ARAZZO
Il termine a., con cui si indica un tipo di tessuto dalle particolari caratteristiche tecniche, deriva dal nome della città francese di Arras, centro particolarmente attivo nei secc. 14° e 15° nella produzione ed esportazione di questo tipo di panni. Del 1389 è la prima menzione italiana di banderiae de Arassa (Giovanni de' Mussi, Chronicon Placentinum). Panni di 'arazza', di 'razza', 'razzi' o 'razi' furono poi detti gli a. in Italia; i termini tapisserie (Francia), tapestry (Inghilterra), Wandteppich (Germania), tapiz (Spagna), derivano invece dal lat. tapete e dalle varianti meno usate tapes e tapetum, che indicavano genericamente sia il tappeto sia la tappezzeria per coprire mobili o pareti. In greco panni simili per aspetto e funzione erano detti πεϱιπετάσματα.
La prima fase della lavorazione dell'a. è costituita dalla scelta di un soggetto che viene prima tradotto in un bozzetto e poi in un cartone delle stesse dimensioni dell'a. da tessere, dove il disegno è tracciato solo per linee di contorno e i colori sono indicati sommariamente. Il cartone viene eseguito in controparte rispetto al bozzetto poiché l'a., tessuto dal rovescio, lo replicherà specularmente. Sul telaio, che può essere verticale (alto liccio) od orizzontale (basso liccio), sono poi montati tra due rulli (curli) i fili dell'ordito (catena), in genere in lino, canapa o stame. È sulla catena, ben tesa tramite la barra di tensione, che l'arazziere disegna al tratto le linee del cartone. A questo punto i fili della catena vengono divisi alternativamente da barre in modo che si abbiano due piani di fili, quelli pari e quelli dispari. Il piano anteriore viene collegato a cordicelle ad anello (licci) a loro volta unite da barrette dette appunto 'barre dei licci'; questa serie di fili viene perciò detta 'piano dei licci' mentre quella retrostante è chiamata 'piano di croce'. Il cartone sarà posto alle spalle dell'arazziere che lavora all'alto liccio, che dovrà alzarsi o servirsi di uno specchio per poterlo controllare durante la tessitura; mentre nel telaio a basso liccio esso sarà posto tra la catena e le gambe del lavorante che, scostando i fili, potrà senza difficoltà seguire i contorni del sottostante disegno. Avvolti i fili colorati di lana, o seta, o i fili in lamina d'oro o d'argento, che costituiranno la trama del tessuto, attorno ai brocci di legno, si comincia la tessitura. Questa procede dal basso verso l'alto e da sinistra verso destra per zone di colore, come una sorta di mosaico, poiché l'arazziere maneggia un solo broccio e quindi un solo colore per volta. Il 'punto d'arazzo' è costituito dalla 'mezza passata', che si ottiene infilando il broccio nella serie posteriore e dalla successiva passata che si completa alternando i piani tramite la trazione del numero di licci di volta in volta necessario e portando il broccio in senso inverso; sia la parte anteriore dell'ordito sia quella posteriore vengono così interamente e uniformemente ricoperte dalla trama. La tessitura d'a. non avviene da cimosa a cimosa, ma per zone di colore, con un effetto finale simile a quello delle vetrate dipinte. Battuti con il 'pettine' i punti eseguiti, si passa, se necessario, a un broccio con un diverso colore, senza però recidere il filo di quello momentaneamente lasciato. Il peso del broccio impedisce infatti al brano tessuto di allentarsi prima che altre tessere di trama vengano a serrarlo d'intorno; si può inoltre riprendere il broccio quando si renda necessario impiegare in una zona vicina la stessa tinta. Via via che la tessitura procede l'a. è arrotolato al curlo inferiore mentre da quello superiore si svolge un altro tratto di catena. Il soggetto dell'a. viene tessuto coricato, cioè ruotato di 90° rispetto al suo assetto naturale, in modo che i fili della catena appaiano nel prodotto finito come coste orizzontali. Si è ipotizzata per questa scelta una motivazione estetica, risultando più dolce allo scorrere della visione tale sistemazione orizzontale piuttosto che la frammentazione per tratti verticali; tuttavia è più credibile che si sia trattato di un accorgimento adottato quando, tessendosi soprattutto a. in forma di basse e larghe strisce (dossali, bancali, antependia, ecc.), si poté così evitare l'uso di telai di sproporzionata larghezza.La struttura essenziale del telaio non varia sostanzialmente nei tipi verticale e orizzontale: la principale differenza è costituita dalla manovra dei licci, eseguita manualmente nell'alto liccio e tramite un pedale (marche) nel basso. Il vantaggio di avere entrambe le mani libere consente un procedere assai più spedito del lavoro, ma sul prodotto finito, se si prescinde da sfumature dovute al diverso modo di interpretare un cartone (alto liccio) o di seguirlo pedissequamente (basso liccio), non è possibile distinguere il tipo di telaio impiegato.Terminata la tessitura il panno viene staccato dal telaio (durante questa operazione si accorcia di alcuni centimetri per la cessata tensione) e si procede alla cucitura degli stacchi prodottisi tra due fili contigui di catena non collegati dalla trama per l'uso di due diversi colori contigui e paralleli. Lo spessore dei fili impiegati determina una maggiore o minore densità di catena per centimetro. Tale rapporto, che può variare da quattro-cinque fili a quindici e più per centimetro, è detto 'grana'; negli a. medievali la grana è in genere piuttosto grossa.
Benché molti studiosi abbiano cercato nelle fonti letterarie più antiche la prova che la tessitura dell'a. era già conosciuta nell'Antichità citando l'autorità di Omero (Il., III; Od., V), di Plinio (Nat. Hist., 8, 74), di Ovidio (Met., 6, 9), non è possibile allo stato attuale delle conoscenze giudicare se l'a. abbia origini tanto remote e se la sua storia abbia percorso un ininterrotto cammino fino a giungere con l'inizio del sec. 11° al primo esemplare conservato: il panno di S. Gereone, proveniente dalla chiesa di St. Gereon a Colonia. Neppure è possibile valutare la credibilità dell'ipotesi che l'a. in Occidente abbia derivato la propria tecnica di lavorazione dal tessuto copto. In entrambi, infatti, la trama colorata viene applicata a zone su un preesistente ordito incolore, ma nell'a. la catena viene montata sul telaio mentre nel tessuto copto l'ordito si ottiene sfilando da un panno, in genere di lino, un certo numero di fili successivi e orientati nello stesso senso in modo da ottenere un inserto centrale più o meno ampio di soli fili verticali da usare come ordito nella successiva fase di lavorazione. Secondo i sostenitori di tale ipotesi l'Occidente si sarebbe appropriato della tecnica di lavorazione di questo tessuto - introducendovi poi le modificazioni che distinsero l'a. - quando, a partire dalla fine del sec. 11° con le crociate, gli europei entrarono in contatto con la civiltà araba del bacino del Mediterraneo. Tuttavia di tale tipo di tessuto non si è mai trovata traccia in Sicilia, la cui conquista da parte degli Arabi si era già compiuta nel 902 e che restò sotto il loro dominio fino al 1072, o nella penisola iberica, occupata a partire dal 710 e liberata completamente solo nel 1492.È invece credibile una derivazione dei c.d. tapis sarrazinois, o annodati, dal tappeto orientale per via delle analogie morfologiche e di lavorazione oltre che per la stessa definizione sarrazinois (saraceni). Le innovazioni tecniche elaborate dai tapissiers de tapis sarrazinois, che lavoravano sul telaio orizzontale, avrebbero poi dato origine all'a. (Guiffrey, 1881; Göbel, 1923-1934, I; Lestocquoy, 1940; Souchal, 1965).Negli statuti che i tessitori parigini si diedero al tempo in cui era sindaco dei mercanti di Parigi Etienne Boileau (1258-1268), accanto ai tapissiers de tapis sarrazinois compaiono quelli di tapis nostrez, panni spesso non istoriati e di uso più corrente nella casa, ma certamente di origine più antica e autoctona (Souchal, 1965). Erano probabilmente tapis nostrez i tappeti che si tessevano a Poitiers nel sec. 11°, come testimonia una lettera del conte d'Aquitania a un vescovo italiano desideroso di possedere esemplari di quei manufatti che nella lettera vengono definiti tessuti secondo la consuetudine apud nostrates. Più difficile è collegare tali panni e, per via indiretta, anche l'a. ai tessuti istoriati documentati nella Francia merovingica dalle cronache di Gregorio di Tours. Tessuti istoriati decoravano secondo Anastasio Bibliotecario le basiliche romane del sec. 9° e compaiono frequentemente, ma senza indicazioni di carattere tecnico, in cronache e inventari medievali.Per quanto riguarda in particolare l'origine dell'a. tessuto ad alto liccio (il telaio verticale era comunque quello di più remota origine; si veda per es. la sua raffigurazione nell'ipogeo di Beni Assam, in Egitto, e in numerose pitture vascolari classiche), Guiffrey (1881) pensò a una innovazione introdotta dai tapissiers de tapis sarrazinois che desideravano, durante la lavorazione, controllare su entrambi i lati il procedere dell'opera. In ogni caso il passaggio graduale e poi la vera sostituzione tra i due tipi di lavorazione dovettero avvenire prima ad Arras che a Parigi; come nota Souchal (1965, p. 76), il termine haute lice è usato correntemente in una quietanza del 1313 di Arras e invece con una certa insicurezza a Parigi, dove in un'annotazione forse del 1303 aggiunta a margine dello statuto del 1277 si legge: "maniere de tappiciers, que l'en appelle ouvriers en la haute lice". L'annotazione decreta dunque un avvenuto ma recente ingresso dell'alto liccio a Parigi, proveniente probabilmente da Arras, dove la rivolta scoppiata nel 1285 doveva aver causato l'allontanamento di numerosi cittadini, tra cui verosimilmente degli arazzieri.Quale che sia stata l'origine dell'a., orientale od occidentale, è indubitabile che nei paesi nordici esso abbia trovato il terreno più favorevole alla sua grande fioritura. Era infatti senz'altro più confortevole poter disporre, per ornamento di chiese e palazzi, di questi panni di lana, caldi, vivi di colore e di storie, decorativi al pari di affreschi ma, a differenza di questi, mobili e soprattutto non sensibili al clima umido che nel Nord limitava l'uso della decorazione affrescata. Anche se non sono scarsissime le notizie di cui si dispone sull'attività arazziera nell'area franco-fiamminga tra i secc. 13° e 14°, i più antichi a. occidentali che attualmente si conoscano sono stati riferiti alla Germania, per la quale, tuttavia, visto che la tessitura non era praticata come attività commerciale ma era quasi esclusivamente concentrata nei conventi per sopperire a esigenze di arredo delle chiese, mancano notizie documentarie sul periodo delle origini.Il primo pezzo che possa essere definito un a. (inizi sec. 11°) è il citato panno in lana su lino proveniente dalla chiesa di St. Gereon a Colonia. La decorazione del panno, attualmente conosciuto attraverso frammenti (Norimberga, Germanisches Nationalmus.; Berlino, Staatl. Mus., Kunstgewerbemus.; Londra, Vict. and Alb. Mus.; Lione, Mus. Historique des Tissus), mostra la ripetizione di medaglioni (compas) contenenti un toro assalito da un grifo alato, di gusto simile a quello di contemporanei tessuti con motivi decorativi di origine sasanide. La provenienza orientale del pezzo, proposta per primo da Bock (1858), è stata abbandonata quando, in seguito al ritrovamento di una stoffa orientale in seta con medaglioni analoghi nella tomba di una figlia di Pipino il Breve (Colonia, chiesa di St. Ursula), Göbel (1923-1934, III, 1) giunse alla conclusione che nel tessere il panno di S. Gereone ci si poté con agio ispirare a modelli orientali reperibili sul posto.La tesi dell'origine occidentale (Riegl, 1893; Schmitz, 1923; Kurth, 1926) poggia sul confronto tra gli elementi decorativi che formano il bordo del panno, e che occupano il fondo collegando i medaglioni, e motivi ornamentali presenti in miniature tedesche. I colori sono puri e in gamma limitata (sette), come in tutti gli esemplari più arcaici; la grana è di cinque-sei fili di catena per centimetro.Circa un secolo e mezzo intercorre tra il panno di S. Gereone e il primo successivo documento arazziero germanico. Alla prima metà del sec. 12° dovrebbero invece risalire i frammenti con i mesi Aprile e Maggio (Oslo, Kunstindustrimus.), erratica documentazione di una tradizione arazziera norvegese forse assai antica. Dell'ultimo quarto del sec. 12° è la striscia del Domschatz di Halberstadt con tre episodi della vita di Abramo e l'arcangelo Michele. Si tratta di un dossale in lana e lino (cm. 1201026) in cui sono raffigurati S. Michele che uccide il drago, l'Ospitalità di Abramo e il Sacrificio di Isacco. Nell'episodio centrale la stilizzazione con cui è simulata la caduta delle pieghe della tovaglia e la libertà nell'impiego del colore indicano una derivazione da codici miniati (Göbel, 1923-1934, III, 1).Un altro dossale, conservato anch'esso nel Domschatz di Halberstadt, di dimensioni simili al primo (cm. 114-118895) ma posteriore di quindici-venti anni (Kurth, 1926) e non di quaranta come vorrebbe Schmitz (1923), raffigura il Cristo benedicente in una mandorla fiancheggiata da due angeli e dagli apostoli. Il panno, in lana e lino, deriva anch'esso, per stile e iconografia, da codici miniati nella Bassa Sassonia nella seconda metà del sec. 12°, ma il soggetto è reso con un impianto monumentale che rivela nel cartonista la consuetudine con la decorazione murale (Göbel, 1923-1934, III, 1).Infine un terzo panno di Halberstadt, pressoché quadrato (cm. 157-159145-153), rappresenta l'imperatore Carlo Magno seduto in trono e, negli angoli, quattro filosofi dell'Antichità. Il pezzo è tessuto in lana su una catena verticale in canapa; la grana è di quattro fili per centimetro. La particolarità della catena, che risulta verticale rispetto all'assetto della decorazione, non compare nei due panni più antichi e non sembra spiegabile come una reminiscenza di tecniche arcaiche; si tratterebbe piuttosto di scelta di ordine pratico dettata dalle dimensioni limitate in larghezza dell'arazzo.L'a. di Carlo Magno è stato, insieme agli altri due dossali, riferito comunemente alla manifattura conventuale attiva sotto la badessa Agnes (1184-1203), figlia di Arnoldo di Meissen, a Quedlinburg. Secondo alcune fonti tarde (secc. 17° e 18°) la badessa avrebbe infatti fornito di tappezzerie il duomo di Halberstadt. Tuttavia, l'ipotesi non appare verosimile poiché l'unica opera documentata di Quedlinburg, il famoso tappeto annodato con le Nozze di Mercurio e della Filologia, dell'inizio del sec. 13° (Quedlinburg, tesoro della collegiata di St. Servatius), è un'opera diversa per tecnica e per stile dai tre pezzi di Halberstadt. Le strisce di Halberstadt mostrano infatti un linguaggio ben più semplice e schietto rispetto alla colta scelta di temi - derivati dal De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano Capella (sec. 5°), testo ben conosciuto nel sec. 13° - e alla tecnica del panno della badessa. Quella dei tapis sarrazinois, verosimilmente usata a Quedlinburg, era considerata una tecnica più nobile. È inoltre più verosimile posticipare la datazione dell'a. di Carlo Magno al quinto decennio del sec. 13° istituendo così un più convincente confronto con la c. 90v del Libro dei modelli di Wolfenbüttel (Wolfenbüttel, Herzog August Bibl., Guelf. 61. 2 Aug. 8°, 1240 ca.) in cui si riconoscono, in un gruppo di re nella Discesa agli inferi, tratti tipologicamente e stilisticamente assai vicini a quelli di Carlo Magno. Inoltre è solo verso il 1240 che è documentato a Halberstadt il fiorire di una venerazione particolare verso Carlo Magno, considerato fondatore della diocesi (Die Zeit der Staufer, 1977), la quale dovette determinare una scelta iconografica ispirata alla raffigurazione di Cristo tra i quattro evangelisti.Non si conoscono altri pezzi tessuti in Germania nel corso del 13° secolo. Per quanto riguarda il sec. 14° la produzione è rappresentata solo da un limitato numero di esemplari tessuti nella zona dell'Alto Reno, del Medio Reno (Alsazia) e nella Franconia. Anche nella zona del lago di Costanza si ebbe una produzione di a.; queste opere, per la maggior parte di non grandi dimensioni e d'uso limitato alle chiese, denunciano in genere l'origine conventuale nel gusto attardato e popolaresco che determina la scelta dei soggetti, dei pochi colori e dei modi con cui tradurli. Una manifattura conventuale di questa zona produsse verso la metà del sec. 13° la striscia della Crocifissione Morgan (New York, Metropolitan Mus. of Art) e quella con santi conservata a Norimberga (Germanisches Nationalmus.). Dello stesso periodo è un frammento con la Vergine conservato in una coll. privata.Il permanere di una produzione a compas, accanto a quella più liberamente figurata, è documentato in Svizzera da un antependium con S. Maurizio tra medaglioni contenenti i simboli apocalittici e un repertorio di animali (Thun, Historisches Mus.). Lo Spielteppich di Norimberga (Germanisches Nationalmus.), panno alsaziano con scene di vita feudale, e il diffondersi del tema degli 'uomini selvatici' (Wilde Leute), i cui esemplari più antichi (Monaco, Bayer. Nationalmus.; Sigmaringen, Fürstlich Hohenzollernsches Mus.; Ratisbona, Reichstagsmus.) sono anch'essi riferibili a centri alsaziani, documentano, alla fine del sec. 14°, la presenza di una cultura profana e di corte che si fa committente di parte della produzione locale e che attesta ormai la presenza di manifatture non più esclusivamente conventuali. Grandissimo sviluppo ebbe il tema degli uomini selvatici nel successivo sec. 15° presso i laboratori arazzieri della Germania e della Svizzera, a Basilea soprattutto, ma quasi a denunciare la scelta di un gusto ingenuo e provinciale lontano ormai dalle dimensioni di eleganza e modernità culturale che avevano prodotto il panno di Carlo Magno e quello della badessa di Quedlinburg. Sempre più frequentemente dunque la ricca committenza delle corti tedesche si rivolse ai nuovi fiorenti laboratori attivi nei centri franco-borgognoni, relegando in una funzione del tutto secondaria le manifatture locali.Anche se i documenti sull'attività arazziera a Parigi sono anteriori e più numerosi di quelli relativi ad Arras e benché, come si è visto, fossero attivi nella capitale nella seconda metà del sec. 13° tessitori di tapis sarrazinois, di tapis nostrez e, alla fine del secolo, anche di haute lice, è nella città dell'Artois che dovette essere perfezionata la nuova tecnica. In seguito arazzieri di Arras trasferitisi a Parigi dopo i moti del 1285 poterono diffondervi le novità nel tessuto d'arazzo. Ben presto acquisite, tali nozioni tecniche permisero un interscambio intenso e fecondo tra le due città. Arazzieri e mercanti si spostavano tra i due centri in cerca di sempre maggiori profitti e, se ad Arras era toccato il primato nella produzione arazziera, fu Parigi che si impose come centro di commercio e diffusione degli arazzi. In declino l'arte dei tapis sarrazinois, vinte le resistenze e l'orgoglio degli artefici di tale arte, l'a. parigino dovette rapidamente conquistarsi un mercato se già nel 1308 la contessa Mahaut d'Artois commissionava a. a Parigi (in seguito acquistò panni d'a. sia a Parigi sia ad Arras). Di questi primi esemplari non è rimasta traccia e si possono solo ipotizzare, da qualche indicazione nei documenti, come 'millefiori' con motivi araldici o animali.Nella seconda metà del sec. 14° i mercanti parigini di a. (ma anche di altre merci) come Nicolas Bataille o Pierre di Beaumetz o Jacques Dourdin o Jean Lubin, rifornendosi ad Arras, dove d'altra parte i materiali erano di qualità più elevata (fil fin d'Arras divenne sinonimo del filato migliore), intrattenevano rapporti d'affari più che di concorrenza con i mercanti di questa città, tra i quali figuravano Michel Bernard, Jean Cosset, Vincent Boursette.Determinante per lo sviluppo dell'arte arazziera francese fu la committenza degli Angiò. Nel 1364 Luigi d'Angiò possedeva infatti ben settantasei a., per la maggior parte istoriati, e per lui fu tessuta la serie che costituisce il più vasto e importante monumento pervenutoci nella storia dell'a. medievale: l'Apocalisse di Angers (Angers, Château, Mus. des Tapisseries, Gal. de l'Apocalypse). La serie, la cui realizzazione dovette essere decisa poco dopo il 1373, fu terminata intorno al 1380. La lavorazione era già a buon punto nel gennaio 1378 quando venne pagato per una parte dei bozzetti Jehan de Bandol, detto Hennequin de Bruges, pittore al servizio del re (Guiffrey, 1884). L'artista si ispirò per i bozzetti a numerosi codici miniati tra cui una Apocalisse (Parigi, BN, fr. 403) che nel 1380 risultava prestata da Carlo V al fratello Luigi d'Angiò "pour faire faire son beau tapis" (Parigi, BN, fr. 2700, Inventario della biblioteca di Carlo V, cc. 5-42). Imprenditore dell'opera fu Nicolas Bataille, che affidò la traduzione dei bozzetti di Hennequin de Bruges a cartonisti di cui non è giunta notizia; la tessitura invece avvenne probabilmente nell'atelier parigino dell'arazziere di Arras Robert Poinçon. La serie era composta non da sette panni, come si è a lungo creduto, ma da sei (King, 1977; Joubert, 1981b); in ognuno dei pezzi erano rappresentate quattordici scene poste su due registri, sicché la serie presentava ottantaquattro episodi tratti dal testo di s. Giovanni. Attualmente ne rimangono settanta completi o quasi; le scene erano alternativamente a fondo blu e a fondo rosso, all'estremità sinistra di ciascun pezzo un vegliardo seduto entro un edificio gotico occupava in altezza lo spazio corrispondente ai due registri sovrapposti. Poiché ogni panno misura cm. 6002400, l'intero ciclo narrativo doveva avere uno sviluppo lineare di m. 144. Per la trama, in lana, furono impiegate ventidue tinte, un numero relativamente ampio per quei tempi; la grana è di cinque-sei fili per centimetro.Come accadeva sovente, i cartoni dell'Apocalisse furono riutilizzati per la tessitura di un'altra serie analoga, oggi perduta, commissionata a Nicolas Bataille da un altro fratello di Carlo V, Filippo l'Ardito, duca di Borgogna, ed eseguita nel laboratorio di Robert Poinçon a partire dal 1386.Contemporanea o di poco precedente all'Apocalisse di Angers, la Presentazione al tempio di Bruxelles (Mus. royaux d'Art et d'Histoire) potrebbe costituire il primo documento conosciuto dell'arazzeria francese. Il panno, frammentario, misura cm. 153285; la trama è in lana e la grana di ca. cinque fili per centimetro. Già accostato all'Apocalisse, l'a. può invece essere considerato un esempio superstite di una vasta produzione degli ateliers parigini.Un'altra opera testimonia l'attività arazziera francese intorno al 1390: si tratta della serie dei Nove Prodi, tre panni della quale si conservano nel Metropolitan Mus. of Art di New York. La presenza delle armi di Jean de Berry, inserite nel contesto figurativo, indica che la serie fu tessuta per uno dei fratelli di Carlo V e costituisce un'ulteriore notizia sul ruolo di primo piano svolto dai figli di Giovanni II nel campo della committenza arazziera.Soprattutto a Filippo l'Ardito, che nel 1384 aveva ereditato le contee di Fiandra e di Artois, è attribuito il merito di avere dato un impulso decisivo all'arte dell'a. in Arras e Tournai con un'accorta politica economica. Filippo contribuì pure al diffondersi, negli anni ottanta, del gusto per la tapisserie historiée; la Battaglia di Trento, acquistata nel 1383, e la grande Battaglia di Roosebecke, commissionata a Michel Bernard nel 1382, sono due perduti esempi di tale produzione ad Arras. La città si preparava a divenire, nei primi tre quarti del sec. 15°, il centro più vitale dell'arte arazziera. Parigi, invece, occupata dagli Inglesi nel 1418, conobbe, a causa della guerra dei Cento anni, un periodo di gravissima crisi economica; nel 1422 risultavano attivi a Parigi due soli artigiani.In base al confronto con le Storie dei ss. Piato ed Eleuterio (Tournai, Trésor de la Cathédrale Notre-Dame), che un'iscrizione tessuta (oggi scomparsa) testimoniava eseguite ad Arras e terminate nel 1402, si sono attribuiti a manifatture attive nella stessa città altri panni omogenei per lo stile, per le scelte iconografiche e narrative e per le particolarità tecniche. Tra questi figura il pezzo con Storie di Jourdan de Blaye del Mus. Civ. di Padova, risalente probabilmente alla fine del 14° secolo. L'attribuzione ad Arras è inoltre avvalorata dall'analisi del dialetto dei versi nei cartigli, che risulta riferibile alla Piccardia. Di vaste ma non insolite dimensioni (cm. 238380), il panno fu tessuto in lana; la presenza di filo metallico nella trama indica nell'opera un esempio della migliore produzione coeva. Di Arras, ma forse già del sec. 15°, è l'Offerta del cuore (Parigi, Mus. des Arts Décoratifs).Alla fine del Trecento la fama dei panni di Arras era ormai tanto vasta da giungere fino in Oriente; il sultano Beyazit Bāyazīd I, avendo infatti catturato a Nicopoli (1396) un figlio di Filippo l'Ardito, chiese come riscatto una serie di a., precisando che li desiderava istoriati con episodi antichi; gli fu inviata una serie con Storie di Alessandro. I panni di Arras furono dunque ben conosciuti nei paesi stranieri grazie ai commerci e, in qualche caso, ai doni dei duchi di Borgogna (nel 1393 Filippo, incontratosi a Lelinghen con i duchi di Gloucester e di Lancaster, aveva donato loro a. di soggetto profano). L'esportazione in Italia, nel corso del sec. 14°, dovette avvenire su scala considerevole se dal nome della città di Arras fu derivato il termine arazzo. A partire dal 1476, con la sconfitta di Carlo il Temerario a Grandson da parte degli Svizzeri (in quella occasione Carlo dovette abbandonare sul campo la propria collezione di a. da cui neanche in battaglia si era voluto separare), iniziò il declino economico di Arras, destinata a essere sostituita nel primato arazziero da Tournai, dove peraltro è documentata la tessitura di panni d'a. già nei secc. 13° e 14°, e da Bruxelles, che vide nel 1447 il costituirsi di una corporazione autonoma di arazzieri, ma dove già da tempo si tessevano arazzi. È del 1321 la prima menzione di arazzieri brussellesi (Schneebalg-Perelman, 1978) e del 1340 la prima citazione di un telaio per a.: tapijtweverrsambacht. Dal 1366 i duchi di Brabante si rifornivano regolarmente di a. a Bruxelles (Schneebalg-Perelman, 1976).Negli stati italiani, benché l'a. fosse nel sec. 14° un manufatto ben conosciuto, assai scarse sono le prove documentarie della sua diffusione. Si sa solamente che Amedeo VI di Savoia (1343-1383) si servì di Nicolas Bataille, cui ordinò tra il 1376 e il 1380 diciotto panni; acquisti di a. furono pure effettuati dai Gonzaga di Mantova nel 1399.Nel sec. 15°, per l'esigenza di restaurare i panni deteriorati, comincia a essere documentata la presenza, presso quasi tutte le corti dell'Italia centrosettentrionale e a Roma, di arazzieri provenienti per lo più dalla Borgogna. A Venezia, verso il 1420, fu tessuta la serie della Passione (Venezia, Mus. della Basilica di S. Marco), composta da dieci pezzi di cm. 200215. L'opera, di grandissima importanza nello studio della storia dell'a., fu eseguita da un artigiano di Arras (forse il Valentino di Arras che operava con un Giovanni di Bruges a Venezia nel 1421) su modelli forniti da un pittore locale, Zanino di Pietro o Nicolò di Pietro o un ignoto artista della cerchia di quest'ultimo (Stucky Schuerer, 1972). L'impiego di un pittore per l'esecuzione di bozzetti e cartoni caratterizzò tutta la successiva produzione italiana. L'attività di manifatture è documentata nell'Italia del sec. 15° a Ferrara, dove già nel 1436 era presente un gruppo di restauratori di a., Mantova, Siena, Firenze e Roma, centri tra i quali arazzieri come Giachetto d'Arras o Rinaldo Boteram si spostavano, come testimoniano i documenti, in cerca di maggiori profitti.A Milano, Filippo Maria Visconti (m. nel 1447) fu un appassionato collezionista di a. e probabilmente a lui appartenne la cintura con scene di caccia conservate a Torino (Mus. Civ. di Torino, Mus. d'Arte Antica).
Bibl.:
Fonti. - Giovanni de' Mussi, Chronicon Placentinum (222-1402), in RIS, XVI, 1730, coll. 582-583
Letteratura critica. - A. Jubinal, Recherches sur l'usage et l'origine des tapisseries à personnages, Paris 1840; F. Bock, Das heilige Köln, Leipzig 1858; J. Deville, Recueils de statuts et de documents relatifs à la Corporation des Tapissiers de 1258 à 1875, Paris 1875; J. Guiffrey, E. Müntz, A. Pinchart, Histoire générale de la tapisserie, 3 voll., Paris 1878-1885; E. Müntz, La tapisserie, Paris [1881] (18842); J. Guiffrey, Les origines de la tapisserie de haute et basse lice à Paris, Mémoires de la Société de l'histoire de Paris et de l'Ile-de-France 8, 1881, pp. 107-124; id., Nicolas Bataille tapissier parisien du XIVe siècle; sa vie, son oeuvre, sa famille, ivi, 11, 1884, pp. 268-297; id., Histoire de la tapisserie depuis le Moyen-Age jusqu'à nos jours, Tours 1886; A. Riegl, Textilkunst, in Geschichte der technischen Künste, a cura di B. Buchers, III, Stuttgart-Berlin-Leipzig 1893; L. de Farcy, Monographie de la cathédrale d'Angers. Le mobilier, Lille-Paris-Bruges 1901; J. Guiffrey, La tapisserie, Paris 1904; id., Les tapisseries du XIIe à la fin du XVIe siècle, Paris 1911; H. Schmitz, Die belgische Bildwirkerei von der Gotik bis zum Barock, Belgische Kunstdenkmäler 2, 1923, pp. 113-132; B. Kurth, Gotische Bildteppiche aus Frankreich und Flandern, München 1923; H. Göbel, Wandteppiche, 3 voll., Leipzig 1923-1934; B. Kurth, Die deutschen Bildteppiche des Mittelalters, 3 voll., Wien 1926; A. Marquet de Vasselot, R.A. Weigert, Bibliographie de la tapisserie, des tapis et de la broderie en France, Paris 1935 (rist. anast. 1969); J. Lestocquoy, Origine et décadence de la tapisserie d'Arras, RBAHA 10, 1940, pp. 27-34; J.J. Rorimer, M.B. Freeman, The 'Nine Heroes' Tapestries at the Cloisters, MetMB 7, 1949, pp. 243-260; H. Engelstad, Refil Bunad Tjeld Middelalderens Billedtapper i Norge. Fortidens Kunst i norges Bygder [Refil Bunad Tjeld Arazzi medievali in Norvegia. L'arte antica nei paesi norvegesi], Oslo 1952; R. Bernheimer, The Wild Man in the Middle Ages, Cambridge (MA)-London 1954; M. Crick-Kuntziger, Catalogue des tapisseries des Musées royaux d'art et d'histoire, Bruxelles 1956; M. Viale Ferrero, s.v. Arazzo, in EUA, I, 1958, coll. 523-530; R.A. D'Hulst, Flämische Bildteppiche des XIV. bis XVIII. Jahrhunderts, Bruxelles 1961 (trad. it. Arazzi fiamminghi dal XIV al XVIII secolo, Bologna 1961); F. Favresse, Etudes sur les métiers bruxellois au Moyen Age, Bruxelles 1961; H. Appuhn, Der Karls-Teppich in Halberstadt, Aachener Kunstblatter 30, 1962, pp. 137-149; S. Schneebalg-Perelman, Les sources de l'histoire de la tapisserie bruxelloise et la tapisserie en tant que source, Annales de la Société royale d'archéologie de Bruxelles 51, 1962-1966, pp. 279-337; D. Heinz, Europäische Wandteppich I: Von der Anfängen der Bildwirkerei bis zum Ende des 16. Jahrhunderts, Braunschweig 1963; G. Souchal, Etudes sur la tapisserie parisienne. Règlements et technique des tapissiers sarrasinois, hautelissiers et nostrez (vers 1260-vers 1350), BEC 136, 1965, pp. 35-125; R. Plancheault, L'Apocalypse d'Angers, Paris 1966; L. von Wilckens, Der Michaels- und der Apostelteppich in Halberstadt, in Kunst des Mittelalters in Sachsen. Festschrift W. Schubert, Weimar 1967, pp. 279-291; H.L. Nickel, Deutsche romanische Bildteppiche aus den Domschätzen zu Halberstadt und Quedlinburg, Leipzig 1970; M. Stucky Schuerer, Die Passionteppiche von San Marco in Venedig. Ihr Verhältnis zur Bildwirkerei in Paris und Arras im 14. und 15. Jahrhundert, Bern 1972; Chefs-d'oeuvre de la tapisserie du XIVe au XVIe siècle, cat., Paris 1973; F. Salet, L'art de la tapisserie au Moyen Age, BSNAF, 1975, pp. 191-193; S. Schneebalg-Perelman, Un nouveau regard sur les origines et le développement de la tapisserie bruxelloise du XIVe à la pré-Renaissance, in Tapisseries bruxelloises de la pré-Renaissance, cat., Bruxelles 1976; D. King, How many Apocalypse Tapestries, in Mélanges Harold B. Burham, Toronto 1977, pp. 161-167; Die Zeit der Staufer, cat., Stuttgart 1977, I, pp. 639-644; J. Lestocquoy, Deux siècles de l'histoire de la tapisserie (1300-1500), Mémoires de la Commission départementale des Monuments Historiques du Pas-de-Calais 19, 1978, pp. 18-32; S. Schneebalg-Perelman, Les débuts de la tapisserie bruxelloise au 14e siècle et son importance durant la première moitié du 15e siècle, Annales de la Société royale d'archéologie de Bruxelles 55, 1978, pp. 27-51; F. Joubert, La tapisserie au XIVe siècle, in Les fastes du Gothique. Le siècle de Charles V, cat., Paris 1981a, pp. 338-393; id., L'Apocalypse d'Angers et les débuts de la tapisserie historiée, BMon 139, 1981b, pp. 125-140; F. Salet, Remarques sur le vocabulaire ancien de la tapisserie, ivi, 146, 1988, pp. 211-229.A. Ghidoli