Arbitro per le controversie finanziarie
Istituito dalla Commissione nazionale per la società e la borsa, l’Arbitro per le controversie finanziarie (d’ora innanzi: ACF) ricalca sotto molteplici aspetti l’Arbitro bancario finanziario operante con il sostegno della Banca d’Italia. Dopo aver dato conto dei provvedimenti che ne costituiscono il fondamento normativo, il presente lavoro intende analizzare la disciplina del suo funzionamento ed evidenziare le principali differenze tra i due organi.
La l. 28.12.2005, n. 262, di riforma del risparmio, ha contestualmente previsto due sistemi paralleli per la risoluzione delle controversie tra risparmiatori ed investitori ed intermediari operanti nei sistemi, rispettivamente, bancario e finanziario, da istituirsi sotto l’egida della Banca d’Italia e della Consob.
Nel primo ambito è stato istituito l’Arbitro bancario finanziario (ABF), un organismo completamente nuovo rispetto alla tradizione italiana, chiamato a decidere sulle domande dei risparmiatori con provvedimenti, per espressa previsione normativa, assolutamente e radicalmente inidonei a produrre alcun effetto giuridico per le parti, salvo soltanto una sanzione cd. reputazionale, suscettibile di essere irrogata all’intermediario bancario che sia rimasto inadempiente all’eventuale ordine contenuto nella cd. «decisione» dell’ABF.
Nel settore finanziario, invece, in forza del d.lgs. 8.10.2007, n. 179, e del successivo reg. Consob 29.12.2008, veniva data vita alla Camera di conciliazione e di arbitrato presso la Consob, chiamata allo svolgimento delle relative procedure conciliative ed arbitrali.
In modo inaspettato l’esperienza applicativa dei due organi è stata profondamente diversa. Da un lato, l’ABF si è imposto all’attenzione non soltanto degli studiosi del diritto, ma anche dei pratici, venendo investito da un numero sempre crescente di ricorsi (stando alle relazioni annuali dell’ABF, i ricorsi presentati annualmente dal 2010 al 2017 sono stati: 3.409, 3.578, 5.653, 7.862, 11.229, 13.575, 21.645, 30.644), tanto che la Banca d’Italia nel 2016 si è vista costretta a costituire nuovi collegi ABF affianco a quelli inizialmente previsti. Dall’altro lato, nel contempo, la Camera di conciliazione e di arbitrato registrava risultati assai più modesti: il numero delle conciliazioni era molto più limitato e quello degli arbitrati ridotto a poche unità, quando non del tutto assente (stando al rapporto Isdaci del 2015, nel 2014 la Camera aveva gestito 121 procedure di conciliazione e nessun arbitrato).
I differenti risultati dei due istituti possono essere principalmente ascritti: i) alla circostanza che l’accesso alla Camera era rimessa all’esclusiva iniziativa volontaria delle parti, salva soltanto la presenza di clausole contrattuali che facessero rinvio alle procedure amministrate dalla Camera medesima; ii) alla netta superiorità dei costi della conciliazione avanti alla Camera Consob rispetto (non soltanto) a quelli, quasi gratuiti, dell’ABF (ma anche delle procedure di mediazione gestite dagli organismi di mediazione, che potevano comunque essere aditi per assolvere alla condizione di procedibilità della domanda giudiziale ex artt. 5 e 5 bis d.lgs. 4.3.2010, n. 28).
A fronte di questa deludente situazione, allorché si è trattato di recepire in Italia la dir. 21.5.2013, n. 2013/11/Ue, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori (ed anticipando il recepimento della dir. 15.5.2014, n. 2014/65/Ue, cd. MIFID II), in forza della delega legislativa ricevuta dall’art. 8 l. 7.10.2014, n. 154, il Governo, con l’art. 1 bis d.lgs. 6.8.2015, n. 130, ha previsto l’istituzione di un nuovo organismo di risoluzione delle controversie in materia finanziaria.
L’art. 1 bis cit. aggiunge all’art. 2 d.lgs. n. 179/2007, cit.:
1) innanzi tutto, un nuovo co. 5-bis, che stabilisce la doverosità, in capo ai soggetti nei cui confronti la Consob esercita la propria attività di vigilanza (da individuarsi poi più nello specifico con regolamento Consob), dell’adesione ai «sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con gli investitori diversi dai clienti professionali» (in proposito, v., infra, § 2.1);
2) in secondo luogo, un nuovo co. 5-ter, che demanda alla Consob di determinare «con proprio regolamento, nel rispetto dei principi, delle procedure e dei requisiti di cui alla parte v, titolo II-bis del d.lgs. 6.9.2005, n. 206, e successive modificazioni, i criteri di svolgimento delle procedure di risoluzione delle controversie di cui al comma 5-bis nonché i criteri di composizione dell’organo decidente, in modo che risulti assicurata l’imparzialità dello stesso e la rappresentatività dei soggetti interessati» (v., infra, § 1.3).
Non venendo previsto nulla in ordine alla già esistente Camera di conciliazione ed arbitrato presso la Consob, questa era destinata a sopravvivere affianco al nuovo istituendo organismo, finché, assai opportunamente, la legge di stabilità del 2016 (l. 28.12.2015, n. 208, art. 1, co. 47) ha disposto la soppressione della Camera, attraverso l’abrogazione, con decorrenza dall’operatività del nuovo organismo, delle disposizioni del d.lgs. n 179/2007, contenenti la disciplina della Camera.
Per completezza, vale ricordare che, successivamente all’adozione del previsto regolamento Consob, l’intero d.lgs. n. 179/2007 è stato abrogato dal d.lgs. 3.8.2017, n. 129, i cui artt. 2, co. 32, e 10, co. 12, hanno, rispettivamente: da un lato, riprodotto nell’art. 32 ter t.u.f., i co. 5-bis e 5-ter cit.; dall’altro, previsto che, con decorrenza dal 3.1.2018, i riferimenti a questi commi (ormai abrogati) si devono intendere ai co. 1, 2 e 3 dell’art. 32 ter cit.
Da ultimo, l’ACF ha ricevuto un espresso riconoscimento anche dal legislatore ordinario (cfr. l. 21.9.2018, n. 108, di conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 25.7.2018, n. 91), che – in via del tutto eccezionale – ha attribuito alle sue decisioni una particolare e limitata efficacia giuridica (v., infra, § 2.8).
In forza (inizialmente del cit. art. 2, co. 5-bis e 5-ter, d.lgs. n. 179/2007, ora abr., ed attualmente) dell’art. 32 ter t.u.f., la Consob – in applicazione del proprio Regolamento concernente i procedimenti per l’adozione di atti di regolazione generale, ai sensi dell’art. 23 l. n. 262/2005, all’esito di una consultazione pubblica (delibera 5.7.2016, n. 19654) – ha adottato la delibera 4.5.2016, n. 19602, intitolata Istituzione dell’Arbitro per le controversie finanziarie (ACF) e adozione del Regolamento di attuazione dell’art. 2, co. 5-bis e 5-ter, d.lgs. 8.10.2007, n. 179 (pubblicata in G.U. n. 116 del 19.5.2016). La cit. delibera Consob n. 19602/2016, si compone di due parti: la prima, con cui viene prevista l’istituzione dell’ACF e stabilisce che la Camera di conciliazione ed arbitrato rimane in carica per l’amministrazione delle procedure iniziate e non ancora concluse alla data di operatività del nuovo organismo;
la seconda, che detta il regolamento di funzionamento dell’ACF, stabilendone l’ambito di operatività, la struttura e le regole di procedura (d’ora innanzi indicato come reg. ACF).
Questa disciplina è completata dalle seguenti successive delibere Consob del:
1) 8.6.2016, n. 19622, relativa ai Compensi e rimborsi di spese da corrispondere al presidente e ai membri dell’ACF;
2) 3.8.2016, n. 19700, Adozione delle disposizioni organizzative e di funzionamento dell’ACF;
3) 3.8.2016, n. 19701, recante il Codice deontologico per i componenti del collegio dell’ACF;
4) 21.9.2016, n. 19729, di Istituzione dell’Ufficio di Segreteria tecnica dell’Arbitro per le controversie finanziarie;
5) 23.11.2016, n. 19783, che fissa come data di Avvio dell’operatività dell’ACF il 9.1.2017 (art. 1) e stabilisce alcune Disposizioni transitorie (art. 2).
Di conseguenza, la disciplina di dettaglio dell’ACF è interamente dettata da deliberazioni (di rango regolamentare) della Consob, la quale, ai sensi dell’art. 23, co. 3, l. n. 262/2005, almeno ogni tre anni deve sottoporre a revisione periodica l’intera normativa regolamentare, in modo da aggiornarla sulla base non soltanto dell’evoluzione legislativa, ma anche delle esigenze riscontrate a livello applicativo.
sulla base delle norme di diritto positivo che disciplinano il nuovo ACF è possibile procedere ad una sua analisi1.
Ai sensi del vigente art. 32 ter t.u.f., l’ACF è stato istituito quale sistema di Risoluzione stragiudiziale di controversie tra i soggetti sottoposti all’attività di vigilanza della Consob e «gli investitori diversi dai clienti professionali di cui all’articolo 6, commi 2-quinquies e 2-sexies».
Per i primi, ex art. 32 ter, co. 1, l’adesione al sistema ACF (da compiersi nelle modalità stabilite dall’art. 3 reg. ACF) è un obbligo: in mancanza di adesione si applicano le sanzioni pecuniarie amministrative previste dagli artt. 190 o 187 quindecies t.u.f., a seconda, rispettivamente, che si tratti di società ed enti, ovvero di persone fisiche che siano consulenti finanziari autonomi di cui all’art. 18 bis.
Analiticamente, ai sensi dell’art. 2, lett. h), reg. ACF, sono da intendersi come «intermediari», potenzialmente interessati dal procedimento avanti all’ACF:
• i soggetti abilitati di cui all’art. 1, co. 1, lett. r), t.u.f. (cioè «le sim, le imprese di investimento Ue con succursale in Italia, le imprese di paesi terzi autorizzate in Italia, le sgr, le società di gestione Ue con succursale in Italia, le Sicav, le Sicaf, i GeFIA Ue con succursale in Italia, i GeFIA non Ue autorizzati in Italia, i GEFIA non Ue autorizzati in uno stato dell’Ue diverso dall’Italia con succursale in Italia, nonché gli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 t.u.b., le banche italiane e le banche Ue con succursale in Italia autorizzate all’esercizio dei servizi o delle attività di investimento») e la poste Italiane s.p.a., Divisione servizi di Banco posta, «anche con riguardo all’attività svolta per loro conto da parte di consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede» ex art. 31 t.u.f.;
• i consulenti finanziari autonomi e le società di consulenza finanziaria ex artt. 18 bis e 18 ter t.u.f.;
• i gestori di portali per la raccolta di capitali per start-up innovative e PMI innovative ex art. 50 quinquies t.u.f.;
• le imprese di assicurazione limitatamente all’offerta in sottoscrizione e al collocamento di prodotti finanziari ex art. 1, co. 1, lett. w-bis), t.u.f. (cioè le polizze appartenenti ai rami vita III e v, di cui all’art. 2, co. 1, d.lgs. 7.9.2005, n. 209, cd. codice delle assicurazioni private, quali le assicurazioni sulla vita Unit e Index Linked e le operazioni di capitalizzazione; si badi che queste in un futuro non lontano saranno tenute ad aderire altresì al costituendo sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie del settore assicurativo: l’art. 187 ter d.lgs. n. 209/2005, inserito dal d.lgs. 21.5.2018, n. 68, art. 1, co. 34, infatti, fa fermo quanto previsto, ed oggetto di analisi del presente lavoro, dall’art. 32 ter t.u.f., ma nel contempo stabilisce che il nuovo sistema del settore assicurativo avrà ad oggetto tutte le controversie «relative alle prestazioni e ai servizi assicurativi derivanti da tutti i contratti di assicurazione, senza alcuna esclusione»).
L’eventuale sopravvenuta messa in liquidazione coatta amministrativa dell’intermediario resistente non determina l’improcedibilità del ricorso già presentato all’ACF (all’opposto e correlativamente, sono inammissibili i ricorsi proposti nei confronti di soggetti cui è stata revocata l’autorizzazione all’esercizio dell’attività finanziaria)2.
Con particolare riguardo al caso delle quattro banche, cd. vecchie banche, di cui è stata disposta, ex d.lgs. 16.11.2015, n. 180, la l.c.a. con l’azzeramento del relativo capitale sociale e la loro cessione a nuovi soggetti, i cd. enti ponti o nuove banche, l’ACF ha ritenuto sussistente la legittimazione passiva di queste ultime anche in relazione ai ricorsi proposti da investitori in ordine a violazioni compiute dalle vecchie banche3.
Pur essendo tenuti ad aderire al sistema dell’ACF, gli intermediari finanziari sopra elencati non possono promuovere i procedimenti avanti al medesimo: la cd. legittimazione attiva a sottoporre le proprie pretese nei confronti degli intermediari a questo sistema di risoluzione, infatti, è riconosciuta esclusivamente agli «investitori».
tra questi, però, sono esclusi i «clienti professionali di cui all’articolo 6, commi 2-quinquies e 2-sexies», individuati, rispettivamente, dall’all. 3 del Regolamento recante norme di attuazione del d.lgs. 24.2.1998, n. 58 in materia di intermediari (adottato con la delibera Consob 15.2.2018, n. 20307, e pubblicato nel s.o. n. 41 della G.U. del 19.2.2018), ove sono distinti tra «clienti professionali privati» «di diritto» e «su richiesta», e dal d.m. economia e finanza 11.11.2011, n. 236 (pubblicato nella G.U. n. 56 del 7.3.2012), che definisce i «clienti professionali pubblici» «di diritto» e «su richiesta».
Salve queste sole eccezioni, il concetto di «investitore» (cd. retail) deve essere inteso in senso assai ampio, comprendendosi qualsiasi soggetto (a prescindere che sia non soltanto un consumatore, un professionista o un imprenditore, ma anche una persona fisica ovvero perfino giuridica) che ha acquistato uno o più prodotti finanziari da un «intermediario» o si sia avvalso di servizi finanziari prestati da questi.
L’art. 4 del reg. ACF definisce, secondo la sua stessa rubrica, l’Ambito di operatività dell’Arbitro, stabilendo una pluralità di limiti oggettivi.
Non tutte le possibili pretese degli investitori nei confronti degli intermediari possono essere devolute all’ACF: deve, infatti, trattarsi di controversie «relative alla violazione da parte di questi ultimi degli obblighi di diligenza, correttezza, informazione e trasparenza previsti nei confronti degli investitori nell’esercizio delle attività disciplinate nella parte II del TUF» («Disciplina degli intermediari», corrispondente agli artt. da 5 a 60 bis.4), «incluse le controversie transfrontaliere» (definite dall’art. 2, lett. i, del medesimo reg. ACF, come quelle nei cui ambito «l’investitore risiede in uno stato membro dell’Unione europea diversa da quello in cui è stabilito l’intermediario») «e le controversie oggetto del regolamento (Ue) n. 524/2013» (cioè il cd. regolamento sull’ODR per i consumatori).
Esulano dall’ambito di operatività dell’ACF tutte quelle pretese che, pur riguardando dei prodotti finanziari, si fondano principalmente su una doglianza afferente vuoi la prestazione di un rapporto di matrice bancaria (come, ad es., la lamentata mancata disponibilità della liquidità presente sul conto corrente a causa dell’imposizione ad opera dell’intermediario di un blocco operativo sul conto, nella specie per essere cointestato al ricorrente ed al coniuge defunto4), vuoi l’applicazione di normative fiscali, pur se riferite ad investimenti finanziari (eccezione a questo principio è rappresentata dalla contestazione di carenze informative nella prestazione di servizi d’investimento relativamente alla disciplina tributaria applicabile all’investimento proposto5).
Le norme regolamentari (art. 4, co. 2, reg. ACF) stabiliscono poi un particolare limite di valore: astrattamente qualsiasi controversia rientrante nella materia sopra definita può essere sottoposta all’ACF, ma a condizione che venga richiesta all’intermediario la corresponsione di una somma di denaro non superiore a 500.000 euro.
L’art. 4, co. 3, reg. ACF precisa ulteriormente che «sono esclusi dalla cognizione dell’Arbitro i danni che non sono conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento o della violazione da parte dell’intermediario degli obblighi di cui al comma 1 e quelli che non hanno natura patrimoniale». Questa previsione non può essere intesa nel senso restrittivo secondo cui la cognizione dell’ACF sarebbe limitata alle sole domande risarcitorie: in virtù del generale principio dell’atipicità della tutela, è ben possibile anche la proposizione di domande diverse, come di mero accertamento o di condanna volte a ottenere l’adempimento dell’obbligo violato: la competenza dell’ACF, infatti, è definita esclusivamente in funzione della causa petendi della domanda e non del tipo di rimedio richiesto6.
Da ultimo, l’accesso all’ACF risulta limitato per quelle controversie che costituiscano oggetto di altro mezzo istituzionale di tutela.
Il reg. ACF stabilisce discipline differenziate a seconda: sia dell’anteriorità ovvero posteriorità dell’avvio del procedimento avanti all’ACF rispetto alle altre forme di tutela, sia del carattere giurisdizionale o stragiudiziale di queste ultime.
Analiticamente:
• l’art. 10, co. 2, lett. a), pone, tra le altre Condizioni di ricevibilità, quella che «sui medesimi fatti oggetto» del ricorso ACF «non sono pendenti, anche su iniziativa dell’intermediario a cui l’investitore ha aderito, altre procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie»: la circostanza che sia già stato avviato altro procedimento stragiudiziale rende inammissibile la domanda rivolta all’ACF;
• l’art. 13, co. 1, stabilisce che «Il procedimento [avanti all’ACF] è interrotto quando, sui medesimi fatti oggetto del ricorso, vengano avviate, anche su iniziativa dell’intermediario a cui l’investitore abbia aderito, altre procedure di risoluzione extragiudiziale»: l’instaurazione di un altro (e diverso) procedimento stragiudiziale, nella pendenza del procedimento avanti all’ACF, determina la mera interruzione di questo, con la possibilità, ai sensi del successivo co. 2, che – entro 12 mesi dalla dichiarazione di interruzione – una delle parti possa riassumere il procedimento;
• l’art. 13, co. 3, lett. a), prevede l’estinzione del procedimento avanti all’ACF quando «sui medesimi fatti oggetto del ricorso vengono avviati procedimenti arbitrali ovvero procedimenti giurisdizionali e non risulti la dichiarazione di improcedibilità e l’adozione del provvedimento previsto dall’art. 5, co. 1-bis, d.lgs. 4.3.2010, n. 28», cioè del provvedimento del giudice istruttore di fissazione di una nuova udienza successivamente al termine di 3 mesi per consentire l’esaurimento del procedimento stragiudiziale di mediazione. Questa disposizione non trova applicazione ove il ricorso ACF sia stato proposto in un momento successivo all’instaurazione del processo giurisdizionale7, per tale dovendosi intendere, sia un processo arbitrale, sia una qualsiasi tipologia di processo (vuoi a cognizione piena o sommaria ex art. 702 bis c.p.c., vuoi cautelare ex art. 669 bis c.p.c., vuoi di classe ex art. 140 bis c. cons.).
L’ACF è formato da un unico collegio, composto, ai sensi dell’art. 5 reg. ACF: a) da un presidente e da due membri scelti dalla Consob; b) da un membro designato congiuntamente dalle associazioni degli intermediari maggiormente rappresentative a livello nazionale; c) da un membro designato dal Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti, previsto dall’art. 136 c. cons. Nei medesimi modi possono essere nominati uno o più supplenti «chiamati a sostituire i membri effettivi in caso di assenza, impedimento o conflitto di interessi, ovvero in ogni altro caso in cui se ne ravvisi la necessità».
I componenti, che devono essere «di specifica e comprovata competenza ed esperienza, di indiscussa indipendenza e onorabilità», sono individuati tra: avvocati abilitati al patrocinio avanti alle magistrature superiori e dottori commercialisti iscritti nella sezione A) con anzianità di iscrizione di almeno 12 anni; notai con almeno 6 anni di anzianità di servizio; magistrati ordinari in servizio da almeno 12 anni o in quiescenza; magistrati amministrativi e contabili con almeno 6 anni di servizio o in quiescenza; professori universitari in discipline giuridiche o economiche in servizio o in quiescenza; dirigenti dello stato o di Autorità indipendenti con almeno 20 anni di anzianità di servizio.
L’art. 5, co. 2, esclude la possibilità di nominare «coloro che, negli ultimi due anni, presso gli intermediari e le loro associazioni o presso le associazioni di consumatori, hanno ricoperto cariche sociali o hanno svolto attività di lavoro subordinato o comunque operato sulla base di rapporti che ne determinano l’inserimento nell’organizzazione aziendale».
L’art. 6, co. 2, non soltanto esclude la possibilità di nominare nel collegio «dipendenti in servizio della Consob che nei precedenti due anni sono stati preposti o assegnati a unità organizzative con funzioni di vigilanza ovvero sanzionatorie nelle materie di competenza dell’Arbitro», ma anche precisa che «ove sia nominato un componente dipendente della Consob, questi opera con piena autonomia funzionale».
Il collegio è supportato in larga misura da una struttura denominata «segreteria tecnica» che svolge tutte le attività ausiliarie dell’ACF. In termini generali, ai sensi dell’art. 9 reg. ACF, la segreteria tecnica:
i) fornisce assistenza al presidente ed al collegio;
ii) cura gli adempimenti necessari per la costituzione e il funzionamento del collegio e l’ordinato e corretto svolgimento dei procedimenti;
iii) definisce i contenuti del sito web dell’ACF;
iv) cura le attività connesse alla redazione della relazione annuale (l’art. 5 della delibera Consob n. 19700/2016 elenca nel dettaglio le attribuzioni della segreteria tecnica).
Più specificatamente con riguardo allo svolgimento di ciascun procedimento:
i) riceve il ricorso ed ove lo ritenga irricevibile o inammissibile provvede agli adempimenti successivi (v., infra, § 2.5);
ii) riceve dagli intermediari la documentazione;
iii) cura la formazione e conservazione del fascicolo;
iv) predispone una relazione per i componenti del collegio;
v) cura le numerose comunicazioni alle parti per lo svolgimento di ciascun procedimento avanti all’ACF;
vi) assiste alle riunioni del collegio e ne redige verbale;
vii)verifica l’esecuzione delle «decisioni» dell’ACF e in caso di inadempienza dell’intermediario promuove il relativo procedimento sanzionatorio (v., infra, § 2.9).
Il procedimento, ai sensi dell’art. 10, co. 3, reg. ACF, deve necessariamente essere preceduto, a pena d’irricevibilità, da un reclamo preventivo all’intermediario, cioè da qualsiasi comunicazione scritta presentata con modalità che assicurino la certezza della data di ricezione (raccomandata con avviso di ricevimento, fax, e-mail) con cui l’investitore, identificandosi con chiarezza, contesta all’intermediario un comportamento o un’omissione che ritiene ingiusti.
L’investitore insoddisfatto dell’esito del reclamo o che non abbia ricevuto risposta nel termine di 60 giorni può (entro un anno dalla proposizione del reclamo) presentare ricorso all’ABF.
Il ricorso – ex co. 1, art. 10 cit. – può essere proposto dall’investitore vuoi «personalmente», vuoi «per il tramite di un’associazione rappresentativa degli interessi dei consumatori ovvero di procuratore» (cioè, solitamente, cfr., infra, § 3.2, di un avvocato).
In ordine alle modalità di proposizione del ricorso, l’art. 11 reg. ACF rinvia completamente a quelle «rese note attraverso il proprio sito web». A partire dal 9.1.2019 (dopo un periodo transitorio di 2 anni, in cui era possibile la presentazione anche in via cartacea) il ricorso può essere proposto – previa registrazione al sistema informatico dell’ACF per la quale è indispensabile indicare un indirizzo di posta elettronica certificata – esclusivamente on-line, attraverso la compilazione di un modulo elettronico con campi predefiniti ed il caricamento dei documenti che si intendono allegare a dimostrazione delle affermazioni compiute nel ricorso.
Ai sensi dell’art. 18 reg. ACF, l’accesso al procedimento è completamente gratuito per il ricorrente: le relative spese, infatti, sono poste a carico del «Fondo per la tutela stragiudiziale dei risparmiatori e degli investitori», di cui, in precedenza all’abr. art. 8 d.lgs. n. 179/2007, ed ora all’art. 32 ter t.u.f.
La segreteria, ricevuto il ricorso, ne valuta la ricevibilità e l’ammissibilità. Qualora lo ritenga necessario, invita il ricorrente, entro un termine non superiore a 7 giorni, a eventuali integrazioni o chiarimenti. Decorso inutilmente il termine assegnato e nei casi in cui ritiene l’irricevibilità o l’inammissibilità del ricorso, trasmette il ricorso al presidente, affinché questi possa dichiarare l’una o l’altra.
Il ricorso, ove sia ritenuto ricevibile ed ammissibile, è trasmesso dalla segreteria all’intermediario. Questi, nei 30 giorni successivi alla ricezione del ricorso, trasmette «le proprie deduzioni, corredate di tutta la documentazione afferente al rapporto controverso».
Il procedimento è esclusivamente documentale: analogamente a quanto attualmente previsto per il procedimento in camera di consiglio avanti alla Corte di cassazione, non è prevista né l’audizione, né la partecipazione personale delle parti o dei loro rappresentanti alla riunione del collegio.
L’art. 11, co. 5 e 6, reg. ACF disciplina espressamente la possibilità dello svolgimento di un contraddittorio, sempre e soltanto documentale: «il ricorrente può presentare deduzioni integrative, in risposta alle deduzioni dell’intermediario»; «L’intermediario … può replicare alle deduzioni integrative del ricorrente».
I successivi co. 8 e 9 prevedono poi, rispettivamente, la possibilità per il collegio, se ritenuto opportuno, di chiedere alle parti di fornire «ulteriori elementi informativi», e l’obbligo, in caso di rilievo di «una causa di nullità contrattuale», di invitare le parti «a fornire le proprie osservazioni anche al fine di verificare se, nei casi di nullità che può essere fatta valere solo dall’investitore, questi intenda effettivamente valersene».
Salva esclusivamente la previsione del co. 8 immediatamente sopra ricordata, il reg. ACF serba il più completo silenzio in ordine alla possibilità di assumere mezzi di prova su iniziativa vuoi dell’ACF, vuoi delle parti: si deve, tutto al più, ammettere che queste possano produrre documenti idonei a convincere il collegio della veridicità delle proprie affermazioni (ad esempio, al fine della prova della non provenienza della sottoscrizione dell’investitore su un atto relativo alla controversia, l’ACF ha ripetutamente escluso la possibilità di disporre perizie o consulenze grafologiche; si deve, pertanto, ritenere ammissibile depositare la relazione giurata di un perito).
Salvo che il procedimento sia destinato a chiudersi per così dire in rito, cioè sull’inammissibilità o irricevibilità del ricorso, il collegio delibera sulla base della documentazione prodotta dalle parti ed in particolare dall’intermediario, che (come visto, supra, § 2.5) è obbligato a depositare «tutta la documentazione afferente al rapporto controverso».
L’art. 15, co. 2, reg. ACF stabilisce che «spetta all’intermediario la prova di avere assolto agli obblighi di diligenza, correttezza, informazione e trasparenza nei confronti degli investitori». Nonostante l’onere della prova liberatoria sia apertis verbis addossata all’intermediario, da un lato, il ricorrente ha l’onere di allegare precisamente nella propria domanda il lamentato inadempimento delle obbligazioni dell’intermediario, il danno patito e il nesso di causalità tra questo e quello8, dall’altro, l’intermediario, anche ove non ottemperi al dovere di trasmissione della documentazione del rapporto, non è automaticamente soccombente, dovendo l’ACF valutare comunque la documentazione prodotta dal ricorrente, fermo restando che, per evitare di gravare l’intermediario di una sorta di probatio diabolica, le affermazioni dell’investitore richiedono di essere circostanziate da elementi ulteriori9.
Tra le norme di legge più frequentemente applicate nella propria attività dall’ACF, al fine della ricostruzione dei fatti che costituiscono il fondamento della pretesa dell’investitore e delle difese dell’intermediario è l’art. 115 c.p.c., che disciplina il principio di non contestazione e i fatti notori.
Nel deliberare sulla controversia il collegio, esclusa la possibilità di avvalersi dell’equità, deve applicare tutte e soltanto le norme di diritto vigenti: il co. 1, dell’art. 15 cit. richiama espressamente «le norme giuridiche che disciplinano la materia tenendo conto degli atti di carattere generale emanati dalla Consob e dall’AESFEM» (che è l’acronimo di Autorità europea degli strumenti Finanziari e dei Mercati o, in inglese, ESMA, European Securities and Markets Authority), «delle linee guida delle associazioni di categoria validate dalla Consob, dei codici di condotta delle associazioni di categoria ai quali l’intermediario aderisce».
Ove non debba essere resa una pronuncia di rito (irricevibilità o inammissibilità del ricorso, nonché estinzione del procedimento, vuoi, come visto, supra, § 2.3, per essere stati avviati sui medesimi fatti oggetto del ricorso procedimenti arbitrali o giurisdizionali, vuoi per rinuncia espressa del ricorrente), sulla base della ricostruzione documentale dei fatti allegati dalle parti e delle disposizioni di legge applicabili, il collegio respinge o accoglie (in tutto o in parte) la pretesa dell’investitore: in quest’ultimo caso, fissa un termine entro cui l’intermediario è tenuto (oltre che a versare al ricorrente un importo forfettariamente quantificato tra 400 e 600 euro, a seconda dell’ammontare della somma di cui il debitore è stato indicato come debitore) ad adempiere (ove non sia fissato un termine espresso l’intermediario è comunque tenuto ad adempiere entro 30 giorni dalla ricezione della decisione) ed il procedimento prosegue (v., infra, § 2.9).
L’atto con cui il collegio si pronuncia sul ricorso dell’investitore e sulle difese dell’intermediario è indicato dal reg. ACF come «decisione».
Questa espressione è senz’altro adeguata in relazione all’efficacia che produce in relazione all’ordinamento finanziario, nel quale operano tutti gli intermediari sottoposti alla vigilanza Consob (gli intermediari, infatti, ex art. 3, co. 4, lett. b, reg. ACF, sono tenuti ad assicurare «che i reclami» – in ordine ai quali, v., supra, § 2.5 – «vengano valutati anche alla luce degli orientamenti desumibili dalle decisioni assunte dall’Arbitro»), ma deve essere considerata con estrema cautela con riguardo alle parti: l’atto adottato dal collegio, infatti, diversamente da quelli conclusivi di qualsiasi altro procedimento di risoluzione delle controversie (processo giurisdizionale, arbitrato, conciliazione, negoziazione assistita, transazione) difetta di ogni efficacia giuridica vincolante tra le parti.
Come si desume dall’art. 16, co. 2 e 3, reg. ACF (che contempla espressamente l’ipotesi dell’«eventuale avvio di un procedimento giurisdizionale avente ad oggetto i fatti posti a base del ricorso»), è pacifico che le parti conservano la facoltà di ricorrere all’autorità giudiziaria per la tutela dei propri diritti.
Questa (essenziale) peculiarità consente di ricondurre l’ACF nell’ambito dell’ADR di origine americana nota come early neutral evaluation, consistente nella sottoposizione di una controversia ad un terzo imparziale (spesso un magistrato in pensione) che si pronuncia sulla medesima anticipando alle parti l’esito dell’eventuale possibile giudizio, ma senza produrre alcun effetto vincolante per le parti, le quali, quindi, rimangono libere, alternativamente, di tentare comunque la via giudiziale o di porre fine alla lite adempiendo spontaneamente a quanto statuito dal terzo.
In questa prospettiva l’ACF può essere considerato come un “oracolo” che rende un “responso” con cui è anticipato l’esito dell’eventuale giudizio, lasciando le parti libere di scegliere il da farsi.
Questa ricostruzione sistematica consente di comprendere perché tutti gli atti dell’ACF, compresi quelli con cui venga disposta la pubblicità dell’inadempimento (v., infra, § 2.9) sono da ritenere sottratti a qualsiasi rimedio giurisdizionale: posto che ciascuna parte che non sia soddisfatta del responso dell’ACF, può comunque rivolgersi all’autorità giudiziaria per far valere le proprie ragioni relativamente alla controversia, deve concludersi che nessuna delle parti ha un interesse qualificato ad impugnare gli atti propri del procedimento dell’ACF, per essere privi di qualsiasi effetto ed efficacia nelle loro sfere giuridiche.
Quanto precede è da ritenersi rimanere fermo anche in seguito al già accennato (v., supra, § 1.2) intervento legislativo, che – in via del tutto eccezionale – ha attribuito alle decisioni dell’ACF un’autentica efficacia giuridica, ma non tra le parti del procedimento, bensì tra l’investitore che si è visto accogliere almeno parzialmente il ricorso, e lo stato: in particolare, la l. n. 108/2018, nel convertire in legge il d.l. n. 91/2018 (cd. decreto Milleproroghe), tra le altre modifiche introdotte, ha inserito nell’art. 11, il nuovo co. 1-bis, che ha modificato i co. 1106 e 1107 dell’art. 1 l. 27.12.2017, n. 205: in virtù di queste disposizioni, i «risparmiatori che hanno subito un danno ingiusto, riconosciuto con sentenza del giudice, con pronuncia dell’Arbitro per le controversie finanziarie (ACF) o con pronuncia degli arbitri presso la camera arbitrale per i contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture … in ragione della violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza … nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione e al collocamento di strumenti finanziari emessi da banche aventi sede legale in Italia sottoposte ad azione di risoluzione ai sensi del d.lgs. 16.11.2015, n. 180 [Banca delle Marche, Banca popolare dell’etruria e del Lazio, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti], o comunque poste in liquidazione coatta amministrativa, dopo il 16 novembre 2015 e prima della data di entrata in vigore della presente legge [Banca popolare di vicenza e veneto Banca] … possono avanzare istanza alla Consob … al fine di ottenere tempestivamente l’erogazione, nella misura del 30% e con il limite massimo di 100.000 euro, dell’importo liquidato».
Come anticipato (supra, § 2.7), qualora il ricorso dell’investitore sia stato (anche soltanto in parte) accolto, il procedimento non si conclude con la comunicazione della decisione: l’intermediario, infatti, ai sensi dell’art. 16, co. 1, reg. ACF, ha onere di comunicare alla segreteria «gli atti realizzati al fine di conformarsi alla decisione, entro il termine previsto».
Secondo quanto previsto dal successivo co. 2, «Quando vi è il sospetto … che l’intermediario non abbia eseguito la decisione, la segreteria invita le parti a fornire chiarimenti nel termine di 30 giorni, chiedendo anche notizie sull’eventuale avvio di un procedimento giurisdizionale avente ad oggetto i fatti posti a base del ricorso. La segreteria, sulla base delle informazioni e dei documenti acquisiti, redige una apposita relazione per il collegio».
Ove il collegio accerti «La mancata esecuzione, anche parziale, della decisione da parte dell’intermediario», applica la cd. sanzione reputazionale: in virtù del co. 3, infatti, la mancata esecuzione «è resa nota mediante pubblicazione sul sito web dell’Arbitro e, a cura e spese dell’intermediario inadempiente, su due quotidiani a diffusione nazionale, di cui uno economico, e sulla pagina iniziale del sito web dell’intermediario per una durata di 6 mesi».
Atteso, come già chiarito (v., supra, § 2.8) che la decisione dell’ACF non preclude la possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria, a margine della notizia della mancata esecuzione, in ogni momento, su istanza dell’intermediario, può essere indicato «l’avvio di un procedimento giurisdizionale avente ad oggetto i fatti posti a base del ricorso o sul suo esito».
Qualora la decisione sia affetta da errori materiali le parti possono chiederne la correzione. Questo rimedio, ai sensi dell’art. 17 reg. ACF – diversamente da quanto previsto in sede giurisdizionale, ove è esperibile senza alcun limite temporale – può essere richiesto da ciascuna parte entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione.
Una valutazione dell’ACF All’esito dell’analisi svolta della disciplina dell’ACF è ora possibile individuarne i tratti salienti e cercare di compierne una valutazione complessiva.
Questo sistema di risoluzione stragiudiziale delle controversie appare configurato da vicino sul modello dell’ABF che, come già ricordato (supra, § 1.1), va riscuotendo un crescente successo applicativo.
L’ACF – al pari del sistema di risoluzione stragiudiziale costituito dalla Banca d’Italia – rappresenta un rimedio per la generalità degli investitori (v., supra, § 2.1) caratterizzato da: a) economicità e piena accessibilità; b) semplicità (specie per il ricorrente) e speditezza del procedimento (cfr., supra, § 2.5); c) autorevolezza, professionalità ed affidabilità non soltanto delle persone singole che compongono il collegio, ma anche dell’intero organo chiamato a pronunciarsi sulla controversia (non soltanto a ragione della garanzia della rappresentatività, dei requisiti per la nomina, ma anche semplicemente del numero di membri da cui è formato il collegio, pari a quello della Corte di cassazione, v., supra, § 2.4); d) essenziale incapacità delle pronunce dell’ACF di produrre effetti diretti nelle sfere giuridiche delle parti, salva soltanto l’efficacia coercitiva della sanzione reputazionale (e, in via del tutto eccezionale, l’efficacia di titolo per accedere al Fondo per la tutela stragiudiziale dei risparmiatori e degli investitori: cfr., supra, rispettivamente, §§ 2.8 e 2.9).
Inoltre, le decisioni dell’ACF, in una prospettiva generale, assolvono alla funzione di continua integrazione della disciplina relativa agli obblighi di diligenza, correttezza, informazione e trasparenza incombenti sugli intermediari finanziari, contribuiscono all’attività di supervisione del sistema finanziario e, contestualmente, si inseriscono in un circolo virtuoso, in cui i medesimi sono rivolti ad accrescere la trasparenza nell’esercizio dell’attività finanziaria, a diminuire le asimmetrie informative tra intermediari ed investitori, ad aumentare la fiducia della clientela negli intermediari, nonché a stimolare la competitività tra gli intermediari a tenere condotte conformi a questi canoni.
Nonostante questi molti punti di contatto, l’ACF si differenza rispetto all’ABF per alcuni significativi elementi.
Innanzi tutto si palesa che per l’ACF è previsto un unico collegio giudicante a composizione fissa, contro gli attuali sette collegi dell’ABF a composizione variabile a seconda che il cliente ricorrente sia un consumatore o un professionista.
In secondo luogo, balza all’occhio che il limite massimo di valore della pretesa che può essere fatta valere dall’investitore è ben cinque volte superiore a quello che può essere vantato dal cliente bancario: come indicato (supra, § 2.2), infatti, l’ACF può pronunciare condanne a carico degli intermediari fino a 500.000 (anziché 100.000) euro. La ratio di questa differenza può essere individuata, tra l’altro, nella circostanza che solitamente le controversie rientranti nella competenza dell’ACF sono maggiormente rilevanti, per avere ad oggetto le perdite subite in investimenti finanziari, fino all’intero capitale investito.
Altro carattere distintivo dell’ACF che non pare poter essere sottaciuto, specie a fronte della possibilità di invocare un ristoro economico – come appena ricordato – tanto consistente, è costituito dall’indicata (v., supra, § 2.5) assoluta gratuità dell’accesso al rimedio stragiudiziale: diversamente per accedere all’ABF è richiesto il pagamento di un contributo (di 20 euro) assai modesto e del tutto incapace di ricoprire le spese di funzionamento del sistema di risoluzione delle controversie, ma idoneo a fungere da deterrente dalla proposizione di domande futili e consapevolmente inconsistenti.
Da ultimo, vale osservare che gli intermediari soggetti a vigilanza della Consob ed obbligati ad aderire al sistema di risoluzione stragiudiziale dell’ACF sono assai più numerosi ed eterogenei rispetto a quelli soggetti alla vigilanza della Banca d’Italia e che aderiscono all’ABF.
Altri aspetti condivisi dall’ACF e dall’ABF sono la pubblicità e il costante monitoraggio dell’attività svolta: nei rispettivi siti web, infatti, sono pubblicate sia (man mano che vengono adottate) tutte le decisioni e le (eventuali) sanzioni reputazionali (v., supra, § 2.9), sia le relazioni annuali. si tratta di aspetti – specie in confronto con gli organi giurisdizionali – tutt’altro che irrilevanti, atteso che consentono di avere immediatamente e facilmente un quadro completo e sempre aggiornato del concreto funzionamento di questi organi.
poiché l’ACF ha iniziato ad operare soltanto dal 9.1.2017, la relazione relativa all’anno 2017, ad oggi, è l’unica disponibile. sulla base dei dati emergenti da questa pare possibile verificare se e in che misura le differenze normative tra ACF ed ABF sopra evidenziate trovino concreta applicazione.
Nell’arco del 2017 sono stati presentati complessivamente 1.839 ricorsi.
Come anticipato, la scelta della Consob di istituire l’ACF in un unico collegio appare – almeno astrattamente – proporzionata ai carichi pendenti dell’ABF (avanti al quale nel 2017 sono stati presentati 30.644 ricorsi, pari, in media, a 4.377 ricorsi per collegio).
Considerato, peraltro, che, da un lato, verosimilmente, il numero delle pendenze dell’ACF è destinato a crescere con il diffondersi della conoscenza dello strumento e che, dall’altro lato, la disciplina del procedimento dell’ACF pone come tempo standard per la conclusione di un procedimento 180 giorni (termine già superato nel 2017: stando alla relazione, infatti, in media la trattazione di ciascun procedimento è stata pari a 195 giorni), pare assai opportuno prevedere un incremento dell’organico, attraverso non necessariamente la costituzione di una pluralità di collegi territorialmente distinti, ma anche semplicemente la nomina di un maggior numero di membri supplenti.
esaminando più nel dettaglio il valore delle domande avanzate all’ACF, emerge che tra i 1.839 ricorsi complessivamente proposti nel 2017, ben 223 recavano la richiesta di un importo eccedente i 100.000 euro. Il dato pare confermare la ragionevolezza ed opportunità della previsione di indicare un limite economico maggiore a quello stabilito per l’ABF.
Sempre considerando i 1.839 ricorsi presentati all’ACF nel corso del 2017, nella relazione è evidenziato come 1.050 (pari al 57%) fossero stati proposti dall’interessato, non direttamente, bensì avvalendosi di un «procuratore». tra questi, nell’88% dei casi si è trattato di un avvocato, nel 5,9% di un’associazione di consumatori e nel restante 6,1% dei casi di altri soggetti.
Questi dati statistici, tra l’altro, paiono dimostrare che nella maggior parte dei casi non vi è necessità della deterrenza del pagamento di un contributo economico per l’accesso al sistema di risoluzione stragiudiziale.
Da ultimo, con riguardo all’indicata maggiore eterogeneità degli intermediari soggetti a vigilanza della Consob, vale segnalare che dei 1.839 ricorsi proposti all’ACF, la stragrande maggioranza è rivolta nei confronti di una sola categoria di intermediari finanziari: più nel dettaglio, tra i 1.469 ricorsi che nel 2017 hanno superato il vaglio preliminare di ricevibilità ed ammissibilità (v., supra, § 2.5), 1.382 (pari al 94,1%) erano contro banche autorizzate alla prestazione dei servizi di investimento. La potenziale maggiore varietà di soggetti coinvolti dal sistema di risoluzione delle controversie sembra non trovare concreto riscontro sul piano dell’applicazione pratica.
1 A ragione della novità dell’istituto, non constano al momento studi approfonditi e sistematici sull’ACF; i pochi contributi editi sul tema sono: Dolmetta, A.A., Malvagna, U., Sul nuovo «ADR CONSOB», in Banca borsa, 2016, I, 251 ss.; stella, M., Lineamenti degli Arbitri Bancari e Finanziari (in Italia e in Europa), Padova, 2016, 395 ss.; Mirra, A., I sistemi di Alternative Dispute Resolution trovano nuovo vigore: il recepimento della Direttiva ADR e l’introduzione del nuovo «Arbitro per le Controversie Finanziarie», in Riv. arbitrato, 2016, 693 ss.; soldati, N., L’Arbitro per le Controversie Finanziarie presso la CONSOB (ACF), in Contratti, 2016, 1056 ss.; Fachechi, A., La gestione delle controversie finanziarie: il nuovo ACF, in Foro nap., 2017, 377 ss.; Percoco, G., Le procedure di ADR nel settore finanziario: dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato presso la CONSOB all’Arbitro per le Controversie Finanziarie, in Riv. arbitrato, 2017, 191; Guizzi, G., Un anno di ACF tra risultati raggiunti e qualche incognita, in Corr. giur., 2018, 5 ss.
2 Cfr. decisioni ACF, 18.7.2017, n. 22, 22.3.2018, n. 347, e 1.6.2018, n. 510.
3 V., ex multis, decisione ACF, 9.1.2018, n. 165.
4 V. decisione ACF, 11.5.2018, n. 431.
5 Così decisioni ACF, 23.6.2017, n. 8, 12.10.2017, n. 78, 29.11.2017, n. 135.
6 Cfr. decisione ACF, 6.10.2017, n. 75.
7 Così decisione ACF, 24.1.2018, n. 214.
8 Decisione ACF, 1.6.2018, n. 510.
9 Decisione ACF, 16.10.2017, n. 85.