ARAGONA TAGLIAVIA, Ottavio d'
Nacque a Palermo nel 1565 da Carlo, il "grande siciliano" governatore di Milano e presidente del Consiglio d'Italia, e da Margherita Ventimiglia. Destinato giovanissimo alla carriera delle armi, l'A. seguì dapprima il padre in Catalogna (1581) e a Milano (1583), quindi fu con Alessandro Famese nelle Fiandre, dove nel 1587 era a capo di una compagnia spagnola di lancieri; partecipò alla campagna di Francia del 1590, distinguendosi alla liberazione di Parigi ed alla occupazione di Lagny e di Corbeil. Nel 1593 era nuovamente in Lombardia dove ebbe il coniando della cavalleria leggera con la quale partecipò alla guerra in Piemonte. Passò nelle Fiandre nel 1596; fu alla campagna di Piccardia, dove rimase ferito alla testa da un colpo di archibugio. Nel 1599 tornò in Sicilia, dove gli era stato affidato il comando di una compagnia di lancieri con una pensione annua di 25.000 scudi, ma preferì poi militare nella squadra navale siciliana agli ordini dell'anmùraglio conte di San Gadèay (1604).
Nel 1606 Filippo III lo nominò consigliere di Sicilia, col compito di interessarsi sia all'amministrazione militare sia agli interessi patrimoniali della Corona. Nello stesso anno il viceré duca di Feria gli affidò il comando provvisorio delle galere siciliane, in assenza di Pedro de Leiva. Contemporaneamente però la corte di Madrid lo nominò governatore di Messina. Il senato messinese si oppose a lungo alla presa di possesso della carica, legata alla residenza e ritenuta incompatibile con il comando navale. L'A. tuttavia poté prenderè possesso del governo di Messina nel gennaio 1607; ma il senato cittadino continuò a osteggiarlo, accusandolo di abusare delle sue prerogative giurisdizionali.
Nel dicembre 1608 l'A. catturò alcuni "garbi" barbareschi carichi di mercanzia, non riuscendo però ad intercettare una nave corsara, che trasportava a Costantinopoli bottino e prigionieri siciliani, tra i quali il figlio del viceré Villena. L'anno successivo, con le galere siciliane prese parte a Cartagena alle operazioni di espulsione dei "moriscos" dalla Spagna; il 20 nov. 1610, all'occupazione di Larache, il capo della spedizione, Juan de Mendoza, lo elesse maestro di campo generale.
Tornato in Sicilia, all'arrivo del nuovo viceré Pietro Girón duca d'Ossuna, divenne uno dei più vicini collaboratori di lui, il principale esecutore del suo ambizioso programma di rafforzamento della flotta siciliana e di imprese navali contro i barbareschi.
Al comando di una squadra di otto galere partecipò nel 1612, con Napoletani, Genovesi e Toscani, all'impresa dell'isola delle Gerbe e compì varie scorrerie sulle coste africane. Uomo di grande decisione, l'A. dimostrò subito al viceré di essere capace di accrescere il prestigio della squadra siciliana, non limitandosi più, come per il passato, alla difesa delle coste dell'isola, ma affrontando il nemico negli stessi suoi rifugi. Perciò l'A. moltiplicò le incursioni contro le fortificazioni barbaresche della costa tunisina e nell'agosto del 1613 distrusse la fortezza di Cicero sulla costa di Algeri. Il 19 di quello stesso mese l'A., conseguì nelle acque di Chio il suo più importante successo affrontando con otto galere dodici galere turche al comando del bey di Cipro Sinarì Pascià: scompaginata la squadra avversaria, catturò sette galere, settecento prigionieri, tra i quali lo stesso bey di Cipro ed il pascià di Alessandria, e un ingente bottino, e liberò milleduecento schiavi cristiani. Nella primavera dell'anno seguente soccorse Malta attaccata dai Turchi.
I successi dell'A., su cui riposava tanta parte del prestigio del viceré, indussero questo, quando nel maggio 1614 Pedro de Leiva riprese il comando temporancamente abbandonato delle galere siciliane, a raccomandarlo a Filippo III perché gli fosse affidato un altro importante incarico; ma, in quel momento l'A. non godeva molto favore alla corte, per le incessanti proteste dei Messinesi e per accuse di indebita appropriazione di una parte dei bottino catturato ai barbareschi. Malgrado le difese dell'Ossuna l'A. non ottenne altri incarichi: il viceré auora, di propria iniziativa, lo prepose dapprima alla cavalleria dell'isola, e gli affidò poi, privandone Melchiorre Borgia, il comando delle galere che, autorizzato dalla corte, armava per proprio conto. La decisione procurò all'Ossuna l'inimicizia della famiglia Borgia, che tanto gli nocque poi a corte e nel governo di Napoli quando il cardinale Gaspare Borgia fu chiamato a sostituirlo quale viceré.
Con le sei galere di proprietà dell'Ossuna l'A. portò nel giugno 1615 soccorsi ai Greci di Maina insorti contro il dominio turco; nel settembre dello stesso anno attaccò un convoglio turco, catturando un bottino valutato a circa un milione di ducati; nel dicembre sfuggì abilmente, arrecandole danni di una certa entità, alla intera flotta turca, nella quale era incappato in una sua nuova scorreria nelle acque di Levante.
Trasferito l'Ossuna al viceregno di Napoli (1616), l'A. lo seguì ricevendone la carica di generale delle galere del Regno. Il viceré gli affidò anche l'educazione militare del figlio Pedro. Benché non si abbiano notizie precise, è certo che l'A. fu sempre tenuto al corrente del complotto che si andava organizzando contro la Repubblica di Venezia, capeggiato dall'Ossuna, se questi nell'autunno del 1617 lo inviò in Spagna col pretesto di portare regali per il matrimonio del marchese di Pefiafiel, ma in effetti per informare Filippo III della conclusione dei preparativi per l'impresa. Nell'aprile del 1619 l'A., al comando dei galeoni e dei vascelli napoletani, trasportò a Vado le truppe spagnole inviate in soccorso dell'Impero, sfuggendo alla flotta veneziana guidata dal Venier. Al principio del 1620 fu inviato nuovamente in Spagna dall'Ossuna, con la delicata missione di bloccare la minacciata sua sostituzione nel viceregno col cardinale Borgia. Sebbene l'A. cercasse di volgere in tutti i modi a favore dell'Ossuna il presidente del Consiglio d'Italia conte di Benavente, anche con l'offerta di 300.000 ducati, la sua missione non ebbe successo: la stella del "grande Ossuna" era ormai in declino, e forse proprio in occasione di questo suo viaggio a corte maturò nell'A. la decisione di una clamorosa rottura con il suo amico e protettore, che gli evitasse di seguirlo nell'inevitabile rovina. Nel 1620, incaricato dal nuovo vicerè di scortare con sei galere l'Ossuna nel suo viaggio di ritomo in Spagna, l'A. lo abbandonò durante la sosta a Marsiglia, rientrando con tutta la squadra a Napoli. Ne seguì uno scambio di lettere violentissime tra i due e di accuse reciproche alla corte; ma se l'A. aveva sperato di ottenere qualche vantaggio da una rottura con il suo protettore caduto in disgrazia, i suoi calcoli si dimostrarono presto errati. Il Consiglio d'Italia volle chiarire la questione, chiese spiegazioni ai due contendenti e finì per condannare il comportamento dell'A., che, privato delle sue cariche, venne confinato in un castello siciliano. Cinque mesi dopo, agli inizi del regno di Filippo IV, il caso dell'A. fu riesaminato con maggiore indulgenza. Gli fu permesso di risiedere a Palermo e nel settembre 1622 gli venne affidata nuovamente una squadra navale di otto galere, con la quale compì un'incursione nelle acque di Costantinopoli.
Risulta però che alla fine di quell'anno egli si era già ritirato nel convento palermitano dei cappuccini, dove morì il 5 settembre 1623
Bibl.: I. La Lumia, O. d'A. e il duca d'Ossuna, in Arch. stor. ital., XVIII,1 (1863), pp.. 3-31; 2, pp. 3-33; C. Fernandez Duro, El gran duque de Osuna y su marina, Madrid 1885, passim; E. ,Beladiez, Osuna el Grande. El duque de las empresas, Madrid 1954, passim.