ARAZZO (fr. tapisserie; sp. tapice; ted. wandteppich; ingl. tapestry)
Tecnica. - "Panno tessuto a figure, per uso di parare e addobbare; così detto dalla città di Arras in Francia, donde da prima veniva, per lo che fu anche detto panno di Arazzo o di Arazza". Così il vocabolario della Crusca definisce, più etimologicamente che tecnicamente, l'arazzo. Più precisamente, per arazzo si deve intendere uno speciale tessuto eseguito a mano con telai di alto o basso liccio e per mezzo di fili di lana e di seta colorata e anche d'oro e d'argento, avvolti all'ordito e costituenti una trama che forma un disegno generalmente figurato e occupante tutta l'estensione dell'arazzo - salvo il fregio, quando ci sia - senza ripetersi; oltre a ciò, eseguito per essere appeso, generalmente, al muro. L'arazzo non va quindi confuso col tessuto che - a parte la trama diversa - è ottenuto meccanicamente e ripete più volte lo stesso disegno; non col tappeto, eseguito con ordito e trama del tutto diversi, anche se apparentemente può essere scambiato con l'arazzo di cui spesso ripete soggetti e motivi ma con minore finezza; non col ricamo, ove i fili colorati, formanti il disegno, sono semplicemente passati attraverso il canevaccio o la stoffa del fondo.
Salvo qualche differenza trascurabile e qualche perfezionamento moderno, l'arazzo viene anche oggi eseguito press'a poco come doveva eseguirsi almeno fin dal sec. XIV, a giudicare dagli esempî che ci rimangono di quel tempo. A seconda del telaio adoperato, l'arazzo può esser di alto liccio o di basso liccio. Il telaio di alto liccio è un telaio verticale ove due cosciali sostengono un curlo inferiore e un curlo superiore lunghi da 4 a metri. Ai curli si assicurano i matassoni dell'ordito, costituiti da solidi fili perpendicolari, generalmente di lana (se ne sono usati anche di canapa e di cotone, come di seta), lunghi un metro e mezzo in più della larghezza dell'arazzo che si vuole eseguire (per sostenere l'ordito nell'ultima parte del lavoro) e accostati in modo che ve ne siano da 9 a 10 per ogni centimetro. Generalmente i fili della trama sono tenuti separati e paralleli da una o più trecce o catenelle di spago tese in alto e parallele al curlo superiore. Si tende quindi l'ordito, girando il curlo superiore, cui il più dell'ordito rimane avvolto. Poi con uno o più cannelli di vetro, chiamati barre dell'ordito e collocati a sessanta cm. di altezza, si separano per un certo tratto i fili pari dai fili dispari, formando come due serie di detti fili, l'anteriore e la posteriore. Quindi l'arazziere, portandosi dietro al telaio, attacca - poco sotto le barre dell'ordito - i fili della serie anteriore a cordicelle chiamate licci e fissate ad un bastone di legno o barra dei licci posta più indietro dell'ordito per una trentina di centimetri, in modo da poter agevolmente arrivare con la mano alla licciata o insieme dei licci che dalla barra vanno orizzontalmente all'ordito. Compiute queste principali operazioni, l'arazziere inizia il lavoro, seguendo un disegno o cartone che tiene dietro di sé, ma di cui volta a volta traccia preventivamente il contorno sull'ordito; disegno che sul telaio è eseguito dal basso in alto rispetto al telaio e di traverso rispetto al disegno stesso, cominciando cioè dal lato sinistro e proseguendo verso il lato destro, perché la trama venga poi orizzontale, cioè nel senso della larghezza dell'arazzo. E poiché l'arazziere sta dietro il telaio, e quindi dalla parte di quello che sarà il rovescio dell'arazzo, egli non può, lavorando, vedere l'opera propria altro che in uno specchio collocato davanti, al di là dell'ordito; sì che spesso, per meglio sorvegliarla, deve passare dalla parte anteriore del telaio, come dovette fare esclusivamente prima dell'uso dello specchio. L'arazziere inizia finalmente l'opera propria scegliendo tra i brocci - fusi di legno cui è avvolta lana o seta in una data e unica gradazione di colore, e predisposti secondo le esigenze del cartone che si vuole eseguire - quello voluto, e annoda il capo della lana o della seta ad uno o più fili dell'ordito; prende poi con la sinistra, sotto le barre dell'ordito ove essi sono divisi, alcuni fili della serie posteriore - al massimo 10 o 15 - se li avvicina, e li avvolge col filo del broccio, passando questo con la mano destra, da destra a sinistra, e facendo così una mezza passata; quindi, gravando la mano sinistra sui licci, si avvicina i corrispondenti fili della serie anteriore, e con la mano destra, ripassando il broccio da destra a sinistra, compie una passata, avvolgendo completamente tutti i fili dell'ordito. La sovrapposizione delle passate costituisce la trama; e perché questa diventi compatta, l'arazziere batte sulle passate col broccio o meglio col pettine. Fatte le passate volute con la gradazione di colore portata dal broccio, l'arazziere lo lascia andar giù, pendente dall'ordito; prende un altro broccio con la gradazione che gli occorre, e ripete l'operazione. Via via che il lavoro procede, la parte eseguita viene avvolta sul curlo inferiore, mentre dal curlo superiore si continua a svolgere l'ordito, spostando naturalmente le trecce e le barre dell'ordito e dei licci. Un arazziere abile può eseguire 405 centimetri quadrati in un giorno, e non arriva perciò a un metro quadrato in un anno, però più arazzieri possono lavorare ad uno stesso telaio, purché stiano almeno ad un metro e 15 centimetri l'uno dall'altro.
Nel telaio di basso liccio l'ordito è disteso su di un telaio orizzontale, ed i licci sono mossi per mezzo di pedali, così che l'arazziere può adoperare il broccio con tutte e due le mani ed eseguire il suo lavoro con maggiore rapidità. Però vede malamente il cartone posto al disotto dell'ordito, e che fino al sec. XVIII veniva perciò riprodotto invertito. Eliminò il difetto il Neilson, sostituendo al cartone originale il calco, mentre il Vaucanson inventava il telaio mobile, che permette all'arazziere di esaminare l'opera propria, senza attendere che sia terminata, come avveniva coi vecchi telai. Difficile è però riconoscere se un arazzo è stato eseguito ad alto o basso liccio, a meno che questo procedimento non sia rivelato dall'inversione del cartone, evidente nelle scritte e in qualche particolare. Per quanto l'arazzo a basso liccio richieda molto minor tempo e costi quindi assai meno, esso non riuscì a soppiantare quello ad alto liccio; anzi fu considerato sempre come inferiore a questo; e se nella manifattura dei Gobelins alcune serie furono eseguite coi due sistemi, quella tessuta ad alto liccio fu sempre la più pregiata; e da più di un secolo quest'ultimo è il solo sistema in uso in quella manifattura.
Data la lentezza del lavoro, l'arazzo richiede sempre molto tempo; ma questo aumentò evidentemente con l'accrescersi dei colori adoperati e con le maggiori esigenze tecniche. Per quanto un confronto tra arazzi di tempi diversi sia inadeguato, anche per l'insufficienza di alcuni elementi, pure i documenti ci permettono di constatare che Nicolas Bataille poté eseguire tra il 1376 e il 1379 tre degli arazzi dell'Apocalisse della cattedrale di Angers, che misuravano all'incirca cinque metri e mezzo per ventiquattro metri ciascuno, con un totale di circa quattrocento metri quadrati; che Pieter van Aelst tra il 1515 e il 1519 poté eseguire sette dei celebri arazzi con gli Atti degli apostoli su cartoni dì Raffaello, con un totale di circa centoquaranta metri quadrati; mentre nella manifattura dei Gobelins la famosa serie dei quattordici pezzi dell'Histoire du Roi fu iniziata nel 1665 e compiuta solo nel 1679, pur misurando complessivamente all'incirca duecentoventi metri quadrati; e ciascun pezzo rimase sul telaio da un minimo di tre anni ad un massimo di nove. In quanto ai prezzi, anche più difficile è il confronto per la incertezza nel ragguaglio della moneta. Sappiamo però che ogni arazzo dell'Apocalisse fu pagato al Bataille mille franchi oro; ciascuno di quelli degli Apostoli, al van Aelst, mille ducati d'oro; e che la Histoire du Roi costò ai Gobelins 100.700 franchi; ma fu un prezzo eccezionale per la speciale cura con cui fu eseguita.
Stili e vicende.
Secoli XIV e XV. - Lo stile, nell'arazzo, dipese naturalmente dal gusto predominante, e risentì degli spiriti e delle forme dell'arte contemporanea; ma derivò anche dalla tecnica stessa e dai mezzi di essa, come pure dall'uso medesimo cui l'arazzo fu destinato, mentre di tempo in tempo si avvicendava, almeno nella maggior parte d'Europa, il predominio di questa o quella manifattura o gruppo di manifatture locali.
Niente si sa di sicuro e di preciso sull'arazzo fin quasi a tutto il sec. XII, nessun esempio anteriore essendo giunto fino a noi, e dovendosi considerare quelli copti (v. copta, arte) piuttosto come tessuti o come tappeti; e così è preferibile fare anche per gli antichi pure offrendo figurazioni egiziane e classiche esempi di telai verticali - e per gli orientali, anche se sia presumibile che l'industria dell'arazzo passasse d'Oriente in Occidente al tempo delle crociate. D'altra parte i documenti, riferentisi a panni istoriati, ma che non distinguono tra tessuto e tappeto, ricamo ed arazzo, possono trarre facilmente in inganno. I Bizantini non dimenticarono poi la tecnica dell'arazzo: ne resta almeno un mirabile saggio in un grande frammento di fine fattura che si conserva in una collezione americana.
Occorre dunque arrivare alla fine del sec. XII od al principio del seguente per poterci fare un'idea della tecnica e dello stile di arazzi veri e proprî, quali quelli frammentarî del duomo di Halberstadt - altri panni contemporanei, quali quelli di Quedlinburg, vanno considerati ormai come tappeti - in parte derivati dalla pittura monumentale romanica, in parte dalla miniatura di lontana derivazione carolingia, con rade figure trattate sommariamente, ed eseguiti con lane di pochi colori: blu, verde, rosso.
Mentre la Germania sembra specializzarsi fino al Cinquecento inoltrato nell'industria dei tappeti, che ripetevano, con maggiore rozzezza e qualche po' di grottesco, motivi squisitamente decorativi così cari agli arazzieri, col sec. XIV Parigi ed Arras si specializzano nell'industria degli arazzi, al punto da godere di una specie di monopolio; e poiché Arras deve considerarsi ancora una città francese. può dirsi che fino al secondo decennio del sec. XV, fino cioè alla caduta di Parigi in potere degl'inglesi (1420), il primato appartenga all'arazzo francese. E vi contribuiscono specialmente il fasto e il gusto della clientela da Mahaut contessa d'Artois, a Carlo V e Carlo VI re di Francia, dai duchi d'Angiò, di Berry, d'Orléans a quelli di Borgogna, che ordinavano centinaia di panni istoriati specialmente ad Arras. Filippo l'Ardito e Filippo il Buono si portavano dietro, in viaggio e in campo, numerosissimi e preziosissimi arazzi per decorare le proprie tende; imitati in questo da Carlo il Temerario, che sulla metà del secolo doveva lasciarne un vero tesoro sui campi di battaglia di Granson, di Morat e di Nancy. Intanto, in Italia, Amedeo di Savoia ordinava arazzi a Parigi, e Giovanni de Mussis rimproverava ai Piacentini la mania per le banderiae de Arassa. Questa clientela doveva almeno influire sulla scelta dei soggetti, che vanno aumentando di varietà; ma di cui purtroppo rimane soltanto il ricordo nei conti e negl'inventarî del tempo. Che se nel sec. XIII i documenti ci dànno notizie di pezzi con storie, oltre che bibliche ed evangeliche, anche d'eroi e d'eroine dell'antichità, nel secolo seguente, e specialmente alla fine di esso, vediamo aggiungersi episodî storici, ma più ancora episodî cavallereschi, tratti dai romanzi in voga; avvenimenti contemporanei e specialmente guerreschi; i Nove prodi dell'antichità e del Medioevo; scene di caccia e di vita campestre, e verdure; motivi galanti e amorosi, e di gaia vita cortigianesca; allegorie morali e satiriche; imprese araldiche. In una parola, i temi preferiti dall'arte internazionale: cui si dovettero probabilmente, anche nell'arazzo, lo squisito senso decorativo nella composizione e nelle forme, schiettamente goticizzanti, e la vivacità di colorito, forse anche lontano riflesso dell'origine orientale. Furon tessute, allora, serie di molti pezzi illustranti una storia o ripetenti un motivo, per decorare sia temporaneamente sia stabilmente sale e camere di palazzi e di castelli, o per renderle più abitabili e più intime col ricavarvi, appunto per mezzo di arazzì appesi, alcove e gabinetti; e si tesserono anche pezzi di straordinaria grandezza, quale quello della battaglia di Roosebecke ordinato ad Arras da Fìlippo l'Ardito, e che sembra misurasse poco meno di quattrocento metri quadrati; pezzi che per la loro vastità si devono immaginare appesi nelle corti d'onore dei castelli o nelle vie o piazze della città, per qualche solenne o gioiosa occasione.
La sospensione sciolta, che dava origine a numerose e brevi pieghe o almeno ondulazioni del tessuto, con alterno giuoco di ombre e di luci, dovette probabilmente suggerire la composizione verticale e quell'affollamento delle figure, che vediamo accentuarsi durante il sec. XV e fin quasi alla metà del XVI, fino cioè al pieno influsso della pittura italiana: composizione verticale e affollamento dovuti all'intento di offrire per ogni dorso di piega, in luce, una figura o più, ma sovrapposte. La funzione di limitare uno spazio deve aver a sua volta favorito la prospettiva altissima che gli arazzi conservano fino al ricordato influsso, e che meglio si presta appunto - come le pitture dell'Estremo Oriente - a decorare un interno. I documenti e gli scarsi esempî rimastici, fino almeno a tutto il secondo decennio del sec. XV, bastano a farci concludere che allora il modello, indicato sommariamente su grandi tele, lasciava grande libertà all'arazziere, che con forse venticinque gradazioni di colore otteneva armonie, non superate più tardi con maggiore ricchezza di mezzi. Anzi il predominio di pochi toni - quali il verde, il blu, il rosso, insieme col giallo per la luce, il rosato per le carni e qualche bruno per le ombre - ripetuti ritmicamente in tutta la composizione, in stesure quasi piatte con scarsissimo modellato, diede all'arazzo lo stile che meglio gli si confà. Tale ci appare la celebre serie dell'Apocalisse della cattedrale di Angers. Per essa Hennequin di Bruges (Jean de Bandol) dipinse i modelli, ingrandendo su vaste tele le miniature di uno o più codici, e ripetendovi larghe composizioni a figure separate, monumentali, anche se si insinuava qua e là qualche particolare naturalistico e di genere come le verdi praterie stellate di fiori e popolate di animali, che si vedevano in basso alle composizioni. E Nicolas Bataille, nell'ultimo terzo del sec. XIV eseguì gli arazzi con lane di pochi colori, dodici o quindici, ma che dovettero essere di toni vivaci.
Con Parigi come dicemmo, gareggiava con fortuna Arras, i cui arazzi sono descritti negl'inventarî come tessuti di fili d'oro e di seta; pure, l'esempio più antico che ci rimanga, le storie di S. Piat e di S. Eleuterio della cattedrale di Tournai, terminate nel 1402, sono tessute in lana, senza seta né metallo, proprio come i panni dell'Apocalisse di Angers; ma offrono già, in confronto, il rammentato verticalismo della composizione con l'affollamento delle figure. Dopo il 1420, Arras, per più di mezzo secolo, fino cioè alla conquista di Luigi XI ed al forzato esodo dei suoi arazzieri (1477), domina quasi incontrastatamente l'industria dell'alto liccio, pur dovendo fronteggiare la concorrenza di altre città fiamminghe e specialmente di Tournai ove circa il 1430 Robert Dary tesseva la serie della Passione di Cristo (ancora in S. Marco di Venezia) su cartoni italianizzanti di Jean Gossaert; mentre Bruxelles tende a poco a poco a quella supremazia, che raggiungerà nel sec. XVI. Intanto anche nella scelta dei soggetti comincia a rivelarsi il gusto fiammingo: accanto agli episodî sacri ed eroici, ai motivi cavallereschi e galanti, alle scene di caccia ed alle verdure, compaiono scorci di vita rustica e popolare, trattati con uno spunto di volgarità, mentre si vanno aggiungendo soggetti novissimi, ispirati ad avvenimenti di grande curiosità, come nei pezzi delle Indie tessuti al principio del sec. XVI. Riguardo allo stile, continua a prosperare il goticismo; grandi cartelle, con lunghe scritte anche in versi, finiscono col costituire quasi un motivo ornamentale; il verticalismo e l'affollamento della composizione giungono all'esagerazione specialmente nelle manifatture di Tournai; il lusso degli accessorî si accentua, favorito dal crescente virtuosismo tecnico; mentre le preferenze della scuola fiamminga portano alla rappresentazione veristica - già qualche volta eccessiva - delle figure umane e degli animali, ed al naturalismo del paesaggio, almeno nei particolari. Gl'insegnamenti compositivi e prospettici dei van Eyck lasciano nell'arazzo scarsissime tracce; e più rare ancora sono quelle dei modelli italiani (arazzo con la Crocifissione del Museo di Forlì, ecc.). Per quanto la tradizione voglia che i cartoni di maestri fiorentini mandati dai Medici alle manifatture fiamminghe vi rimanessero e fossero ripetutamente adoperati; per quanto si sappia che il Tura a Ferrara e il Mantegna a Mantova fornirono cartoni agli arazzieri fiamminghi e francesi portatisi a quelle corti - perfino Leonardo dette il disegno per una portiera con Adamo ed Eva -, lo stile dell'arazzo di Fiandra, anche nel Cinquecento inoltrato, rimase essenzialmente fiammingo. D'altra parte la produzione italiana era troppo scarsa per poter influire sensibilmente sull'enorme produzione franco-fiamminga, che doveva aver invaso mezza Europa per soddisfare il fasto e il lusso non solo delle corti, ma delle famiglie della nobiltà e della ricca borghesia mercantile. Sullo scorcio del Quattrocento Girolamo Savonarola si lamentava dal pergamo che "le mura delle case fossero tutte coperte di arazzi e di tappeti e insino alle mule tutte ornate"; e nel palazzo di via Larga, i Medici avevano appesi alle pareti quasi in ogni sala arazzi francesi e fiamminghi, avevano ornato quasi ogni letto di cortinaggi istoriati, mentre i cassoni serbavano a diecine e diecine altri panni ricchissimi per le grandi occasioni.
Essenzialmente fiammingo, dunque, lo stile, e in dipendenza abbastanza diretta dalla pittura contemporanea: Roger van der Weyden e Hans Memling dominano per tutto almeno il Quattrocento. Per quanto però i cartoni per arazzi siano sempre eseguiti da pittori, ma probabilmente specializzati, anche se per alcuni si è potuto fare il nome di Roger van der Weyden; per quanto siano ancora possibili derivazioni dalla miniatura, e siano state accertate riduzioni ingrandite dalla silografia; per quanto sia qualche volta palese l'intenzione dell'arazziere di riprodurre una pittura (arazzo di Bruxelles, al Louvre, dalla celebre tavola del van der Weyden con S. Luca che ritrae la Vergine) e persino un polittico nella sua ricca cornice (arazzo di Bruxelles, al Louvre, da un polittico della scuola di Bruges con La Vergine in trono e santi), l'arazzo ha ed avrà ancora, fin verso la metà del secolo seguente, uno stile proprio, cui specialmente contribuiscono le esigenze della stessa tecnica. Anzi proprio ora, il fregio, che sarà complemento tipico e necessario dell'arazzo, comincia a comparire, anche se limitato ad una timida cornice di foglie, frutti e fiori (assai sviluppata, invece, nella Passione di S. Marco a Venezia). Ma se la materia si fa più ricca; se alla lana si mischia costantemente, e sempre in maggiore abbondanza, la seta; se la trama si arricchisce con crescente dovizia di fili d'oro e d'argento, la gamma dei colori rimane ancora sobria: pochi di numero, ma, sapientemente disposti, bastano ad ottenere tutti gli effetti voluti.
Se le mal definite manifatture della Francia settentrionale possono confondersi durante questo periodo con quelle predominanti fiamminghe, sembrano distaccarsene invece le manifatture stabilite in Turenna già dopo la dispersione delle parigine, ma che sembra fiorissero specialmente dopo l'improvvisa decadenza di Arras, tra lo scorcio del sec. XV e la prima metà del sec. XVI. Nel cuor della Francia par conservarsi gelosamente la tradizione parigina; le grazie e le leggiadrie dell'arte internazionale vi s'indugiano con un ritardo incredibile; galanterie cortigianesche e idillî pastorali vi coritinuano a celebrare una vita ormai scomparsa; circa il 1500 i celebri arazzi della Dame à la licorne (Museo di Cluny) ci riportano in un mondo fiabesco assai in contrasto con le contemporanee vicende politiche e civili.
Come per questa raffinatezza e gentilezza, insieme con una più riposata e spazieggiata composizione, le manifatture della Francia centrale si distaccano dalle fiamminghe, così se ne differenziano quelle svizzere e tedesche per una rozzezza non priva di comico e di grottesco, che si scorge anche nei soggetti cavallereschi e cortigianeschi, tanto cari ai nobili e guerreschi committenti, quanto almeno i motivi araldici, e per una fattura più trascurata che, insieme con la preferita forma a lunghe strisce orizzontali a foggia di spalliere e di dossali, fa pensare ad un uso più diffuso se non esclusivo di telai a basso liccio, e nei lavoranti ad una maggior pratica nella tecnica dei tappeti, che specialmente in Germania continuarono a trattare, ma come in tono minore, i medesimi soggetti e motivi degli arazzi,
Secolo XVI. - Nel secondo decennio del sec. XVI, in piena età d'oro dell'arazzo fiammingo, un avvenimento straordinario dà alle manifatture di Bruxelles la conferma di un primato indiscusso, e segna per lo stile dell'arazzo un mutamehto essenziale, l'esecuzione cioè dei celebri cartoni degli Atti degli Apostoli di Raffaello affidata a Pieter van Aelst e compiuta principalmente negli anni dal 1518 al 1519. Mentre, anche per questo fatto, da ogni parte d'Europa giungevano a Bruxelles commissioni numerose di pezzi e di serie, la pittura monumentale tendeva ormai risolutamente a dominare lo stile dell'arazzo, modificandolo radicalmente. Per fortuna, anche nella esecuzione degli Atti gli arazzieri, lasciati liberi dinanzi al modello, lo interpretarono a modo loro, sì che, se rispettarono la prospettiva e la composizione - quella a basso e largo orizzonte con preponderanza di sfondo, questa distribuita logicamente e con ampio respiro -, mantennero nei particolari le virtuosità del mestiere, anche da sole squisitamente decorative. Il mutamento non fu però improvviso. Fino almeno al terzo decennio del sec. XVI - ed oltre, per le manifatture di Tournai - continuarono ad aver favore quei motivi tradizionali, che venivano però trattati in uno stile ormai in arretrato: episodî di romanzi cavallereschi, scene rustiche e cacce; ma anche nei soggetti religiosi eroici e storici continuò a dominare un tardo e complicato goticismo; le molteplici scene furono ancora divise da finte architetture come nei polittici, oppure separate, anche ingenuamente, con parti di edifici od accidentalità naturali; e continuarono la composizione verticale e l'affollamento delle figure. Anzi si può dire che durante tutta quanta l'età d'oro dell'arazzeria brusellese, fino cioè alla morte di Carlo V (1555), lo stile tradizionale non fosse del tutto abbandonato; e ne fanno fede alcune serie famose della Corona di Spagna, quali quella delle Virtù e dei Vizi, tessuta circa il 1525, e l'altra della Apocalisse, che è della metà del secolo. Ma intanto, sotto l'influsso dei cartoni italiani, la composizione si slarga, la prospettiva si abbassa; e si tessono panni numerosi su modelli di Giulio Romano, grandioso e pomposo nelle composizioni centrali, geniale e fantasioso nei fregi; si tesse, certo su cartoni italiani, la stupenda serie di Vertunno e Pomona (Madrid e Vienna); mentre alle manifatture nostre forniscono naturalmente modelli i maggiori artisti locali. Per di più sono italianizzanti gli stessi pittori fiamminghi che dànno disegni alle fabbriche di Bruxelles: Bernard van Orley e Michel Coxcie. Ma come nelle manifatture italiane la tecnica tradizionale e la mano stessa degli arazzieri - quasi totalmente fiamminghi - davano ai panni un particolare sapore esotico, tanto più questo accadeva a Bruxelles e nelle altre fabbriche fiamminghe; qui anzi gli stessi esecutori dei cartoni - probabilmente mestieranti specializzati - che ingrandivano i disegni dei maestri italianizzanti, pur rispettando abbastanza prospettiva e composizione, nei particolari indulgevano largamente alla tradizione paesana. Per questo sono piacevoli le Cacce di Massimiliano al Louvre, e gustosi i cosiddetti Mesi di Luca (Luca di Leida), mentre nella produzione commerciale cacce e verdure continuano ad avere largo favore per tutto il Cinquecento e gran parte del Seicento; e probabilmente per queste - e fu consuetudine di tutti i tempi e di tutte le manifatture - si continuò ad adoperare vecchi cartoni. Intanto Firenze, seguita da Fontainebleau, trova nelle grottesche un motivo squisitamente decorativo. Al contrario l'andazzo di descrivere minuziosamente sui panni istoriati le imprese guerresche contemporanee - battaglia di Pavia, impresa di Tunisi, battaglie del duca d'Alba, vittorie dell'arciduca Alberto, distruzione dell'Invincibile Armata - fa sì che nelle manifatture fiamminghe altri criterî, che diremmo tattici, prevalgano su quelli pittorici e decorativi; mentre specialmente in Inghilterra vanno diventando di moda gli arazzi raffiguranti carte geografiche e piani di città; e in Germania continuano ad essere in grande onore i motivi araldici.
Ad ogni modo pittura ed arazzo sono ancora due cose distinte. Se più risentito è l'influsso di quello su questo, se durante almeno la prima metà del Cinquecento, accanto alla corrente italiana, si nota un primeggiare della maniera di Quentin Matsijs, l'arazzo non cerca ancora di rivaleggiare con la pittura. Nei magnifici arazzi delle Storie di Giuseppe su cartoni del Bronzino e del Pontormo (in Palazzo Vecchio ed al Quirinale), lo stile dell'affresco manieristico - così freddo e disadorno - si fa più decorativo. Alcune interpretazioni dirette - la Cena di Leonardo fatta eseguire da Francesco I a Fontainebleau per donarla a Clemente VII, ed ora in Vaticano - e qualche fedele ingrandimento di stampe del Dürer, sono eccezioni. D'altra parte anche i famosi cartoni di Raffaello furono concepiti appositamente per arazzi; e se nelle composizioni principali conservavano lo stile delle Stanze, nei fregi compensavano largamente la scarsità decorativa di quelle. È noto anche come i fregi di Raffaello fossero adoperati dagli arazzieri di Bruxelles per serie diverse da quella degli Atti degli Apostoli, considerandosi ormai il fregio una cosa a sé, e quasi affidandosi a questo quel valore decorativo che fino allora aveva avuto tutto intero l'arazzo. E se ne compongono dei magnifici, a putti e animali fra il fogliame, i fiori e le frutta, a grottesche sull'esempio di Raffaello, ad arabeschi alla moda italiana, mentre Firenze dà forse i più gustosi e fastosi esempî di portiere stemmate.
In quanto alla tecnica, essa raggiunge una ricchezza ed una perfezione insuperabili. Ma per quanto aumentino le gradazioni cromatiche, la gamma coloristica rimane ancora sobria. Nelle Cacce di Massimiliano gli scarsi colori fondamentali di una gamma chiarissima, svariano in tonalità da un minimo di due ad un massimo di cinque: un'ottantina di gradazioni in tutto, che ripetendosi quasi ritmicamente, dànno ad ogni pezzo ed all'intera serie una unità perfetta. A proposito di colori, le osservazioni fatte possono autorizzare a supporre che certe tonalità, certe gradazioni, fossero caratteristiche speciali di questa o quella maestranza.
Sebbene esistessero manifatture locali in Italia, in Francia, in Germania, in Inghilterra e perfino in Svezia - ma quasi tutte dirette da arazzieri fiamminghi - l'uso dei panni istoriati si va così divulgando, che specialmente le fabbriche di Bruxelles continuano a fornire mezza Europa. Non solo si ornano costantemente e pomposamente interni di chiese e di palazzi, ma di arazzi si fa sfoggio quasi insolente in alcune occasioni, come al Camp du drap d'or per l'incontro di Francesco I con Enrico VIII (1520), per l'entrata in Roma di Marcantonio Colonna dopo la vittoria di Lepanto (1571), per l'incoronazione di Ferdinando ad Aquisgrana (1558). E Cosimo I de' Medici continua a comprare a Bruxelles serie famose come quella della Genesi (ora alla Galleria dell'Accademia), Francesco I vi manda a tradurre cartoni del Primaticcio, Enrico III vi fa eseguire i panni con le Feste agli ambasciatori polacchi (oggi agli Uffizî). Per di più anche in Francia, se fin oltre la metà del Cinquecento continuano a esistere le manifatture locali, fedeli allo stile tradizionale, a Fontainebleau i cartoni della scuola del Primaticcio sono interpretati anche da arazzieri venuti di Fiandra, operanti altresì nelle poche e decadute manifatture parigine, che sembrano specializzarsi nelle scene rustiche, nelle verdure e nelle coperte da muli.
Ma il primato fiammingo non è durevole. Le guerre, le lotte, le persecuzioni distruggono la ricchezza, diminuiscono il fasto, presupposto necessario all'industria arazziera, e costringono gli artieri fiamminghi all'esodo forzato o volontario. Quelli che rimangono, abbandonata la tradizione di intimità e sincerità del sec. XV e del sec. XVI, incapaci di sostituire ad essa quella nobiltà e grandiosità che saranno la caratteristica dell'arazzo francese del sec. XVII e XVIII, cadono nella volgarità dei soggetti e della composizione, e nei fregi ripetono quasi meccanicamente motivi usatissimi; peccano di trascuratezza nella fattura, tanto che il basso liccio diventa a poco a poco di maggior pratica; avviliscono la materia sì che quasi scompaiono dalla trama i fili d'oro e d'argento e si fa più scarsa la seta in confronto alla lana; perdono il senso gaio della colorazione, che diventa tetra e monotona.
Secoli XVII e XVIII. - Col sec. XVII la decadenza delle manifatture fiamminghe si accentua, ed il primato passa o meglio torna a Parigi anche prima della fondazione della Manifattura dei Gobelins (1662). Il fecondo intervento di Rubens e dei suoi seguaci, che dànno cartoni di stile eroico e di gusto fastosissimo per arazzi; l'imitazione del Teniers nelle scenette di genere, così poco decorative e che diventano volgarissime nell'inadatta traduzione; gli sforzi dei governatori e delle organizzazioni di mestiere non bastano a salvare l'industria già tanto fiorente: alla metà del secolo la decadenza è completa pur nella modesta produzione di scene di caccia, di vedute di giardini, di verdure. Anche fuori di Fiandra il predominio fiammingo va scomparendo: l'arazzeria medicea di Firenze e la pontificia di Roma hanno a capo, per lungo tempo, maestri francesi.
In Francia se pur molte delle manifatture - ormai di stato, come le più delle italiane - prosperanti a Parigi tra la fine del sec. XVI e la metà del XVII sono dirette da arazzieri fiamminghi, il gusto è francese, i cartoni sono richiesti, oltre che ai pittori ordinarî di corte, ai massimi maestri, da Simon Vouet, che vien chiamato da Roma a prendere la direzione delle manifatture reali, a Eustache Lesueur, Sébastien Bourdon, Nicolas Poussin, Philippe de Champagne. Quella di Rubens, che fornì del resto modelli anche alla fabbrica inglese di Mortlake, è un'eccezione.
Intanto la pittura va aumentando il suo predominio. A Firenze, già dal Seicento, si tessono piccoli arazzi ad imitazione di quadri, e come questi si chiudono in cornici dorate.
A Parigi mentre - come a Mortlake - si replicano gli Atti degli Apostoli dai cartoni di Raffaello, l'italianismo trionfa anche nello stile dei pittori locali, quasi tutti educati a Roma. Questo stile, ove predominavano più l'ordine e la precisione che la fantasia, e in cui il colorito per quanto armonioso era tuttavia abbastanza monotono, modificò naturalmente lo stile stesso dell'arazzo.
In ogni modo il gusto decorativo non venne mai meno, anche se si deve cercare specialmente negli sfondi con boscaglie che fan spesso pensare a "verdure", o meglio ancora nei fregi, i quali però già cominciano ad imitare ricchissime cornici a chiaroscuro o dorate, accentuando quell'aspetto di dipinto che l'arazzo va ormai assumendo quasi fatalmente. Per fortuna la tecnica è ricca e perfetta: alla lana si uniscono in abbondanza la seta, l'oro, l'argento, adoperati in modo insuperabile.
Nel 1630 l'informatore del cardinal Barberini dava decisamente il primato alle fabbriche parigine su quelle di Fiandra. Trentadue anni dopo veniva fondata la manifattura reale dei Gobelins.
Questa manifattura, che doveva superare in durata e importanza ogni altra ovunque esistita, ebbe subito a direttore il pittore Charles Le Brun, che, dotato di un largo senso decorativo e al tempo stesso di un vivo sentimento della natura, seppe creare per l'arazzo uno stile pienamente rispondente a quel secolo di pompa e di magnificenza e pur squisitamente ornamentale.
Così, mentre nell'Histoire du Roi si rappresentavano con nobiltà e con fasto le gesta di Luigi XIV, e nella Storia d'Alessandro era come un largo riflesso degli spiriti e delle forme di Rubens, nelle Maisons royales e nelle Saisons motivi ornamentali ed elementi naturali avevano la preponderanza. Ma i fregi andavano però perdendo sempre più la loro funzione decorativa, e si riducevano ad una cornicetta nei pezzi delle Maisons royales.
Intuito quale fosse il carattere tradizionale dell'arazzo, il Le Brun ridusse abilmente a tre soli i piani prospettici, definiti quasi soltanto dal diminuire degli oggetti nella lontananza; usò di una tavolozza più brillante di quella dei suoi predecessori, ma sobria di gamma, in pochi toni franchi, proprî dell'arazzo, e ripetuti quasi ritmicamente, con profusione d'oro e d'argento, che dopo il 1685, per ragioni economiche, furono adoperati solo eccezionalmente. Uno dei pezzi più perfetti de l'Histoire du Roi, l'Audience au Légat, fu eseguito soltanto con 40 colori in 141 tonalità (83 per la lana e 58 per la seta) oltre l'argento e l'oro. Si era ancora dunque nella buona tradizione, alla cui difesa contribuivano anche le numerose repliche di antiche serie cinquecentesche, quali quella delle Cacce di Massimiliano, che fu riprodotta in modo che la copia poteva scambiarsi col modello; mentre le medesime serie si ripetevano indifferentemente con telai d'alto o di basso liccio, tanta era ormai l'abilità degli arazzieri.
D'altra parte l'avere il Le Brun sostituito i cartoni a tempera con quelli ad olio, contribuì a che fatalmente l'arazzo si avvicinasse sempre più alla pittura. Ma più vi contribuì la traduzione in arazzo di vere e proprie pitture, come quelle delle Stanze Vaticane, o quelle del Poussin, debitamente ingrandite.
Ma sullo scorcio del Seicento e sui primi del Settecento, morto il Le Brun, avviene un mutamento notevole nello stile dell'arazzo. I Mois grotesques e Les Saisons di Claude Audran accennano già decisamente al rococò. Poi, dallo stile di Luigi XIV si passa a quello di Luigi XV: la nobiltà diventa eleganza; invece delle imprese del Gran Re si narrano le cacce del "Bene Amato"; Alessandro lascia il campo a Don Chisciotte; idillî mitologici e pastorali, scene orientali e particolarmente cinesi diventano i soggetti preferiti, nei quali la manifattura di Beauvais quasi gareggia con quella dei Gobelins. Ma se l'arazzo si fa da monumentale, e quasi diremmo popolare per l'interesse dei soggetti rappresentati, intimo e aristocratico, come quello che era destinato piuttosto a gabinetti ed alcove, non per questo perde del suo valore decorativo; anzi in un certo senso ne acquista; e proprio alla metà del Settecento ai Gobelins l'arazzo comincia ad essere usato per la copertura di mobili, ben presto specialità di Beauvais. D'altra parte la corrente pittorica faceva lenti ma continui progressi. I cartoni per le serie di Ester e di Giasone, mandati da Roma da Jean-François de Troy, mentre sfoggiavano una teatralità melodrammatica, rivelavano un largo influsso dell'affresco decorativo italiano; di più JeanBaptiste Audry, direttore a Beauvais ed ispettore ai Gobelins, cercava di imporre agli arazzieri le sue preferenze pittoriche, e si ostinava a che i colori dei suoi modelli fossero riprodotti esattamente. Per buona fortuna lo stile di Audry era di per sé stesso eminentemente decorativo, e gli arazzieri lo disobbedivano e si tenevano alla tradizione; sì che le Cacce di Luigi XV - grandi verdure popolate di una folla elegante - rimangono ancora modello squisito di arazzeria, anche se dalla trama sono scomparsi definitivamente l'oro e l'argento, e le mezze tinte cominciano a preponderare. Con François Boucher, succeduto all'Audry tanto ai Gobelins quanto a Beauvais, sembrò che le cose dovessero mutare, per un suo maggior attaccamento alla tradizione ed un suo più vivo senso decorativo, ma con lui le mezze tinte, destinate ben presto a svanire, finirono col sedurre gli stessi arazzieri, mentre l'imprenditore Jacques Neilson, addetto anche alla tintura delle lane e delle sete, portava a varie migliaia le gradazioni dei colori. Intanto si andava maturando l'assoluto prevalere della tendenza pittorica. Nel 1763 gli arazzi dei Gobelins erano esposti al Salon insieme con i quadri; ritratti si riproducevano così simili agli originali, che il giuoco della trama gareggiava con le virtuosità del pennello; ancora qualche anno, e le più fredde e tediose composizioni accademiche serviranno di modello agli operai dei Gobelins.
Non altrimenti avveniva fuori di Francia, nelle manifatture che ormai si modellavano su quella dei Gobelins. A Firenze gli ultimi cortoneschi davano cartoni gustosamente decorativi, tutti bagliori di luci e sciacquio di tinte chiare come nell'affresco; mentre in Roma, la nuova manifattura di San Michele si dedicava esclusivamente all'abile quanto monotona riproduzione di sacri dipinti e di ritratti - con degenerazione affine a quella del musaico - allontanandosi da ogni tradizione decorativa, salvo che in qualche modesta verdura. Le manifatture di Torino e di Napoli, come quelle di Berlino e di Pietroburgo, imitavano quanto si faceva a Parigi. Solo a Madrid, la manifattura di Santa Barbara riusciva ad una schietta originalità per opera di Bayeu e di Goya, che nei cartoni de Los Tapices, rompendola con la tradizione mitologica e storica, evocavano gioiosi scorci di vita nazionale, in gruppi armoniosi e pittoreschi su larghe e luminose distese di paese.
Durante la Rivoluzione e l'Impero assoluta fu la dipendenza dell'arte dell'arazzo dalla pittura storica e di ritratto. Si misero sul telaio i fasti di Napoleone, come si era fatto per Luigi XIV: ma invece di cartoni, come quelli del Le Brun, si riprodussero dipinti di David, di Gros, di Vernet. Napoleone stesso sembrò accorgersi dell'errore e nel 1806, da Berlino, dette l'ordine a Duroc d'impedire che ai Gobelins si facessero dei quadri coi quali gli arazzi non avrebbero mai potuto rivaleggiare. Ma l'ordine non valse: nel Napoleone che riceve a Tilsit la regina di Prussia, per la sola figura del maresciallo Mortier si adoperarono 179 differenti gradazioni di colore; 34 soltanto per le carni. Gli è che ormai la tintura delle sete e delle lane stava diventando, da mestiere, vera scienza, specialmente col celebre chimico Michel-Eugène Chevreul - rimasto ai Gobelins dal 1824 al 1888 - che portò ad oltre 14.000 le gradazioni di 72 colori franchi, per gran parte ancora in uso nella manifattura. Intanto anche la tecnica si andava modificando. Alle passate di toni diversi, intersecate in modo da dare la fusione perfetta delle mezze tinte o l'armonioso svariare dei cangianti, sullo scorcio del sec. XVIII si erano sostituite le passate sovrapposte, che offrivano uno spiacevole effetto di musaico; finché Gilbert Deyrolle, sul principio del sec. XIX, inventava la tessitura a passate intercalate di toni contrapposti per ottenere un maggior risalto; e il metodo veniva definitivamente adottato. Ormai la tradizione era perduta. Ritratti e pitture furono per quasi tutto l'Ottocento unici modelli per la riproduzione. Anche se si scelsero originali essenzialmente decorativi come la Storia di Maria de' Medici del Rubens, si abolirono le bordure; se si rimisero ancora sui telai gli Atti degli Apostoli, s'interpretarono con tale eccesso di virtuosismo pittorico, da falsare assolutamente lo stile di Raffaello; le gradazioni di colore continuarono ad essere migliaia; 11.000 per la lana, 7.500 per la seta. Non mancarono, tuttavia, tentativi di riportare l'arazzo alla sua funzione ornamentale; ma solo si giunse ad un risultato positivo con La sirène et le poète di Gustave Moreau mentre la Storia di Bretagna sui cartoni di E. Toudouze risentiva troppo del compassato preraffaellitismo di moda. I tentativi sono continuati nel Novecento, con l'intervento di Jules Chéret e di Félix Bracquemond, due dei migliori decoratori moderni; ma le Stagioni del primo, che più potevano offrire un motivo squisitamente ornamentale, come l'avevano offerto a Boucher, troppo risentono del cartellone; mentre nell'Arcobaleno e nella Foresta del secondo il risultato sembra quasi raggiunto. Allora anche fu assai indovinato il tentativo fatto a Roma da Erulo Eruli coi panni tessuti con motivi esclusivamente decorativi per il comune di Roma. Né ai Gobelins si ottennero risultati migliori con la grandiosa serie delle Provincie e città di Francia tessuta su cartoni di artisti che vanno da Adolphe Willette a J. F. Raffaelli: dalla pittura di cartellone a quella impressionistica; mentre dopo la guerra il grande arazzo della Partenza degli Americani per la guerra, tessuto per il museo di Philadelphia su cartoni di F. Jaulmes, sembra una illustrazione ingrandita. Migliori certo i tentativi fatti poco prima con rievocazioni settecentesche o motivi fiabeschi.
Le Manifatture.
Francia. - Numerose sono le città della Francia che, sia pure temporaneamente, hanno avuto qualche manifattura o almeno qualche telaio di alto e basso liccio; ma la loro attività è, generalmente, testimoniata solo da documenti d'archivio; mentre esistono tuttora numerosi pezzi, specie dei secoli XV e XVI, che sono evidentemente francesi, senza che si possa precisare da quale manifattura siano usciti; a ogni modo sembrano appartenere ad un gruppo di laboratorî di Turenna e ad un altro di laboratorî della Borgogna e della Francia settentrionale. Così sappiamo, p. es., che a Lione si tesserono arazzi dalla metà del sec. XIV alla fine del XV; che, durante il XV, ancora arazzieri francesi lavorarono ad Avignone ed a Rouen; mentre durante il XVI così Francesi eome fiamminghi operarono ad Orléans e ad Amiens (marca, un A col fiordaliso), ove nel sec. XVII i Comans ed i van den Planken tennero una ventina di telai (v. sotto). Intanto a Cadillac il duca di Épernon faceva tessere a Claude de la Pierre le Storie di Enrico III; a Maincy presso Vaux, il famoso Foucquet impiantava una manifattura, di cui affidò la direzione a Charles Le Brun, ma che ebbe appena una dozzina d'anni di esistenza; a Reims, dopo l'apparizione saltuaria di qualche telaio, Daniel Pepersack operava dal 1029 al 1647, tessendo tra l'altro la Vita di Cristo del duomo di Reims. Al principio del sec. XVIII qualche telaio lavorava a Gisor e a Torcy. Ma solo le città seguenti ebbero una industria fiorente per un lungo periodo o in tempi diversi, oppure manifatture di larga rinomanza.
Parigi. - Un'aggiunta del 10 marzo 1303 agli statuti dei Tapissiers sarrazinois reca il nome di una decina di rappresentanti di arazzieri di alto liccio; ma solo alla fine del secolo operano i più famosi di essi: Nicolas Bataille che dal 133a al 1400 lavora per i duchi di Borgogna, di Berry, d'Angiò, e per quest'ultimo eseguisce la rammentata Apocalisse destinata alla cappella del castello e ora nella cattedrale di Angers; Jacques Dourdin, rivale del Bataille, e operante dal 1386 al 1407, specialmente per Filippo l'Ardito; Pierre de Beaumetz, attivo tra il 1385 e il 1400, e pur fornitore dei duchi di Borgogna. Ma con la caduta di Parigi in mano degl'Inglesi (1420) due soli arazzieri vi rimasero; e ben pochi telai furono in opera durante la guerra dei Cent'anni. L'industria, già fiorentissima, non riprese fino al principio del sec. XVI; ma per quanto fossero già numerosi i telai di alto liccio, e alla metà del secolo cominciassero ad essere rinomate alcune dinastie di arazzieri quali quelle dei Laurent (o Laurens) e dei Du Larry, sembra che la specialità delle manifatture parigine fossero le coperte da muli. Alcuni però, come Guillaume Brocquart e Guillaume Claud si dedicarono a lavori più importanti ed eseguiti rapidamente, quindi con gran numero di operai. Ma ormai, sull'esempio della manifattura di Fontainebleau (v. sotto) anche a Parigi le fabbriche vanno acquistando carattere di stabilimenti statali o meglio reali.
Quella della Trinité (Rue Saint-Denis) non fu una vera e propria manifattura, ma un ospizio istituito da Enrico II nel 1551, nel quale ai giovani ricoverati s'insegnava anche l'arte dell'arazzo; ma per quanto avesse a maestro Maurice Dubout, prolungasse la propria attività anche al tempo di Luigi XIII, e venisse probabilmente soppresso solo quando il Colbert organizzò la manifattura dei Gobelins, ebbe una vita stentata, e l'unico pezzo che ne rimane, della Storia dei Santi Crispino e Crispiniano, è assai mediocre.
Nel 1608, poi, Maurice Dubout e Girard Laurent, tappezzieri del re, occupavano la grande Galleria del Louvre; e i loro discendenti vi rimasero fino al 1671; mentre nel 1657 il laboratorio veniva aggregato all'Accademia. Da questa manifattura uscirono numerose e buone serie quali quelle del Vecchio Testamento su cartoni di Simon Vouet, e delle Storie dei Santi Gervasio e Protasio su cartoni di Sébastien Bourdon nonché una delle tante repliche degli Atti degli Apostoli. Nel 1655 - dopo un primo soggiorno parigino dal 1648 al 1650 - si stabiliva al Louvre, per passare in seguito alle Tuileries, Pierre Lefebvre, reduce da Firenze dove ben presto tornava (circa 1659), lasciando a Parigi il figlio Jean, il quale alle Tuileries eseguì anche i Baccaali su vecchie composizioni di Giulio Romano.
La Vecchia manifattura dei Gobelins. - Nel 1601 Jérôme e Marc de Comans fecero società con Franz van den Planken, più noto col nome di François de la Planche; si stabilirono nel Faubourg Saint-Marcel, ov'era posta l'antica tintoria dei Gobelins (v. sotto), e nel 1607 ricevettero varî privilegi da Enrico IV, impegnandosi a tenere sessanta telai a Parigi e venti ad Amiens o altrove. Questa manifattura, continuata dai successori dei fondatori, Charles, Alexandre e Hippolyte de Comans e Raphaël de la Planche, ebbe una splendida fioritura fino alla fondazione della manifattura dei Gobelins, ed eseguì un bel numero di serie che sono tra le più pregiate di quel secolo, quali: Storia di Costantino, su cartoni di Rubens; di Artemisia (alludente alle gesta di Caterina de' Medici, e ripetuta per più di un secolo fino ad adombrare quelle di Maria de' Medici) e di Coriolano, su disegni di Antoine Caron; Storia di Diana e Cacce del re Francesco; Amori di Gombaut e Macée, soggetto caro agli silografi e agli arazzieri sin dalla fine del sec. XV e trattato con gustoso arcaismo; Atti degli Apostoli, replicati ancora dalle composizioni di Raffaello. I pezzi recano generalmente la marca di Parigi (uno o due P col fiordaliso) e la sigla degli arazzieri.
Nel 1633 Raphaël de la Planche si staccò da Charles de Comans, fondò la nuova manifattura del Faubourg Saint-Germain (in Rue de la Chaise) e nel 1661 la lasciò al figlio Sébastien-François, che la continuò fino al 1668. Anche questa, come quella continuata dai Comans, ebbe una bella fioritura, eseguendo serie pregiatissime, quali: Storie di Clorinda e Tancredi, Storie di Rinaldo e Armida, Amori degli Dei, su cartoni di Simon Vouet; Storia di Psiche, ripetizione della vecchia serie, oggi perduta, su composizioni raffaellesche di Michel Coxcie; e verdure, pure da modelli del Vouet. I pezzi di questa manifattura recano la marca di Parigi e la sigla dei De la Planche.
Oltre tutte queste manifatture, che godevano di speciali privilegi reali, ma che però erano libere di fornire, insieme con la corona, anche clienti privati, durante il sec. XVII si stabilirono a Parigi laboratorî di altri arazzieri, quali Pierre Damour, operante anche a Reims, e che, su cartoni di Philippe de Champagne, eseguì per Notre-Dame una Vita della Vergine, ora nel duomo di Strasburgo; e Jan Jans, nominato arazziere reale nel 1654, che ritroveremo ai Gobelins.
La Manifattura dei Gobelins. - Nel 1662 Luigi XIV acquistava nel Faubourg Saint-Marcel le case dei Gobelins, antica famiglia di celebri tintori stabilitisi sulla Bièvre fin dallo scorcio del sec. XV; e faceva adattare gli edifici esistenti e costruirne dei nuovi per quella che nell'editto del novembre 1667 sarà chiamata Manufacture royale des meubles de la Couronne. Posta sotto la sorveglianza del Colbert, sovrintendmte alle fabbriche reali, e la direzione di Charles Le Brun, la manifattura doveva diventare una grande scuola d'arte decorativa e tale da dare impulso e stile a tutta quanta l'industria nazionale, collaborando col Le Brun scultori quali Girardon, Coustou, Coysevox, i Caffieri.
Ma ben presto (certamente dopo il 1694) la manifattura limitò ogni sua attività alla produzione di arazzi, tessuti in laboratorî di alto e basso liccio, affidati fin dal 1662-63 ad imprenditori (capi di laboratorio) che furono il fiammingo Jan Jans ed i francesi Jean Lefebvre e Henry Lurent, Jean de la Croix e Jean-Baptiste Mozin (questi ultimi per il basso liccio). I laboratorî cambiarono spesso di numero: quelli di alto liccio furono quasi costantemente tre, quelli di basso liccio da due a cinque. Gl'imprenditori, pur godendo di un protezionismo assoluto, di numerosi privilegi e della facoltà di fornire clienti privati, fino al 1792 venivano pagati a cottimo dalla corona; e spesso lamentarono di lavorare in perdita, o dovettero attendere lungamente, ed anche inutilmente, i compensi pattuiti. Gli operai, tra 150 e 200, fiamminghi e francesi, erano pure pagati a cottimo; ma avevano alcuni privilegi ed abitavano nell'ambito della manifattura. Questo fatto e il passaggio di alcuni laboratorî di padre in figlio contribuirono grandemente alla formazione e alla conservazione di una bella tradizione di mestiere: una delle principali cause della fortuna dell'istituzione.
Il periodo di massimo splendore della manifattura va dal 1662 al 1683, essendo sovrintendente il Colbert e direttore il Le Brun. Quando al primo succede il Louvois (1683-1691) si cominciano a fare economie, che portano quasi alla soppressione dei fili d'oro e d'argento nel tessuto; né le cose mutano di troppo con gli altri sovrintendenti alle fabbriche reali; Colbert de Villacef (1691-1699), Mansard (1699-1708) e il duca d'Antin (1708-1736). Anzi nell'aprile del 1694 la manifattura, in seguito alla guerra della seconda coalizione che aveva stremato l'erario, fu chiusa; e fu riaperta solo nel 1699.
Così, quando nel 1690 il pittore Pierre Mignard (1690-1695) successe nella direzione al Le Brun, venne a mancare alla manifattura colui che ne era stato quasi il creatore e l'animatore; che con una cinquantina di aiuti aveva eseguito i cartoni delle serie più famose, e che - come abbiamo detto sopra - aveva saputo dare all'arazzo uno stile adeguato alla sua funzione. Il Mignard, già vecchissimo, poco si occupò della manifattura; e solo con l'architetto Robert de Cotte - cui i sovrintendenti lasciarono grande libertà d'azione - le cose migliorarono assai. Ad ogni modo fino alla morte di Luigi XIV l'attività della manifattura fu grandissima. Soltanto per la corona, dal 1662 al 1715 si tesserono un centinaio di serie comprendenti oltre ottocento arazzi; ai quali va aggiunto il lavoro eseguito per clienti diversi, non solo nei laboratorî ufficiali, ma in quelli privati che, almeno dal principio del Settecento, i capi arazzieri tenevano nei pressi della manifattura reale. Di queste serie le più famose, ripetute più volte, sono le seguenti: Gli Elementi (una serie anche a palazzo Pitti e al Palazzo pubblico di Siena), Le stagioni, la Storia d'Alessandro (riprodotta più tardi anche a Bruxelles), i Fanciulli giardinieri (una serie anche a palazzo Pitti) tutte su cartoni del Le Brun, la Storia del re (Luigi XIV; una serie a Versailles) su cartoni del Le Brun e di A. F. van der Meulen; Le residenze reali, una delle più decorative che siano uscite dai telai dei Gobelins, ai cui cartoni collaborarono i più squisiti artisti del tempo, e che fu ripetuta numerose volte; la Galleria di Saint-Cloud, da modelli del Mignard; i Trionfi degli dei, per i quali Noël Coypel s'ispirò, completandola, a un'antica serie cinquecentesca attribuita al Mantegna; le Stagioni e i Mesi grotteschi ove Claude Audran iniziò le fragili grazie del rococò. Oltre a queste ed altre serie, tessute nei varî laboratorî d'alto liccio e, quasi a gara, anche in quelli di basso liccio e subito, quale più quale meno, replicate, si ripeterono vecchie e famose serie fiamminghe con imitazione perfetta: Gli atti degli Apostoli, Le favole, I frutti della guerra e la Storia di Scipione di Giulio Romano; Le Cacce di Massimiliano; i Mesi di Luca, ecc. E con la serie delle Stanze Vaticane s'iniziò anche la riproduzione di vere e proprie pitture.
Durante il regno di Luigi XV contribuì specialmente alla fortuna della manifattura, come sovrintendente, il marchese di Marigny (1751-1773); ma più dei direttori - gli architetti Garnier d'Isle (1747-1755) e Soufflot (1755-1781) - ebbero influsso notevole e benefico i pittori ispettori, quali Jean-Baptiste Oudry (1736-1755) e François Boucher (1755-1765); mentre i capi arazzieri assumono maggiore importanza e quasi costantemente pongono il loro nome accanto a quello del pittore; tanto che sono più noti dei loro predecessori secenteschi Michel Audran (1732-1771), Jean Audran (1771-1794), Pierre-François Cozette (17351794) e Jacques Neilson (1751-1788), che portò tali perfezionamenti al telaio di basso liccio, da poterlo far gareggiare con l'altro.
Delle serie tessute durante il regno di Luigi XV ricorderemo: Il Vecchio Testamento su cartoni di Antoine e Charles Coypel, e il Nuovo Testamento su quelli di Jean Jouvenet e Jean Restout; il Don Chisciotte e i Motivi d'opera su modelli di Charles Coypel; le Nuove Indie (anche al Quirinale) di François Desportes; e specialmente le Cacce di Luigi XV (la serie piü completa è a palazzo Pitti) sui cartoni di J. B. Audry; la Storia di Ester (due serie tra palazzo Pitti, Palazzo Vecchio e la Biblioteca Laurenziana) e di Giasone e Medea su modelli di Jean-François de Troy; gli Amori degli Dei di François Boucher, e pure di lui famose pastorali e galanterie. A queste ed altre serie omesse bisogna aggiungere le ripetizioni delle più celebri tra quelle del Seicento e pure d'altre più antiche; mentre nel 1748, s'iniziava anche la tessitura di coperte per mobili, che dovevano diventare poi una delle specialità della manifattura di Beauvais. Intanto, come s'è detto, l'arazzo tendeva sempre più a rivaleggiare con la pittura; e la tendenza si affermava decisamente e irrimediabilmente durante il regno di Luigi XVI, la Rivoluzione e l'Impero.
Ma fino dal 1791 la manifattura dei Gobelins mutava la sua organizzazione, passando alle dirette dipendenze della corona, che vi provvedeva con la lista civile; e nel 1792 si abolivano gl'imprenditori, sostituendoli con capi-fabbrica retribuiti con assegni fissi. Della riforma fu attore principale l'architetto Charles A. Guillaumot, dal 1789 al 1792, e poi dal 1795 al 1807 direttore della manifattura, che corse serio pericolo di esser soppressa durante la Rivoluzione; ma la sua presenza non impedì che nel 1797 si bruciassero 180 vecchi arazzi per trarne il poco filo d'oro contenutovi, come nel 1793 e 1794 se n' erano distrutti parecchi perché di soggetto non rivoluzionario.
Nel 1804, tornata la manifattura alla corona, il Guillaumot ne effettuava il riordinamento, il chimico Roard dava alla tintoria un indirizzo scientifico, che lo Chevreul porterà poi a perfezione. Intanto nel 1826 si passavano definitivamente a Beauvais i telai di basso liccio.
Assegnata nel 1848 al Ministero di agricoltura e commercio, finanziata col 1852 dalla lista civile, tornata nel 1870 al Ministero suddetto, finalmente nel 1871 la manifattura veniva messa alle dipendenze dell'Amministrazione delle belle arti (Ministero della pubblica istruzione). Il 24 marzo di quell'anno medesimo i comunardi incendiavano la manifattura con la perdita irreparabile di numerosi arazzi. Durante il sec. XIX e il principio del XX si succedevano nella direzione ed amministrazione, tra gli altri, i pittori A. Ch. G. Lemonnier e P. H. Badin, e gli storici e scrittori d'arte Édouard Gerspach, Jules Guiffrey e Gustave Geffroy. (Per le serie e i pezzi tessuti dalla fine del sec. XVIII al principio del sec. XX, v. sopra).
Tours. - Dopo la caduta di Parigi (1420) gli arazzieri seguirono probabilmente la corte, vagante nella vallata della Loira; e per quanto manchi nei documenti ogni menzione degli arazzieri, i nomi stessi dei donatori di arazzi, in gran numero esistenti in chiese della regione, hanno fatto pensare ad artieri vaganti di città in città, di castello in castello coi loro telai. Così per tutto il sec. XV, anzi specialmente dalla presa di Arras (1477) fino al quarto decennio del sec. XVI, si ritiene l'industria dello arazzo fiorentissima in Turenna, ai cui laboratorî concordemente si attribuiscono pezzi gustosissimi con scene cortigianesche, conservati specialmente nel Musée de Cluny a Parigi; la celebre serie de La dame à la licorne del museo medesimo, assegnata al 1500 circa; la Vita della Vergine di Notre-Dame de Beaune (1500), le Storie dí San Remigio del tesoro di Saint Rémi (1531) e la Vita della Vergine, della cattedrale, a Reims (1530). Ma intanto Tours ha acquistato grande importanza nella vita della regione, e nella prima metà del sec. XVI vi operano Nicolas e Pasquier de Mortaigne, arazzieri di Francesco I, insieme con Jean Duval, genero del secondo, e maestro rinomatissimo, cui si debbono, tra l'altro, le Storie di San Pietro, della chiesa omonima di Saumur (1546-1548), e il cui laboratorio continuarono i figli e discendenti fino al 1585. Intanto si stabilisce a Tours Alexandre Motheron, cui succedono i figli Alexandre e Nicolas; finché nel 1613 il municipio stipula un contratto con Marc de Comans e François de la Planche per l'istituzione di una manifattura, affidata ai soci Alexandre (III) Motheron e Jacques Cottart, e che sembra fiorisse fin circa il 1650. Tours ebbe per marca un T e il fiordaliso.
Fontainebleau. - Di questa manifattura, di carattere schiettamente reale, poco si sa. Istituita prima del 1539 da Francesco I, dovette fiorire rapidamente, se in quell'anno i suoi arazzieri d'alto liccio (quattordici o quindici tra fiamminghi e francesi diretti da Jean e Pierre Le Bries o de Bries) avevano raggiunto tale perfezione ed entità di produzione, da far diminuire notevolmente le consuete ordinazioni a Bruxelles; e prosperò fino alla morte di Enrico III (1559; ma i conti rimastici vanno soltanto dal 1541 al 1550). Sovrintendente ne fu all'inizio il tesoriere della corona Philibert Babou de la Bourdaisière; animatore ne dovette essere il Primaticcio, che sembra desse i disegni per i cartoni eseguiti dai suoi scolari, mentre si riproducevano in arazzo le decorazioni della Galleria del castello eseguita appunto dal Rosso e dal Primaticcio. Oltre queste serie (oggi a Vienna) si eseguirono una Storia di Diana (al castello di Anet, per cui fu tessuta, e al museo di Rouen) e gustose grottesche di schietto sapore italiano (museo dei Gobelins). Forse uscì dalla manifattura di Fontainebleau quel panno con la Cena di Leonardo che Francesco I avrebbe donato a Clemente VII nel 1532, e che si conserva oggi in Vaticano; ma l'anno della donazione sarebbe assai anteriore al tempo in cui sembra fosse istituita la manifattura.
Beauvais. - Per quanto si citi una Serie dei primi re della Gallia tessuta a Beauvais circa il 1530, la città non assume vera e propria importanza nell'industria dell'arazzo fino al 1664; nel quale anno un editto reale istituiva una Manufacture royale de tapisserie a imitazione di quella dei Gobelins. Ma dapprima l'opera dell'imprenditore Louis Hinart portò poco frutto; e sebbene gli operai fossero in gran numero, si tesserono quasi soltanto verdure. Risollevò le sorti della manifattura Philippe Béhagle di Oudenaarde, che nel 1694 poté anche accogliere a Beauvais parte degli arazzieri dei Gobelins, ed eseguì tra l'altro gli Atti degli Apostoli, ora nella cattedrale, le Conquiste di Luigi XIV, le Grottesche degli Dei, e le Grottesche della Commedia italiana. Dopo la sua morte (1704) i figli e la vedova di lui, poi i fratelli Filleul, quindi Noël-Antoine de Mérou, malfido amministratore, portarono quasi alla rovina la manifattura, che col 1720 limitava la sua attività ai telai di basso liccio. Essa tornò a fiorire soltanto per opera di Jean-Baptiste Oudry, prima pittore, poi direttore della manifattura (1734-1755) associato però a Nicolas Besnier, che ne fu specialmente l'amministratore. In questo ventennio, che segnò l'apogeo della arazzeria di Beauvais, furono tessute le serie più famose e generalmente su cartoni di Oudry: Amori degli Dei, Commedie di Molière, Favole del La Fontaine; e ancora Storia di Don Chisciotte, Feste Italiane, Serie cinese.
All'Oudry succedevano nella direzione André-Charlemagne Charron (1755-1780) e de Menon (1780-1793); e alle serie iniziate si aggiungevano i Giuochi Russi di Francesco Casanova, e specialmente le galanterie e le pastorali di François Boucher; e cacce, verdure, portiere, paraventi e coperte di mobili di squisito lavoro. Nel 1800 la manifattura veniva riorganizzata da Huet, e nel 1804 prendeva il titolo di imperiale; ma intanto a poco a poco limitava la sua produzione a portiere, a piccoli pannelli, a coperte di mobili, che divengono e sono ancora la specialità della manifattura. Beauvais usò spesso come marca due B centrati d'un cuore rosso caricato di un palo scorciato bianco; oppure il nome della città seguito da quello dell'arazziere.
Aubusson. - Di arazzieri operanti di basso liccio in Aubusson si ha notizia per tutto il sec. XVI; e sappiamo anche eome durante il XVII grande fosse l'attività dei laboratorî, donde uscivano però pezzi assai dozzinali, anche se, a imitazione delle migliori manifatture, si tentavano serie di grande stile. I maestri di Aubusson difettavano di buoni modelli e si accontentavano di ricopiare gli arazzi eseguiti sui cartoni del Le Brun; né le proposte di riordinamento approvate dal re nel 1665, né il titolo di Manufacture royale d'Aubusson cambiarono di troppo le cose; ché il pittore promesso, il mediocre Jean-Joseph du Mons, arrivò solo nel 1731, mentre per la revoca dell'editto di Nantes molti arazzieri ugonotti erano costretti a esulare. A ogni modo il du Mons seppe migliorare un poco e aumentare la produzione, che salì presto in gran fama non solo in Europa ma anche in America pel minor costo e i soggetti più commerciali. Neì 1732-33 nuovi statuti riordinavano la manifattura, obbligando che ogni pezzo, chiuso da una cimosa blu, portasse il nome della città o della manifattura e quello dell'arazziere (ma si trova anche la marca costituita da un fiordaliso fra un'A e un B). Per quanto Aubusson si specializzasse nelle cacce e nelle verdure, nelle scene campestri e pastorali, nei motivi orientali e nei pannelli alla Boucher, e nelle coperte da mobili, pur tentò con fortuna anche serie quali quella delle Metamorfosi su cartoni di Audry; e durante il sec. XIX fu, forse, più fedele delle altre manifatture alla tradizione decorativa.
Felletin. - Anche questa città della Marche ebbe arazzieri, fino almeno dal sec. XV, e laboratorî fiorentissimi specialmente durante il XVII; ma la sua produzione fu sempre dozzinale e limitata specialmente alle verdure, anche se si tentarono serie di carattere monumentale come i Nove prodi, la Storia di Alessandro Magno, e le Donne famose del Vecchio Testamento. E la decadenza era tale nella seconda metà del Seicento, che il Colbert niente fece per Felletin di quanto aveva almeno promesso ad Aubusson. Solo i regolamenti del 1732-33 si occuparono anche di Felletin, ma quasi solo per ingiungere che gli arazzi usciti dai suoi laboratorî fossero distinti da una cimosa bruna e dal nome della città tessutovi sopra. E Felletin continuò quasi soltanto a produrre verdure dozzinali e a buon mercato.
Nancy. - Per quanto capitale della Lorena, considerata piuttosto regione tedesca fino all'annessione alla Francia (1766), Nancy rimane nell'ambito francese per quanto si riferisce alla sua arazzeria. Ché dopo mediocri tentativi fatti da maestri fiamminghi durante il sec. XVI (si cita una Storia di Noè, circa il 1565), una manifattura vera e propria fiorì soltanto tra la fine del sec. XVII e il principio del XVIII alla Malgrange, nelle vicinanze della città, per opera di Charles Mitté, cui si devono, tra l'altro, belle portiere e una discreta serie delle Vittorie di Carlo V di Lorena; mentre si stabilivano in Nancy stessa altri arazzieri, dei quali sono degni di ricordo Nicolas e Pierre Durand, capi d'una nanifattura che produsse pezzi assai dozzinali fin quasi alla Rivoluzione.
Fiandra. - Considerata nei suoi antichi confini, comprendenti città che sempre subirono l'influsso del gusto francese come Arras, o che divennero pur francesi, come Lilla e Valenciennes, la Fiandra se non ebbe, rispetto alla vicina nazione, un primato di precedenza e di durata nell'arte dell'arazzo, godé certo di una superiorità di produzione - quantitativamente e qualitativamente - almeno nei secoli XV e XVI, e in particolar modo dal 1480 al 1540, i decennî che segnano i limiti dell'età d'oro dell'arazzeria fiamminga; mentre nel 1544 Carlo V, limitando l'industria quasi soltanto a Lovanio, Bruxelles, Anversa, Bruges, Oudenaarde, Alost, Enghien, Binche, Ath, Lilla e Tournai, la regolava entro rigide norme e imponeva che i panni portassero, tessuta, la marca della città. Innumerevoli sono le città di Fiandra che, almeno tra il sec. XIV e il XVI, hanno un'industria più o meno fiorente; ma basterà rammentare: Valenciennes, Lilla, Middelburg, Enghien, Gand, Bruges, Anversa. Per Valenciennes, è ricordo di arazzieri, forse nomadi, fino dal Trecento, ma le lotte religiose costrinsero una folla di artieri ad esulare dalla città, tanto che i tentativi dei due secoli successivi, per far risorgere l'industria diedero pochi frutti, e la scarsa produzione si limitò a verdure e a quelli che furono chiamati parterres de broderies. A Lilla fin dal sec. XIV operavano arazzieri di Arras, e indigeni durante il XV e il XVI, finché nel 1684 vi si stabilirono due arazzieri di Bruxelles, Franz ed Andreas de Pannemaker, che vi diressero una manifattura fiorente, continuata nel sec. XVIII da Pieter figlio di Andreas, e che sembra si specializzasse in verdure; nel 1688 vi emigrava Jean de Melter, una cui figlia sposava nel 1700 Willem Werniers, che pur diresse una grande manifattura, seguitata poi dalla vedova, e specializzata, oltre che in verdure, anche in scene alla Teniers. La marca della città fu generalmente uno scudo col fiordaliso tra le lettere L ed F. A Middelburg circa ìl 1406 operavano arazzieri forse di Tournai, cui Carlo il Temerario diede importanti commissioni. Enghien fin dal sec. XV ebbe telai d'alto liccio (il celebre Pieter van Aelst, arazziere a Bruxelles fin dallo scorcio di questo secolo, era di Enghien) ma soltanto sotto Carlo V, anche per le cospicue ordinazioni di Margherita d'Austria, divenne uno dei centri più importanti dell'arazzeria, subito dopo Bruxelles e Oudenaarde. (È errato attribuire ad una manifattura di Enghien, come si continua a fare, la serie delle Feste di Enrico III che si conserva agli Uffizî; poiché i più dei pezzi di essa recano la marca di Bruxelles). Ma le persecuzioni religiose portarono dopo il 1506 al bando e all'esodo di numerosi maestri: tanto che durante il sec. XVII l'industria, già fiorentissima, decadde; e alla fine tutti i laboratorî avevano cessato di esistere. La marca della città era uno scudo con una specie di croce patente tra le lettere E ed N. Gand ebbe una corporazione di arazzieri nel 1542 e manifatture (specializzate nelle verdure) attive durante il sec. XVI; ma la rivolta del 1539 e le turbolenze che agitarono la città dal 1576 al 1586, causarono l'esodo dei maestri, e la rovina dell'industria. La marca di Gand sembra fosse l'arme della città: il leone rampante e coronato. Bruges fu forse più centro di commercio che di produzione di arazzi; le sue maestranze ebbero però statuti nel 1506, quando Jean Sauvage terminava le Storie di Sant'Anatolio (nei musei dei Gobelins e di Salins); e i telai d'alto liccio vi prosperarono fino al principio del XVIII, quando però la produzione era diventata assai dozzinale e limitata alle verdure. La marca di Bruges era un braccio sormontato da un b gotico, con asta coronata. Anversa fu pure più sede di mercato che di fabbriche di arazzi, ma specialmente nella seconda metà del Seicento vi prosperarono alcune manifatture, producenti però panni assai dozzinali. La marca consisteva in due mani aperte entro uno scudo o unite ad altra figura. Durante il sec. XIX il conte des Cantons de Montblanc fondava una manifattura a Ingelmuster, ed i fratelli Braquemé, già suoi associati, ne mettevano su un'altra a Malines.
Ma fra tutte le città fiamminghe solo in Arras, Tournai, Oudenaarde e Bruxelles l'industria dell'arazzo prosperò durevolmente.
Arras. - Telai d'alto liccio vi furono certamente fin dal principio del sec. XIV, se nel 1313 Isabieaus Caurée vendeva arazzi a Mahaut d'Artois; ma i panni più antichi che ci rimangono sono quelli delle Storie dei Santi Piat ed Eleuterio, tessuti nel 1402 da Pierrot Ferret per la cattedrale di Tournai, dove ancora in parte si trovano; e poco più tardo è il magnifico arazzo del Museo civico di Padova con le Gesta di Jourdain de Blaye. Con la caduta di Parigi nel 1420, Arras rimase quasi senza rivali, ebbe a cliente Filippo il Buono, ospitò un centinaio di arazzieri; e per quasi tutto il sec. XV mantenne il primato anche sulle altre città fiamminghe, che sembrano sue colonie. Tuttavia l'attribuzione di panni istoriati oggi esistenti ad Arras è piena d'incertezze, mentre quelli conservati a Berna e che si credeva provenissero dal bottino fatto nelle tende di Carlo il Temerario, sembrano piuttosto di diversa provenienza e tessuti altrove. Ma la presa della città da parte di Luigi XI (1477) e l'esodo forzato dei suoi abitanti portarono un tal colpo all'industria, che i tentativi fatti durante il Cinquecento e il Seicento per farla risorgere rimasero infruttuosi. Vivacchiarono in ogni modo alcune fabbriche, delle quali l'ultima, o quasi, fu quella di Bernard Plantez, che continuò a tessere verdure fino al 1759.
Tournai. - Città francese fino al 1513, dal 1521 passata ai Paesi Bassi spagnoli, Tournai, almeno fin dalla metà del sec. XIV, ebbe arazzieri, che nel 1397 - prima che altrove in Fiandra - ottennero proprî statuti; e che nel sec. XV erano circa una sessantina, lavoranti a telai d'alto liccio, mentre molti di loro emigravano ad Amiens, Parigi, Avignone, Ferrara, Venezia. È però notevole che i panni istoriati per la cattedrale fossero, circa il 1402, ordinati ad Arras (v. sopra) e che anche in seguito arazzi si acquistassero altrove. Ma circa il 1430 Robert Dary vi tesseva per la basilica di S. Marco a Venezia una serie non meno importante di quella dell'Apocalisse di Angers: la Passione di Cristo in dieci storie riunite in quattro lunghi panni, che recano il nome del pittore Jean Gossaert di Tournai, compositore largo e monumentale, all'italiana. Di almeno mezzo secolo più tardi è la Moltiplicazione dei pani del Louvre, ove verticalismo e affollamento sono già eccessivi. Tra il sec. XV e il XVI ebbe molta attività e buon nome la manifattura dei Grénier (Pasquier e Jean) per quanto si limitasse alle verdure e ai soggetti campestri e boschivi. Ma col 1521 cominciò la decadenza; e per quanto Tournai figuri nel 1544 fra i centri ricordati nell'editto di Carlo V, e nel 1570 i suoi arazzieri abbiano nuovi statuti, le persecuzioni religiose, coi bandi e gli esodi che ne seguirono, portarono quasi alla rovina l'industria, che vegetò poi fin verso la fine del sec. XVIII - come a Bruxelles e ad Oudenaarde - quando l'ultimo degli arazzieri, Piat Lefebre, abbandonò la tessitura dell'arazzo per dedicarsi ai tappeti, come del resto, fino dallo scorcio del sec. XVI, avevano fatto i più dei maestri di Tournai. La marca della città, che appare però solo alla fine del Cinquecento, era una torre merlata.
Oudenaarde. - Ebbe una corporazione di arazzieri, in parte provenienti da Tournai, nel 1441; ma poco si sa della loro attività fino al sec. XVI, quando si rinnovarono ripetutamente gli statuti; mentre risulta che durante il Quattrocento i duchi di Borgogna non fecero acquisti ad Oudenaarde, forse perché la produzione si limitava a dozzinali verdure. Ma alla metà del sec. XVI Oudenaarde vien subito dopo Bruxelles per importanza nell'industria dell'arazzo, anche se nessuna manifattura si distingua particolarmente, nessuna famiglia dia a un laboratorio una continuità di lavoro. Alla momentanea decadenza, causata alla fine del secolo dalle persecuzioni religiose, succede, specialmente per merito di Alberto e d'Isabella d'Austria, un periodo di prosperità che continua per tutto il sec. XVII; nel 1654 Oudenaarde conta ancora un migliaio di arazzieri, e circa il 1670 vi opera, tra gli altri, Philippe Béhagle che abbiamo visto che si trovava più tardi a Beauvais. Segue nel sec. XVIII una lenta decadenza; finchè nel 1772 si ferma anche l'ultimo telaio. Specialmente durante il Seicento, Oudenaarde si specializzò nella tessitura di cacce e di verdure, rese tradizionalmente e usando probabilmente di modelli di tempi anteriori - come sembra essere avvenuto anche per i più rari soggetti biblici e mitologici - come anche nei soggetti alla Teniers. Dopo l'editto del 1544 Oudenaarde ebbe una marca formata d'uno scudo fasciato d'oro e di rosso e sormontato da un paio di occhiali.
Bruxelles. - In questa città, che doveva assurgere al primato assoluto verso la metà del sec. XVI, gli arazzieri furono uniti ai tessitori fino al 1448, e solo nel 1451 ebbero proprî statuti e residenza alla casa de l'arbre d'or. Subito però i duchi di Borgogna cominciarono a fare acquisti a Bruxelles ove l'arte dell'arazzo raggiunse ben presto grande perfezione come dimostra per esempio un pezzo della collezione Davillier al Louvre, che imita un trittico della scuola di Bruges (1485). Ma se conosciamo fin dalla metà del sec. XV numerosi nomi di arazzieri e possediamo molti arazzi e della fine di questo e del principio del seguente, impossibile è stata finora l'attribuzione dei più di questi pezzi a qualche arazziere. Moltissime sigle rimangono ancora indecifrabili. Serie famose, come quelle di Vienna e di Madrid (Vertunno e Pomona, Le virtù e i vizî, I frutti della guerra, la Vita della Vergine), di Firenze (Storie della Genesi e Feste di Enrico III) o di Mantova (Atti degli Apostoli), non sappiamo da chi siano state tessute. Sappiamo però che una medesima serie fu eseguita contemporaneamente in rnanifatture diverse e che alcune serie furono replicate da laboratorî differenti da quello che ne aveva compiuto la prima tessitura.
Un editto del 1528 prescriveva che i pezzi lavorati a Bruxelles recassero tessuto nella cimosa uno scudo fiancheggiato da due B (Bruxelles Brabant); e sembra che il 4 rovesciato che si vede su moltissimi panni distinguesse quelli destinati alla vendita indiretta, per il tramite cioè dei mercanti.
L'apogeo dell'arazzeria di Bruxelles dura per tutta la prima metà del sec. XVI ed ha a rappresentanti Pieter van Aelst, Pieter e Willem de Pannemaker, Franz Geubels ed Anton Leyniers.
Il van Aelst (attivo tra il 1495 e il 1532) aveva già tessuto, tra l'altro, sullo scorcio del sec. XV, la Passione della chiesa di S. Maurizio ad Angers, in schietto stile tradizionale, quando nel 1516 ebbe la commissione di tradurre i cartoni di Raffaello con gli Atti degli Apostoli, serie che eseguì principalmente tra il 1515 e il 1519, terminandola circa il 1524; e mise poi mano alla Storia di Cristo, - cartoni di scolari di Raffaello tra i quali Tommaso Vincidor - ordinata pure da Leone X ma terminata solo durante il pontificato di Clemente VII.
Pieter de Pannemaker (circa 1519-1534) egeguì, almeno in parte, i panni istoriati del trono di Carlo V (a Madrid) e la Storia di David (al museo di Cluny); e Willem de Pannemaker (1535-1578) fece tessere nella sua manifattura alcuni pezzi delle serie più famose di Madrid e di Vienna: Apocalisse, Giuochi di fanciulli, I sette peccati mortali, Vertunno e Pomona, Impresa di Tunisi, Storia di Noè, forse quella di Abramo, ecc. E circa il 1560 eseguiva un arazzo a giardino architettonico; motivo che doveva avere gran fortuna nell'arazzeria fiamminga.
Franz Geubels (1540-1590) eseguiva, tra l'altro, parte delle Sette Virtù (ora a Vienna); ed Anton Leyniers (1540-1575) una Storia di Romolo e Remo per il cardinal d'Este.
Ma nella seconda metà del sec. XVI anche la prospera industria dell'arazzo sofferse per l'esodo di molti maestri, causato dalle lotte politiche e religiose; e per quanto i provvedimenti adottati dagli arciduchi Alberto e Isabella, che lavorirono gli arazzieri con privilegi, sussidî ed acquisti, e l'intervento di Rubens ritardassero la decadenza, tanto che nel 1630 l'informatore del cardinale Barberini faceva le più ampie lodi degli arazzi di Bruxelles, la decadenza giunse inevitabilmente alla seconda metà del Seicento, e le manifatture brussellesi - che fecero anche società per la esecuzione di serie e di tipi speciali - finirono con l'essere eclissate da quella dei Gobelins.
Intanto continuano le dinastie dei Pannemaker, dei Geubels, dei Leyniers; ed altre se ne vanno formando. Se Erasmus de Pannemaker (1634-1685) è l'ultimo di quel nome; se a Franz Geubels succedono soltanto Jakob I (1585-1605) e Jakob II (circa 1625), mentre la vedova del primo, Catharina van den Eyden, opera fino al 1629, la manifattura di Anton Leyniers è continuata da una lunga schiera di discendenti, gli ultimi dei quali si dedicano specialmente ai soggetti alla Teniers, finché con Daniel III cessa, nel 1768, ogni attività di essa.
Ma intanto si sono andate formando altre dinastie: dei Van den Hecke, da Leo operante circa il 1575 a Pieter attivo fino al 1752, con Franz (1630-1655) che è forse il più importante di tutti e tesse tra l'altro, La vita dell'uomo su disegni di Rubens; dei Raes, con Jan I (1610-1631) e Jan II (1620-1637) che compie una Storia di Teseo su modelli di Rubens; dei Le Clerck, Jérôme e Hendrick operanti tra la fine del sec. XVII e il terzo decennio del XVIII; principalmente dei Van der Borght, da Jakob (1676-1706) a Gaspard che firmava A. Castro (1710-1742), specializzato in soggetti pastorali e alla Teniers, fino a un altro Jakob, l'ultimo degli arazzieri di Bruxelles, morto nel 1794. Da più di venti anni l'agonizzante manifattura dei Van der Borght era rimasta la sola, nella città ehe durante il sec. XVI aveva avuto un primato universale.
Italia. - Per importanza e durata di arazzerie l'Italia vien terza, dopo Francia e Fiandra. Almeno dai primi decennî del sec. XV papi, principi e repubbliche, clienti di Parigi, di Arras e di Tournai, cominciano a chiamare arazzieri francesi e fiamminghi, vaganti spesso coi loro telai di città in città, mentre pittori italiani, eseguendo cartoni anche per manifatture forestiere, a poco a poco influiscono sensibilmente sullo stile stesso dell'arazzo. Di soste più o meno lunghe di maestri d'alto liccio, venuti d'oltralpe, si ha notizia per varie città italiane. Tra le prime è Siena, che ospita (1438-1445) uno dei più famosi arazzieri fiamminghi, Rinaldo Boteram che ritroveremo a Ferrara, poi (1442-1456) Giachetto d'Arras, che frattanto Niccolò V chiama a Roma. Seguono: Todi, dove circa il 1400 opera un maestro francese, Jean; Brescia, dove in quell'anno troviamo un maestro Pietro; Correggio, dove si stabilisce (1400-1508) Rinaldo Duro, che ritroveremo a Bologna, seguito da altri arazzieri fiamminghi e italiani, cui però non possono attribuirsi i pezzi conservati nella Pinacoteca, perché del sec. XVI inoltrato; Bologna, dove, dopo una fugace sosta di tessitori d'alto liccio (1460), ritroviamo Rinaldo Duro (1508-1511); Perugia, che ospita per qualche anno (1463-1466) Jacquemin Birgiers con la famiglia; Urbino, il cui duca Federigo di Montefeltro chiama nel 1470 cinque arazzieri, fiamminghi e italiani, alla sua corte; Modena, che nel 1488 ha un Antonio di Gherardino e nel 1529 un Giovanni di Gesulis (Gesalis) fiammingo. Vengono infine, in ritardo: Genova, ove nel 1551 due maestri di Bruxelles, Vincenzo della Valle (van den Daele) e Alberto, insieme con due altri compagni, ottengono privilegi per dieci anni; ma sembra che la loro operosità durasse pochissimo; mentre invece un altro brussellese, Dionisio di Martino (Dyonis Martensz) per un decennio (1553-1564) forniva di panni le più grandi famiglie genovesi; e Verona, ove dal 1588 al 1593 operarono i fiamminghi Egidio da Castello e Pietro Bervet insieme con altri compagni e garzoni.
Ma le brevi soste di questi arazzieri girovaghi, non potevano dare origine a manifatture vitali, quali troviamo invece in altre città; mentre da un lato la suprema maestria dei pittori cui erano affidati i cartoni, dall'altro il secolare primato nella tintura per lane e per sete, finivano con il dare all'Italia un posto cospicuo nell'arte, più che nell'industria, dell'arazzo, per merito delle manifatture delle seguenti città.
Ferrara. - Per quanto già durante il marchesato di Niccolò d'Este compaia (1436) un Iacomo di Fiandra arazziere, sembra ch'egli si limitasse al restauro dei panni custoditi in corte. Ma con Lionello e con Borso troviamo in Ferrara veri e proprî maestri di alto liccio: Pietro d'Andrea, fiammingo, a capo di un laboratorio per un trentennio (1441-1471); Rinaldo Boteram, che abbiamo già veduto a Siena, operoso per un lustro (1445-1449); Livino di Giglio (Lieven Gillisz) di Bruges (1457-1473) che tesse arazzi anche su cartoni di Cosimo Tura; Giovanni Mille e Rinaldo Grue di Tournai, che invano si proposero di far degli allievi in paese. Poi, sotto Ercole I, la manifattura continuò a prosperare per opera del Mille, di un Rubino o Rubinetto di Francia (1472-1484) e d'altri maestri forestieri; ma presto decadde. Nel 1490 il ferrarese Bernardino di Giovanni rimase quasi solo a continuare la tradizione.
La manifattura risorge per merito di Ercole II e del cardinale Ippolito d'Este, e per opera di due fiamminghi, i fratelli Niccolò e Giovanni Carcher (o Karcher) già forse addetti fino dal 1517 al restauro degli arazzi estensi, ma col 1536 a capo di un laboratorio, che conta ben presto otto operai. Ma tre anni dopo Niccolò si trasferiva a Mantova, per passar poi a Firenze, dove lo seguiva un altro fiammingo, Giovanni Rost, operante a Ferrara in due diversi periodi (1436-1545 e 1552-1553). Giovannī Carcher, rimasto solo a capo della manifattura, la portava a grande prosperità, specialmente tra il 1550 e il 1560, durante il qual periodo di tempo si tesserono più di trenta pezzi su cartoni di Giulio Romano, del Pordenone, del Garofalo, di Dosso e Battista Dossi, di Luca d'Olanda, specialista in fregi e grottesche.
Dopo la morte di Ercole II (1559) la manifattura cominciò a decadere per quanto la direzione ne fosse ancora affidata (fino al 1568 all'incirca) a Giovanni Carcher, cui successe il figlio Luigi, pittore e arazziere al tempo stesso, e che fino alla morte (circa 1580) continuò a far tessere panni istoriati, cui ormai però facevano concorrenza vittoriosa i cuoi di Cordova. Delle serie tessute a Ferrara dai Carcher sono da ricordarsi specialmente: Le Metamorfosi, su cartoni di Battista Dosso (due pezzi al museo dei Gobelins); la Storia di Ercole su cartoni del medesimo (proprietà privata); le Storie dei Ss. Giorgio e Maurelio, di cui il Garofalo e Camillo Filippi disegnarono le composizioni principali e Luca d'Olanda i fregi (nel duomo di Ferrara); e la Vita della Vergine, (tessuta da Giovanni e da Luigi per il duomo di Como, dove ancora si conserva. Si è incerti invece se attribuire al laboratorio ferrarese di Niccolò e Giovanni Carcher, o a quello mantovano del solo Niccolò, alcune delle serie più belle: I giuochi dei fanciulli (di cui un pezzo nel duomo di Milano) e le Storie di Mosè (pure nel duomo stesso).
Mantova. - È forse questa la prima città italiana che abbia ospitato un arazziere: Jean de France, che vi si stabilisce verso il 1419, vi prende moglie e impianta nel Borgo S. Giorgio un laboratorio, in cui tra gli aiuti compaiono anche due italiani, e che egli dirige fino alla morte (circa 1442). Gli succede Rinaldo Boteram, che già vedemmo a Siena e a Ferrara (1449-circa 1457) con altri maestri, fiamminghi e italiani, mentre Andrea Mantegna dà cartoni per panni da loro tessuti. Ma alla morte di Lodovico Gonzaga (1478) la manifattura ducale cessa di esistere; finché non la fa risorgere, ancora in Borgo S. Giorgio, Federigo Gonzaga che nel 1539, un anno prima della morte, fa venir da Ferrara Niccolò Carcher con una dozzina di operai. Ma le strettezze economiche causate dalle liberalità di Federigo, e la morte di Giulio Romano, che avrebbe dovuto fornire probabilmente i cartoni, dovettero ostacolare l'esistenza della manifattura, sì da costringere il Carcher a trasferirsi a Firenze, dove lo troveremo nel 1546. Tornò nel 1555 a Ferrara e vi rimase fino alla morte (1562); ma non sembra che la manifattura prosperasse troppo, se il maestro cercava lavoro a Venezia e si trovava spesso in miseria. Ai pezzi che si presumono tessuti dal Carcher durante il primo periodo di attività è già stato accennato a proposito di Ferrara; mentre è da escludersi affatto che egli eseguisse la serie degli Atti degli Apostoli, tornata dopo la guerra mondiale nella reggia mantovana, e che reca visibilmente la marca di Bruxelles.
Milano e Vigevano. - Milano durante il sec. XV vide prosperare assai l'industria dell'arazzo, introdottavi forse, o almeno perfezionatavi fino dal 1455 da un mastro Giovanni di Borgogna, che è il primo di una serie di arazzieri fiamminghi e tedeschi operanti forse fino all'inizio del sec. XVI; e non è di poca importanza per l'argomento vedere che nel 1472 la corte di Francia ricorreva a Milano per farvi eseguire arazzi di gran pregio, e che nel 1498 l'imperatore Massimiliano ne ordinava ad Ambrogio de Predis; mentre commissioni giungevano da ogni parte di Italia. Ma se - tranne un pezzo con la Presentazione a Cesare della testa di Pompeo (ora al Louvre) - è difficile assegnare, tra quanto è rimasto, qualche panno ai fiorenti laboratorî milanesi, per quello stabilito da Gian Giacomo Trivulzio a Vigevano e diretto da Benedetto da Milano, rimangono i Dodici mesi di casa Trivulzio, tessuti, su cartoni attribuiti al Bramantino, tra il 1501 e il 1507, che sono forse gli anni dell'attivita della manifattura di Vigevano. Col sec. XVI l'arte non dovette cessare del tutto in Milano, se nel 1541 Anton Maria Bozzolo eseguiva, su disegno di Gaudenzio Ferrari, un arazzetto dai colori vivaci e con gran ricchezza di filo d'argento, che si conservava nel duomo di Milano. Ma già ormai la Lomhardia era per diventar cliente delle fabbriche di Mantova, di Ferrara, di Firenze e di Bruxelles; e col Seicento non c'è più traccia di arazzieri in Milano.
Firenze. - Per quanto, fino dalla metà del sec. XV, abbia ospitato temporaneamente arazzieri come Livino di Giglio (circa 1455), Giovanni d'Alemagna (1476-1480) e Piero di Gand (circa 1533) che forse furono più fornitori che produttori di panni istoriati, una manifattura non l'ebbe finché Cosimo I non l'istituì con rescritto del 20 ottobre 1546, affidandone la direzione a Giovanni Rost o Rostel (che sembra venuto da Ferrara un anno prima) e a Niccolò Carcher, che aveva lasciato la corte di Mantova. I due Fiamminghi ebbero privilegi, sussidî, sede gratuita (ma separata per i due laboratorî) e libertà di fornire estranei; in compenso dovettero mettere su ventiquattro telai e fare degli allievi. Ma il Carcher era di nuovo a Mantova nel 1553; sì che a capo dell'arazzeria rimase il Rost, morto assai vecchio circa il 1560, e sostituito dal figlio Giovanni fino al 1565. Fu forse questo il periodo più splendido della manifattura fiorentina, anche per la valentia degli artisti cui furono richiesti i cartoni: Bronzino, Pontormo, Salviati, Bachiacca. Le serie più famose fino al 1553 furono tessute indistintamente nei laboratorî dei due arazzieri: Storie di Giuseppe, su cartoni del Bronzino, del Salviati e del Pontormo (in Palazzo vecchio e al Quirinale); Mesi e Grottesche (quasi totalmente in seta e oro ed oggi agli Uffizî e al Museo archeologico di Firenze) su modelli del Bachiacca. Il Carcher eseguì da solo, tra l'altro, alcune piccole ma preziose Scene della Passione (nella tribuna degli Uffizî); il Rost, La Primavera e Flora (a palazzo Pitti) e le Storie di S. Marco, su cartoni di Iacopo Sansovino, per S. Marco di Venezia (dove ancora si conservano); e cominciò anche, in panni di brevi dimensioni, a tradurre in arazzo vere e proprie pitture.
Coi successori del Rost, l'arazzeria fiorentina, alla quale soprintendettero Tanai de' Medici e Giovanni Seriacopi, cominciò a decadere. Giovanni Sconditi e Benedetto Squilli, che già avevano avuto laboratorî proprî, ne assunsero la direzione, che nel 1568 rimȧse al secondo, fino al 1587. Ma per quanto la maestranza, in massima parte fiorentina, sia numerosa, si va perdendo la tradizione del bel colorito fiammingo; i panni istoriati vanno diventando o cupi o sbiaditi, mentre al Bronzino e agli altri rammentati succedono artisti inferiori, almeno per genialità, quali Alessandro Allori e lo Stradano. Su cartoni di questo si tessono, tra l'altro, le Storie di Cosimo il Vecchio, del Magnifico Lorenzo e di Clemente VII (tra il Museo civico di Pisa e luoghi diversi di Firenze) e le Cacce più piacevolmente decorative (a Palazzo Vecchio, ecc.); su cartoni dell'Allori e dei suoi scolari anche le Storie della Vergine di S. Maria Maggiore di Bergamo. E la decadenza si accentua durante la direzione di Guasparri Papini, continuando la maestranza ad esser mista di Fiamminghi e di Fiorentini; tuttavia l'arazzeria ha varie commissioni di fuori, come dei Fatti del Vecchio Testamento su cartoni di Alessandro Allori, ancora nel duomo di Como; eseguisce i paramenti da messa donati da Ferdinando I a papa Clemente VIII e conservati in S. Pietro; e compie pei Medici varie serie, quali quelle della Passione di Cristo su cartoni del Cigoli e dell'Allori, e di Fetonte e dei Centauri su cartoni del secondo (tutte agli Uffizî). La decadenza non si arrestò neppure quando fu chiamato a dirigere l'arazzeria il fiammingo Iacopo Ebert van Asselt (1621-1633); ma con lui giunse a Firenze il francese Pietro Fevère (come egli stesso si firmava, e già ricordato a Parigi col suo vero nome di Pierre Lefebvre) che già compare operante nel 1624, e dal 1630 al 1669 a capo dell'arazzeria medieea, tranne i rammentati soggiorni parigini (1648-1650, 1656-1658). Lavoravano con lui quattro figli e varî operai, ormai tutti fiorentini, che cooperarono a risollevare le sorti della manifattura, almeno per quantità di produzione; mentre era in piena attività (1646-1673) un laboratorio indipendente diretto da Bernardino, figlio di Iacopo van Asselt. Si poterono quindi tessere sollecitamente numerose serie, affidate ai due laboratorî: Le quattro stagioni (in Palazzo Vecchio), Storia di Alessandro, Storia di Tobia; mentre, da solo, il van Asselt eseguiva, oltre a ricche portiere, la Storia di Mosè (in parte agli Uffizî) ed il Fecère dal canto suo portava a compimento una Vita di S. Giovanni Battista su cartoni di Giovanni Melissi tratti dalle composizioni di Andrea del Sarto nel Chiostro dello Scalzo (ripetuta più volte; una serie a Palazzo Vecchio), due pezzi di una Storia di Sansone (in Castel S. Angelo), una Betsabea su modello di Artemisia Gentileschi (alla Villa della Petraia), ecc.; iniziava la Storia di Cosimo I (Uffizî e Pitti); e continuava anche a riprodurre dipinti famosi. Intanto Giovanni Fevère, figlio di Pietro, si stabiliva fino dal 1648 a Parigi, e trent'anni più tardi (1677) un altro figliuolo, Giacomo Filippo, si trasferiva a Venezia; ché, morto Pietro, dopo la breve ed inetta direzione di Giovanni Pollastri (1669-1673) poco mancò che l'arazzeria non si estinguesse per disaccordi intervenuti che portarono alla formazione di quattro laboratorî indipendenti ed all'introduzione dei telai di basso liccio (o a calcola) più vantaggiosi nel lavoro a cottimo. Uno dei laboratorî era affidato a Giovan Battista Termini che, fedele al telaio d'alto liccio, esulò e rimase a Roma dal 1648 al 1703. Tornato in patria, ebbe la direzione della ricostituita arazzeria medicea (1703-1717) e ottenne l'abolizione dei telai di basso liccio, insieme col pagamento a giornata per gli operai. Col Termini e coi suoi successori, il pittore Antonio Bronconi (1717-1732) e Gian Francesco Pieri (1732-1737), un più squisito e raffinato senso decorativo, dovuto specialmente agli autori dei cartoni, seguaci di Pietro da Cortona, entra nell'arazzeria fiorentina, dove ormai gli operai, tranne uno, sono italiani e dove anche possono distinguersi, fino a firmare col loro nome i pezzi eseguiti, maestri quali Vittorio Demignot torinese, rimasto a Firenze quindici anni (1716-1731), e Leonardo Bernini operante per più di un trentennio (1705-1737). Si deve difatti alla loro collaborazione la più bella serie del Settecento, e tale da poter gareggiare con le migliori dei Gobelins: Le quattro parti del Mondo, eseguite su cartoni del Sagrestani (ora al Museo civico Bardini a Firenze); e al solo Bernini si debbono, tra l'altro, due grandissimi arazzi (dei pochi rimasti nei magazzini degli Uffizî) con la Caduta di Fetonte e il Ratto di Proserpina, il primo su modello di Vincenzo Meucci, il secondo su quello di Giuseppe Grisoni.
Morto Giangastone, ultimo dei Medici (9 luglio 1737) poco stette il consiglio di reggenza a sopprimere l'arazzeria (5 ottobre di quell'anno), che inutilmente Ferdinando III di Lorena cercò di far risorgere, affidandone la direzione a Lorenzo Corsini (1740-1744), mentre arazzieri lorenesi lavoravano al Poggio Imperiale e altrove. Ma il Corsini si limitò a terminare qualche panno incompiuto e a restaurarne qualche altro.
L'arazzeria fiorentina ebbe, generalmente, per marca un giglio coronato (sostituito alle volte con una delle palle medicee caricate di un A) tra due F; e fu accompagnata spesso dalla marca (il Rost usò uno spiedo con un pollo infilzato, allusivo al suo nome) oppure dalla sigla e, a cominciar col sec. XVII, dal nome intero o troncato dell'arazziere.
Roma. - Tra il 1451 e il 1455 Niccolò V aveva chiamato a Roma arazzieri stipendiati, tra i quali Giachetto di Benedetto d'Arras, allora a Siena, e Reginaldo di Maincourt parigino, che dovettero eseguir panni ancora esistenti al tempo di Leone X. Ma la loro operosità fu di breve durata; e di laboratorî non si parlò più, finché Paolo IV, nel 1558, non chiamò a sé, da Firenze, Giovanni Rost, che d'altra parte rimase soltanto pochi mesi in riva al Tevere. Intanto Leone X e Clemente VII, come abbiamo veduto, si erano rivolti ad arazzieri di Bruxelles per far tessere le più famose serie del Vaticano.
L'Arazzeria Barberini, cui il cardinal Francesco, nipote di Urbano VIII, pensò fin dal 1620, quando era a Parigi in missione, e che preparò accuratamente, facendo circa il 1630 una diligente inchiesta dovunque fossero manifatture, è la prima seriamente organizzata. Nel 1633 si preparavano i cartoni, cui attesero, tra gli altri, Pietro da Cortona e Giovan Francesco Romanelli; due anni dopo erano già all'opera gli arazzieri sotto la direzione di Iacopo della Riviera, pittore fiammingo, che aveva eon sé il compatriota Michele e il francese Antonio, cui presto si aggiunsero alcuni italiani. Al della Riviera successe nel 1639 Gasparo Rochi; ma nel 1644, alla morte di Urbano VIII, i nipoti furono banditi e la manifattura chiusa. Riaperta nel 1663, col pontificato di Innocenzo VIII, vi si poté iniziare la Storia di Urbano VIII, che però nel 1683 rimase interrotta, e soddisfare a commissioni di fuori. Dei panni tessuti nella manifattura sono altresì da ricordare: La vita di Cristo, Le Metamorfosi di Ovidio (sul gusto delle verdure), La storia di Costantino, tutte del tempo di Iacopo della Riviera; e i pannelli araldici con le armi dei Barberini (ancora in parte in Vaticano) del periodo del Rochi. La manifattura aveva per marca l'ape dei Barberini.
L'Ospizio di San Michele a Ripa, quasi a riparare al danno della chiusura dell'arazzeria dei Barberini, per volontà di Clemente XI accolse nel 1710 una fabbrica-scuola di arazzi, per diriger la quale fu chiamato da Parigi Jean Simonet, che ebbe alle sue dipendenze Andrea Procaccini pittore (che ritroveremo a Siviglia) e vari arazzieri, tra i quali Antonio Gargaglia e Vittorio Demignot. Al Simonet successero: nel 1717 Pietro Ferloni, che ebbe tra i compagni Antonio Dini, andato poi a dirigere le manifatture di Torino e di Venezia; nel 1770 Filippo Cettonai; nel 1791 Filippo Pericoli che rimase al suo posto fino all'invasione francese (1798). In questo primo periodo, se pure si eseguirono panni di gusto decorativo, anche di soggetto profano, come gli episodî della Gerusalemme Liberata, e Le quattro stagioni, e specialmente paesi con sacre scene, e verdure, più si attese a riprodurre fedelissimamente dipinti famosi quali la Cena di Leonardo, o ad eseguire ritratti: pezzi di grande virtuosismo, dei quali i pontefici facevano larghissimi doni o abbellivano il Vaticano e le chiese di Roma. Leone XII, appena asceso al trono (1823) fece risorgere la fabbrica di S. Michele, che protetta poi dai varî pontefici operò fino al 1870, limitandosi ormai all'imitazione più che all'interpretazione di pitture famose, anche con l'ultimo direttore, Pietro Gentili autore di varie pubblicazioni sull'arazzo e nominato poi direttore della nuova Arazzeria vaticana. La fabbrica di S. Michele fu continuata dal governo italiano, ma con ben mediocri frutti, salvo durante la direzione del piemontese Giuseppe Prinotti (1880-1910), quando cioè si attese per quindici anni alla tessitura dell'Apoteosi di casa Savoia, grandioso arazzo che fu distrutto dall'incendio dell'Esposizione internazionale di Milano del 1906. La fabbrica di S. Michele aveva per marca l'Arcangelo.
Specialmente durante il sec. XVIII operarono in Roma altri laboratorî privati, come quelli di Pietro Duranti 1743) o di Santi Riutti (1761), ed altri cui si possono attribuire panni che recano per marca la tiara e la lupa; ma di essi l'unico degno di ricordo è quello che i gesuiti fondarono nel 1743 in piazza Santa Maria in Trastevere, affidandone la direzione al rammentato Antonio Gargaglia e ad Antonio Speranza. Per quanto questo laboratorio avesse corta durata, pure eseguì due buone serie con episodî della Vita di S. Ignazio di Loiola e della Vita di S. Stanislao Kostka che ancora si conservano a S. Ignazio.
Al principio di questo secolo la manifattura istituita da Erulo Eruli con nuovi criterî, eminentemente decorativi, eseguì tra l'altro i rammentati arazzi del comune di Roma.
Venezia. - Per quanto più luogo di mercato che di produzione di arazzi, si vuole che fin dal 1421 Venezia avesse una manifattura diretta da Giovanni di Bruggia e Valentino di Arras; ma la notizia deriva da una tradizione tarda ed incerta. Pensa alcuno, come il Müntz, che ad ogni modo durante il sec. XV e il principio del seguente si dovessero tessere arazzi anche a Venezia e il Göbel crede quivi tessuti non solo alcuni panni istoriati d'incerta attribuzione, ma anche quella Vita di Cristo che abbiamo rammentato come lavorata a Tournai. E per il sec. XVI, più che una fugace comparsa sulla laguna (circa 1550) di Giovanni Rost, fa pensare a una produzione locale la menzione "degli arazzi all'uso di Venezia". D'altra parte sappiamo che proprio allora la basilica di San Marco ordinava a Firenze i rammentati arazzi del Santo, e che alcuni dogi vi facevano eseguire i paliotti che annualmente donavano alla basilica. Sembra però che nella seconda metà del secolo arazzieri fiamminghi, italiani e veneziani operassero in varî luoghi della città; ma fu attività momentanea. Nel 1630 l'informatore del cardinal Barberini avvertiva che a Venezia esistevano solo riparatori d'arazzi veneziani, e qualche fiammingo di passaggio.
Fallito un tentativo del rammentato Giacomo Filippo Lefebvre (circa 1675) e quelli di arazzieri fiamminghi; ridotta più a scuola di tessitura che di arazzeria quella diretta da Pietro Davanzo (circa 1735-1771), bisogna arrivare alla metà del sec. XVIII per trovare in Venezia una vera e propria manifattura, in quella messa su da Antonio Dini già operaio di San Michele a Roma, e capo arazziere a Torino. Questi, stabilitosi con le figlie a Venezia circa il 1756, ottenne quattro anni più tardi un sussidio per mantenere sei scolari; e dovette far buoni affari, se nel 1763 aveva dodici operai. Morto a Padova nel 1771, gli successero le figlie, che mandavano ancora avanti la manifattura nel 1798, per quanto si fossero dedicate più alla tessitura dei tappeti che a quella degli arazzi. Avendo il governo austriaco negato il sussidio richiesto, la manifattura cessò ogni attività.
Napoli. - Questa città, fu, con Torino, l'ultima ad avere un'arazzeria. La soppressione di quella fiorentina, avvenuta nel 1737, indusse Carlo di Borbone ad accogliere gli arazzieri disoccupati, che l'anno dopo erano dieci, tutti di basso liccio, con in più gli apprendisti. Fu primo direttore della manifattura, che cominciò a produrre seriamente soltanto nel 1743, Domenico del Rosso (1738-1761); e sotto di lui furon tessuti tre panni della serie degli Elementi per la reggia di Caserta. Ma impulso maggiore all'arazzeria napoletana diede Pietro Duranti (già libero arazziere a Roma) che, dal 1737 a circa il 1788, fu a capo del laboratorio d'alto liccio (Michelangiolo Cavannera, milanese, era a capo del laboratorio di basso liccio), e nel 1761 successe al Del Rosso anche nella direzione della manifattura. A lui si debbono le più belle serie napoletane: Don Chisciotte (quarantacinque pezzi, al Palazzo reale di Napoli e al Quirinale), Storia di Amore e Psiche (Palazzo reale di Napoli), Le Muse (Museo nazionale, ivi). Morto il Duranti, l'arazzeria continuò: un pezzo del Don Chisciotte reca l'anno 1796 e il nome dell'arazziere Desiderio De Angelis; ed altri lavori erano in corso, quando nel 1798 l'invasione francese causò la definitiva chiusura della fabbrica.
Torino. - Fin dal tempo di Madama reale, cioè dalla seconda metà del sec. XVII, la corte di Torino ebbe al suo servizio arazzieri, che non solo attesero al restauro dei molti e ricchi panni della guardaroba ducale, ma anche ne tesserono di nuovi ad alto liccio; tra i quali arazzieri troviamo subito membri della famiglia Demignot: Carlo, Michele Antonio, Michelangelo, e suo figlio Vittorio, che, dopo essersi perfezionato a Bruxelles, aveva lavorato nella fabbrica di S. Michele a Roma e nell'arazzeria fiorentina, e nel 1731 veniva nominato capo arazziere della corte sabauda, non solo per riparare vecchi arazzi, ma per tesserne dei nuovi; tanto che nel 1736 terminava un pezzo della Storia di Alessandro Magno. Ma solo con lettere patenti di Carlo Emanuele III, del 27 luglio 1737, veniva istituita una vera e propria manifattura reale, con due laboratorî: uno d'alto liccio affidato ad Antonio Dini, che abbiamo veduto a S. Michele a Roma, e che aveva con sé otto operai, ma che nel 1754 si trasferiva - come dicemmo - a Venezia; e uno di basso liccio, affidato a Vittorio Demignot, cui nel 1744 successe il figlio Francesco. Questi, sebbene continuassero a sussistere i due laboratorî, fu il vero capo della manifattura durante il periodo piìi splendido; e la diresse realmente fino al 1755, nominalmente fino alla morte (1785); ché, colpito da apoplessia, fu sostituito da Antonio Bruno, che, insieme col pittore Lorenzo Pécheux, fu direttore effettivo dal 1785 al 1795. Nel quale anno, per l'invasione francese, la manifattura fu chiusa (il Bruno continuò a lavorare privatamente); e riaperta soltanto da Carlo Felice con rescritto del 30 dicembre 1823, avendo ancora a direttore il Bruno. Ma la produzione fu scarsa e mediocre; e dopo dieci anni, nel 1833, la manifattura fu chiusa definitivamente.
Alla felice riuscita dell'iniziativa di Carlo Emanuele III contribuirono oltre i capi arazzieri, gli autori dei bozzetti e dei cartoni, educati alla festosa e piacevole arte del Settecento e, direttamente o indirettamente, seguaci del Tiepolo. Poiché fornirono i bozzetti per le composizioni storiche o mitologiche Claudio Beaumont, Gian Battista Crosato (oltre il napoletano Francesco Demura) e per l'ultimo periodo Lorenzo Pécheux, già neoclassico; bozzetti sviluppati poi, sui cartoni, dai migliori della scuola torinese; mentre Carlo Bianchi eseguiva i modelli dei ricchissimi fregi. Vittorio Amedeo Cignaroli con piacevole e ricca fantasia dava i cartoni delle feste campestri e delle bambocciate, e Francesco Antoniani quelli delle marine.
Delle molte e copiose serie tessute nella manifattura di Torino ricorderemo: Storia di Alessandro Magno (iniziata prima del 1737 e terminata nel 1832), tessuta da V. e F. Demignot e A. Bruno su bozzetti del Beaumont e del Pécheux (Palazzo reale di Torino); Storia di Giulio Cesare, tessuta dagli stessi su bozzetti del Beaumont (ivi); Storia di Ciro, tessuta da F. Demignot su bozzetti del Beaumont (ivi e Quirinale); Serie dell'Eneide, tessuta da F. Demignot e A. Bruno su bozzetti del Crosato e del Demura (Palazzo reale di Torino); Scene, campestri, villereccie e marine, tessute durante tutto il Settecento su cartoni dell'Antoniani, ma più del Cignaroli (Palazzi reale e d'Aosta a Torino, Quirinale, ecc.); infine gli Stemmi di Savoia, tessuti dal Bruno su cartoni di L. e B. Pécheux (Palazzo reale e Museo civico di Torino).
Germania e Svizzera. - Come è stato accennato (v. sopra), la Germania ha un assoluto primato di precedenza nell'arte dell'arazzo. Anche se i frammenti provenienti dalla chiesa di S. Gereone in Colonia (musei di Berlino, Londra, Norimberga e Lione) e assegnati al principio del sec. XI, debbono considerarsi, per il disegno e per la fattura, piuttosto un tessuto, e se i celebri panni del duomo di Quedlinburg, della fine del sec. XII e del principio del XIII, con la raffigurazione delle Nozze di Mercurio con la Filologia, vanno considerati tappeti, rimangono sempre i veri e proprî arazzi del duomo di Halberstadt, coevi ai panni di Quedlinburg, e raffiguranti Abramo e l'Arcangelo Michele, Cristo tra gli Apostoli, Carlo Magno tra quattro filosofi.
Ma per tutto il sec. XIII e quasi tutto il seguente sembra che questi laboratorî, forse temporanei e probabilmente impiantati nei conventi, come poi nei castelli, abbiano cessato ogni loro attività. Soltanto in Svizzera- unita anche culturalmente ed artisticamente alla Germania - sembra sia stata ripresa l'industria dei panni istoriati dalla metà del Trecento, mentre in Germania la ritroveremo fiorente soltanto al principio del Quattrocento. Abbiamo detto dei panni istoriati e non degli arazzi, perché quelli che ci rimangono consistono generalmente in basse e lunghe strisce - dossali o antependî - e, per il disegno schematico e per la fattura sommaria hanno maggiore affinità coi tappeti che con gli arazzi, anche se ne ripetono i motivi cari specialmente alla Francia, e anche se alcuni si possono credere tessuti su telai di basso liccio. Ad ogni modo accenneremo brevemente ai varî centri di produzione di questi panni e citeremo quelli di singolare importanza.
In Svizzera avrebbe la precedenza Costanza, donde proverrebbe la bella Crocifissione, assegnata alla metà del Trecento, della collezione Pierpont Morgan di New York; mentre Basilea avrebbe avuto laboratorî attivi soltanto al principio del Quattrocento, cui tra l'altro si attribuisce un fine frammento della Vita della Vergine del Museo di Colonia. Ma i più dei panni istoriati, che si conservano particolarmente nei musei di Basilea e di Zurigo, e che offrono, quasi, più che soggetti religiosi (Madonna e Santi del museo di Thun, e Cristo e Santi di quello di Basilea), motivi eroici (I nove prodi del museo di Basilea) o araldici, e raffigurano scene galanti, giuochi di carte e cacce fantastiche, oppure rappresentano le opere dei campi e dei boschi (Museo artistico industriale di Vienna), ed uno solo un soggetto storico, l'Entrata di Giovanna d'Arco in Chinon (museo d'Orléans), sono assegnati ad incerti laboratorî svizzeri, operanti tra il principio del sec. XV e gli inizî del seguente.
Identici per fattura e per iconografia sono i panni tessuti nei varî centri della Germania durante lo stesso periodo, che si conservano particolarmente nei musei di Norimberga, Friburgo, Monaco e Berlino, nel castello della Wartburg e nelle chiese delle rispettive regioni. Più rozzi forse di fattura, con uno spunto caricaturale nei tipi, spesso in difetto di grazia, questi panni ci offrono in maggior numero scene bibliche ed agiografiche, trattate spesso a guisa di verdure geometrizzate; episodî di novelle e di leggende con grandi scritte esplicative; allegorie e fantasie con gran sfoggio di cartigli e di motivi araldici.
Sembra che l'industria rifiorisse dallo scorcio del sec. XIV fino agl'inizî del XVI nella regione del Reno superiore e in Alsazia, ripetendo motivi in uso nei laboratori svizzeri, come i Giuochi di società del museo di Norimberga; poi si diffondesse lungo il medio Reno (Episodî di Susanna dello Schlossmuseum di Berlino), nella Germania centrale, con la Svevia e la Franconia, nella meridionale e nella settentrionale, cui apparterrebbe la Vita della Vergine del duomo di Halberstadt, vera e propria serie di arazzi tessuti circa il 1500 con gusto squisitamente decorativo. Ma di città, solo a Norimberga si attribuiscono oggi panni lavorati dagl'inizî del sec. XV a quelli del sec. XVI, quali Le Virtù e Vizi (circa 1440) del Palazzo di città di Ratisbona e l'antependium, con la Deposizione, di fine fattura (fine del sec. XV), del Museo artistico industriale di Vienna.
Probabilmente i tappezzieri locali s'indugiavano ancora in un'industria in arretrato, quando fino dai primi decennî del Cinquecento cominciarono a rifugiarsi anche in Germania gli arazzieri fiamminghi profughi per le persecuzioni religiose, e che troviamo a Wesel nel 1525; a Laningen, ove si può dire che verso il 1540 s'impiantasse la più antica manifattura tedesca; a Frankental, ove profughi di Fiandra furono attivi dalla metà del Seicento; mentre solo durante il sec. XVIII troveremo arazzieri a Dresda (P. Mercier dal 1715 al 1719) e a Heidelberg. Ma solo Monaco e Berlino ebbero una manifattura di qualche importanza.
Monaco. - Qui il duca Massimiliano I chiama nel 1604 da Enghien Jan van der Biert, che arriva con sei operai, cui altri se ne aggiungono fino ad una ventina; ma nel 1616 anche il capo arazziere è tornato in patria, e della sua operosità rimangono soltanto mediocri panni, come quelli dei Mesi e delle Stagioni nel museo di Monaco. Solo nel 1718 un arazziere dei Gobelins, Santigny, col compagno Chédeville, impiantava una nuova manifattura, durata quasi un secolo (fin dopo il 1802) donde è uscita la Storia dei Duchi di Baviera del museo di Monaco. Oggi esiste un laboratorio che attende specialmente ai restauri.
Berlino. - Sullo scorcio del Seicento il Grande Elettore vi accolse Pierre Mercier d'Aubusson, che con altri compagni profughi mise su una fabbrica donde uscirono le Imprese del Grande Elettore. Ma nel 1715 il Mercier si era trasferito a Dresda, e gli era succeduto dapprima Jean Barrobon col figlio Pierre, più tardi Charles Vignes che dette un grandissimo impulso alla manifattura, tanto che nel 1736 questa contava 250 operai e poteva far quasi concorrenza alle rivali fiamminghe e francesi. Al Vigne, morto nel 1769, succedettero gli eredi. Oggi Berlino ha il laboratorio W. Ziesch, che attende particolarmente al restauro.
Inghilterra. - Per tutto il Quattrocento e gran parte del Cinquecento l'Inghilterra scambiò le sue lane con gli arazzi della Fiandra, senza creare manifatture proprie; ma nell'ultimo terzo del sec. XVI alcuni profughi fiamminghi si stabilirono temporaneamente a Canterbury, Norwich, Colchester e altrove, mentre William Sheldon ospitava nel suo castello di Burcheston Robert Hicks, il primo arazziere che vanti l'Inghilterra, il quale tessé curiose vedute topografiche. Però questi laboratorî dovevano avere ben poca importanza, se Elisabetta commise a quelli fiamminghi la serie della Disfatta della Invincibile Armata.
Mortlake. - Fu questa quindi la prima e si può dire l'unica arazzeria inglese, fondata circa il 1619 da Giacomo I, che ne affidò la sovrintendenza a sir Francis Crane (m. 1636) e l'attività a tessitori fiamminghi; e fu largamente favorita da Carlo I, che non solo diede al Crane somme cospicue, ma acquistò anche, con l'intervento del Rubens, i famosi cartoni di Raffaello rimasti a Bruxelles. Nel 1636, alla morte del Crane, l'arazzeria contava centoquaranta operai, mentre in meno di un ventennio aveva portato a termine le serie più famose: Storia di Achille su modelli di Rubens, le Stagioni e i XII mesi, nonché le repliche degli Atti degli Apostoli mutandone i fregi con altri gustosissimi, e la Storia di Vulcano (gli uni e gli altri nella Guardaroba nazionale di Parigi) pure su cartoni italiani. Poi la manifattura decadde, ma poté continuare ad esistere anche durante la rivoluzione, finché Carlo II non chiamò a dirigerla sir Sackville Crow; ma la rivoluzione del 1688 doveva segnarne la fine.
Londra. - Ebbe anche qualche arazziere durante il sec. XVIII come quel P. Saunder che ha firmato alcuni pezzi di soggetto orientale; e circa il 1885 vide il tentativo fatto dal principe di Galles con venti operai chiamati da Aubusson.
Fulham - Exeter. - Anche a Fulham, circa il 1750, un curioso tipo di cappuccino, padre Norbert, chiamò un centinaio di arazzieri francesi, anche dei Gobelins, per impiantare una manifattura; ma ben presto si dava alla fuga per dissesti; e il francese Passavant portava telai e tessitori ad Exeter, dove sembra però si limitasse alla fabbricazione di tappeti.
Olanda. - Solo con l'esodo di arazzieri fiamminghi l'Olanda ebbe laboratorî d'arazzi: a Leida ove si tessevano principalmente verdure, a Middelburg (Zelanda) ove circa il 1598 Jan de Maeght eseguiva la serie delle Vittorie degli Zelandesi sugli imperiali, ad Amsterdam che ebbe arazzieri nel Seicento e Settecento, quali Alexander Baest, di cui rimangono verdure e vedute di giardini; e finalmente Delft, ove arazzieri fiamminghi sono attivi fino allo scorcio del Cinquecento e dove Franz Spierincz, tesseva nel 1602, in puro stile fiammingo, una serie dell'Orlando Furioso (un pezzo al museo Poldi-Pezzoli di Milano); e poco dopo Karel van Mander quelle dell'Incendio di Troia e di Alessandro.
Danimarca. - Anche qui si rifugiarono profughi fiamminghi; ma una manifattura sorse (circa il 1684) solo a Kjøge per iniziativa del re cristiano; la diressero i fratelli van den Eichen fino al 1698; e ne uscì una serie delle Guerre di Scania su cartoni di Pieter Andersen.
Russia. - Anche se un Martin Stuerbout, di Anversa, era in Moscovia nel 1607, solo Pietro il Grande pensò di fondare in Pietroburgo una manifattura ad imitazione di quella dei Gobelins, affidandone la direzione all'architetto Le Blond e chiamando, nel 1716 e col beneplacito del reggente, Philippe Béhagle il giovane (figliuolo di quel Philippe che abbiamo trovato a Beauvais) che giunse col figlio Jean e con altri arazzieri e tintori, mentre più tardi arrivavano nuovi tessitori francesi e fiamminghi. La manifattura, che prosperò fino allo scorcio del sec. XVIII, tessé varie serie mitologiche e una delle Quattro parti del mondo.
Spagna. - Rari sono anche i ricordi di arazzieri operanti in Ispagna durante il sec. XV: a Barcellona (1391 e 1433), alla corte di Navarra (1411), a quella d'Aragona (1430-31); mentre per il secolo seguente il possesso della Fiandra rendeva quasi inutile l'istituzione di proprie manifatture alla corona di Spagna, che ancora possiede le più preziose serie tessute a Bruxelles durante il Cinquecento. Nondimeno alla seconda metà del secolo risalgono le prime manifatture spagnole di Barcellona, ove circa il 1561 un Giovanni Ferrer tesse panni dozzinali; di Salamanca, ove Pedro Gutiérrez è nel 1578 nominato arazziere della regina Anna d'Austria e nel 1582 di Filippo II, che quasi subito lo chiama a Madrid, per quanto altri continui la fabbrica fino alla fine del sec. XVIII, durante il quale la capitale del regno conquistava un posto notevole nell'arte dell'arazzo.
Madrid. - Il rammentato Pedro Gutiérrez vi si trasferì da Salamanca tra il 1582 e il 1583, stabilendo un laboratorio privilegiato della corona nella via Santa Isabella; nel 1625 gli successe Antonio Cerón, che lo condusse sino circa il 1665, mentre dopo il 1651 il Velázquez ritraeva l'interno di quel laboratorio nel famoso quadro delle Filatrici.
Altre fabbriche non si ebbero finché Filippo V, che ben conosceva le glorie dei Gobelins, aiutato dal cardinale Alberoni, non volle istituire a Madrid una grande arazzeria, la Real fábrica de tapices y alfombras, lui premise come intendente don Bernardo Cambi, facendo venire da Anversa Jakob van der Goten, che giunse a Madrid nel 1720 con quattro figli e altri quattro operai, mise su i telai di basso liccio nella casa del Abreviador fuori di porta Santa Barbara, e in cinque anni (morì nel 1724) compì almeno tre arazzi con soggetti di "genere". Gli successe il figlio Franz, che coi tre fratelli e un'ottantina di operai dette grande impulso alla manifattura, mentre nel 1729 veniva chiamato a Madrid Anton Lainger per metter su telai d'alto liccio; ma questi poco concluse, per quanto rivelasse un perfetto virtuosismo nel tradurre la Madonna detta "la perla" di Raffaello; e in breve morì per alcoolismo. Intanto Jakob II, fratello di Franz, dal 1730 al 1733 impiantava un'effimera manifattura a Siviglia. Succeduto don Basilio Martínez Tineo al Cambi nella intendenza della manifattura, questa, sempre diretta da Franz, veniva trasferita coi telai di basso liccio negli antichi locali di via Santa Isabella; mentre Jakob II, tornato ila Siviglia, s'istallava alla meglio coi telai d'alto liccio nei cadenti locali di Santa Barbara, dove più tardi i due laboratorî venivano di nuovo riuniti sotto la direzione di Franz (morto nel 1774).
Durante questo primo periodo la manifattura di Santa Barbara portava a compimento, anche in più repliche, le bellissime serie di Don Chisciotte su cartoni di Andrea Procaccini, delle Stagioni su quelli di Iacopo Amigoni, di Telemaco su modelli di Michelange Houasse e di Śalomone su composizioni di Luca Giordano; ed eseguiva soggetti di "genere" e militari, tratti da Corrado Giaquinto e da Louis Michel van Loo, da stampe del Wouverman e del Teniers (quasi tutti all'Escuriale). Ma un mutamento notevole avveniva nel 1762. Chiamato a dirigere l'arazzeria Anton Raffaello Mengs, questi ne faceva eseguire i cartoni ad una bella schiera di pittori, tra i quali era Francisco Bayeu, cui si deve la novità di trattar briosamente e festevolmente, con l'arazzo, soggetti e motivi nazionali: scene di mercato e di arena, balli campestri, maggiolate, ecc.; soggetti che Francisco Goya genialmente riprese in due periodi diversi (1776-1780 e 1786-1791), in ben quarantacinque cartoni. Così, sullo scorcio del secolo la manifattura di S. Barbara, diretta dall'ultimo dei Van der Goten, Cornelis (morto nel 1786) cui successe il nipote Livinio Stuick, seppe dare a quest'arte dell'arazzo una schietta originalità. Ma per quanto fino al 1802 si eseguissero nuovi cartoni di Goya, la manifattura cominciò a decadere; fino al 1808 si continuarono a ripetere i modelli di lui e del Bayeu; anzi di Goya si tradusse anche, con molta abilità, il Ritratto di Isidro Máiquez. Poi con l'invasione francese (1808) la fabbrica fu devastata, i telai distrutti. Riaperta nel 1819, si tesseron soltanto due arazzi (circa 1832) giacché vi si facevano piuttosto tappeti e si attendeva al restauro di antichi panni istoriati. Tolta dagli antichi locali di S. Barbara, demoliti alla fine del sec. XIX, la manifattura continua ancora; ma da tempo produce poche cose nuove, limitandosi a ripetere di quando in quando qualche pezzo settecentesco, e ad imitare questa o quella pittura. La fabbrica di Santa Barbara ebbe per marca le lettere Md. (la M spesso coronata) seguite da un broccio.
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