῾Arab
(Tunisia/Francia 1988, Arabi, colore, 98m); regia: Fadhel Jaïbi, Fadhel Jaziri; produzione: Collectif du Nouveau Film et Théâtre/IMF/Carthago Films; sceneggiatura: Fadhel Jaïbi, Fadhel Jaziri; fotografia: Belgacem Jelliti; montaggio: Arbi Ben Ali; musica: Hammadi Ben Othman.
Houria, hostess di una compagnia aerea araba, arriva in una chiesa dove si è rifugiato Kuraich con i suoi uomini. La donna cerca il fratello di questi, Khalil Lakhdar, fotografo di guerra conosciuto in Libano. Ma Kuraich non vuole che Houria rimanga nella basilica e, contro la volontà della donna, la riporta fin sulla strada principale. Houria viene però ricondotta nella chiesa dai nemici di Kuraich, che lo assediano non perdonandogli di avere rapito la loro cugina Arbia. Privato delle sue terre, perseguitato, Kuraich ha trovato rifugio in quell'edificio, dove condivide lo spazio insieme al suo vassallo Manoubi, a una serva muta di nome Ousfour (che in arabo significa uccello maschio), a suo fratello Khalil e ad Arbia. Houria ritrova Khalil, il cui volto è stato sfigurato durante un'azione di guerra in Libano e lo supplica di dirle dove si trova Seif, il marito palestinese del quale non ha notizie da cinque mesi. All'interno della chiesa le situazioni e i rapporti fra i personaggi si fanno sempre più tesi. All'esterno i nemici armati, con il consenso delle famiglie, non danno loro tregua. Houria scopre infine che Seif è stato ucciso a Beirut. Incinta, decide di lasciare quel posto di orrore e follia, nonostante le suppliche di Kuraich, rimasto solo.
῾Arab è la versione cinematografica dell'omonimo lavoro teatrale del Collectif du Nouveau Film et Théâtre fondato a Tunisi nel 1975 da Jalila Baccar, Mohamed Dris, Fadhel Jaïbi, Fadhel Jaziri e Habib Masruqi. Un collettivo dalla forte impronta teorica che, in pochi anni e grazie a una profonda e rigorosa ricerca formale, descrive un nuovo e originale percorso all'interno della scena ‒ teatrale, cinematografica, televisiva ‒ tunisina. Messa in scena nel 1987 nella ex cattedrale cattolica di Tunisi, costruita dai francesi alla fine dell'Ottocento sulla collina di Cartagine, la pièce di ῾Arab si trasforma, nello stesso luogo, in lungometraggio un anno dopo. Gli elementi sperimentali e innovativi riguardano sia la narrazione sia le scelte estetiche, con una straordinaria dose di energia che scaturisce dall'uso dei corpi, del set, della macchina da presa. Con ῾Arab Fadhel Jaïbi e Fadhel Jaziri, i due registi, sradicano le convenzioni della messa in scena e realizzano un'esemplare riflessione sullo spazio, sul rapporto fra il campo e il fuori campo, sulla violenza alimentata dalla coabitazione forzata in un luogo claustrofobico. ῾Arab è un trattato filmico su come muoversi dentro una dimensione ristretta da reinventare in continuazione, aprendo varchi tra i personaggi, i loro corpi e gli oggetti con i quali si confrontano e si scontrano. Ecco dunque, depositata e sedimentata su più strati del tempo e della memoria, l'energia e la fisicità delle quali è intriso il film, in persistente contatto con la terra, la polvere, il sangue che generano maschere della rabbia e del dolore.
Fondamentale è la dichiarazione-manifesto del Collectif, che rivendica la differenza estetica fra rappresentazione teatrale ed elaborazione filmica di un proprio testo. Un incessante lavoro di creazione, di adesione alle potenzialità dei mezzi artistici scelti iniziato nel 1978 con Al-῾urs (Le nozze, regia del Collectif) che, con ῾Arab, è l'altro capolavoro per immagini del gruppo d'avanguardia tunisino. Un film in bianco e nero, il primo; un testo saturo di colori, il secondo. Un film tutto d'interni, Al-῾urs; un lavoro nel quale si alternano interni ed esterni, ῾Arab, dove Jaïbi e Jaziri hanno mostrato quello che a teatro si poteva solo suggerire, ripensando interamente personaggi, spazi, dialoghi. In entrambi i casi, film nel segno del melodramma al tempo stesso appassionato e gelido, come se ci trovassimo in un'opera di R.W. Fassbinder trasportata nel Nord Africa, luogo geografico assente, riaffiorante dai volti, dai gesti, dalle parole dei personaggi, dalle loro esperienze interiori che li rendono inquieti lottatori. I set diventano così arene per combattimenti più intimi (la coppia di sposi freschi di nozze che, nelle stanze di un vecchio appartamento, si lacera psicologicamente e fisicamente in Al-῾urs) oppure per devastanti tensioni che uniscono il discorso personale con quello storico e politico, come capita in ῾Arab. Infatti, nel rappresentare la tragedia di un destino strettamente individuale, i registi definiscono le basi per la comprensione di quella tragedia collettiva che è stata la disfatta araba. Ci sono riferimenti alla guerra del Libano, così come alla militanza di un combattente palestinese sparito a Beirut. Le dinamiche di guerra si ripropongono negli spazi chiusi della basilica, dove ha luogo un altro, infinito e doppio stato d'assedio: quello che oppone il gruppo lì rifugiatosi ai nemici esterni e quello, ancor più devastante, che mette gli uni contro gli altri quanti hanno trovato riparo in quel posto, in un gioco al massacro senza tregua.
In questa struttura, un gesto compiuto da Khalil (interpretato da Fadhel Jaziri) assume particolare significato. L'uomo scava un tunnel nel pavimento della chiesa per tentare un collegamento con l'esterno. Un gesto disperato, che ben contiene la dimensione semantica del lavoro sullo spazio, della necessità ribadita in ogni inquadratura di segnare nuove linee, fisiche e della visione, da percorrere. Lo sguardo e la macchina da presa si spostano sempre più in profondità, verso zone di trincea, sporcandosi, facendosi invadere dalla terra, come il personaggio di Khalil. Il piano-sequenza, il montaggio, i suoni e la musica producono sfasamenti temporali e spaziali, creando un affascinante, cupo, forse alla fine liberatorio, vortice sensoriale.
Premiato alla dodicesima edizione delle Journées Cinématographiques de Carthage del 1988 con il Tanit di bronzo e selezionato, l'anno seguente, per la Sémaine de la Critique del Festival di Cannes, ῾Arab ha fatto conoscere un modo diverso di fare cinema in Tunisia. Se l'avanguardia del collettivo si è collocata fra la metà degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta, significative tracce filmiche di quell'esperienza sono poi proseguite nei lavori individuali di Jalila Baccar (attrice e corpo straordinario che, in ῾Arab, interagisce con lo spazio con violenza e sensualità), di Fadhel Jaïbi (regista, nel 1991, insieme a Mahmoud Ben Mahmoud di Shīshkhān ‒ Poussière de diamants), di Fadhel Jaziri (attore principale nel 1982 del lungometraggio d'esordio di Ben Mahmoud ῾Ubur ‒ La traversata).
Interpreti e personaggi: Lamine Nahdi (Kuraich), Jalila Baccar (Houria), Fathi el Heddaoui (Manoubi), Zahira Ben Ammar (Arbia), Fatma Ben Saidane (Ousfour), Fadhel Jaziri (Khalil Lakhdar).
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