ARABICI
. È il nome dato da S. Agostino (De haeres., 83) ad una setta ereticale del sec. II, di cui parla Eusebio (Hist. eccles., VI, 37); fu confutata vittoriosamente da Origene, che ne ottenne il ritorno all'ortodossia, in un sinodo del 249 (?). Maggiori notizie sul fondatore della setta, come sulla sua diffusione e organizzazione, mancano; l'Arabia da cui furono designati è la regione intorno a Damasco. Argomentando forse da un passo di I Timoteo (VI, 16) in cui si parla di Dio "il quale soltanto ha immortalità" conchiudevano (confondendo tra l'immortalità ch'è attributo di Dio, e quella concessa all'uomo) che l'anima muore per poi risorgere insieme con il corpo; e questa "morte" concepivano, a quanto pare, realisticamente, piuttosto come un vero e proprio disfacimento che come una specie di sonno. Perciò furono anche detti ϑνητοψυχῖται "che credono che l'anima muoia col corpo". Si può confrontare questa dottrina con quella svolta da Taziano nel capitolo 13 della sua Oratio ad Graecos.
Bibl.: Hefele-Leclercq, Histoire des Conciles, I, p. i, Parigi 1907, p. 163 seg.; Buddeus, De Arabicorum haeresi, Jena 1713.