel Medioevo anche relativamente all'arte profana: l'a. era simbolo di dominio, potere e forza, e coronava scettri, come si vede nell'Evangeliario di Ottone III, della fine del sec. 10° (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4453, c. 24; Horstmann, 1966, pp. 18-21). L'a. era garante di vittoria e segno di trionfo così come nell'Antichità: in guerra infatti si usavano vessilli e stendardi con a. (Deér, 1955, p. 113); nelle illustrazioni della Psychomachia di Prudenzio si vedono bandiere con a. (Stettiner, 1905, p. 20, tav. 123,1) e anche spade e scudi erano talvolta ornati di figure o teste di a. (Deér, 1952, p. 75, n. 115).Le a. sono motivo frequentemente usato nella decorazione dell'abbigliamento dei regnanti: una corona del sec. 13° (Deér, 1952, figg. 21b, 23a), gioielli principeschi come la fibula c.d. dell'imperatrice Gisella, del 1000 ca. (Magonza, Mittelrheinisches Landesmus.; Deér, 1955, fig. 40; Lipinsky, 1961, p. 336), e cammei (Die Zeit der Staufer, 1977, II, figg. 642-650). Il culmine di queste tendenze è evidente sotto il regno di Federico II (1212-1250), i cui augustales mostrano sul rovescio l'a., ormai divenuta simbolo dello Stato (Die Zeit der Staufer, 1977, II, figg. 633, 633a); essa compare infatti anche sopra gli ingressi di castelli svevi, per es. nel castello Ursino a Catania, verso il 1240 (Deér, 1955, p. 105, fig. 66).Si scelsero figure di a. anche come decoro per cattedre episcopali e troni: per es. nella cattedra del duomo di Canosa, del 1078-1089, e in un rilievo raffigurante l'imperatore Ludovico, datato verso il 1345, oggi nel municipio di Norimberga (Deér, 1955, p. 118, n. 6; Hoffmann-Curtius, 1968, p. 110, n. 226; Alle sorgenti del Romanico, 1975, nr. 106).Un raro esempio di a. usata in questo senso in un contesto comunale è stato individuato, almeno in via ipotetica, nella nicchia del monumento a Oldrado da Tresseno (1233) nel Broletto Nuovo di Milano (Romanini, 1990, pp. 49-51, figg. 58-59).Una parte importante del simbolismo dell'a. riguarda il suo scontro e la sua vittoria sulle potenze del male; espressione di questo simbolismo è anzitutto l'immagine della lotta con il serpente, ampiamente diffusa in Oriente e in Occidente e paragonata da alcuni scrittori cristiani alla lotta di Cristo contro Satana (per es. Ambrogio, Sermo de Salomone, II; PL, XVII, coll. 718-719). Il motivo è frequente nella decorazione delle chiese e nei manoscritti miniati; l'intenzione simbolica è palese quando l'a. appare vicino agli ingressi - su porte, architravi o timpani - dov'è garante di protezione contro le forze del male; in molti altri casi, comunque, resta incerto se il motivo sia stato consapevolmente scelto per il suo valore simbolico (Wittkower, 1938-1939, p. 318). In un gran numero di opere, per es. sui capitelli, si tratta piuttosto della ripetizione di modelli ormai da tempo ben noti. La vittoria sulle forze del male è espressa chiaramente in alcune raffigurazioni, dove l'a. sta in mezzo a due draghi o ad altri mostri attaccanti, per es. in un exultet di Pisa (Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo, 2; Avery, 1936, tav. LXXXIX); due a. vittoriose e due grifoni aggrediti da mostri sono raffigurati sopra il portale della chiesa abbaziale di S. Antimo presso Siena.Il tema dell'a. con la lepre, nonostante il grande numero di raffigurazioni, è di importanza minore. Secondo Dt. 14, 7 la lepre è creatura impura (si veda anche Clemente Alessandrino, Paed., II, 10; PG, VIII, col. 497); essa è inoltre immagine della lussuria. L'a. che afferra la testa della lepre è raffigurata su uno dei pomi dello scrigno di s. Elisabetta a Marburgo, databile al 1250 ca. (Dinkler-von Schubert, 1964, pp. 119-123, fig. 132).Il motivo dell'a. con il pesce è presente in codici altomedievali, dove è però raffigurato senza connessione con il testo (Mütherich, 1986, pp. 605-607); in alcune fonti il pesce rappresenta l'anima che viene salvata (Isidoro di Siviglia, Etym., XII, 7; PL, LXXXII, col. 460).Con l'avanzare del Medioevo il simbolismo dell'a. derivante dal Physiologus divenne di grande importanza, in riferimento principalmente a due temi: il battesimo e l'ascensione. Una stretta relazione tra la renovatio dell'a. e il battesimo è espressa in alcuni commentari di Sal. 103 [102], 5 (Ambrogio, De poenitentia, PL, XVI, col. 519B; Massimo da Torino, Hom. LIX, PL, LVII, col. 366). L'illustrazione del Physiologus di Bruxelles (Bibl. Royale, 10074, c.144v), del sec. 10°, mostra, accanto all'a. che s'immerge, il Battesimo di un bambino e la scritta "ubi renovatur homo per baptismum sicut aquila" (Mc Culloch, 1962, p. 23; Wehrhahn-Stauch, 1967, fig. 18); nel Physiologus bizantino di Smirne, codice andato perduto, la renovatio dell'a. era seguita da un'immagine di S. Pietro che battezza (Strzygowski, 1899, p. 19); in un taccuino di schizzi (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 231, 507, c. 3v), dell'inizio del sec. 13°, si vede la renovatio accompagnata dal testo: "Qui baptizatur veteri culpa spoliatur" (Kallenbach, 1937, col. 173). La Concordantia caritatis dell'abbazia di Lilienfeld in Austria (151, della metà del sec. 14°) raffigura il Battesimo di Cristo e la renovatio con il testo "Sic aquila senem, fons mutat in iuvenem" (Kallenbach, 1937, col. 173); da notare anche l'illustrazione del bestiario francese di Parigi (BN, fr. 14969, c. 13).Sia nelle fonti sia nelle opere d'arte, l'a. ha un posto predominante anche come simbolo dell'ascensione di Cristo (Massimo da Torino, Hom. LX, PL, LVII, col. 369D-C; Gregorio Magno, Moralia, XXXI, PL, LXXVI, col. 625B-C; Onorio Augustodunense, De ascensione, PL, CLXXII, col. 958A; altre fonti in: Gutberlet, 1935, p. 245). In un evangeliario (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4454, c. 194v), databile verso il 1000, l'a. è posta accanto a Cristo che sale al cielo (Mütherich, 1986, fig. 15); il Messale di Hildesheim (Stammheim, Bibl. Fürstenberg, 67), del sec. 12°, mostra, vicino all'Ascensione, l'a. che con i piccoli vola verso il sole (Kallenbach, 1937, fig. 3). Nel sec. 13° il tema è raffigurato in una vetrata a Lione (Mâle, 1958⁹, fig. 15) e lo stesso motivo si trova sul flabellum di Kremsmünster, databile verso il 1200 (Kallenbach, 1937). Sulle porte di bronzo di Hildesheim (1015) si vedono, invece dell'ascensione, due a. che si alzano in volo verso il cielo (Gutberlet, 1935, p. 29). L'a. simbolo dell'ascensione è raffigurata anche sul nodo di un calice del 1400 ca. (chiesa di St. Peter a Soest, Vestfalia; Kallenbach, 1937, col. 174), assieme al pellicano e alla fenice, simboli rispettivamente della morte e della resurrezione di Cristo.La comparazione del volo dell'a. con la resurrezione - sia di Cristo sia del cristiano - si trova in diverse fonti (per es. Agostino, Comm. in Sal. 102,5; PL, XXXVII, col. 1323) ma nelle arti figurative il tema non ha trovato molto riscontro (pareri diversi in Wehrhahn-Stauch, 1967; Schiller, 1971). Un'a. ad ali spiegate sopra una croce in una miniatura di un codice del 770 ca. (Parigi, BN, lat. 12168, c. 100v) potrebbe peraltro essere interpretata come accenno alla resurrezione o all'ascensione di Cristo (Zimmermann, 1916, tav. 148).Un rilievo con l'a. segnava nelle chiese bizantine il luogo dove venivano ordinati i vescovi, essendo l'a. simbolo della purezza, probità ed elevatezza della teologia (Simeone di Salonicco, De sacris ordinationibus, CC; PG, CLV, col. 408D; Kunupiotu, 1962, col. 480). Infine, nella raffigurazione delle arti liberali l'a. era il simbolo della geometria (Molsdorf, 1968, nr. 1095).
Bibl.:
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L'a. è rappresentata frequentemente sulle monete greche e romane come simbolo di Giove o del potere regale. Sulle monete gotiche del tipo D/ INVICTA ROMA, attribuite all'età di Teodorico e Atalarico, è raffigurata un'a. stante a sinistra ad ali aperte e retrospiciente.Sulle monete medievali l'a. si presenta generalmente stante di fronte o di profilo ad ali aperte, volta a destra o a sinistra o retrospiciente, oppure stante ad ali chiuse e volta per lo più a destra. Una piccola a. stilizzata di prospetto, con le ali aperte e la testa volta a sinistra, è raffigurata per la prima volta su denari coniati a nome di Enrico VI e di Costanza, tra il 1195 e il 1197, nelle zecche siciliane. Lo stesso tipo di a., anche più stilizzato, è rappresentato sui primi tarì d'oro di Federico II (1197-1209, reggenza della madre Costanza), sui quali appare anche un'a. bicipite; dal 1220 sui tarì l'a. è coronata.Il tipo dell'a. più famoso, che ha influenzato le monete delle altre zecche, è quello raffigurato sugli augustali d'oro coniati dal 1231 nelle zecche di Brindisi e di Messina, sui quali si vede appunto un'a. stante, a sinistra, ad ali aperte e retrospiciente, rappresentata con un rilievo e una plasticità ignoti alle altre monete.L'a. di prospetto ad ali aperte, volta a sinistra o a destra, è il tipo adottato dai successori di Federico II: Corrado IV, Corradino e Manfredi. Lo stesso tipo di a., coronata o senza corona, si trova sui pierreali d'oro battuti dai sovrani aragonesi, dopo la cacciata degli Angioini e l'occupazione della Sicilia. Nell'Italia settentrionale l'a. ad ali aperte con testa volta a destra è rappresentata sui denari patriarcali di Aquileia, da Volchero I (1204-1218) in poi.Lo stesso tipo iconografico di a. costituisce la caratteristica dei c.d. aquilini, i grossi di Merano dei conti del Tirolo Mainardo II e Alberto II (1258-1271). Gli aquilini furono imitati tra il 1319 e il 1338 dalle zecche di Padova, Treviso, Vicenza, Verona, Mantova e Parma e circolarono abbondantemente in tutta l'Italia settentrionale. L'a. costituiva il simbolo dell'impero e la coniazione dell'aquilino indica un periodo di dominio del partito imperiale. Nel 1271 l'aquilino venne sostituito a Merano dal tirolino, anche esso con un'a. sul dritto, ma con due croci sovrapposte sul rovescio. Il tipo del tirolino fu imitato dalle zecche di Incisa, Acqui, Ivrea, Verona, Mantova e Cortemilia.Anche a Pisa l'a. costituì per i secc. 13° e 14° il tipo ricorrente sulla moneta, insieme alla figura della Vergine con il Bambino. Su tutte queste monete la figura dell'a. deriva dal tipo dell'augustale. Un'a. a una testa o bicipite è raffigurata sui grossi di Amedeo V di Savoia (1285-1323), ma la stilizzazione della figura, notevole soprattutto nelle ali, la rende molto diversa dal tipo dell'augustale. L'a. fu rappresentata nei secc. 12° e 13° anche sui bratteati tedeschi dei signori di Arnstein, dei duchi di Arenberg e delle città di Francoforte e di Lubecca.
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