arbitrato
s. m. – Procedimento mediante il quale le parti possono far decidere da soggetti privati, gli arbitri, le controversie tra di loro insorte – o che potranno insorgere – che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge (cfr. art. 806 c. p. c.). È fattispecie eteronoma di risoluzione non giurisdizionale delle controversie e la decisione (lodo) è assunta alla stregua di una valutazione di fondatezza delle pretese condotta su parametri normativi, non mediante la definizione di un nuovo assetto di interessi. L’a. costituisce un procedimento previsto e disciplinato dal c. p. c. per l’applicazione obiettiva del diritto nel caso concreto ai fini della risoluzione di una controversia con le garanzie di contraddittorio e d’imparzialità tipiche della giurisdizione civile ordinaria; sotto tale aspetto il giudizio arbitrale non si differenzia da quello che si svolge davanti agli organi statali della giurisdizione, anche per quanto riguarda la ricerca e l’interpretazione delle norme applicabili alla fattispecie. Si distingue l’a. in senso stretto (o a. rituale) dall’a. irrituale nel quale le parti dispongono che gli arbitri decidano «mediante determinazione contrattuale» (art. 808 ter c. p. c.). Nel dubbio, la convenzione d’arbitrato s’interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione sì riferisce. Peraltro gli arbitri risolvono senza autorità del giudicato tutte le questioni rilevanti per la decisione, anche se vertono su materie che non possono essere oggetto di a., salvo che debbano essere decise con efficacia di giudicato per legge. Su domanda di parte le questioni possono essere decise con efficacia di giudicato su materie che possono essere oggetto di convenzione. Pur nell’ambito di un’ampia autonomia, la legge definisce i criteri fondamentali del procedimento. Gli arbitri possono essere uno o più e la convenzione d’a. deve contenere la nomina o stabilire il numero e le modalità di nomina. L’accettazione deve essere data per iscritto e da essa scaturiscono diritti, doveri e responsabilità. Spetta alle parti determinare, nella convenzione o in atto scritto separato, le norme che si devono osservare nel procedimento e la lingua dell’a., altrimenti saranno gli arbitri stessi a determinare le regole del procedimento nel modo che ritengono più opportuno, purché in ogni caso sia assicurato il principio del contraddittorio, concedendo alle parti ragionevoli ed equivalenti possibilità di difesa. Il che impone, laddove ritengano di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, che gli arbitri assegnino alle parti, a pena di nullità, un termine per produrre proprie memorie e osservazioni. Inoltre, la convenzione d’a. può rinviare a un regolamento arbitrale precostituito, applicandosi di norma il regolamento in vigore al momento in cui ha inizio il procedimento. Le parti possono farsi assistere da difensori. Il legislatore ha, con recenti riforme, favorito l’a., in particolare assicurando che la competenza degli arbitri non sia esclusa dalla pendenza della stessa causa davanti al giudice, nel qual caso la decisione con la quale il giudice afferma o nega la propria competenza sarà impugnabile con il regolamento di competenza. Al termine dell’istruttoria gli arbitri pronunciano la decisione nella forma del lodo, il quale, in genere, dalla data della sua ultima sottoscrizione ha gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria, pur essendo necessario, ai soli fini dell’esecuzione, provvederne al deposito affinché il tribunale ne accerti la regolarità formale e lo dichiari esecutivo con decreto. Oltre che al procedimento di correzione per errori materiali o di calcolo, il lodo può essere assoggettato all’impugnazione per nullità per casi tassativamente previsti dalla legge, o alla revocazione o all’opposizione di terzo. Anche i lodi stranieri, alla luce di varie convenzioni, possono ottenere riconoscimento ed esecuzione in Italia mediante un decreto del presidente della Corte d’appello competente, contro il quale è ammessa opposizione.