Arabia Saudita
di Matteo Marconi
Stato dell’Asia sudoccidentale, interamente compreso nella penisola arabica. La popolazione si è incrementata considerevolmente, passando da 22.678.262 ab. del censimento del 2004 a 29.369.428 stimati da UNDESA (United Nations Department of Economic and Social Affairs) nel 2014. Riyāḍ, la capitale, è cresciuta del 25% nello stesso periodo, confermandosi come la più popolosa dello Stato (5.188.286 abitanti). È calata sensibilmente la fecondità, scesa da 4 figli per donna del 2006 a 2,7 del 2012. I sauditi però sono ancora molto giovani, dato che il 66,8% è in età lavorativa e solo il 4,9% ha 60 o più anni. Nonostante questo, il 50% della popolazione attiva è incluso tra il 20% di immigrati. Questi ultimi, perlopiù provenienti da altri Paesi dell’Asia, sono aumentati dall’8,5% del 2006 al 22% del 2012, attirati dalla crescente potenza industriale dell’Arabia Saudita. Tra la popolazione attiva è rimarchevole che solo il 15,5% sia di sesso femminile.
L’attività industriale di gran lunga prevalente è quella estrattiva, con una produzione di petrolio che è passata dai 434.988.000 di tonnellate del 2007 ai 483.025.000 del 2013, secondo posto al mondo, dopo la Russia. È rilevante anche l’estrazione di gas naturale, in cui l’A. S. è posizionata all’ottavo posto al mondo. Il sistema economico ha le stesse caratteristiche di altri Paesi produttori di idrocarburi dell’area, caratterizzati da forte intervento statale e scarsa iniziativa privata. La grande disponibilità economica dello Stato è gestita secondo dettami neopatrimoniali, che finiscono per acquisire il consenso attraverso crescenti prestazioni economiche e sociali.
L’intervento governativo è finalizzato alla diversificazione dei settori produttivi, particolarmente nei comparti dei servizi bancari, agricolo e dell’industria pesante. Nei servizi, l’A. S. è il principale centro finanziario del Vicino Oriente; considerevole anche l’apporto del settore turistico, con un flusso di visitatori quasi raddoppiato negli ultimi dieci anni (14.276.000 nel 2012). Dal punto di vista agricolo, gli ingenti investimenti hanno portato a un aumento delle terre coltivabili; nonostante ciò, la permeabilità saudita nel settore alimentare è ancora notevole. Sostanzialmente invariata è la produzione di datteri, di cui l’A. S. ha il primato mondiale. Nell’industria pesante notevoli progressi sono stati fatti nel comparto del cemento, dove l’A. S. è divenuta la tredicesima produttrice mondiale, con un incremento del 50% della produzione in meno di dieci anni. Notevoli anche i rendimenti nei comparti di fosfati naturali, ammoniaca, fertilizzanti azotati e zolfo, dove è stabilmente tra i primi quindici produttori al mondo. Grazie al forte aumento del prezzo degli idrocarburi l’A. S. ha incrementato le entrate, quasi raddoppiandole, ma aumentando ancora di più i costi. Le spese militari si confermano tra le più alte al mondo (8% del PIL), mentre è rilevante l’impegno per l’istruzione (5,6% del PIL). Negli ultimi anni si segnalano anche importanti investimenti sul sistema viario stradale, passato da 167.600 km a 221.372 km, con un conseguente aumento del 40% dei veicoli a motore.
di Giuseppe Dentice
Nel periodo 2005-10, il regno saudita fu caratterizzato da una sostanziale stabilità interna favorita sia dall’assenza di minacce – interne ed esterne – alla sua sicurezza, sia dall’avvio di un cauto processo riformista, soprattutto in economia, che permise alle amministrazioni centrali di ridimensionare i molteplici problemi che affliggevano Riyāḍ. In questi anni, l’intreccio inscindibile tra politica e religione, sotto i dettami del wahhabismo, non venne mai meno, ma soprattutto non risentì di alcuna turbativa.
In questo contesto, re ῾Abd Allāh ibn ῾Abd al-῾Azīz alSa῾ūd – al potere dall’agosto 2005 fino alla morte nel gennaio 2015, quando gli successe al trono il fratellastro Salmān – poté portare avanti alcune riforme atte a ridefinire la struttura economica del Paese e a favorire una politica di attrazione degli investimenti esteri nel regno. Inoltre, sull’on da delle elezioni municipali del 2005, nel dibattito politico nazionale fu posta sempre più l’attenzione sulla questione femminile, sotto il profilo sia dei diritti civili e politici, sia del ruolo della donna nell’economia. Allo stesso tempo, unitamente alla lotta al terrorismo islamista, divenne una priorità per la sicurezza e la stabilità del regno l’eliminazione di tutte quelle forme di radicalismo religioso che potevano sfociare nel terrorismo. La codifica delle linee guida alla base delle pronunce delle fatwā (ritenute fonti normative), l’espulsione degli ῾ulamā᾽ che criticavano le tendenze riformiste del monarca, nonché la riforma in materia di amministrazione della giustizia del 2007, risposero a queste esigenze.
Con l’insorgere delle primavere arabe del 2011, l’A. S. conobbe – seppur in maniera più contenuta rispetto ad altre realtà della regione – una stagione di proteste legate principalmente alle discriminazioni politiche, civili e religiose nei confronti delle minoranze sciite (circa il 15% della popolazione totale) delle province orientali del regno. Tuttavia le proteste – rientrate dopo l’intervento diretto del monarca che promise riforme e l’iniezione nel mercato interno di 129 miliardi di dollari in sussidi – rivelarono le fragilità esistenti nel sistema saudita, come il mancato rispetto dei diritti umani, il tema della successione al trono – all’interno del quale si inseriscono le tensioni generazionali esistenti tra i diversi membri della famiglia reale – e la mancata differenziazione dell’economia.
Colto impreparato dal fervore rivoluzionario e intimorito dalle possibili ricadute interne, l’establishment saudita dapprima dichiarò illegali le manifestazioni di dissenso, poi rifiutò il dialogo con le minoranze e, infine, represse ogni forma di opposizione contro la stessa famiglia reale. Allo stesso tempo, il governo centrale ricondusse le proteste nell’alveo del terrorismo condannando qualsiasi attività ritenuta pericolosa per la moralità e per la stessa sicurezza dello Stato (per es. i divieti di guida per le donne e i relativi arresti). Infine, il pericolo rappresentato dal jihadismo di ritorno dei mujāhidīn impegnati in Siria e in ῾Irāq spiegò solo in parte il varo di una nuova e più restrittiva legge antiterrorismo, una progressiva militarizzazione del territorio lungo i confini e l’arresto di centinaia di oppositori politici e religiosi – soprattutto sciiti sauditi – ritenuti apostati o agenti stranieri iraniani.
Parallelamente, sul piano regionale e internazionale, gli stessi timori interni e una possibile penetrazione iraniana nella penisola arabica guidarono le direttrici di politica estera di Riyāḍ. Gli al-Sa῾ūd cercarono da un lato di coordinare le strategie del Consiglio di cooperazione del Golfo contro Teherān – minimizzando anche le differenti visioni tra le potenze dell’area – dall’altro spinsero le monarchie e i regimi anti-islamisti a creare un fronte di stabilità antireazionario in Medio Oriente.
di Livio Sacchi
Gli insediamenti urbani sono in rapida crescita, espandendosi nel territorio a una densità abitativa in generale piuttosto bassa: una forma di urban sprawl antitetico rispetto al concetto storico della città in generale e di quella araba in particolare. Riyāḍ, moderna capitale e maggiore città del regno (con una popolazione di 5 milioni ca. di abitanti), è posta ai margini settentrionali del Rub’ al Khali – il cosiddetto Empty quarter o Quarto vuoto – una delle aree desertiche sabbiose più estese del mondo (650.000 km2) e più ricche di giacimenti petroliferi.
La struttura urbana, prevalentemente orizzontale, è connotata da una griglia stradale di dimensioni imponenti, le cui arterie, dotate di sottopassi e viadotti, sono prevalentemente a 12 corsie. Con l’eccezione di poche aree storiche, la città è pressoché impraticabile ai pedoni: la mobilità è interamente delegata alle auto private, mentre il trasporto pubblico, a eccezione dei taxi, è insufficiente se non inesistente, ma la costruzione di un nuovo, ambizioso sistema ferroviario metropolitano è iniziata nel 2014. I concorsi per le tre stazioni centrali di Olaya, Qasr Al Hokm e King Abdullah financial district sono stati vinti rispettivamente dagli studi Gerber Architekten, Snøhetta (v.) e Zaha Hadid Architects. La prima linea sarà lunga 174 km, tutte le stazioni funzioneranno grazie a fonti di energia rinnovabili: il completamento dei lavori è previsto nel 2017.
Al centro della città spiccano due torri. La prima, Al Faisaliyah, realizzata da Foster+Partners (v.) con BuroHappold nel 2000, con i suoi 267 m è considerata la prima costruita nel regno saudita. La seconda è la Kingdom Tower, di Ellerbe Becket (studio statunitense con sedi, fra l’altro, a Dubai e Doha) e Omrania & Associates con Arup che, con i suoi 300 m di altezza e 99 piani, si erge al di sopra dell’omonimo Kingdom Centre, fra gli shopping malls più noti della capitale saudita. Non pochi i nuovi edifici opera di celebrati architetti: a Zaha Hadid si deve, per es., un grande padiglione che fa parte della Princess Nora bint Abdul Rahman University, campus interamente dedicato alle donne (la maggiore università women only del mondo) i cui edifici – in gran parte progettati dallo studio statunitense Perkins+Will e completati nel 2011 – sono collegati da una linea metropolitana sopraelevata driverless, cioè completamente automatizzata, che garantisce la privacy delle passeggere con speciali cristalli che si oscurano nei tratti più prossimi ai confini esterni del campus.
La maggiore istituzione museale è il National museum of Saudi Arabia, progettato da Moriyama & Teshima e realizzato nel 1999, un anno prima dell’assegnazione a Riyāḍ, da parte dell’UNESCO, del ruolo di capitale culturale del mondo arabo. Notevole anche il Tuwaiq Palace, centro culturale, cerimoniale e ricreativo del quartiere diplomatico: realizzato da Frei Otto, BuroHappold e Omrania, nel 1998 si aggiudicò l’ambito Aga Khan award for architecture.
Molto diversa è Gedda, ex capitale e oggi, con oltre 4,5 milioni di abitanti (compresa l’area metropolitana), seconda città del regno. La metropoli si è sviluppata prevalentemente verso nord, occupando la pregiata striscia di territorio che si allunga parallelamente al Mar Rosso. Fra i tanti edifici disegnati da studi internazionalmente noti sono il King Abdulaziz international airport e la sede della National commercial bank, torre a pian ta triangolare posta a ridosso del centro storico, entrambi opera dello studio statunitense SOM, Skidmore Owings and Merrill, e fortemente ispirati alla tradizione araba: il primo per la presenza di bianche tende che ricordano quelle utilizzate dai beduini nel deserto; la seconda per la completa chiusura all’esterno a eccezione di grandi aperture rettangolari da cui, secondo una tecnica costruttiva locale, prendono indirettamente luce gli uffici. Fra i progetti più spettacolari in corso di realizzazione spicca la nuova, vertiginosa Burj al Mamlakah o Kingdom Tower, commissionata dal principe Al-Waleed bin Talal. La torre è stata disegnata dallo studio di Chicago AS + GG, Adam Smith+Gordon Gill Architecture (Smith, che faceva parte di SOM, è il medesimo progettista di Burj Khalifa, la torre di Dubai, v., che detiene attualmente il record mondiale di altezza) con una serie di consulenti fra cui Environmental systems design e Thornton Tomasetti. Intorno al nuovo, straordinario edificio sorgerà il Kingdom waterfront district, un’estesa area urbana percorribile a piedi. La torre è destinata a diventare la più alta del mondo.
Particolarmente interessante è poi il centro storico di Gedda, chiamato Al-Balad, che significa la città: un insieme di notevole pregio storico-artistico, densamente popolato da immigrati africani e asiatici. Unico in termini dimensionali (il più esteso del regno) e antropologici (è stato ininterrottamente abitato per l’intero corso della sua storia), gli esempi architettonici più interessanti risalgono al 18° e al 19° sec. e sono stati costruiti in gran parte utilizzando blocchi di origine corallina. Nel 2014 Al-Balad è entrato a far parte della World heritage list dell’UNESCO.
Il contrasto fra una storia millenaria e la tensione verso il nuovo è molto sensibile anche a La Mecca. Interdetta ai non musulmani per un raggio di 5 km dalla Kaaba, la città santa, che ospita la più venerata moschea dell’islam, vanta anche una delle torri più alte del mondo, la Makkah clock royal tower o Abraj Al-Bait towers o King Abdulaziz endowment tower, costruita dal Saudi Binladin Group, importante impresa di costruzioni saudita (il nome di uno dei membri della famiglia, Osama, è legato all’attacco terroristico dell’11 settembre 2001). Più che una torre vera e propria, il complesso che sovrasta la moschea è un altissimo – supera i 600 m – insieme di più torri di gusto arabeggiante, che ospita, oltre a un colossale orologio, alberghi, appartamenti ed edifici con funzioni diverse. Le continue espansioni della moschea hanno peraltro provocato la distruzione di gran parte del tessuto storico urbano che la circondava; qualcosa di simile è avvenuto, di recente, anche a Medina.
L. Sacchi, Architettura e identità islamica, Milano 2014, pp. 42-52, 63-90.
di Monica Ruocco
Negli ultimi due decenni la produzione letteraria dell’A. S. ha superato un penalizzante isolamento geografico e culturale, e gli autori sauditi sono diventati molto più visibili anche in quei circuiti letterari arabi e internazionali ai margini dei quali erano rimasti fino a qualche anno fa. L’alba del 21° sec. ha coinciso con la nomina di Riyāḍ a capitale della cultura araba rappresentando il punto d’arrivo di uno sviluppo iniziato negli anni Settanta che ha visto l’espansione del sistema educativo, l’incremento degli investimenti nella cultura e un sempre maggior numero di giovani sauditi che si formano all’estero.
I contrasti che vive il Paese, in cui vigono forti restrizioni sociali e una severa censura, si rispecchiano nella produzione letteraria in cui coesistono un’anima tradizionalista legata al passato arabo-islamico e una forte spinta modernista a tratti anche trasgressiva. La poesia vede l’A. S. come culla della letteratura araba già in epoca preislamica, e rimane il genere in cui è maggiore l’influenza della tradizione. Esponenti del panorama poetico saudita si incontrano annualmente al Jenadriyah heritage and cultural festival, istituito nel 1985, per partecipare a tenzoni che prevedono la recitazione di versi per lo più tratti dal patrimonio storico. A questa si aggiunge una poesia religiosa, che propone una lettura della società sulla base dei principi dell’islam. Tra i cultori del genere ῾Abd al-Raḥmān al-῾Ašmāwī (n. 1956) il quale ha scritto, nel 2014, un poema sulla vita del profeta Muḥammad messo in scena dal Teatro nazionale di Sharjh, negli Emirati Arabi. Figura di spicco di una poesia innovatrice è stato Ġāzī bin ῾Abd al-Raḥmān al-Quṣaybī (1940-2010), spesso critico nei confronti dell’élite politica. Poco prima della sua morte, le autorità decisero di togliere la censura al suo romanzo Šaqqat al-ḥurriyyah (L’appartamento della libertà, 1994) che era stato vietato a causa delle esplicite critiche rivolte al governo e dell’ironia sulle norme restrittive imposte alla società. Recentemente si è assistito a un affermarsi sempre più evidente del verso libero e della poesia in prosa i cui protagonisti sono Ġassān al-Ḫunayzī (n. 1960), Muḥammad ῾Ubayd al-Ḥarbī (n. 1955), ῾Abdallah al-Safar (n. 1960), considerati i pionie ri di una scuola poetica d’avanguardia, oltre ad Aḥmad al-Mullā (n. 1961) e Ibrāhīm al-Ḥusayn (n. 1960), e alle poetesse Fawziyyah Abū Ḫālid (n. 1955), Hudà ῾Abd Allāh al-Daġfaq (n. 1967), i cui versi esprimono la ribellione ai costumi tradizionali.
Il genere del romanzo ha conosciuto una vera esplosione da un punto di vista sia quantitativo sia qualitativo. I romanzi degli autori sauditi stanno riscuotendo un sempre maggiore successo di critica e pubblico, dimostrandosi in grado di infrangere tabù quali il razzismo, la schiavitù, l’emarginazione, le difficoltà dei rapporti tra uomini e donne, la vita politica nel regno, dando voce al malcontento di tutta una generazione e sfidando i limiti dettati dalla censura. Infatti, la maggior parte di questi scrittori pubblica al Cairo, a Beirut o in Europa.
La narrativa saudita è salita alla ribalta della scena internazionale nel 2005 con il best seller di Raǧā᾿ al-Ṣāni῾ (Rajaa Alsanea, n. 1981) Banāt al-Riyāḍ (trad. it. Ragazze di Riad, 2008) che ha venduto, solo nel primo anno, oltre 60.000 copie. Esaltato o criticato per il suo approccio ‘leggero’, il romanzo ha acceso un riflettore sulla vita delle ragazze saudite. Nel 2010 ῾Abduh Ḫāl (n. 1962) ha ricevuto l’IPAF (International Prize for Arabic Fiction) per il romanzo Tarmī bi-šarar (Lanciando scintille, 2010), una dark novel che segue le confessioni di un sicario alle dipendenze di un misterioso uomo d’affari di Gedda. Il romanzo alza un velo sulla corruzione e su tre argomenti cruciali per la società saudita: religione, politica, sesso.
Nel 2011 l’IPAF è stato assegnato a Raǧā᾿ ῾Ālim (n. 1970) che si è affermata con Tawq al-ḥamām (trad. it. Il collare della colomba, 2014), un giallo che diventa anche viaggio spirituale attraverso le leggende e la realtà politica ed economica della città della Mecca. Altro romanziere affermato è Yūsuf al-Muḥaymīd (n. 1964), autore di Fiḫāḫ al-rā᾿iḥah (2003; trad. it. Le trappole del profumo, 2011), al-Qarūrah (2004, La bottiglia), Nuzhat al-dalfīn (2006, La passeggiata del delfino), al-Ḥamām lā yaṭīr fī Buraydah (2009, La colomba non vola a Burayda) che parla di immigrazione, discriminazione sociale, delle contraddizioni tra la vita all’interno del regno e quella dei cittadini sauditi all’estero. Schiavitù, emarginazione e abusi sessuali sono al centro di Šāri ῾ al-῾aṭāyf (2009, Via degli affetti) di ῾Abdullāh Bin Baḫīt (n. 1952), mentre Muḥammad Ḥasan ῾Alwān (n. 1979) ha scritto al-Qundus (2011, Il castoro) in cui, attraverso le vicende di un emigrato negli Stati Uniti, ripercorre la storia di tre generazioni. Tra le scrittrici più affermate Laylà al-Ǧuhanī (n. 1969), i cui romanzi più recenti sono Ǧāhiliyyah (2007, Ignoranza), dove esplora il conflitto tra amore e colore della pelle, e 40 fī ma῾nà an akbur (2010, 40, nel senso che divento grande); Badriyyah al-Bišr (n. 1967), autrice di Hind wa al-῾askar (2005, Hind e i soldati), al-Arǧūḥah (2010, L’altalena) e Ġarāmiyyāt Šāri῾ al-A῾šà(2013, Storie d’amore in via al-A῾šà), ambientato negli anni Settanta, le cui protagoniste sono tre donne in cerca della propria libertà; Umaymah al-Ḫamīs (n. 1966) ha pubblicato al-Wārifah (2009, L’albero lussureggiante), la cui protagonista vive un contrasto tra la propria vita reale e i sogni e le aspirazioni che la portano in una dimensione parallela; Zaynab Bint Aḥmad Ḥifnī (n. 1965) ha invece suscitato scalpore con il romanzo Malāmiḥ (2006, Lineamenti), un amaro ritratto della discriminazione subita dalle donne saudite.
Beyond the dunes. An anthology of modern Saudi literature, ed. M. al-Hazimi, S.Kh. Jayyusi, E. Khattab, London-New York 2006; New voices of Arabia. The poetry, ed. S. Al-Bazei, London-New York 2012.