Vedi ARA PIETATIS AUGUSTAE dell'anno: 1958 - 1994
ARA PIETATIS AUGUSTAE (v. vol. I, p. 528)
Si deve a Lucos Cozza il fondamentale accostamento di alcuni rilievi sulla facciata di Villa Medici (reso possibile dai calchi eseguiti per il Museo della Civiltà Romana), e quindi la relativa ricomposizione dei due pannelli del complesso monumentale. È stato possibile ricostruire porzione di una processione sacrificale che si svolge davanti a edifici sacri: i victimarii conducono il toro (o il bue) al sacrificio passando dinanzi al Tempio della Magna Mater sul Palatino; il sacrificio avviene presso un tempio ottastilo corinzio, che risulta essere il punto focale della composizione in quanto, contrariamente agli altri edifici raffigurati sulle lastre superstiti, non si sviluppa di lato, ma è riprodotto esclusivamente in facciata. La proposta di riconoscervi il Tempio del divo Augusto sul Palatino in base all'identificazione del princeps nella figura centrale della decorazione frontonale, non può essere accettata; il personaggio ha una barba che gli incornicia il mento e ha un elmo a triplice lòphos sul capo. Si deve trattare di Marte, avente ai suoi fianchi Venere Genitrice e Fortuna; e il tempio ottastilo è quello di Marte Ultore nel Foro Augusto.
È caduta poi l'identificazione di questo altare con una eventuale ara Pietatis Augustae, in realtà, forse, mai esistita, e comunque mal documentata. L'ipotesi era basata sulla controversa interpretazione di un'iscrizione capitolina, ora perduta, letta nel IX sec. dall'Anonimo di Einsiedein, con una dedica dell'imperatore Claudio alla Pietas Augusta. Il riferimento alla consecratio di Livia, avvenuta il 17 gennaio del 42 d.C., e allo scioglimento di un votum decretato dal senato nel 22 d.C. per la guarigione dell'Augusta seriamente ammalata, è certo. Ma solo l'autorità di Th. Mommsen ha rinsaldato l'ipotesi che l'iscrizione fosse riferibile a un altare votato alla Pietas Augusta nel 22 d.C. e dedicato nel 42 d.C.; in realtà il testo non offre alcun supporto in merito.
Malgrado ciò, si è tentato, tuttavia, di conservare una relazione tra l'iscrizione e la possibile dedica di un altare a Livia divinizzata; ma non si sarebbe trattato dell'A P., bensì dell'ara gentis Iuliae, un altare posto sul Campidoglio e conosciuto in base alla sua menzione in alcuni diplomata militaría affissi su monumenti capitolini, e negli acta fratrum Arvalium.
Anche il tema della composizione è oggetto di discussione. L'opinione vulgata è che si tratti della cerimonia della constitutio dell'ara, a imitazione dell'ara Pacis, con sacrifici al Genio di Augusto dinanzi ai monumenti più significativi del suo principato. Una proposta assai più articolata (Torelli) riconosce sul monumento la raffigurazione di due processioni con due percorsi differenti. A imitazione delle celebrazioni in occasione del genetliaco di Augusto, che avvenivano il 23 settembre in Capitolio e il 24 settembre in Palatio, così, in occasione della constitutio dell'ara sarebbero state celebrate due cerimonie, la prima che, partendo dalla casa di Augusto sul Palatino, giungeva al tempio realizzato nel luogo dove era la casa natale di Augusto, ad capita bubula; la seconda che, partendo dal templum novum divi Augusti, eretto alle pendici del Palatino, forse dietro la Basilica Giulia, saliva sul Campidoglio, nella zona dove sarebbe stato eretto l'altare, presso i templi della triade Capitolina e di Fides.
Una recentissima ipotesi (La Rocca) offre una esegesi più strettamente correlata con la volontà di Claudio di emulare ideologicamente Augusto: come il senato aveva dedicato le are di Fortuna Redux e della Pax in occasione dei reditus di Augusto dai viaggi nelle province orientali e occidentali dell'impero, così la c.d. A.P. potrebbe essere stata dedicata in occasione del reditus di Claudio dalle Provincie settentrionali dell'impero. L'occasione per il viaggio, durato sei mesi, era stata fornita dalla guerra contro i Britanni, cui Claudio partecipò per sedici giorni presiedendo alla capitolazione finale di Camulodunum (Colchester), quanto bastava per poter celebrare un trionfo, svoltosi nel 44 d.C.
In realtà è verosimile che il viaggio avesse lo scopo di controllare con maggiore attenzione lo stato amministrativo delle aree settentrionali dell'impero, proseguendo in ciò la vigile politica di Augusto. Di ritorno dalla Britannia, l'imperatore si era quasi certamente fermato nella sua città natale, Lugdunum, ed era giunto fino a Ravenna, da dove si era imbarcato, su una nave lussuosa, per ritornare trionfalmente a Roma: e questa deve essere stata l'occasione per l'erezione a Ravenna di un monumento pubblico cui erano pertinenti i celebri rilievi «dei Troni», dei «Choroh femminili, infine dei due frammenti con raffigurazione di membri della gens Giulio-Claudia e di una processione sacrificale.
La cerimonia raffigurata sulla c.d. A.P. sarebbe stata istituita in onore del Genio di Claudio, e avrebbe comportato un sacrificio cruento dinanzi al Tempio di Marte Ultore (ivi gli acta fratrum Arvalium documentano sacrifici di boves mares sia ai Genii degli imperatori sia in occasione di reditus imperiali). La processione avrebbe preso l'avvio dinanzi alla domus imperiale sul Palatino, nel piazzale dove si affacciavano la casa di Augusto, e i templi della Magna Mater, di Victoria Virgo e di Victoria·, avrebbe percorso il clivus Victoriae avvicinandosi al Tempio del divo Augusto; avrebbe poi costeggiato nel Foro Romano i templi delle divinità collegate al culto del Genio imperiale, di Vesta, dei Lari in Sacra via summa, e dei Penati sulla Velia, prima di giungere dinanzi al Tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto. La straordinaria coincidenza del dies natalis di Claudio (il 1 agosto) con quello dei templi di Marte Ultore e delle due Vittorie sul Palatino, dell'entrata in carica dei Magistri Compitales, infine con il natalis del collegio dei Dendrophori addetti al culto della Magna Mater deve aver favorito, con il supporto di un'efficace simbologia, tema e motivazione della dedica.
Nuovi frammenti rinvenuti alle pendici del Campidoglio, ma in aree differenti, sembrano essere pertinenti a questa struttura e rafforzano l'ipotesi, più volte avanzata, che essa sia stata realizzata a imitazione dell'Ara Pacis. Il recinto dell'altare era decorato all'esterno con due fasce, la superiore con il fregio con processione sacrificale, l'inferiore con un viluppo di rami d'acanto. La faccia interna del recinto, nella zona superiore, era decorata con ghirlande rette da thymiatèria. L'altare, come il modello augusteo, aveva un podio con rilievi, e un elevato diviso in due fasce di misura differente anch'esse decorate con rilievi. Sono significativi il frammento di un pulvino con testa di grifo ed un blocco del fregio superiore dell'altare che avvalorano l'ipotesi di una precisa corrispondenza, persino metrica, tra la c.d. A.P. e l'Ara Pacis. Il rinvenimento di questi nuovi frammenti ripropone la questione dell'originaria ubicazione dell'altare; sempre che i frammenti siano pertinenti alla stessa struttura e non a un'altra simile. Qualora si tratti di un monumento dedicato dal senato per il ritorno di Claudio a Roma, potrebbe supporsi una posizione appena fuori del pomerio, o sulla stessa via Lata, oppure, meglio, non lontano dalla Porta Carmentale, presso quel Tempio di Bellona vero e proprio sacrario religioso dei Claudii, da loro voluto e più volte restaurato. Se Claudio è giunto a Roma navigando il Tevere dal porto di Ostia, come è verosimile, la sua imbarcazione potrebbe aver attraccato al portus Tiberinus; l'imperatore sarebbe quindi entrato in città dall'area compresa tra il Foro Boario e il Circo Flaminio.
A livello figurativo, accertate le indubbie assonanze stilistiche con l'Ara Pacis, emergono piuttosto nuovi significativi elementi. È la fase in cui si impostano definitivamente schemi figurativi destinati a imperare, immutati, nei secoli seguenti. Il linguaggio artistico romano, per sua natura fortemente simbolico, tende a reiterare schemi ormai consolidati che interpretino visivamente virtutes autenticamente romane. In età imperiale, naturalmente, lo Stato romano è rappresentato dall'immagine dell'imperatore, che ne diviene il rappresentante e il simbolo vivente. Se in età augustea il fenomeno, comunque sempre presente, si mostra ancora allo stato fluido, già verso la fine del principato augusteo (le tazze Rotschild), e ancor più in età tiberiana e Claudia, la tendenza al congelamento degli schemi figurativi più carichi di valori simbolici si manifesta con sempre maggiore evidenza. Si arriva al punto che rilievi eseguiti per monumenti della prima e media età imperiale possono essere riadoperati su monumenti pubblici di età tardo-antica senza mutare il loro significato simbolico primario. La scena di sacrificio dinanzi al Tempio di Marte Ultore sulla c.d. A.P. ne offre un esempio significativo, in quanto lo schema, che può essere letto come pietas erga deos, si ripete in seguito con poche varianti (p.es. in un rilievo traianeo nella Galleria degli Uffizi); infine è questo stesso pannello a essere riadoperato nell'arcus novus in funzione di Diocleziano. C'è poi un altro significativo elemento che va posto nella dovuta luce, l'importanza che i monumenti pubblici, assurti al ruolo di protagonisti, assumono nell'ambito della composizione generale. Comincia a imporsi una nuova immagine di Roma, della cui immutabile grandezza i monumenti sono la più vivida espressione. Essi assurgono al ruolo di simbolo della Roma aeterna.
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Sugli archi di Claudio e di Diocleziano sulla Via Lata: Laubscher, op. cit., R. Brilliant, I piedistalli del giardino di Boboli. Spolia in se, spolia in re, in Prospettiva, 31, 1982, pp. 2-17; G. Koeppel, Two Reliefs from the Arch of Claudius in Rome, in RM, XC, 1983, pp. 103-109, in part. p. 106; T. Buttrey, The Dates of the Arches of «Diocletian» and Constantine, in Historia, XXXII, 1983, pp. 375-383, in part. p. 378 ss.; S. De Maria, Gli archi onorari di Roma e dell'Italia antica, Roma 1988, p. 280 ss., n. 69, p. 312 ss., n. 94.
Sui rilievi di Ravenna: L. Beschi I rilievi ravennati dei «Troni», in FelRav, CXXVII-CXXX, 1984-1985, pp. 37-80; M. E. Micheli, Rilievi con donne offerenti, danzanti e ghìrlandofore a Ravenna e a Roma, in Prospettiva, 51, 1987, pp. 2-16.
Sul rilievo con sacrificio di toro nella Galleria degli Uffizi: G. Koeppel, Die historischen Reliefs der römischen Kaiserzeit, 3. Stadtrömische Denkmäler unbekannter Bauzugehörigkeit aus trojanischer Zeit, in BJb, CXXXV, 1985, pp. 142-213, in part. 167 ss., n. 6, fig. 8.