ARALDO
. Negli stati greci l'ufficio dell'araldo (κÀρυξ) rispondeva da una parte alla necessità di mantenere per mezzo d'intermediarî inviolabili il contatto con popoli diversi, anche nemici, e, quindi, la possibilita di relazioni che il diritto comune rendeva difficili o escludeva, dall'altra a quella di render solenni tutte le forme che il rito religioso e pubblico riteneva essenziali, e in particolare, di dare mediante il bando (κήυγμα) una chiara forma di pubblicità a quegli atti che dovevano essere annunziati a tutti. Agli araldi erano affidati uffici di varia natura, negli atti della vita di tutti i giorni e nei più delicati rapporti fra stati, a servizio della πόλις e delle comunità a essa sottoposte, o anche dei privati. Reverenza religiosa e necessità di reciprocanza facevano scrupolosamente osservare l'inviolabilità dell'araldo. "Divini", "cari a Zeus" son gli epiteti che li designano in Omero; segno del loro ufficio pubblico, lo scettro.
Nell'età storica la considerazione dell'araldo è, in generale, scaduta, se si eccettuino gli araldi che bandivano la tregua sacra nelle grandi celebrazioni religiose; ma l'importanza del loro ufficio è sempre grande, sebbene sia ufficio formale. Gli araldi, infatti, accompagnano le missioni diplomatiche e possono anche esser direttamente incaricati di una missione, purché si tratti di ricevere un consenso, o un atto di ossequio, di riscuotere un tributo, di stipulare un armistizio, di dichiarar la guerra; non di condurre le trattative, che è ufficio di ambasciatore e non di araldo. All'interno, organi di esecuzione del rito e di pubblicità, convocano il popolo e la βουλή e, nelle assemblee, mantengono l'ordine e impongono il silenzio sotto gli ordini del presidente (ἐπιστάτης), pronunziano le rituali maledizioni (ἀραί) contro i traditori, leggono l'ordine del giorno (προβούλευμα), invitano i cittadini a parlare con la formula: τίς ἀγορεύειν βούλεται. "La voce dell'araldo", dice Demostene. "è la voce comune della patria". Sono gli araldi quelli che introducono i rappresentanti degli altri stati e che proclamano i risultati delle elezioni a sorte e delle votazioni.
Per mezzo del bando dell'araldo il magistrato fa conoscere al cittadino i suoi ordini, il generale i comandi, il padre che vuol diseredare il figlio la sua intenzione (ἀποκήρυξις). La vendita e l'affitto eseguiti per mezzo degli araldi garantiscono la regolarità del negozio e la buona fede dei contraenti.
Il primo requisito dell'araldo è una voce chiara e sonora. Proverbiale è divenuta la voce "di bronzo" di Stentore araldo acheo (Il., V, 785-6), che si faceva udire quanto altri cinquanta. Alcune epigrafi c'informano che accanto a gare di corsa, di pugilato, di canto corale vi erano anche gare di araldi: vinceva chi dava prova di miglior voce. Aristotele nella Politica annovera fra gl'inconvenienti di una città troppo grande che non tutti i cittadini riuniti nell'assemblea potrebbero udir la voce dell'araldo e comprenderne le comunicazioni (VII, 1326 b).
Il modo di elezione e la durata dell'ulficio dell'araldo variava da città a città; poteva essere a vita e persino ereditario, come, p. es., l'araldato che la famiglia dei Kerykes esercitava durante la celebrazione dei misteri eleusini. Le fonti non permettono di precisare se, come si è dubitato, potesse essere araldo uno schiavo pubblico. In Atene gli araldi erano cittadini con pieni diritti politici e civili; erano tenuti, socialmente, in poca considerazione, ma si esigeva da loro ineccepibile condotta morale, e si annetteva al loro ufficio una responsabilità che andava oltre la materiale proclamazione del bando; potevano, infatti, esser puniti se il bando era contrario alle leggi. Fondata sembra, perciò, l'opinione di chi ritiene (Ohler) che fossero pubblici ufficiali e non inservienti. In altre città, invece, all'ufficio dell'araldo si accompagnava una parziale limitazione di diritti (ἀτιμία).
Ai χθϕρυκες greci corrispondono in Roma negli uffici religiosi i calatores, assistenti del sacerdote nei sacrifizî e banditori dei suoi ordini; negli uffici pubblici i praecones. Questi ultimi appartengono alla categoria degli apparitores, ma, a differenza degli altri apparitores, che sono ufficiali subalterni, formano una corporazione di privati che prestano servizio, ove occorra, ai pubblici magistrati e ai privati. Non sono inviolabili. Analogamente a quello che è l'ufficio del κῆρυξ nei rapporti interni della città, i praecones trasmettono gli ordini dei magistrati, convocano il popolo, proclamano il risultato delle votazioni. La loro opera è richiesta nei processi, in cui fanno ufficio di uscieri; nelle esecuzioni capitali, in cui trasmettono al littore, in nome del magistrato, l'ordine di esecuzione (lege age, lictor); nelle assemblee e nei teatri, dove sono incaricati di mantener l'ordine. Le vendite all'incanto dei beni dei condannati o eseguite per conto dei privati (auctiones), e le licitazioni avvenivano per mezzo dei praecones. Il loro mestiere (praeconium), lucroso ma spregiato, impediva l'accesso alle pubbliche magistrature (lex Iulia municipalis: ne quis, quei praeconium faciet.. II viratum petito). Per tutto quello che concerne la figura e la funzione dell'araldo nell'età medievale e moderna, v. la prima parte della voce araldica.
Bibl.: Öhler, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., s. v. Keryx, con ricca bibliografia. Si veda anche per ἀποκήρυξις, Lipsius, Attisches Recht, p. 502 segg.; sui Cerici in Atene, G. De Sanctis, 'Ατϑίς, 2ª ed., Torino 1912, 62 segg.; sui praecones, Mommsen, Le droit public romain (trad. Girard), I, Parigi 1893, pp. 412-416, e l'art. del Saglio, in Daremberg e Saglio, Dict. des Ant. grecques et rom., s. v.