ARCA DELL'ALLEANZA
. Era l'oggetto più sacro e uno dei più antichi della religione israelitica.
I. Nome. - Il sostantivo ebraico 'ārōn è usato nella Bibbia per designare un'"arca" o "cassa" profana, destinata o a custodire una mummia (Genesi, L, 26; lo stesso uso ha il vocabolo anche in fenicio) o a raccogliere danaro (IV [II] Re, XII, 10-11): fuori di questi soli casi indica sempre il suddetto oggetto sacro, e in tal caso il sostantivo è usato o solo, quando il contesto ne indica chiaramente il riferimento, ovvero con alcune specificazioni quali Arca di Jahvè, Arca di Dio, Arca della testimonianza, Arca del patto o dell'alleanza, ecc. I Settanta traducono ή κιβωψός; la Vulgata arca, con le specificazioni accennate
II. Descrizione e significato. - Secondo molti critici moderni la principale descrizione dell'Arca, che si trova in Esodo XXV, 10 segg. (cfr. XXXVII, 1 segg.), dipenderebbe dal Codice Sacerdotale, cioè dal più recente dei quattro principali documenti incorporati nel Pentateuco. Altri accenni poi, sparsi qua e là nel Pentateuco e nei libri storici, secondo gli stessi critici provengono da documenti più antichi; ma sono anche più scarsi di elementi descrittivi. Dall'insieme delle testimonianze risulta quanto segue.
L'Arca consisteva essenzialmente in una cassa di legno d'acacia, lunga cubiti 2½ e alta cubiti 1½: se si suppone impiegato il cubito minore - com'è più probabile - equivalendo esso a circa m. o,45, abbiamo la lunghezza di circa m.1,12 e la larghezza di circa m. 0,67. All'interno e all'esterno il legno della cassa era ricoperto dì oro puro, applicatovi probabilmente in forma di sfoglie o sottili lamine: una specie di orlatura a forma di ghirlanda, egualmente d'oro, ne ricingeva la parte superiore. Ai quattro piedi dell'Arca erano apposti quattro anelli d'oro, due per ogni fianco: attraverso ad essi passavano due stanghe di legno d'acacia, ricoperte parimente d'oro, che servivano per il trasporto dell'Arca; ciò nonostante era prescritto che tali stanghe rimanessero dentro gli anelli anche quando l'Arca era in sede (anche nel Tempio di Gerusalemme, secondo III [I] Re, VIII, 8; tuttavia cfr. Numeri, IV, 6).
Poggiato sulla cassa, ma distinto da essa, stava il propiziatorio, che era un oggetto (probabilmente una semplice lastra) di oro puro dai contorni rettangolari ed esattamente corrispondenti a quelli della cassa; l'orlatura a forma di ghirlanda, ch'era nella parte superiore della cassa, doveva forse servire da incastro al propiziatorio, affinché questo non si spostasse durante i viaggi dell'Arca. Il nome ebraico del propiziatorio è kapporeth, reso dai Settanta quasi sempre con ἰλαστήριον (cfr. Ebrei, IX, 5) e dalla Vulgata con propitiatorium, mentre in Filone, Giuseppe Flavio e un paio di volte nei Settanta lo troviamo tradotto con ἐπίδημα: la prima traduzione cioè lo deriva dalla forma "pi‛el" della radice kpr, col senso di "espiare (un peccato)" ed è quindi preferita dai moderni come molto più probabile; la seconda invece, derivandolo da un supposto primitivo senso della stessa radice "coprire", porta ad attribuire al nome il significato di "coperchio", che non sembra essere il preciso scopo del propiziatorio rispetto alla cassa dell'Arca.
Ai due lati sopra il propiziatorio erano due simboliche figure di Cherubi (cherubini), di oro puro e formanti tutt'un pezzo col propiziatorio; essi erano rivolti l'uno verso l'altro e muniti di ali stese in alto e adombranti il propiziatorio, verso il quale erano anche'inclinate le facce delle due figure. Di che forma fossero queste figure, se umana o beluina o mista, non è accennato in alcun passo della Bibbia: alcuni moderni le ritengono di forma beluina, secondo i canoni dell'arte babilonese che usava rappresentare analoghi genî con forme simboliche almeno parzialmente beluine (corpo di toro, o di leone, ecc. munito d'ali); altri, avendo più opportunamente l'occhio ai monumenti di Egitto, e tenendo conto del profondo influsso che la civiltà egiziana esercitò sulla Palestina e sugli Ebrei antichissimi, le credono di forma umana, eretta o inginocchiata, come è mostrata da quei monumenti.
Nell'interno dell'Arca era contenuta la Testimonianza, cioè le due tavole della Legge. Secondo III [I] Re, VIII, 9 non era, ivi dentro, null'altro che queste tavole; in Ebrei, IX, 4 invece si afferma che vi era (ἐν ᾗ è da riferirsi certamente al precedente τὴν κιβωτόν, cfr. vers. 5; altri interpretano "accanto") un vaso d'oro contenente la manna e la verga fiorita d'Aronne: le quali due cose, secondo Esodo, XVI, 33-34, Numeri, XVII, 25-26 (10-11), stavano invece al di fuori, davanti all'Arca.
L'Arca era per gl'Israeliti il centro del culto divino. Secondo la Bibbia il propiziatorio, e più esattamente lo spazio fra le ali dei due Cherubi, era il luogo ove era assiso Jahvè Dio (I Re [Samuele], IV, 4; II Re [Sam.], VI, 2, ecc.); ivi Dio appariva nella nube (Levitico XVI, 2) e parlava a Mosè (Esodo XXV, 22; Num. VII, 89), Aronne; Giosuè, ecc. In altri passi l'Arca è detta lo sgabello dei piedi di Dio: I Cron., XVIII, 2; cfr. Salmi XCIX, 5; CXXXII, 7.
Analoghe forme di arche religiose sono state ritrovate presso i due grandi popoli dell'antichità da cui gli Ebrei desunsero la massima parte delle loro istituzioni civili, cioè i Babilonesi e gli Egiziani. Sotto l'aspetto architettonico, l'arca babilonese mostra scarsa affinità, avendo piuttosto la forma di seggio o trono. L'egiziana invece rivela una stretta parentela con l'Arca israelitica, e se ne può a buon diritto considerare come il prototipo: essa consisteva in un prezioso cofano o tempietto (ναός), delle dimensioni più o meno dell'Arca, nel cui interno era riposta qualche statuetta o altro oggetto sacro (come nell'Arca le tavole della Legge), e sul cui esterno erano spesso raffigurati genî con alì spiegate, come sull'Arca i Cherubi. Anche l'arca egiziana era portata in processione, per mezzo di stanghe, dai sacerdoti, come presso gli Ebrei l'Arca dai Leviti (Deuteronomio, XXXI, 9, 25): tuttavia quella non era posta, per lo più, direttamente sulle stanghe, bensì sulla barca sacra o bari che serviva come da portantina.
Dai ritrovamenti archeologici più recenti è stata recata molta luce sul significato simbolico dell'Arca, specialmente in quanto composta di due parti, la cassa in basso e il propiziatorio sopra. Si è infatti assodato che era diffusa la costumanza, sia in Babilonia sia in Siria (Hittiti) e in Egitto, di deporre sotto i piedi di qualche statua di divinità nel suo tempio i testi di trattati di alleanza, amicizia, ecc., stretti fra re o nazioni, quasi per rendere il dio mallevadore o testimonio della bilaterale osservanza. Questa costumanza si troverebbe osservata esattamente nell'Arca. Jahvè infatti, Dio degl'Israeliti, era assiso sui Cherubi del propiziatorio: sotto i suoi piedi, dentro la cassa, era stato deposto il testo dell'alleanza per cui Jahvè era diventato il Dio della nazione, cioè le tavole della Legge. Donde il nome di Arca dell'Alleanza ('ārōn ha-bĕrīth).
III. Storia. - Da Esodo XXXV, 30 segg., XXXVII, 1 segg. risulta che l'Arca fu costruita da un artefice della tribù di Giuda, di nome Bezaleel, nei primi mesi dopo l'uscita degli Ebrei dall'Egitto: questa circostanza di tempo spiegherebbe bene la dipendenza della concezione artistica dell'Arca da forme egiziane. Fu quindi inaugurata da Mosè nel Tabernacolo dell'accampamento, e da quel giorno in poi essa fu sempre trasportata dagl'Israeliti nelle loro peregrinazioni attraverso il deserto. Prima dei viaggi l'Arca veniva ricoperta col velo che stava steso all'entrata del Tabernacolo, sopra di esso si poneva un involucro di pelli speciali, e il tutto infine veniva ricoperto da un panno azzurro; essa apriva la marcia, precedendo tutto il popolo; la sua presenza era particolarmente necessaria nei fatti d'arme contro popoli nemici.
Conquistata la Palestina, l'Arca fu deposta stabilmente a Silo (Giosuè, XVIII, 1) nel territorio della tribù di Efraim, cioè quasi nel centro della regione conquistata; tuttavia anche dopo, in casi eccezionali, specialmente in vista d'importanti battaglie, veniva tolta di là e recata sul posto. Così avvenne che, alla fine della giudicatura di Eli, l'Arca fu recata all'accampamento degli Ebrei per l'imminente battaglia contro i Filistei; se non che costoro, vincitori, s'impadronirono dell'Arca e la collocarono come trofeo nel tempio del loro Dio Dagon in Ašdod. Restituita spontaneamente dopo sette mesi, rimase per venti anni a Cariath-iarim (Qirjath-jearim); quindi David, che aveva fatto da poco Gerusalemme capitale politica, vi trasportò l'Arca per assicurare alla città anche la supremazia religiosa: ivi fu deposta "nel padiglione che David le aveva preparato" (II Re [Sam.], VI, 17). Edificato infine il Tempio di Gerusalemme da Salomone, l'Arca fu depositata nella sua parte più interna, chiamata Santo dei Santi (o dĕbhīr): ivì rimase definitivamente, preclusa dallo sguardo di tutti i mortali, salvo che del Gran Sacerdote, il quale un sol giorno dell'anno, nella festa della Propiziazione (Kippurīm), poteva entrare nel Santo dei Santi e contemplarla.
Quale fosse la fine dell'Arca, non è detto esplicitamente dalla Bibbia. Secondo II Cronache, XXXV, 3 essa esisteva ancora nel Tempio sotto il re Giosia: si è anzi pensato che questo re la facesse riporre nel Santo dei Santi, donde l'avrebbe rimossa il precedente re Manasse per collocarvi l'idolo di Ascera (IV [II] Re, XXI, 7; II Cron., XXXIII, 7). Essa è nominata ancora in Geremia, III, 16 ma non si può concludere con sicurezza che se ne parli come di oggetto ancora esistente. Molti quindi stimano che andasse perduta nel 586 a. C., quando Nabucodonosor prese e distrusse Gerusallemme e il Tempio (cfr. l'apocrifo II [IV] Esdra, X, 22); tuttavia non è improbabile che l'Arca si perdesse anche prima, cioè nella prima depredazione che lo stesso Nabucodonosor fece di Gerusalemme nel 597 a. C. Certo è che nel Tempio ricostruito da Zorobabel dopo l'esilio, il Santo dei Santi non conteneva più l'Arca, ma solo una pietra alta tre dita che ricordava l'antico posto dell'Arca; per il resto era vuoto (cfr. Tacito, Hist., V, 9: inania arcana). Nell'epistola dei Giudei palestinesi a quelli egiziani, contenuta in II Maccabei, è riportata (II, 1 segg.) una leggenda popolare secondo cui l'Arca durante la catastrofe di Gerusalemme sarebbe stata salvata da Geremia e nascosta in una spelonca del monte Nebo, il qual luogo dovrebbe restare ignoto sino al risorgimento della nazione ebraica (v. anche ebrei: religione, ebrei: storia).
Bibl.: Oltre ai Commenti all'Esodo (v. bibbia), e ai varî trattati di archeologia biblica, cfr.: Dibelius, Die Lade Jahves, Gottinga 1906; Orfali, De arca foederis, Parigi 1918; Torczyner, Die Bunderslade u. die Anfänge der Religion Israels, Berlino 1922.