ARCA DELL'ALLEANZA
Oggetto sacro degli Israeliti, centro del culto divino, costruito in legno d'acacia rivestito di lamine d'oro e destinato a contenere le tavole della Legge.L'evocazione visiva dell'a. dell'alleanza compare in due contesti distinti: composizioni simboliche e illustrazioni narrative di passaggi biblici. Tale distinzione è da considerarsi valida sia per l'arte ebraica, dove l'immagine dell'a. si trova per lo più in composizioni simboliche, sia per l'arte cristiana, nella quale sono invece più frequenti le illustrazioni narrative. Le immagini dell'a. compaiono in quelle rappresentazioni che illustrano i passi veterotestamentari relativi a: la costruzione e la consacrazione del tabernacolo-a. (Es. 25, 37, 40) e la migrazione nel deserto (Nm. 10, 33-35), il passaggio del Giordano (Gs. 3, 3-6, 11-17), la presa di Gerico (Gs. 6, 4), la battaglia contro i Filistei e la conquista dell'a. (1 Sam. 4, 3-1; 5, 2) e, quindi, la sua restituzione (1 Sam. 7, 1), Davide che installa l'a. a Gerusalemme (2 Sam. 6, 12-17), la consacrazione del Tempio di Salomone e la collocazione dell'a. nel santuario (1 Re 6, 19). Nessuna citazione dell'a. si trova nella Bibbia a partire dalla conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor, nel 586 avanti Cristo. Secondo la tradizione rabbinica l'a. sarebbe stata nascosta (Talmūd bablī, Yōmā, 52 b) o portata in esilio (ivi, 53 b). Secondo 2 Mac. 2, 4-5, il profeta Geremia l'avrebbe nascosta in una grotta del monte Nebo, leggenda ripresa nell'Apocalisse di Baruch (6, 7-10) e nella versione greca della Vita dei Profeti (The lives of the Prophets, a cura di C. C. Torrey, Philadelphia 1946, p. 36).I termini ebraici che indicano l'a. dell'alleanza, la cui influenza lasciò traccia nelle rappresentazioni visive, sono 'ărōn ha-῾edūt 'a. della testimonianza' (Es. 25, 22), 'ărōn ha-bĕrit 'a. dell'alleanza' (Nm. 10, 35; Gs. 4, 18; 1 Sam. 4, 5; 1 Re 8, 6), 'ărōn ha-'ĕlohīmo (1 Sam. 4, 3; 2 Sam. 6, 3), 'ărōn YHWH 'a. del Signore' (1 Sam. 6, 8), 'ărōn ha-qodesh 'a. santa' (2 Cr. 35, 3). Il Talmūd babilonese usa il termine 'ărōn, senza alcuna altra specificazione, per indicare sia l'a. sia l'armadio che contiene i rotoli della Tōrāh, chiamato tēvāh nella Mishnāh. La prima rappresentazione dell'a. compare in un tetradramma d'argento di Bar Kōkhbā, coniato nel 134 d.C., ultimo anno della rivolta giudaica contro i Romani. Simbolo della volontà di una restaurazione nazionale e religiosa, l'immagine rappresenta il Tempio di Gerusalemme come un edificio tetrastilo, sovrastato da un cornicione senza frontone triangolare. La costruzione presenta al centro una apertura entro la quale l'a. è raffigurata come un mobile di forma cubica, poggiante su piedi, sormontato da una doppia arcata - il propiziatorio - mentre due anelli sporgono ai lati a indicare il punto ove venivano inserite le stanghe per il trasporto. Questa raffigurazione dell'a. è la prima di una lunga tradizione, fedelmente ripresa nelle rappresentazioni simboliche e poi in quelle narrative. Le immagini cronologicamente più vicine sono l'a. scolpita su un architrave della sinagoga di Cafarnao, del sec. 3°, e soprattutto quella dipinta sull'estradosso del ciborio che sormonta la nicchia della Tōrāh nella sinagoga di Dura-Europos (Kraeling, 1956, tav. LI); poiché l'immagine fa parte della decorazione della prima sinagoga di Dura, è databile alla fine del 2° secolo.L'a. figura più volte nei dipinti a carattere narrativo che decorano la sala di preghiera di Dura (245 d.C.) e si ritrova, con la medesima iconografia, nella scena della porta aperta del Tempio di Aronne (Kraeling, 1956, tav. LX), nonché nella rappresentazione della battaglia di Eben-Ezer (Kraeling, 1956, tav. LIV) e della restituzione dell'a. (1 Sam. 5, 2-7) che i Filistei avevano portato nel tempio di Dagon (Kraeling, 1956, tav. LVI). L'a. appare anche ai piedi di uno dei quattro personaggi che affiancano l'immagine messianica al centro della sala (Kraeling, 1956, tav. LXXVII). L'identificazione del personaggio è ancora controversa: secondo alcuni si tratterebbe di Giosìa, secondo altri di Esdra; una recente ipotesi propone il nome del profeta Geremia (Kessler, 1987) che, secondo una leggenda, era direttamente legato alla scomparsa dell'arca. Queste quattro immagini di Dura sono le sole illustrazioni ebraiche a carattere narrativo che contengano l'immagine dell'a.: essa è sempre raffigurata come un mobile cubico, sormontato da un coperchio arrotondato alla sommità.Tale iconografia venne sostituita da una nuova rappresentazione, testimoniata nell'arte funeraria a partire dai secc. 3°-4°, costituita da un'a.-armadio, raffigurata a porte aperte e contenente rotoli di pergamena allineati su due file sovrapposte. L'a.-armadio è affiancata su ogni lato da un candelabro a sette bracci e da diversi oggetti di culto: vaso per abluzioni, shōfar (corno di montone), lūlav (ramo di palma), etrōg (cedro). Questa composizione compariva sulle pietre tombali (Israele, catacombe di Bēt Shĕ'ārīm, sec. 4°; Roma, catacombe ebraiche di Monteverde, sec. 4°), decorava il fondo degli arcosoli (Roma, catacombe ebraiche di villa Torlonia, sec. 3°) e i vetri dipinti e dorati, deposti presso le sepolture, sui quali l'a.-armadio è talvolta affiancata da leoni che fungono da guardiani. La sostituzione del nuovo simbolo (l'a.-armadio che racchiude i rotoli della Legge, veicolo della parola divina) a quello originario (l'a. costruita secondo le istruzioni di Dio e luogo della Divina Presenza, che da questo 'luogo' si rivolgeva al popolo) è stata consacrata dalla terminologia: ᾽ărōn è infatti la definizione usata di norma per entrambe. L'a.-armadio, affiancata da due candelabri simmetrici e circondata da diversi oggetti di culto, divenne, tra i secc. 4° e 6°, motivo decorativo caratteristico dei mosaici pavimentali delle sinagoghe della Galilea. Gli esempi meglio conservati si trovano a Hammath, presso Tiberiade (sec. 4°), Susiyya (sec. 5°), - Bēt Shĕ'ān (sec. 5°), Bēt Alfā (sec. 6°; Sukenik, 1934, pp. 15, 125). A Hammath e a Bēt Alfā il pannello che rappresenta i sacra è la terza parte di un grande complesso simbolico tripartito che copre interamente il pavimento della navata centrale: lo scomparto mediano propone l'immagine del cosmo - lo zodiaco, il carro del sole, le quattro stagioni - e quella vicino all'ingresso un tema biblico (per es. il sacrificio di Isacco a Bēt Alfā).Questa tradizione iconografica è ripresa nei manoscritti biblici medievali, ma con modifiche di contenuto e forma imputabili alla diversa tecnica artistica e all'influsso delle correnti esegetiche medievali. L'oggetto evocato torna a essere l'a. dell'alleanza non come a.-armadio, né come a. del deserto, bensì come a. del tempio futuro, che verrà ricostruito in epoca messianica e di cui parlano i commenti di Shĕlōmō ben Yiṣhaq (noto con il nome di Rashī, 1040-1105) e di Maimonide (1135-1204). Il più antico esemplare conservato, un foglio proveniente da un codice eseguito in Egitto nel sec. 10° (Leningrado, Saltykov-Ščedrin, II, 17), presenta una pianta del tabernacolo con l'a. e diversi oggetti già appartenenti al Tempio di Salomone (per es. le due colonne Iachin e Boaz). Trasferita in Spagna, questa tipologia compositiva, estesa a una doppia pagina fuori testo, divenne una costante tradizionale dei codici biblici ivi prodotti. Nelle prime testimonianze (Parma, Bibl. Palatina, 2887; Parigi, BN, hébr. 7), elementi stilistici - bidimensionalità, uso esclusivo dell'oro, ripartizione geometrica degli oggetti - attestano la provenienza orientale della tradizione; l'a. è rappresentata come una cornice rettangolare che contiene, esponendole alla vista, le tavole di pietra con l'incipit dei dieci comandamenti. Nel corso del sec. 14° le raffigurazioni si fanno via via più ricche adattandosi allo stile gotico e inserendo inoltre un nuovo elemento iconografico, il monte degli Ulivi (dal quale il Messia si avvia verso Gerusalemme), che esprime chiaramente l'inflessione semantica del simbolo, senza che la forma dell'a. ne risulti modificata.Un manoscritto ebraico del 1280 ca., eseguito nella Francia settentrionale (Londra, BL, Add. Ms 11639) e contenente una raccolta di scritti diversi accompagnati da pitture con temi biblici fuori testo, presenta un'eccezionale raffigurazione a piena pagina dell'a., presentata tra due cherubini (c. 522r) in forma di cassa rettangolare sormontata da un propiziatorio piatto, secondo tradizioni iconografiche cristiane.L'a.-armadio si trova rappresentata in alcune pitture a carattere descrittivo, in cui appaiono i fedeli riuniti nella sinagoga (per es. nel Haggādāh di Sarajevo, Zemaljski muz. Bosne i Hercegovine, cc. 32r e 34r).La reintegrazione cristiana del simbolo dell'a. si annuncia a partire da s. Paolo (Eb. 9, 1-11): il tabernacolo è l'immagine del santuario celeste, mentre l'a. rappresenta il corpo di Cristo. Gli scritti dei Padri della Chiesa paragonano l'a. alla Chiesa, i cherubini ai due Testamenti, i quattro anelli che servono a portarla agli evangelisti (Agostino, Quaest. Ex.; Gregorio Magno, XXV Homilia in Evangelia, PL, LXXVI, col. 1191). I Padri orientali dei secc. 3° e 4° la considerano come il corpo di Cristo, nel quale sono nascosti i misteri divini (Origene). Nei secc. 5° e 6° l'a., come prefigurazione mariana, divenne un tema frequente (Romano il Melode, Giovanni Damasceno), che influenzò durevolmente la liturgia bizantina (vespri domenicali, inno acatisto della quaresima). La Bibbia dei Settanta e Giuseppe Flavio traducono ᾽ărōn con ϰιβωτόϚ 'cassa', 'cofano di legno', mentre la Vulgata usa il termine arca 'cofano' (Harl, 1987). Le differenti correnti esegetiche hanno avuto scarso impatto sulle rappresentazioni dell'a., che si trova soprattutto nelle sequenze narrative illustranti passi dell'Antico Testamento.Per quanto riguarda la forma dell'a. si possono distinguere quattro tradizioni. La prima si collega a quella di Dura, rappresentando l'a. in forma di cassa rettangolare, più alta che larga, con la parte superiore arrotondata. Questa tradizione è attestata dalla Topographia christiana di Cosma Indicopleuste di Alessandria. I tre manoscritti che si conservano di questo testo (Roma, BAV, gr. 699, sec. 9°; Sinai, monastero di S. Caterina, Bibl., gr. 1186, e Firenze, Laur., Plut. 9. 28, entrambi del sec. 11°) derivano da un originale già illustrato del 6° secolo. La stessa tradizione è ancora presente negli ottateuchi dei secc. 11°-13° (Roma, BAV, gr. 746 e 747; Istanbul, Topkapı Sarayı Müz., 8; Athos, Vatopedi, 602/515), soprattutto nelle illustrazioni del Pentateuco. Nelle sequenze che illustrano i libri di Giosuè e dei Re l'a. è invece raffigurata sotto forma di scrigno-reliquiario, con copertura a tetto a due spioventi, come nel Rotulo di Giosuè (Roma, BAV, Pal. gr. 431, segmenti II e V; Weitzmann, 1948), nel Libro dei Re (Roma, BAV, gr. 333, cc. 8v e 9v; Lassus, 1973) e nella maggior parte dei salteri bizantini del sec. 14°, nonché negli affreschi delle chiese bizantine (Santa Sofia di Salonicco; Kariye Cami di Istanbul) e macedoni della stessa epoca (Curteade-Argeş, Lesnovo, Gračanica). Una terza tradizione, apparentemente nata a Roma, è attestata per la prima volta nelle sequenze veterotestamentarie dei mosaici della basilica di S. Maria Maggiore, del 5° secolo. L'a. dell'alleanza vi compare tre volte, nelle illustrazioni del libro di Giosuè, sotto forma di una cassa rettangolare bassa e coperta da un propiziatorio piatto (Cecchelli, 1956), secondo un modello che, adottato dapprima in sequenze narrative, appare ripreso nel sec. 8° nei mosaici della chiesa di Germigny-des-Prés, l'unica opera cristiana conosciuta in cui l'a., sovrastata da due cherubini e affiancata da due angeli, compare in un'immagine simbolica. Benché la presenza degli angeli induca a ritenere che essa alluda al Tempio di Salomone e non al Tabernacolo del deserto, in questo mosaico, collocato nell'abside dell'oratorio privato di Teodulfo, vescovo di Orléans, il significato simbolico dell'a. si collega indubbiamente a quello delle primissime immagini: l'a. equivale a una rappresentazione antropomorfa della divinità, conformemente alle idee espresse dal committente dei mosaici nella sua celebre opera del 798, i Libri Carolini (Bloch, 1965), quattro capitoli dei quali trattano dell'a. in quanto opera ispirata da Dio e distinta da tutte le altre manu factae imagines. I mosaici di Germigny mostrano affinità stilistiche con la pittura romana; peraltro, motivi ornamentali di tipo omayyade inducono a ritenere che siano stati utilizzati anche modelli orientali (Grabar, 1954), come conferma la mano di Dio che esce dalle nubi sopra l'arca. L'insieme tabernacolo-a. è rappresentato in un disegno, eseguito a tratto, dell'Hortus deliciarum di Herrada di Hohenbourg (o di Landsberg), del sec. 12° (c. 40v; The Hortus Deliciarum, 1979): l'a. vi appare come una cassa piatta, il cui coperchio sollevato consente di vedere gli oggetti collocati al suo interno (il vaso di manna, le tavole di pietra con il decalogo, il libro della Legge, la verga di Aronne). La medesima immagine compare nella Bibbia catalana del sec. 11° di Sant Pere de Rodha (Parigi, BN, lat. 6, II, c. 129). Nelle numerose rappresentazioni dell'a. che figurano in una Bible moralisée del sec. 13° (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 2554) si trova una cassa dalle proporzioni diverse, di struttura pressoché cubica, con propiziatorio piatto (c. 24r), montata su sostegni (cc. 32v e 35v) o sorretta da barre (c. 34r). Una variante di quest'ultima tipologia ha dato luogo a un'ulteriore tradizione iconografica, caratterizzata dalla forma cubica della cassa su sostegni coperta da un tessuto drappeggiato, che la fa assomigliare a un altare, in particolare nel Pentateuco di Ashburnham del sec. 7° (Parigi, BN, nouv. acq. lat. 2334, cc. 76r e 127v). Nel Salterio di S. Luigi (Parigi, BN, lat. 10525, c. 36r), la cassa cubica è decorata da una cornice dentellata che costituisce la rappresentazione, in senso letterale, dell'espressione biblica corona aurea (Es. 25, 11).A partire dal sec. 12° l'a. appare soprattutto sotto forma di scrigno-reliquiario, come per es. nella Bibbia di Gebardo ad Admont (Stiftsbibl., I/1, c. 86r; Swarzenski, 1908-1913, I, fig. 98). Rimangono però in uso altre forme, come un'a. dalla sommità arrotondata nella Bibbia dell'abbazia di St. Gumbert a Erlangen (Universitätsbibl., 121, c. 161v; Swarzenski, 1908-1913, I, fig. 124), o un'altra, a più piani, nella Bibbia di Walther a Michaelbeuern (Stiftsbibl., 1, c. 174v; Swarzenski, 1908-1913, I, fig. 88). In un'illustrazione delle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio (Parigi, BN, fr. 247, c. 293v) l'a. dipinta da Jean Fouquet come un reliquiario gotico di estrema raffinatezza rappresenta l'estremo esito di lunghe tradizioni parallele, che adattarono la descrizione biblica alla realtà degli artisti e del loro tempo.Due raffigurazioni pittoriche si collocano al di fuori delle grandi correnti tradizionali. In una Bibbia del 960 conservata a León (San Isidro, bibl., 2), il frontespizio del Levitico mostra Aronne davanti al Tabernacolo con gli oggetti che ne costituivano l'arredo e tra essi figura l'arca. Williams (1965) ritiene che le illustrazioni di questa Bibbia, insieme al frontespizio del Levitico, dipendano da un modello derivante da tradizioni ebraiche. In una copia del sec. 14° della Historia scholastica di Pietro Comestore (Madrid, Bibl. Nac., Res. 199, cc. 6v e 7r) un'illustrazione su due pagine relativa al Tempio di Salomone, riprende la composizione a due ante delle bibbie ebraiche catalane del sec. 14° e le armi d'Aragona, inserite nell'immagine, attestano che questa copia fu di fatto sicuramente eseguita in Catalogna (Nordström, 1964).
Bibl.:
Fonti. - Origene, Homélies sur les nombres, IV, in SC, XXIX, 1951, pp. 105, 115-118; Romano il Melode, Hymnes, ivi, CX, 1965, p. 123; Giovanni Damasceno, Homélies sur la nativité et la dormition, ivi, LXXX, 1961, p. 103; Cosma Indicopleuste, Topographie chrétienne, ivi, CXLI, 1968; CLIX, 1970; CXCVII, 1973.
Letteratura critica. - R. Garrucci, Vetri ornati di figure in oro trovati nei cimiteri dei Cristiani primitivi di Roma, Roma 1858 (18642); id., Cimitero degli antichi Ebrei scoperto recentemente in Vigna Rondanini, Roma 1862; L. Ouspenski, L'Octateuque de la Bibliothèque du Sérail à Constantinople, Sofia 1907; G. Swarzenski, Die Salzburger Malerei, 2 voll., Leipzig 1908-1913; D.C. Hesseling, Miniatures de l'Octateuque grec de Smyrne, Leiden 1909; E.L. Sukenik, Ancient Synagogues in Palestine and Greece, London 1934 (München 19802); K. Weitzmann, The Joshua Roll (Studies in Manuscript Illumination, 3), Princeton 1948; C. Roth, Jewish Antecedents of Christian Art, JWCI 16, 1953, pp. 24-44; A. Grabar, Les mosaïques de Germigny des Prés, CahA 7, 1954, pp. 171-183; C.H. Kraeling, The Synagogue (The Excavations at Dura Europos. Final Report, 8, 1), New Haven 1956; C. Cecchelli, I mosaici della Basilica di S. Maria Maggiore, Torino 1956; K. Weitzmann, The Octateuch of the Seraglio and the History of its Pictures, "Actes du Xe Congrès International d'Etudes byzantines, Istanbul 1955", Istanbul 1957, pp. 183-186; C.O. Nordström, The Temple Miniatures in the Peter Comestor Manuscript at Madrid, in Pistis kai Erga (Horae Soederblomianae, 6), Lund 1964, pp. 54-81; P. Bloch, Das Apsismosaik von Germigny-des-Prés. Karl der Grosse und der Alte Bund, in Karl der Grosse. Lebenswerk und Kaiser, III, Karolingische Kunst, a cura di W. Braunfels, H. Schnitzler, Düsseldorf 1965, pp. 234-261; J.J. Williams, A Castilian Tradition of the Bible Illustration, JWCI 28, 1965, pp. 66-85; J. Lassus, L'illustration byzantine du livre des Rois. Vaticanus Graecus 333, Paris 1973; A. Kindler, Coins of the Land of Israel, Jerusalem 1974; The Hortus Deliciarum of Herrad of Hohenbourg, a cura di R. Green, M. Evans, C. Bischoff, M. Curschmann (Studies of the Warburg Institute, 36), 2 voll., London-Leiden 1979 (ed. in facsimile); Ancient Synagogues Revealed, a cura di L.I. Levine, Jerusalem 1981; E. Revel-Neher, L'arche d'Alliance dans l'art juif et chrétien du second au dixième siècle, Paris 1984; M. Harl, Le nom de l'arche de Noé dans la Septante, in Alexandrina. Judaïsme et christianisme à Alexandrie. Mélanges offerts à Claude Mondésert, Paris 1987, pp. 15-43; H.L. Kessler, Prophetic Portraits in the Dura Synagogue, JAC 30, 1987, pp. 149-155.G. Sed-Rajna