Vedi AQUILEIA dell'anno: 1958 - 1973 - 1994
AQUILEIA (Aquileia)
Città della provincia di Udine presso il fiume Natissa, che la congiunge alla laguna di Grado.
1. Storia. - Sorse come colonia di Latini ed alleati italici in territorio celtico nel 181 a. C. (Liv., xl, 34, 2): un grosso nucleo di 3000 famiglie guidato, al tempo della deduzione, dai triumviri P. Cornelio Scipione Nasica, C. Flaminio e L. Manlio Acidino; nucleo che fu aumentato di altre 1500 famiglie nel 169 a. C. con lo scopo di rafforzare le posizioni strategiche di Roma nella guerra contro le popolazioni subalpine (Carni, Taurisci, Catali, Giapidi) e gli Istri. La colonia, fondata in una regione ricca di possibilità naturali per l'abbondanza delle acque, per la vicinanza del mare (rapidi collegamenti con le coste istriane), e l'estensione della pianura fino all'altopiano carsico, si sviluppò in breve da base militare a città mercantile ed attivissimo centro industriale. Curando il convogliamento delle acque al mare, la colonia liberò la Bassa Friulana dalla malaria, incominciando quell'opera di riscatto terriero che la porterà ad una fioridissima economia agricola; costruendo nel tratto inferiore del fiume Natissa un porto-canale navigabile che giungeva fino nel cuore della città, pose le basi dei suoi commerci con tutto il mondo mediterraneo; collegandosi con le arterie stradali dell'Italia centro-settentrionale (strade di raccordo con la via Emilia e con la Postumia, apertura della via Annia - 153 a. C. - della via Iulia Augusta verso il Passo di Monte Croce Carnico, della via per il Norico, di quella verso Emona, della via Gemma, di una per Tarsatica, di altri raccordi con la via Flavia) ottenne il controllo di tutta la vita economica, politica, civile della X Regio Venetia et Histria. Amministrativamente fu municipium con vasta autonomia, iscritta nella tribus Velina, partecipe a tutti i maggiori avvenimenti della storia di Roma con ruolo spesso di protagonista.
Le fonti letterarie, le iscrizioni ed i monumenti d'arte sono concordi nel testimoniare le vicende di A. ed i soggiorni in essa di imperatori e di autorità della corte di Roma: Augusto vi giunse in varie occasioni, per seguire i movimenti bellici nella Germania (Suet., Aug., 20), e nella Pannonia (Ant. Iud., xvi, 90), seguito da Tiberio, impegnato direttamente nella repressione delle ribellioni in Pannonia, da Livia e dalla figlia Giulia; all'epoca delle guerre fra Otone e Vitellio, così come nell'impresa dacica di Traiano, A. fu partecipe alle operazioni militari e sembra probabile il passaggio per il suo territorio degli imperatori in causa; indubbiamente furono ad A. Marco Aurelio e Lucio Vero negli anni di lotta contro i Quadi ed i Marcomanni (Amm. Marc., xxxix, 61), nel 169 d. C. Nel 193 d. C. accolse Settimio Severo (Herod., ii, 11) e si oppose invece, fedele al Senato, a Massimino il Trace nel 238 d. C., superando 5 anni d'assedio; l'episodio è noto come bellum Aquileiense (Herod., vii, 2, 3); Massimino ed il figlio Massimino furono uccisi sotto le sue mura.
Subentra a questi avvenimenti un periodo in cui alle scorrerie di popoli barbari si alternano scontri fra i diversi eserciti imperiali: Marco Aurelio Emiliano passò per A. nel 253 d. C. procedendo contro Treboniano Gallo (Zosim., i, 28); nel 258 d. C., invece, contro gli Alemanni ed i Goti Marco Aurelio Claudio lasciò in A. il fratello Quintillo quale praesidium Italicum (Vopisc., Aurel., 37); lo stesso Quintillo però veniva ucciso in A. dall'imperatore Aureliano dal quale la zona aquileiese ottenne un certo periodo di pace per la ricostituzione del confine al Danubio. Fu il momento in cui A. rifiorì e fu indicata tra le nove più importanti città dell'Impero (Vopisc., Tac., 16). In seguito furono importanti specialmente per la vita interna di A., civile e religiosa, i soggiorni in essa degli imperatori Diocleziano e Massimiano (manifestazioni religiose pagane e persecuzioni cristiane) (Acta SS., vii, 420). Sembra probabile anche il passaggio per A. di Costantino in varie occasioni (Cod. Th., 3, 1, 2). A. fu teatro delle lotte tra Costante e Costantino II nel 340 e più tardi di quella tra Costanzo e Magnenzio nel 351 (Zon., xiii, 8 e 9). Fedele a Costanzo, fu cinta d'assedio dalle truppe di Giuliano l'Apostata nel 361 (Cod. Th., 15, 1, 10). Dieci anni più tardi riebbe a che fare con i barbari Quadi: fu allora spesso visitata dagli imperatori: Valentiniano I, nel 364, Graziano, nel 380 e nel 385, Valentiniano II, nel 386 (Cod. Th., 13, 5, 17).
Nel 387 A. fu spettatrice delle lotte di Massimo contro Valentiniano II e di Teodosio contro Massimo (Zos., iv, 42-45); in A. quest'ultimo fu ucciso (Zos., iv, 45-46). Ad A. si concluse anche il conflitto tra Valentiniano III e Giovanni nel 423, con l'uccisione di quest'ultimo (Proc., Beh. Vand., i, 39) in un momento in cui già i Goti, gli Unni, i Vandali, infranti i confini delle Alpi, erano scesi al piano tra rovine e saccheggi.
La posizione eminente di A. attraverso 5 secoli di storia spiega e giustifica perché la sua caduta e la sua distruzione - ad opera degli invasori (Alarico nel 401, Teodorico nel 439, Attila nel 452, Alboino nel 568) ma anche per l'abbandono forzato delle opere pubbliche (porto e canali) - con il conseguente diffondersi della malaria, siano diventate il simbolo di un mondo in sfacelo.
Si fa risalire l'origine della chiesa aquileiese alla metà del sec. III; la tradizione la collega alla evangelizzazione di Marco e al martirio di Ermacora; di fatto A. fu il centro d'irradiazione del cristianesimo in tutta la Venezia e nei territori finitimi, sino alla Rezia seconda e alla Pannonia superiore. Dopo la persecuzione di Diocleziano, la chiesa aquileiese ebbe un periodo di grande splendore; il vescovo Teodoro partecipò al concilio di Arles (314); Fortunaziano fu consigliere di papa Liberio e successivamente venne a patti con gli Ariani (354). Celebre il concilio antiariano di A. (381), presieduto da S. Ambrogio.
2. Topografia. - Il fatto che A. sia già alle origini una grossa colonia fa sì che il suo perimetro iniziale sia vasto (più di 1 km), definito da una cinta di mura a mattoni, a volte su sostruzioni a grossi blocchi di pietra d'Istria bugnati, conservata ancora in tre zone insieme alla porta N, con torri rotonde, e ad una porta minore verso O. Tali fortificazioni repubblicane sono abbandonate, forse demolite, nel I sec. d. C., poiché vediamo in questo periodo che la topografia cittadina si anima di case e ville al di là di esse per ricostruire più tardi, nella seconda metà del II sec. d. C., un'altra cinta difensiva a perimetro più ampio della prima, con la nuova tecnica del paramento a mattone e del sacco interno; questa cinta è rifatta più volte nel corso del III e del IV sec. per il susseguirsi delle vicende belliche e spesso il momento d'emergenza fa sì che nella sua costruzione si usino materiali di riporto (frammenti architettonici e monumenti funerari, statue ed iscrizioni) rinvenuti largamente nell'opera di scavo.
Lungo il lato orientale della città le mura imperiali insistono sulla banchina del porto documentandone la inefficienza verso la fine del II sec.; probabilinente la portata del fiume Natissa sarà diminuita in collegamento a fenomeni sismici regionali, se le mura invadono nei secoli successivi il letto del fiume con torri rotonde e quadrate e trasformano in porte e postierle gli anntichi imbarcaderi.
Il porto-canale di A. si presenta infatti assai ben attrezzato nella sua veste originaria che risale agli inizi del I sec. d. C., se non prima; certamente i primi scali sono da riconoscersi verso la foce del Natissa (da cui il nome di Grado dato all'odierna isola della zona) ma il tratto che affianca la città testimonia una vivacissima rete di traffici anche nell'ambito della medesima. Una banchina a paramento di blocchi in pietra d'Istria lo percorre per più di 400 m, con due livelli d'attracco a seconda che la marea facesse abbassare o elevare le acque fluviali, con larghi imbarcaderi a scalinata e rocchi di pietra forati a sporgenza per saldarvi le gomene. Strade a selciato regolare, a gradini larghi, salgono dagli imbarcaderi verso il centro della città o affiancano la banchina; su questa prospettano ampi magazzini a vano rettangolare, divisi in due navate da pilastri interni o collegati da portici sulla fronte.
Il reticolato delle strade antiche è ancora visibile in molte parti a poca profondità dall'attuale livello e ci documenta la primitiva disposizione a castrum della città ed il successivo regolare disporsi delle insulae intorno al nucleo originario.
Sul cardo maximus si apre la piazza rettangolare, porticata, del Foro che, com'è attualmente (lo scavo ne ha messo in luce una metà), può appartenere per caratteri di edilizia e per stile d'ornati ad un rifacimento d'età severiana.
La città possedeva un ampio anfiteatro (diam. maggiore m 145), segnalato dai ritrovamenti. Del circo (lungo più di 300 m) e del palazzo imperiale (eretto circa il 290), noti dalle fonti più tarde, si conosce l'ubicazione, ma non si possiedono elementi d'alzato per il primo, né indizi topografici sufficienti per definire chiaramente la pianta del secondo; ben delineati nella pianta, adorni di ampi pavimenti musivi sono i due complessi termali finora scavati (fondi Tuzet e Pasqualis). Non è stata riconosciuta ancora l'ubicazione di nessun tempio pagano, pur essendo ricchissima la documentazione epigrafica relativa alle divinità (Venere, Diana, Ercole, Nettuno, la Triade Capitolina, Beleno). I ritrovamenti indicano nella zona di Monastero un centro abitato particolarmente da orientali, cenacolo di culti ad Iside e Mithra, a divinità egizie, ai misteri, alle superstizioni, vivissime in A., come attestano innumerevoli documenti. La penetrazione del cristianesimo è documentata dal sorgere, già alla fine del III sec., di oratori cripto-cristiani prima (alcuni già posti in luce dagli scavi sulla via lulia Augusta) e di ampie basiliche poi.
Nell'area che comprende il duomo e il suo campanile sono stati posti in luce dagli scavi austriaci e italiani due ambienti mosaicati paleocristiani che costituirono il dominicum (sede vescovile). L'opinione corrente è che l'ambiente a N sia di età pre-costantiniana con rimaneggiamenti successivi e che l'ambiente a S sia la basilica sorta dopo la pace della chiesa ad opera della comunità aquileiese e del suo vescovo Teodoro (che pontificò dal 305 o 6 al 315 o 16). Ma nel 1954 il Fink ha proposto di escludere l'anteriorità dell'ambiente a N e ha supposto che la basilica a S sia sorta per munificenza di Costantino nell'area del palazzo imperiale. Tale ipotesi appare poco sostenibile, poiché le fonti collocano il palazzo imperiale accanto al circo. I resti dell'edificio precedente alla basilica saranno piuttosto da ritenersi di una villa privata. Il Brusin ha inoltre rilevato i seguenti dati: il livello dell'aula a N si trova 12 cm al di sotto del livello della basilica S; questa è ad un livello di m 0,34 superiore a quello dell'edificio preesistente, i cui muri perimetrali sono distanti dalla basilica S rispettivamente m 5,55 e 63, e dal punto di vista tecnico si distinguono nettamente dai muri di quella. Sembra quindi, in base a queste considerazioni stratigrafiche e ad altre di diverso ordine, che si debba tornare alla successione cronologica tradizionale: edificio privato - aula N - aula S. L'aula N, una sala di m 37 × 18, aveva sei pilastri; era affrescata nelle pareti. Al posto dell'aula pre-teodoriana (N), che però aveva subito ampliamenti e rimaneggiamenti al tempo del vescovo Teodoro, e di quella teodoriana (S), subentrarono a più alto livello chiese maggiori non absidate. Quella della zona del campanile e del cimitero dei Caduti, fornita di battistero all'esterno sul lato S, misurava, senza gli annessi, m 52 × 73. Il suo tessellato, essenzialmente geometrico e di parca policromia, rimane in tratti notevoli. L'edificio fu preda di un incendio, probabilmente di quello dell'invasione attilana (a. 452). Indi si ebbe qui una chiesa sola, ancora retta Elgolare, che in progresso di tempo formò l'attuale basilica a croce latina (m 21 × 65) che consta di aggiunte e trasformazioni apportate alla sua struttura originale dal V-VI sec. alla fine del sec. XV.
Al confronto, però, con i documenti storici ed epigrafici, quelli monumentali concernenti lo sviluppo urbanistico della città presentano grandi lacune; esse sono dovute alle vicende militari che hanno infierito su Aquileia dal III sec. in poi, ma anche al ritorno costante degli abitanti nelle aree distrutte ed alla loro infaticabile attività ricostruttrice. In queste riprese, susseguitesi fino al VI sec., essi hanno reimpiegato il materiale abbattuto, hanno invaso con le nuove le vecchie planimetrie degli edifici pubblici e privati, così da rendere difficile la lettura topografica degli strati più antichi. Non possediamo quindi ancora una chiara pianta delle case e delle ville aquileiesi note attraverso la documentazione degli scavi, pure per altri aspetti tanto ricca.
3. Architettura e scultura. - Il materiale architettonico, reimpiegato nelle costruzioni più tarde, è da queste riemerso e ci offre una larga testimonianza per quanto riguarda la lavorazione della terracotta, delle pietre e dei marmi trattati dagli artisti e dagli artigiani locali. È importante notare il formarsi in A. di una tradizione d'arte profondamente legata ai modi italici per l'origine dei suoi abitanti che, trapiantati lontano dal loro ambiente nativo, si compiacciono di forme d'arte nostalgicamente arcaica, di espressioni immediate esuberanti e vivacemente realistiche affini a quelle usate dalle maestranze sicule, apule, laziali nel corso del III e del II sec. a. C. e giungono con le medesime, attardandosi, fino alla piena epoca augustea. Esse saranno il substrato naturale di ogni loro successiva manifestazione d'arte.
Contribuisce allo sviluppo artistico locale la presenza nell'Istria di ottima pietra arenaria e sull'altipiano carsico di pietra calcarea; la prima anzi, tenera e compatta, offre un materiale adatto ai coloni usi a trattare i tufi e le argille dell'Italia centromeridionale e da essa fiorisce una serie di ornati architettonici (acroterî, fregi, capitelli, telamoni) ricca di soluzioni.
Con la presenza della corte imperiale ad A. nell'età augustea coincide la penetrazione di mano d'opera forestiera ed anche di materiale diverso: marmi greci ed italici, alabastri; di questo ci dànno testimonianza i frammenti architettonici, i fregi, i capitelli, le statue funerarie ed onorarie dell'epoca. Anche le maestranze locali, mosse dall'esempio, incominciano allora a trattare i marmi, ma avviene che trasferiscano in essi lo stesso gusto e spesso la stessa tecnica da essi usata nel calcare. Lo dimostra la larga produzione di statue funerarie in calcare carsico d'Aurisina, di sapore italico e tanto diverse dalle contemporanee statue onorarie di Tiberio e di Claudio in marmo greco; lo conferma la ritrattistica in una serie documentatissima di esemplari che va dal II sec. a. C. al pieno IV d. C., in cui gli scalpellini locali interpretano nel calcare le tendenze del costume e della moda oltre al linguaggio estetico del momento ridotto agli elementi essenziali. Permane quindi un modo tipicamente aquileiese di modellare il ritratto in una sintesi di vigore, colore, immediatezza, ancora tutti italici, vivi persino nella severa grafia del tardo Impero. Essi sono presenti in gran numero nei monumenti sepolcrali ad edicola, a stele, ad ara, ad esedra o a mausoleo e collaborano, insieme alla parte epigrafica molto bella nei caratteri e nei testi, a stabilire la datazione dei monumenti.
Ci è dato così d'osservare come gli artigiani locali persistano a lungo nella tecnica e nell'espressione stilistica d'uso nel primo periodo giulio-claudio introducendo di proprio un linguaggio a strutture curvilinee ed a ricche decorazioni vegetali che si richiama insistentemente ai motivi dell'ellenismo italico, più che all'arte di Roma imperiale. Manca quindi, prevalentemente, la corrispondenza nel tempo e nello stile tra i monumenti di Roma e quelli di Aquileia. Durante tutto il I sec., attraverso una larga attività di scalpellini che invade tutta la X Regio Venetia et Histria, A. persegue una direttrice propria che, attingendo largamente al naturalismo claudio e appena sensibile alla pittoricità illusionistica dell'età flavia, sembra precorrere il gusto "barocco" del periodo adrianeo. Sono particolarmente significativi a questo proposito gli esempî offerti dal Grande Mausoleo d'ignoto (fine I sec. a. C.), dal mausoleo dei Curî (inizi I sec. d. C.), dal sepolcro a recinto ed are degli Statî (metà I sec. d. C.), dell'ara a cella di Capraeolus (fine del I sec. d. C.). In genere i monumenti in marmo con maggiore aderenza alle correnti artistiche metropolitane si riferiscono ad opere di carattere pubblico (cfr. la trabeazione marmorea di un portico d'età traianea sulla via Sacra); sono invece le espressioni della vita privata quelle più strettamente vincolate alle tradizioni dell'artigianato locale, e quindi più schiette nel rappresentare la fisionomia dell'ambiente aquileiese. Infatti, quando nel corso del II sec. d. C. incomincia l'importazione dei sarcofagi funerari e diminuisce quindi la produzione locale di steli, di urne, di are, anche la voce dell'artigianato si affievolisce riprendendo fiato appena nel III sec. con l'abile imitazione dei sarcofagi asiatici. In essi, però, preferisce alle scene mitologiche i riferimenti alla vita reale e ritornano ad affacciarsi i ritratti dai clipei frontali o dagli acroteri laterali dei coperchi. Questa nuova serie della ritrattistica aquileiese riporta ad un alto livello l'attività dei suoi scalpellini, conferendole un posto di primo piano nella storia dell'arte tardo-romana. Oltre all'affiorare dell'esperienza italica, si riconosce ora nella sua produzione anche una corrente d'influsso provinciale, collegata con il linguaggio figurativo d'oltralpe, del Nonco, della Pannonia, della Carinzia, particolarmente vivo nell'ambito militare. Sono caratteristiche a questo riguardo le steli dei soldati della legione XI Claudia appartenenti alla seconda metà del III sec. d. C.
4. Mosaici e pitture. - Di pari passo con l'architettura e la scultura procede un'altra specifica attività locale: l'arte del mosaico. Case, ville, terme, basiliche presentano nel loro ricco corredo di pavimenti musivi il documento più completo per lo studio dell'evoluzione di quest'arte singolare. Essa ha inizio con la composizione dei lithostrata più antichi del II sec. a. C. a serico tappeto nero cosparso di pezzi multicolori di marmo; ad essi si affiancano i mosaici di gusto ellenistico con elementi decorativi e scene figurate chiaramente derivati dalla pittura e spesso tradotti in finissimo opus vermiculatum (cfr. una soglia con tralcio d'edera e nastro, l'asàroton (v.) - esemplare tra i più belli oggi conservati -, il pavimento con la Nereide su toro marino). Anche per i mosaici il materiale è offerto dal luogo: calcare grigio, ciottoli di fiume, cui si aggiunge la pietra rossa di Verona, il tutto impreziosito dalle tessere di pasta vitrea colorata particolarmente di azzurro e di verde. Il I ed il II sec. d. C. prediligono, accanto ai mosaici figurati, i tappeti a disegno geometrico, in generale a bianco e nero, cui s'aggiungono talora il rosa o il verde con begli effetti di luce e giuochi di prospettiva che rimandano di volta in volta alle conquiste dell'arte maggiore: rilievo naturalistico, illusionismo pittorico, plasticità dinamica delle masse. Superate le due prime esperienze nel I e nel II sec. d. C., l'arte musiva offre nel III sec. d. C. un raro esempio di plasticità dinamica con i mosaici delle terme Pasqualis. Gli schemi figurativi sono quelli in voga, presenti nei mosaici termali di Roma e delle province (palestriti, giuochi ginnici, motivi marini con Tritoni e Nereidi), ma il rendimento delle raffigurazioni possiede un vigore caratteristico specie nella ritrattistica: le teste dei palestriti trattate a larghi piani chiaroscurati, perfettamente "girate" a tutto tondo sul colore neutro dello sfondo raggiungono una punta massima nel forte linguaggio figurativo dell'epoca. Naturalmente, non in tutti i mosaici si mantiene costantemente un alto livello d'arte, ma è comune a tutti un effetto cromatico di buon gusto, una classica sobrietà nelle geometrie decorative, un vivo senso plastico nelle figurazioni. In esse la linea grafica conserva l'equilibrio proporzionale e la semplicità dei volumi, caratteristiche che valgono a distinguere la tradizione del mosaico aquileiese da quella di ogni altra scuola. Quando, dalla seconda metà del III sec. in poi, geometrie e figure si fondono in un unico campo e gli elementi vegetali vengono ad attenuare il rigore dei segni lineari, i mosaici di A. sono caratterizzati da un sereno ritmo compositivo: la figura animale ed umana (personaggi simbolici o ritratti) si ambienta mirabilmente nell'area definita dai tralci e dalle fronde mantenendo inalterata una solida essenziale compostezza volumetrica, un'eleganza di linee e di colori, palese anche negli esemplari meno raffinati, che riducono al minimo in A. l'influsso di correnti d'arte orientale o meridionale. Ad essi il simbolismo cripto-cristiano dell'età tetrarchica (oratori sulla via Iulia Augusta ed aula N, sottostante il campanile del duomo, considerata pre-teodoriana, cioè anteriore all'episcopato di Teodoro, e appunto datata generalmente in questa età) ed il linguaggio palesemente liturgico del periodo costantiniano tardo (aula teodoriana: mosaico dell'Eucarestia e delle storie di Giona) conferiscono l'importanza di un trattato filosofico-religioso, la cui esegesi è tuttora oggetto di esame e di discussione, senza mai appesantire il ritmo limpido della stesura formale. Particolarmente studiata la composizione della tartaruga con il gallo, ripetuta sia nell'aula S che nell'aula N, in cui l'Egger volle vedere un'allusione alla lotta contro l'arianesimo; opinione che non è condivisa da altri studiosi. Altri mosaici pavimentali di soggetto cristiano (IV sec.) sono stati rinvenuti in due oratori privati costruiti entro abitazioni signorili.
Per quanto riguarda l'uso dei mosaici parietali, esso è documentato in A. da pochi ma preziosi frammenti provenienti dalle grandi terme Tuzet; essi ci testimoniano l'esistenza di un bel tessellato policromo di paste vitree contornato da bastoncini tortili del medesimo materiale o da conchiglie marine. Insieme ai mosaici parietali sono venuti in luce anche alcuni frammenti di affresco, altri ne hanno offerti le case e le ville, ma sempre ridotti a pochi lacerti. Essi tuttavia attestano la presenza in A. dei quattro stili tradizionali, affini specialmente ai tipi laziali. Interessante è il residuo della pittura che decorava le murature perimetrali del complesso cultuale gemino del vescovo Teodoro: all' interno lo zoccolo è decorato con il vecchio motivo dei finti riquadri di marmo, ma la parete meridionale dell'aula S accoglie la raffigurazione del giardino (Paràdeisos), adorno di nicchie e fontane, di uccelli ed Amorini con chiaro intendimento simbolico; il tutto è collegato alle opere d'età costantiniana.
5. Artigianato. - a) Terrecotte e vasi. Accanto alle testimonianze delle arti maggiori, gli scavi hanno offerto una ricca documentazione dei prodotti di quelle minori, affiancate a una intensa attività industriale ed artigiana. Aderenti alle necessità della vita quotidiana, esse si manifestano nella lavorazione dell'argilla, del vetro, del bronzo, dell'ambra, dell'avorio, dei metalli e delle pietre preziose.
Di A. repubblicana sono caratteristici i prodotti in argilla giallastra poco depurata, cotta al sole e lavorata a stecca: antefisse, antepagmenta, fregi, di chiara impronta italica centro-meridionale, lucerne di tipo ancora ellenistico, vasellame diverso, orci che servono anche da ossuarî ed ossuarî antropomorfi; dal I sec. d. C. in poi accanto alla figulina rustica si presenta con maggiore frequenza il prodotto raffinato: lastre decorative tipo Campana (v. etrusca, arte), terra sigillata (v.) che imita il gusto delle fabbriche aretine (larga importazione dei prodotti di L. Gellius, di A. Teren[...]), di quelle padane, comasche (importazione dei vasi di Aco Acastus), galliche (presente la marca di Iucundus e quella di L. Cosius Virilis), renane (presenti le marche di Belsus e di Secundinus Avitus), esemplari di stile eclettico come il vaso di Aescinus. D'argilla rosata, tratte da matrici, sono pure le figurine a tutto tondo, votive, dedicatorie o lusorie, che, insieme alla innumerevole serie delle lucerne, costituiscono un altro ramo dell'attività figulina. Caratteristiche alcune lastrelle votive di bell'argilla fine, verniciata a lucido, decorata ad impressione e rilievo, per il culto di Antinoo.
b) Vetri. Tra il II ed il III sec. d. C. la produzione della terra sigillata diminuisce poiché sottentra ad essa nell'uso la suppellettile vitrea. Importata con il commercio dai paesi levantini, l'arte del vetro si perfeziona e si potenzia in A. attraverso la tecnica del "soffio". I prodotti d'importazione infatti sono alabastra e balsamaria di pasta vitrea lavorata in forma, ma in A. da questi primi esempi nasce tutta una gamma di vetri trasparenti, soffiati, iridati, colorati d'azzurro, di viola, di verde, simili ai gusci delle conchiglie (tipi "murrini") o alla filigrana ed ai cespugli fioriti (tipi "mille fiori"). Durante il II sec. d. C. prevalgono le coppe, le bottiglie, i bicchieri di color chiaro, sottili e trasparenti, a sagome semplici, essenziali, mentre nel III sec. le forme complesse, le anse tortili, i filamenti colorati sovrapposti esprimono il gusto baroccheggiante dell'epoca. Di tutta questa sua larga produzione, A. si fa esportatrice in Italia e nei paesi danubiani, dove, tra altre, è nota la marca della fabbrica aquileiese di Sentia Secunda. Accanto ai vetri soffiati continua però anche l'industria della pasta vitrea forgiata a coppe sul tipo di quelle ricavate dalle pietre dure, plasmata ad anelli, armille, grani di collana, bottoni, tessere, pendagli.
c) Ambre, oreficeria, glittica. Spesso le grandi olle di vetro celeste-verde che subentrano nell'uso alle urne cinerarie di argilla hanno conservato ad A. il corredo dei morti e se le fibule di bronzo, gli anelli d'oro o d'argento, gli spilloni e le capselle di avorio li affiancano ai loro contemporanei d'ogni paese d'Italia, da essi li differenzia la presenza, nel corredo, della suppellettile d'ambra e delle grosse ed a volte preziose pietre incise sugli anelli.
La lavorazione dell'ambra ha in A. un suo caposaldo: l'abilità dei suoi artefici trasforma il blocco di resina gialla, rossa, a volte trasparente, a volte densa e screziata, in anelli decorati con figure a rilievo (tipiche le teste femminili d'età flavio-traianea; per tutto il I e II sec. d. C. il repertorio consiste principalmente in scene di vendemmia, di caccia, in figure d'animali), in pendagli a forma di uccelli, di pesci, di frutta, in amuleti, in statuine, in teche porta-specchio, in scatoline o unguentari, in scettri a bastoncello; il supposto potere benefico dell'ambra fa sì che essa sia presente sempre accanto al vivo ed al defunto, all'uomo ed alla donna. Ed all'ambra si accompagnano le specie multicolori del calcedonio (corniole, agate, ametiste, diaspri, onici), o la sua imitazione in pasta vitrea, che adorna gli anelli, gli orecchini, le collane e quasi sempre viene inciso con sigle augurali, con simboli cultuali, con effigi di familiari o di persone autorevoli. La possibilità di trovare il materiale nelle zone alpine finitime, le variazioni offerte dal medesimo ai motivi dell'oreficeria, fanno sì che in A. tale arte raggiunga la massima perfezione. Lo dimostrano anche i lavori di incisione e di tornitura dei quarzi e dell'opale dai quali sono tratti balsamari e statuine. Per quanto riguarda invece i gioielli d'oro e d'argento, il gusto che li ispira e la tecnica sono più vicini all'ambiente ellenistico italiota che a quello nordico: è presente la filigrana, il lavoro a granulazione, la foglia d'oro, le catenine a maglie sottili alternate a perle vere o a grani di niccolite e di granata, le grosse armille d'oro pieno e le buccole ad ardiglione ricurvo. Vero capolavoro è la patera d'argento niellato, con scena ad altorilievo (è probabile che si tratti dell'apoteosi di un membro della famiglia imperiale giulio-claudia), ora conservata a Vienna (Kunsthistorisches Museum).
6. Museo e monumenti. - Tutta questa ampia documentazione della vita di A. è oggi raccolta nel Museo Archeologico Nazionale aquileiese, aperto nel 1882 nell'ambito della ottocentesca villa Cassis Faraone, restaurato a più riprese e nel corso dell'anno 1955 completamente rinnovato negli ambienti e nell'esposizione. La scelta del materiale da esporre nelle sale è stata rigorosissima, riservando alle gallerie del lapidario il materiale architettonico, i monumenti funerari, le grandi epigrafi onorarie, i mosaici e raccogliendo nell'area di un vasto museo-deposito tutto il materiale epigrafico, monumentale, documentario. Si è cercato nel museo di A. d'attuare una esposizione "a colloquio", tra gli oggetti ed i visitatori per mantenere un'atmosfera viva e cordiale, con soluzioni particolari dell'arredamento e con l'aiuto di didascalie guida in ogni sala e accanto ad ogni pezzo.
Attualmente, quindi, A. comprende i seguenti centri di visita: il Museo, lo scavo del porto romano, il Foro, il sepolcreto sulla via Annia, le case e gli oratori paleocristiani del IV sec. sulla via Iulia Augusta, la Basilica sorta sul complesso delle due aule basilicali gemme del vescovo Teodoro, pure del IV sec., la basilica degli orientali a monastero, anch'essa coeva o,di poco più tarda. In questa seconda basilica è prevista (1957) la sistemazione dell'antiquarium paleocristiano, nel quale sarà raccolto il materiale dell'epoca (iscrizioni, sculture, suppellettile) e sarà esposto il mosaico absidale strappato dalla terza grande basilica del IV sec. nota e scavata in A., quella della Beligna. Generalmente oratorî e basiliche hanno una pianta rettangolare cui si aggiunse più tardi un'abside esterna; se il vano sia stato più o meno suddiviso in navate da pilastri di legno o di cotto è ancora un problema aperto. Le murature sono di ripiego, con materiale misto, pietre e mattoni, nonché pezzi di riporto, ma tutta la bellezza del vano sta nel suo pavimento musivo, documento al tempo stesso della sua storia attraverso le varie aggiunte, gli strati sovrapposti, i cambiamenti di tecnica e di gusto. In A., essi riflettono il lento maturarsi dei tempi, il formarsi della nuova coscienza umana che faticosamente si evolve nella convivenza col vecchio mondo. Il momento in cui viene a staccarsi, ad isolarsi, a trasformarsi in nucleo creativo è impercettibile, ma ha una documentazione unica negli strati del mosaico aquileiese laddove le scene dell'Arcadia ellenistica sono evocate a dar vita al "Buon Pastore", dove,, gli Eroti pagani s'agitano nella pesca dei "pisciculi di Cristo" e tutte le creature del cosmo, piante, animali, respirano una diversa vita interiore. In mezzo ad essi l'uomo pone con il suo ritratto la nota. sempre urgente dell' "io" e se non c'è il ritratto, c'è una scritta con il suo nome e la indicazione numerica del tratto di mosaico da lui fatto eseguire ex voto.
Bibl: E. Maionica, Fundkarte von A., Görz 1893; K. Mayreder, Mitteilungen über eine Studienreise nach A., in Zeitschrift d. österr. Igenieur-und Architektenvereins, in Wien, LVII, 1905; K. Lanckoronski, Der Dom von A., Vienna 1906; E. Maionica, Guida dell'imp. regio Museo dello Stato in A., 1911; A. Gnirs, Die christliche Kultanlage aus konstantinischer Zeit am Platze des Domes in A., Vienna 1915; C. Costantini, A. e Grado, Milano 1916; G. B. Brusin, A., Udine 1929; A. Calderini, A. Romana, Milano 1930; A. Calderini-C. Cecchelli, La Basilica di A., Bologna 1933; G. B. Brusin, Gli scavi di A., Udine 1934; id., Nuovi monumenti sepolcrali di A., Venezia 1941; id., A. e Grado, Udine 1947; id., La Basilica del Fondo Tullio alla Beligna di A., Padova 1947; W. Görlich, in Festschrift Rud. Egger, Klagenfurt 1952; V. Scrinari, I capitelli romani d'A., Padova 1952; id., Studi aquileiesi, Padova 1953; J. Fink, Der Ursprung der ältesten Kirke am Domplatz von A., Colonia 1954; V. Scrinari, Il ripristino del Museo di A., in Atti del Convegno pel retroterra veneziano, 1956; G. B. Brusin, Contributo all'interpretazione dei mosaici, ecc., in Atti del V Congresso di Arch. Crist., Aix-en-Provence 1954 (in corso di stampa); id., in Fasti Arch., IX, 1956, 4874. V. inoltre varî articoli (di D. Brusin Della Barba, G. Chiesa, B. Forlati Tamaro, V. Scrinari e altri) in Aquileia Nostra, Bollettino dell'Associazione Naz. per Aquileia, che si pubblica dal 1929 ed è affiancato dal 1954 da un bollettino informativo Aquileia chiama. Per l'etimo del nome (Akyleia?) v. S. Ferri, Corsi di cultura ravennati, fasc. II, Ravenna 1957, p. 98.
In particolare, per la topografia di A., v.: mura repubblicane: A. Nostra, VIII-IX, 1937-38, cc. 56-60, f. 6; III, 2, 1932, cc. 135-137, ff. 7-8; Carnuntina, 1956, p. 34 ss., f. 1. Tracciato delle strade antiche, insulae: A. Nostra, XI, 1940, 1-2, cc. 43-44, f. 13. Cardo maximus: A. Nostra, VI, 1935, 2, cc. 19-36. Anfiteatro: A. Nostra, V-VI, 1934-35, 2, 1, c. 65, fig. 3. Case con pitture murali: Fast Arch., X, 1957 (1955), n. 4292.