ARBITRATO (III, p. 994)
Il codice di procedura civile del 1942 si è ispirato al concetto di adeguare l'istituto dell'arbitrato alla sua finalità sociale, intesa come bonaria e sollecita composizione delle controversie, spoglia della solennità e dell'apparato, inerenti pur sempre ai giudizî davanti agli organi della giurisdizione.
Il codice non disciplina i cosidetti arbitrati liberi o arbitrati irrituali, e ciò per la considerazione che una siffatta disciplina esulerebbe dai confini del codice di procedura civile. Il codice usa il termíne lodo per indicare la decisione degli arbitri prima che sia depositata e dichiarata esecutiva dal pretore, e quello di sentenza dopo la dichiarazione di esecutività (art. 825); è sancito il principio fondamentale secondo il quale gli arbitri devono giudicare secondo le norme di diritto, salvo che le parti li abbiano autorizzati a pronunciare secondo equità (art. 822).
Profonda innovazione, rispetto al sistema del codice abrogato, ha subìto il sistema delle impugnazioni, essendosi il codice 1942 proposto di ridurre al minimo la molteplicità dei controlli giurisdizionali, prima esistenti, che determinavano spesso la rinnovazione del giudizio arbitrale avanti l'autorità giudiziaria, vulnerando lo scopo precipuo dell'arbitrato. Il codice 1942 concede soltanto l'impugnativa per nullità e per revocazione.
La prima va proposta dinanzi al pretore, al tribunale o alla corte di appello, secondo che per la causa decisa sarebbe stato competente il conciliatore, il pretore o il tribunale ed è ammessa, nonostante qualunque rinunzia, nei seguenti casi (art. 829): 1) nullità del compromesso (casi di mancanza dell'atto scritto, di mancata determinazione dell'oggetto, di incapacità, di non compromettibilità); 2) e 3) irregolarità nella nomina degli arbitri; 4) pronunzia fuori dei limiti del compromesso, omessa pronunzia, contraddittorietà; 5) mancanza dei requisiti prescritti per la sentenza dai nn. 3, 4, 5 e 6 dell'art. 823 o deposito tardivo; 6) pronuncia tardiva; 7) inosservanza delle forme prescritte sotto pena di nullità.
L'impugnazione di nullità è altresì ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti avessero dichiarato il lodo non impugnabile. La disposizione ha dato luogo a serî dubbî interpretativi; trattasi di stabilire se il legislatore abbia inteso soltanto sancire la nullità nel caso degli arbitri, che senza essere autorizzati dalle parti hanno giudicato secondo equità, anzi che secondo le regole di diritto, ovvero si sia voluto ammettere la impugnativa di nullità della decisione arbitrale per gli errores in iudicando. È facile rendersi conto come l'accoglimento della seconda soluzione investa il cardine della riforma, che secondo l'intenzione del legislatore doveva precludere il riesame del merito della decisione, sia per quanto riguarda il fatto che il diritto. Tuttavia, l'imperfetta formulazione della legge, che non giustifica sufficientemente nemmeno la prima soluzione, ha consentito ad illustri giuristi (F. Carnelutti, N. Jaeger, N. Andrioli, C. Vocino, G. A. Micheli) di sostenere l'impugnabilità del lodo nel caso di errores in procedendo.
L'azione di revocazione, ammessa solo quando non può proporsi impugnazione per nullità, è concessa nel caso di dolo delle parti o dell'arbitro; della falsità delle prove; del rinvenimento di documenti (articoli 831, 395).
La vecchia questione sulla natura dell'eccezione di compromesso (questione la cui utilità pratica risulta oggi notevole, avendo il nuovo codice istituito i due nuovi gravami: quello preventivo del regolamento di giurisdizione dinanzi alle sezioni unite della Cassazione, art. 41, e quello necessario o facoltativo di competenza anche dinanzi alla corte di Cassazione, sez. semplice in camera di consiglio, articoli 42, 46, 47) ha visto riproporre tutte e tre le soluzioni: quella giurisdizionalistica (S. Lessona, N. Jaeger, Sperl), quella contrattualistica (Tamburrino) e quella che considera l'eccezione di compromesso come una vera e propria eccezione d'incompetenza del giudice adito (v. Andrioli, D'Onofrio).
Arbitrato internazionale (p. 995).
L'arbitrato internazionale ha subìto, dal punto di vista della sua elaborazione giuridica, una ulteriore evoluzione.
L'attività dell'arbitro infatti è stata considerata come indipendente dalla volontà degli stati compromittenti o costitutori dell'accordo che deferisce all'arbitro il potere di risolvere la controversia. E ciò in quanto è stata posta in luce la categoria degli organi internazionali, considerati come modi di produzione di attività, in contrapposto agli organi propriamente detti, considerati come strumento di dichiarazione di volontà statuali. Gli organi internazionali hanno questo di caratteristico, di non essere né organi comuni agli stati da cui sono istituiti, né organi di un ente internazionale distinto; ma sono, invece, organi di produzione di attività, le quali sono giuridicamente rilevanti rispetto a due o più stati come fatti giuridici, cioè come fatti a cui sono connessi determinati effetti giuridici. Dietro tali organi non vi sono dei soggetti dei quali essi dichiarino la volontà: essi, invece, sono dei meccanismi che compiono delle attività.
La dottrina più recente ed autorevole annovera, quindi, fra gli organi internazionali sia gli arbitri singoli sia i tribunali arbitrali. Infatti un collegio arbitrale non è né un organo comune degli stati contendenti che lo hanno istituito, né un organo di un ente distinto: è invece un organo che ha la funzione di risolvere una controversia mediante la formazione di una decisione, alla quale una norma di diritto internazionale, esistente fra gli stati contendenti, annette l'efficacia di essere, rispetto a questi stati, la soluzione obbligatoria della controversia a cui si riferisce. Ne consegue ancora che la sentenza, emessa dall'arbitro internazionale, non può considerarsi come dichiarazione di volontà.
L'arbitro è incaricato di formulare un giudizio; e a tale giudizio la norma di diritto processuale vigente tra le parti ricollega determinati effetti giuridici.
Bibl.: G. Bosco, La natura giuridica dell'arbitrato internazionale nella dottrina italiana, in Rivista di diritto internazionale, 1931, p. 490 segg.; G. Balladore Pallieri, La natura giuridica dell'arbitrato internazionale, in Rivista di diritto internazionale, 1929, pag. 328 segg.