ARALDICA
Scienza che ha per oggetto lo studio degli stemmi nobiliari o armi. È una disciplina relativamente misconosciuta, che non sempre ha goduto della considerazione che merita, per tutto un insieme di cause, non ultima l'incapacità o il rifiuto degli studiosi di a. di uscire dal ristretto ambito della storia genealogica e nobiliare. Inoltre, non essendo stata sempre trattata con il rigore richiesto a una scienza storica ed essendosi gli araldisti limitati volentieri a considerazioni esoteriche, l'a. è stata a lungo guardata con diffidenza da storici, storici dell'arte e archeologi.Oggi peraltro la situazione è mutata. Tra l'a. nobiliare e l'a. esoterica si è sviluppata un'a. di autentico carattere scientifico pronta ad adempiere a tutte le funzioni che si è in diritto di richiederle. Inoltre, per ciò che riguarda l'età medievale, l'apertura all'ambito delle scienze così sociali come semiotiche e antropologiche ne ha esteso il campo di indagine, ampiamente rinnovando nel contempo metodologie e mentalità. Di conseguenza si può oggi parlare di una a. in cammino verso promettenti sviluppi.Tipico del guerriero medievale in Occidente fu l'uso, a partire dal sec. 12°, di immagini o elementi decorativi di varia natura destinati alla sua identificazione e progressivamente e gradualmente codificati in veri e propri 'stemmi'. Lo studio di questi ultimi è l'oggetto dell'a. 'tradizionale'. Si tratta di emblemi appartenenti a un individuo, a una famiglia o a una persona morale, sottoposti nella loro composizione ad alcune speciali regole che si definiscono 'del blasone', poco numerose ma costrittive, soprattutto per quel che concerne l'uso dei colori; tali norme differenziano il sistema araldico da tutti gli altri sistemi emblematici, precedenti o posteriori, militari o civili.Gli stemmi apparvero nell'Europa occidentale nel corso del sec. 12°; la loro comparsa non è legata in alcun modo né alle crociate, né all'Oriente, ma al contrario appare determinata dall'evoluzione dell'equipaggiamento militare dei combattenti occidentali. Le trasformazioni dell'elmo e dell'usbergo avevano reso il cavaliere irriconoscibile in battaglia e in torneo. Di conseguenza si diffuse a poco a poco l'abitudine di far dipingere sulla grande superficie piatta dello scudo figure animali, floreali, vegetali o geometriche che servivano a rendere identificabile il guerriero nel mezzo della mischia. Si può parlare di veri e propri stemmi quando il combattente comincia a fare uso costante delle medesime figure e dei medesimi colori per farsi identificare e quando certe norme di composizione cominciano a regolare l'associazione di queste figure e dei loro colori. A seconda delle regioni, il fenomeno si instaurò fra il 1130 e il 1180. Dapprima individuali e riservati ai soli cavalieri, gli stemmi assunsero progressivamente carattere ereditario nell'ambito della classe dei bellatores: da segni d'identificazione in combattimento essi divennero, come il nome, segni d'identità. In seguito, a partire dai primi anni del sec. 13°, l'uso dello stemma si estese alle donne, agli ecclesiastici, agli abitanti dei borghi e delle città, a mercanti e artigiani e anche a contadini; quindi, alla fine del sec. 13° e nel 14°, quest'uso si estese alle comunità civili e religiose e alle istituzioni in genere; verso il 1350 gli stemmi erano diffusi in tutta la società occidentale. A questo riguardo, non ha riscontro in una effettiva realtà storica la tesi, a torto tuttora diffusa, che il diritto allo stemma fosse riservato alla nobiltà. In nessun periodo storico, in nessun paese lo stemma è stato prerogativa di una classe o categoria sociale. Chiunque poteva sempre e dovunque adottare uno stemma e farne l'uso che preferiva, alla sola condizione di non usurpare stemmi altrui.Contemporaneamente, segni d'identità, marchi di possesso, motivi decorativi e stemmi furono riprodotti a partire dalla fine del sec. 12° su supporti di varia natura: abiti militari e civili, edifici più o meno monumentali, mobili e tessuti, libri, sigilli, monete, oggetti d'arte e oggetti d'uso. Dalla metà del sec. 13° soprattutto le chiese divennero veri e propri musei di a.; vi si apposero stemmi su pavimenti, pareti, soffitti, tombe, vetrate, tessuti, oggetti e paramenti liturgici. Apparendo così un po' ovunque, gli stemmi conferivano una sorta di 'stato civile' agli innumerevoli oggetti, documenti e monumenti che ornavano. Tale dato è assai importante per lo storico, poiché molto spesso, oggi, la conoscenza di questi stemmi è uno dei pochi, se non l'unico mezzo a disposizione per collocare i suddetti oggetti nel tempo e nello spazio, per ritrovarne il committente o i proprietari successivi, per ricostruirne la storia e le vicissitudini. In materia di datazione l'apporto dell'a. sembra ancor più prezioso, poiché le date d'uso di uno stemma da parte di un determinato individuo circoscrivono spesso, grazie alle regole di composizione, uno spazio di tempo ridotto entro le date di vita e di morte; un piccolo dettaglio, un quarto di matrimonio e di pretesa, una partizione alle armi di un feudo o d'un titolo recentemente acquisito aiutano infatti a circoscrivere più precisamente la datazione. Nel caso di un oggetto o di un monumento ornato da più stemmi appartenenti a personaggi diversi è possibile raggiungere una datazione estremamente precisa, mediante la comparazione delle date di nascita, di matrimonio, di inizio del regno (o di una carica) e di decesso dei singoli personaggi in causa.L'aspetto 'archeologico' degli studi araldici sin qui considerato appartiene a quella che si può chiamare l'a. 'tradizionale', che si interessa principalmente dell'identità dei proprietari degli stemmi; questi tuttavia non permettono solo di conoscere l'identità di chi li portava: possono anche rifletterne la personalità. A quest'ultimo tipo di ricerca si dedica oggi la 'nuova' a., che studia, per es., i motivi che hanno determinato la scelta dei colori e delle figure sussistenti entro lo stemma di una persona fisica o morale. La relazione fra l'elemento significante e la cosa significata può situarsi a diversi livelli, ma il suo studio offre sempre agli araldisti utili indicazioni sulle credenze, sulle aspirazioni, sulla sensibilità, sulla cultura e sui processi mentali e simbolici dei personaggi che hanno composto o che hanno scelto uno stemma. Ugualmente, la 'nuova' a. cerca di scoprire perché e come questo o quel personaggio immaginario o storico (eroe di romanzo, figura biblica o mitologica, santo, personificazione di vizio o di virtù) sia stato dotato di un certo stemma, come questi stemmi si siano evoluti (soprattutto nell'iconografia) e, ancora, come siano stati intesi, imitati, trasformati. Infine, al di là dei casi individuali, la 'nuova' a. si basa su metodi statistici per tracciare gli indici di frequenza delle figure e dei colori negli stemmi di una regione, di un'epoca, di una classe sociale. Interpretando i risultati ottenuti, essa mette in luce fenomeni di successo, di moda e di gusto utili allo studio della c.d. psicologia collettiva. L'esame della frequenza dei colori nell'insieme degli stemmi europei, per es., ha permesso di rilevare come il rosso, che fu il colore preferito nel Medioevo, sia stato, tra il 1450 e il 1600, a poco a poco soppiantato dall'azzurro (raro negli stemmi primitivi). Allo stesso modo, l'esame della frequenza delle figure ha messo in evidenza molte abitudini che oltrepassano ampiamente i limiti del campo araldico: per es. l'opposizione politica fra l'aquila ghibellina e il leone guelfo nell'Occidente dei secc. 12° e 13°, la sostituzione del leone all'orso come re degli animali, il carattere desacralizzante del dragone e dei mostri nell'a. pertinente alla fine del Medioevo.In una prospettiva di carattere piuttosto semiologico, la 'nuova' a. si è proposta infine di studiare il blasone come sistema di segni che codifica un'immagine di tipo specifico: lo stemma. Si tratta di un elemento di origine, a quanto pare, romanica. Di fatto lo stemma appare un po' dovunque nel corso del sec. 12°, inquadrato, a partire da quest'epoca, secondo regole e princìpi che si mantengono in seguito inalterati nei tratti essenziali. Studiare la struttura e il 'meccanismo' di uno stemma, qualunque sia la data del documento che lo fa conoscere, può dunque contribuire a delineare il pensiero figurativo dei secc. 12°-13°, soprattutto per ciò che concerne la relazione delle figure con il fondo e la sovrapposizione dei piani.In secondo luogo lo stemma è in linea di massima un'immagine nell'immagine. Che sia scolpito, dipinto o inciso, prende posto in uno spazio visivo che nella maggior parte dei casi forma già di per sé un'immagine: una vetrata, un sigillo, una miniatura, perfino un elemento all'interno di una miniatura (per es. l'abito di un personaggio). Ne possono derivare non poche difficoltà di lettura per ricostruire lo stemma e il suo contorno come anche per isolarlo dalla superficie su cui si inscrive al fine di riconoscerne gli assi. Quest'ultimo punto è essenziale: l'asse dello stemma è spesso diverso da quello della sua superficie d'inscrizione. Per leggere uno stemma è dunque necessaria una specifica pratica visiva. Infine, e soprattutto, lo stemma è un'immagine fortemente concettuale.Per creare uno stemma è sufficiente disporre di tre elementi: campo, figure e colori. Il campo è delimitato da un contorno la cui forma è indifferente; il più frequente è quello scutiforme, il cui uso tuttavia non è imperativo né significante. Il contorno della superficie d'inscrizione inoltre può certamente coincidere con il contorno dello stemma, il che spesso accade quando lo stemma è rappresentato su uno stendardo o su un abito. Per quanto riguarda le figure, la loro natura, numero, posizione, atteggiamento e persino le loro reciproche associazioni e/o disposizioni all'interno del campo costituiscono altrettanti elementi significanti. Così un leone verticale e un leone orizzontale non sono la stessa figura araldica; un giglio rappresenta qualcosa di diverso da tre gigli e cinque stelle disposte a croce non sono la stessa cosa di cinque stelle disposte in decusse a formare una X.Il repertorio di figure che possono prendere posto in uno stemma è teoricamente illimitato. Ma in pratica, nel Medioevo, furono d'uso corrente solo una sessantina di figure geometriche risultanti dalla divisione del campo in un certo numero di liste o di spazi che ne occupavano due terzi mentre per un terzo comparivano piccole figure stilizzate quali stelle, crescenti, losanghe e più raramente anche piante, oggetti, edifici e figure umane. Infine i colori: due o più di essi o, in senso più ampio, metalli, o pellicce, sono associati all'interno dello stemma secondo regole molto rigide (i metalli sono l'oro e l'argento, sostitutivi di giallo e bianco; le pellicce sono l'ermellino e il vaio, con alcune loro varianti). I colori sono il rosso, l'azzurro, il nero, il verde e il porpora; quest'ultimo ricorre molto di rado. La regola fondamentale per il loro uso proibisce di giustapporre colore su colore, metallo su metallo o pelliccia su pellicia. Per es., nel caso di uno stemma di cui la figura sia un leone, se il campo è rosso il leone posto su questo campo potrà essere d'argento o d'oro, ma non azzurro, né nero, né verde; inversamente, se il campo è d'argento, il leone potrà essere rosso, blu, nero o verde, ma non d'oro. Questa regola, fortemente costrittiva, fu ovunque rispettata nel Medioevo, costituendo il principale elemento sintattico all'interno dello stemma.Questi sono i tre elementi indispensabili per creare uno stemma. Elementi che non hanno alcun ruolo nel suo codice né nel suo funzionamento sono invece la forma del contorno del campo, le dimensioni dello stemma, la misura e le proporzioni delle figure che vi prendono posto, i volumi. Anche quando è modellato in rilievo, lo stemma è infatti sempre concepito come un'immagine bidimensionale; non esistono problemi di profondità o di prospettiva. Per contro, è essenziale la sovrapposizione dei piani: lo stemma è strutturato in spessore di piano, in altre parole ha un'articolazione 'a sfoglie', partendo la sua lettura dal piano di fondo per concludersi sul piano frontale. Un altro elemento che non svolge alcun ruolo da un punto di vista più propriamente araldico è lo stile della rappresentazione. Secondo le epoche, le regioni, i materiali e gli artisti, lo stesso stemma può essere rappresentato in mille modi diversi e ciò non ha nessuna importanza né alcun significato dal punto di vista araldico: è sempre lo stesso stemma, anche se visivamente appare sotto forme diverse. Nell'a. vige sempre la priorità della struttura sulla forma; anche le sfumature di colore non hanno alcuna rilevanza. I colori araldici sono colori astratti, intellettuali, assoluti, che l'artista può rendere liberamente o secondo il materiale su cui lavora. Il rosso, per es., può essere rosato, vermiglio, ciliegia, granato, ma ciò non ha alcun particolare significato araldico: è un rosso 'concettuale', al di là di ogni sfumatura. I colori araldici si riducono così a categorie pure, non essendo legati alla natura dei supporti, alle possibilità delle tecniche di tintura, alla chimica dei pigmenti, agli effetti del tempo e neanche a preoccupazioni di carattere estetico. Sono, in sostanza, colori puramente simbolici.La descrizione dello stemma ha la peculiarità di enunciarsi in un linguaggio specifico e rigoroso, quello del blasone, che differisce del tutto, per sintassi e vocabolario, dal linguaggio comune (le differenze variano a seconda delle lingue e nel francese sono maggiori che nelle altre lingue europee). Questo specifico linguaggio 'del blasone' esiste a partire dal sec. 12°, vale a dire dall'apparizione stessa degli stemmi: esso è dunque intimamente legato alla loro storia e al loro 'meccanismo'. Inoltre, come le regole del blasone, il linguaggio quasi non ha subìto trasformazioni nel corso dei secoli. Svariate decine di migliaia di stemmi medievali sono così giunti fino a oggi non sotto forma di stemmi dipinti o scolpiti, ma sotto forma di frasi enunciate con termini e costruzioni verbali a prima vista esoterici. Grazie a queste formulazioni, con un minimo di dati, l'araldista è oggi in grado di ricostituire e persino di ridisegnare e dipingere qualunque stemma medievale. Inoltre, grazie sempre a queste formulazioni, egli sa come si leggevano e si enunciavano gli stemmi del Medioevo, poiché l'ordine di lettura e l'ordine di enunciazione restano in ogni caso identici. Così anche a secoli di distanza è possibile passare indifferentemente dal testo all'immagine e dall'immagine al testo.
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Se per a. s'intende lo studio metodico delle armi e degli stemmi gentilizi, si può affermare, senza tema di smentita, che nell'Islam una scienza simile non esiste; questo anche se, fra il 1882 e il 1925, alcuni studiosi di questioni islamiche, fra i quali Rogers (1882), Artin Pacha (1905), Pier (1908), Prinet (1912), Maunier (1925) e Mayer (1925a), hanno descritto elementi di quella che a loro avviso va definita, senza mezzi termini, un'a. islamica. Mayer (1933) illustrò il ruolo delle armi ricavandolo dai blasoni rilevati su edifici (moschee, madrase, mausolei e castelli), su oggetti di vetro (lampade da moschea, bottiglie e vasi) e su oggetti metallici (candelabri, bacini, piatti, portapenne); si aggiungano i blasoni dipinti su oggetti di legno e su frammenti di ceramica o tessuti su stoffe. Le armi elencate nei 243 scudi descritti sono 128 coppe, 89 borse di stoffa (buqja), 43 corni, 15 scimitarre, 12 gigli, 10 rosette, 7 fasce, 7 aquile, 6 stecche da polo, 4 tavoli (khānjā), 3 elementi curvi, 2 leoni, 2 crescenti, 2 balestre, 2 selle da cerimonia, 2 scudi con la parte inferiore curva e 13 non definibili. Balog (1964) ha affermato l'esistenza di una a. mamelucca rilevandola invece sulle monete dei sultani mamelucchi e in particolare su quelle di rame. Sulle monete l'emblema più popolare è il calice (128), seguito dalla borsa (89) e dal portapenne (88), mentre i corni di nobiltà compaiono solo su 43 blasoni, tutti circassi.A ben esaminare la questione, questa a. 'islamica', o 'saracena' o più specificamente 'mamelucca', è nata dalla constatazione, da parte di studiosi non arabi, che soltanto fra i Mamelucchi - una delle dinastie musulmane mediorientali di origine non araba che hanno dominato in Siria (intesa in senso storico) e in Egitto fra la metà del sec 13° e l'inizio del 14° - era invalso l'uso di ricorrere, per decorare i propri emblemi e le proprie monete, a elementi che di solito rientravano nella composizione degli stemmi araldici già impiegati in Europa, in maniera codificata, dalla fine del 12° secolo. Il fenomeno risulta perciò limitato territorialmente alla Siria e all'Egitto e, nel tempo, a circa due secoli e mezzo, dalla metà del 13° sino all'inizio del 16° secolo.Anche per l'assenza di opere specifiche sull'argomento, sia in lingua araba sia in turco, l'a. islamica non appare come uno sviluppo autonomo dell'a. europea in campo islamico; risulta piuttosto una semplice imitazione, senza l'adozione degli stessi princìpi, di forme e di elementi decorativi presenti nell'a. dei crociati, stabilitisi proprio nello stesso periodo in terra di Palestina.In definitiva, in mancanza di documentazione, non sembra si possa oggi affermare che l'uso da parte dei sultani mamelucchi, fin dalla metà del sec. 13°, di armi gentilizie abituali nell'a. europea per decorare sia immobili sia oggetti vari si ispiri alle regole dell'araldica. In altri termini, nessun principe mamelucco si distingue soltanto per l'oggetto o gli oggetti scelti fra quelli proposti dall'a. europea. Se non si vuole rinunciare all'impiego del termine di a. 'islamica' (o 'saracena' o 'mamelucca'), sarà opportuno considerarlo circoscritto entro i limiti geografici e cronologici nei quali il fenomeno si manifesta e tenendo inoltre ben presente che gli elementi presi dall'a. europea sembrano aver valore puramente decorativo.
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