AQUILA (lat. scient. Aquila Briss.; fr. aigle; sp. águila; ted. Adler; ingl. eagle)
Genere di uccelli appartenente alla famiglia Aquilidae, ordine degli Accipitres o Rapaci diurni, che comprende Aquile propriamente dette, Poiane, Albanelle, Sparvieri e Astori, Falco pescatore e Avvoltoi. Il genere Aquila Brisson ha il tarso piumato fino all'inserzione delle dita, coda rotonda, cera al becco, unghie potenti, molto ricurve, penne acuminate sulla testa. Sono uccelli di grande statura, che nidificano sulle rocce o sugli alberi; l'aspetto delle uova è variabile: in genere sono verdastre verso luce, immacolate e in alcuni generi anche macchiate. La specie più nota da noi è l'Aquila reale, Aquila chrysaëtus chrysaëtus L. (v. tavv. CLXXIX e CLXXX) che tutti conoscono. Anche a volo sembra un'enorme poiana; i giovani si distinguono per la base della coda bianca, mentre gli adulti sono di un colore uniforme bruno-cioccolata, tinti di fulvo sulla testa. L'Aquila reale è, in Italia, stazionaria sugli alti monti del continente e delle isole, ove nidifica, ma vi è rara; di solito soltanto i giovani viaggiano e si catturano qua e là, soprattutto durante la cattiva stagione. Le aquile sono tra i più potenti uccelli rapaci; vivono sulle alte montagne o nelle grandi foreste, si nutrono di preda vivente, sono estremamente dannose alla selvaggina anche grossa di montagna, di solito cacciano isolate ma anche accoppiate; il loro volo è agile, elevato, grazioso ma imponente; innalzandosi e discendendo, fanno grandi giri semicircolari, talora con le ali aperte, talora quasi immobili; scoperta la preda vi si gettano sopra con estrema rapidità e veemenza. Di solito difendono energicamente il loro nido, e molti sono gli accidenti patiti da maldestri predatori di uova e di piccoli.
Le altre specie italiane sono: l'Aquila imperiale, Aquila heliaca Sav. (accidentale, una cattura); l'Aquila anatraia orientale, Aquila nipalensis orientalis Cab. (accidentale, due catture); l'Aquila anatraia maggiore, Aquila clanga Pallas (di passo irregolare non tanto rara nell'abito giovanile, non nidifica); l'Aquila anatraia minore, Aquila p. pomarina Brehm (di passo irregolare, circa 20 catture sul continente); l'Aquila di mare, Haliaëtus a. albicilla (L.) (nidificante forse nelle isole di Sardegna e di Corsica, di passo e rara altrove); l'Aquila del Bonelli, Hieraëtus f. fasciatus (Vieill.) (nidificante nelle isole maggiori e non rara; accidentale sul continente); l'Aquila minore, Hieraëtus pennatus (Gm.) (di passo irregolare e molto rara, circa 24 catture).
L'aquila come emblema militare romano. - Secondo Plinio Mario consacrò l'aquila come insegna militare della legione, abolendo il lupo, il minotauro, il cavallo e il cinghiale, che si usavano prima insieme con l'aquila. Però, anche prima di Mario, soltanto l'aquila era portata in battaglia, mentre le altre insegne erano lasciate nell'accampamento. L'aquila è assegnata alla prima coorte della legione ed è sotto la protezione del primus pilus, cioè del primo centurione della legione. Durante la marcia il posto dell'aquila è in testa alla legione, durante la battaglia è invece dietro, come risulta dai rilievi della Colonna Traiana. In tempo di pace, in età repubblicana, l'aquila era conservata nell'aerarium; e nell'accampamento stava in una piccola cappella. Essa è oggetto di culto, sicché viene onorata come numen della legione, ed è anche ricordato un natalis aquilae, che deve coincidere con quello della legione.
La forma dell'aquila è sempre la stessa nei monumenti. Consiste essenzialmente in un'aquila ad ali spiegate che tiene tra gli artigli la folgore: l'aquila era d'argento e la folgore d'oro; e più tardi l'aquila con la folgore era tutta d'oro.
Se la legione ha ricevuto una corona, questa è posta o sulle ali o tra gli artigli; se è stata onorata di falere, queste sono fissate sull'asta che regge l'aquila. Quest'asta, talvolta argentata, ha un puntale per conficcarla nel terreno, e un uncino a metà lunghezza per poterla strappare. L'asta termina con una specie di capitello su cui poggia la folgore e l'aquila.
Araldica. - L'aquila fu ed è tra i più diffusi emblemi araldici. Essa viene rappresentata negli stemmi spiegata, o dal volo spiegato, dal volo abbassato o chiuso, sorante, volante, nascente, col capo rivolto, con mezzo volo spiegato e mezzo abbassato. Le aquile araldiche possono essere coronate, diademate, dismembrate, fasciate, imbeccate, linguate, armate, bicipiti, ecc.; dell'aquila si raffigurano talvolta le due ali unite (volo) o un'ala sola (semivolo) o la testa e il collo soltanto. Essa ci appare per lo più con le ali spiegate, la testa rivolta verso la destra dello scudo, col rostro ricurvo e la lingua sporgente, gli artigli aperti e la coda a ventaglio.
Nel Medioevo adottarono l'aquila nei loro stemmi i duchi di Baviera, di Boemia, d'Austria, e i re di Spagna. In Italia l'aquila variò di significato secondo gli avvenimenti; dapprima fu segno di concessione imperiale, poi indicò il partito antipapale nelle guerre delle investiture, dei ghibellini nelle fazioni d'Italia e degl'imperiali sotto Carlo V. Per concessione di Clemente IV essa divenne però anche l'impresa dei guelfi che l'adottarono col volo abbassato, la testa rivoltata di rosso ed afferrante un drago di verde. Napoleone I, come è noto, la sostituì al gallo come emblema della Francia e dell'Impero. Caduta con lui, e ristabilita da Napoleone III, fu soppressa definitivamente nel 1870.
La Russia adottò nel 1472 l'aquila spiegata degl'imperatori bizantini. Quando Pietro I nel 1721 si diede il titolo di imperatore, e pretese al trono di Costantinopoli, prese per emblema l'aquila bicipite.
L'arma di casa Savoia portava nel 1217 l'aquila di una sola testa, forse nera in campo d'oro. Conservata da Pietro II e alternata alla nuova insegna da lui inaugurata (croce bianca in campo rosso), fu sostituita con l'aquila imperiale bicipite da Filippo I (1268-1285). Nel 1285 Amedeo V riassunse la croce bianca in campo rosso. Per lo stemma dei Savoia e dello stato italiano, v. araldica.
L'aquila d'argento in campo azzurro degli Estensi, conservata attraverso varie trasformazioni sino all'annessione, pare si debba far risalire al marchese Rinaldo, ossia circa al 1168.
Un'aquila nera è anche nell'arme del sommo pontefice Pio XI.
Ordini cavallereschi. - Tra i varî ordini cavallereschi che si richiamano all'aquila, ricordiamo: quelli germanici dell'Aquila nera (fondato nel 1701 da Federico I di Prussia) e dell'Aquila rossa (1705); quelli dell'Aquila bianca di Polonia (1325), di Russia (1815), e di Serbia (1882); quello dell'Aquila d'oro del Württemberg (1702); inoltre gli ordini dell'Aquila estense (1855) e del Messico (1865).
Stemma del sacro romano impero. - Sullo stemma del Sacro romano impero fu scritto moltissimo, ed una delle questioni più dibattute fu quella dell'origine dell'aquila bicipite.
Gli studî migliori in argomento sono quelli del Gritzner, Symbole und Wappen des alten deutschen Reiches, Lipsia 1902; Ursprung und erste Entwickelung des alten deutschen Reichswappen, in Jahrbuch der K. K. herald. Gesellsch., "Adler",Vienna 1912. Da questi studî sono tolte le notizie che lo stesso Gritzner riassume nella sua Heraldik, in Grundriss der Geschichtswissenschaft, a cura di A. Meister.
Carlo Magno, restauratore del Sacro romano impero, prese a simbolo del suo dominio l'antica aquila romana, che fece mettere perfino sulla facciata del suo palazzo d'Aquisgrana. Dopo di lui, l'aquila fu usata da tutti i successori: Enrico IV la pose anch'egli sul suo palazzo, come signum romanum; Ottone III ed Enrico V e Federico I l'adottarono nei loro sigilli e nelle monete. Anche i vessilli degli eserciti imperiali avevano l'aquila come simbolo: simili a quelli delle legioni romane, portavano in cima ad un'asta un'aquila d'oro con le ali spiegate. Quest'aquila da simbolo di dominio e da vessillo d'esercito si trasformò al tempo di Arrigo VI nello stemma imperiale, il quale dalla prima metà del sec. XIII è costantemente d'oro all'aquila di nero. Le origini dell'aquila bicipite che contraddistingue lo stemma del Sacro romano impero, secondo il Gritzner, vanno ricercate nel concetto formatosi sul finire del sec. XIII in Inghilterra che convenisse distinguere lo stemma dell'imperatore romano della nazione tedesca da quello del re dei Romani; il quale concetto non differiva, nella sostanza, da quello che all'imperatore, nella sua duplice dignità di re scelto dai principi elettori tedeschi e di imperatore coronato dal pontefice, spettava due volte lo stemma con l'aquila. Sotto Lodovico il Bavaro e i suoi successori della casa di Lussemburgo, si avrebbe l'applicazione del concetto suesposto: al re dei Romani si attribuisce una sola aquila, all'imperatore invece si attribuiscono due aquile, così accostate fra di loro da sembrare una sola aquila con due teste. Ma le idee del Gritzner non si possono accettare integralmente, perché nel codice di Matteo da Parigi, in una tavola che si ritiene del 1244, si trova già delineata l'aquila bicipite di nero in campo d'oro con la scritta: Scutum imperatoris Rom(ani). Scutum aureum, aquila biceps nigra vel moniceps. Pur ammettendo che sotto Lodovico il Bavaro si sia adoperata di preferenza l'aquila con una testa sola per indicare la dignità di re dei Romani e l'aquila con due teste ad indicare quella dell'imperatore, bisogna convenire che l'aquila a due teste sullo scudo dell'imperatore è per lo meno della prima metà del sec. XIII. Precisare maggiormente non è forse possibile perché lo stemma ufficiale del Sacro romano impero continuò ad avere l'aquila con una testa sola, come appare dai sigilli, fino a Sigismondo di Lussemburgo, il quale per il primo adottò ufficialmente e costantemente la doppia aquila come imperatore e l'aquila semplice come re (v. fig.). Da allora lo stemma del Sacro romano impero non subì variazioni importanti, e continuò ad essere usato fino a che lo stesso impero non fu soppresso nel 1806 (v. fig.). In quest'anno assunse l'aquila bicipite, con alcune modifiche, la Casa d'Austria. Dal 1871 l'aquila tedesca fu monocefala. Dal 1919 essa è nera, con becco e artigli rossi, librata in campo d'oro.
Bibl.: Oltre alle opere citate, cfr. L. Schneider, Der Rote Adler, Berlino 1868; id., Das Buch vom Schwarzen Adler, Berlino 1870; Hohenlohe Waldenburg, Zur Gesch. des herald. Doppeladlers, Stoccarda 1871; Di Gerbaix di Sonnaz di S. Romain, L'aquila e la croce di Savoia e l'antica nobile loro origine, Torino 1908; v. inoltre G. Di Crollalanza, Enciclopedia araldica, Pisa 1876 e C. Guelfi Camajani, Dizionario araldico, Milano 1921.