PALADINI, Arcangela
PALADINI, Arcangela. – Nacque a Pistoia, il 29 settembre 1596, da Persia Cilli e da Filippo di Lorenzo, pittore pistoiese noto per aver completato il fregio robbiano dell’ospedale del Ceppo tra il 1584 e il 1586.
I registri battesimali pistoiesi serbano memoria non solo del battesimo di Arcangela (Pistoia, Archivio vescovile, II-B12, c. 71v; Bruschi, 2011, p. 28), ma anche di quelli di una sorella maggiore, Barbera, nata il 17 luglio 1594 (II-B 11, c. 211r) e una minore, Aurora, battezzata il 31 agosto 1599 (II-B 12, c. 194v). Poiché la presenza del padre a Pistoia è documentata sino al 1600, sappiamo che Paladini trascorse la prima infanzia nella città natale con le sorelle e i fratellastri maggiori Lorenzo e Isidoro.
Non sappiamo se la famiglia abbia accompagnato Filippo quando si trasferì a Livorno nel 1601 per collaborare alla decorazione del loggiato di piazza Grande. Abbiamo invece la certezza che la moglie e i figli lo raggiunsero a Pisa, dove fu impiegato dall’agosto del 1603 a dipingere illustrazioni botaniche presso il Giardino de’ Semplici e s’impegnò negli anni successivi in varie commissioni. La presenza della famiglia è testimoniata dalla nascita di un fratellino di Arcangela, Luca, battezzato a Pisa il 18 ottobre 1604 (Pisa, Arch. storico diocesano, S. Ranieri, Registro 32, c. 246v; Bellini Pietri, 1907, p. 237 n. 8). Grazie a questo manoscritto sappiamo che i Paladini si erano stabiliti nella parrocchia di S. Margherita.
Le attività del capofamiglia a Pisa sono documentate sino all’aprile 1608, quando morì senza aver completato la decorazione della facciata del palazzotto dell’Orologio, commissionata dai cavalieri di S. Stefano. La vedova e i figli rimasero a Pisa almeno un anno dopo il suo decesso: Persia pagò sino al maggio 1609 la pigione per la casa in via S. Maria che Filippo aveva preso in affitto dalle monache nel novembre 1607 (Pisa, Bibl. Scuola superiore S. Anna, Archivio storico, Monastero di S. Giuseppe 34, cc. 52s-d). Sappiamo, inoltre, che il resoconto finale dei lavori del palazzotto fu stilato il 18 maggio 1610 «cola presenza» di Persia (Bellini Pietri, 1907, pp. 234 s.).
Francesco Moücke (1756) suggerì che Arcangela si dilettasse già in tenera età a maneggiare gli strumenti di lavoro del padre, che le avrebbe dato i primi insegnamenti artistici. Il suo precoce talento non solo per la pittura, ma anche per il ricamo e la musica le guadagnò ben presto la protezione dei granduchi di Toscana che la portarono a Firenze. Un’inedita lettera del 10 gennaio 1609 [stile fiorentino=1610] di Domenico Montaguto, il segretario di Cosimo II de’ Medici, fornisce un termine ante quem per l’inizio della tutela granducale. In essa si fa cenno a due quadri di disegno, tra cui «uno di prospettiva», consegnati al pittore di corte Jacopo Ligozzi, «acciò faccia studiare quella fanciulla di Sua Altezza» (Archivio di Stato di Firenze [ASFi], Guardaroba Medicea [GM] 307, c. 330, doc. n. 227).
La giovane allieva di Ligozzi è rammentata anche in un elenco, stilato il 17 maggio 1610, delle tele commissionate dalla corte medicea per il convento delle Descalzas Reales di Valladolid. L’elenco comprende due tele con «Santo Francesco e Santa Chiara che si guardano» commissionate «alla fanciulla del Ligozzi» e al «figliuolo del detto», che furono riallogate in un secondo momento a un altro allievo del pittore, Donato Mascagni (ibid., 293, c. 190v).
Possiamo identificare la fanciulla con Arcangela grazie a due lettere di Ligozzi, pubblicate da Luigi Dami nel 1914, che nominano anche la sua protettrice, la granduchessa Cristina di Lorena, vedova di Ferdinando I de’ Medici, rammentata con l’appellativo «Madama Serenissima», usato per lei dai cortigiani. Le lettere riguardano un’opera perduta della pittrice, una Strage degli Innocenti copiata da un prototipo non specificato, forse da riconoscere nel disegno di soggetto simile conservato nella collezione Woodner, siglato da Ligozzi e datato 1609 (Goldner, 1983, p. 72 n. 27).
Con la prima lettera, del 29 febbraio 1615 [stile fiorentino=1616], il pittore inoltrò all’amministratore delle botteghe artigiane sulla Galleria degli Uffizi, le misure di una lastra di rame da mandare «a quella fanciulla che Madama Serenissima tiene nel Monasterio di Santa Agatta, la qualle deve copiare la istoria delli inocenti» (ASFi, GM 335, cc. 5, 6). Nella seconda, del 10 marzo (ibid., c. 4), Ligozzi fece il nome della fanciulla, «Arcangiella Paladini» e specificò che era mantenuta da «Madama Serenissima nel monasterio di Santa Agata». Suggerì che la lastra di rame «per copiarvi sopra la Istoria de’ Nocenti per ordine e comando di Madama Serenissima» si consegnasse a lui per poter mostrare «a detta fanciula […] come la deve preparare» e chiese, inoltre, mezza oncia di azzurrite «per detto lavoro». Secondo un inedito quaderno di ‘listre e conti’ della Galleria, la lastra di rame e l’azzurrite furono portate da «messer Jacopo Ligozza» «all’Angiola Paladini nel munistero di Santa Agata, devota di Madama, per copiarvi la storia de’ nocenti»(ibid. 334, cc. 170v, 174r).
Lo stesso monastero camaldolese, situato in via S. Gallo a Firenze, è citato anche in un inedito ordine, firmato il 14 dicembre 1614 da «Chrestiana Gran Duchessa», per due once di azzurrite che servivano per un’altra opera perduta della pittrice, «un quadro grande con una Madonna», commissionata da «Sua Altezza […] alla Angiola Paladini che sta nel monastero di Sant’Agata» (ibid., 332, c. 92 =doc. n. 40).
La permanenza di Arcangela nel citato monastero è documentata dal 5 dicembre 1610 sino al 21 giugno 1616 da una serie di pagamenti per i suoi «alimenti» che, secondo un inedito libro contabile, furono versati alle monache dall’agente e dal tesoriere di Cristina di Lorena (ASFi, Debitori e Creditori segnato L […], 1606-1623, S. Agata di Bibbiena 55, […], cc. 199s, 221d, 239d, 278d, 301d, 320 d, 332d, 364d). In S. Agata Paladini completò la sua formazione in un ambiente ricco di stimoli culturali: in questi anni vivevano tra le mura del monastero la badessa Gostanza sorella dell’accademico Ottaviano de’ Medici, suor Prudenza figlia del pittore Jan van der Straet, la pittrice suor Ortensia Fedeli e ben tre nipoti di Michelangelo Buonarroti il giovane. Il monastero era dotato di un palcoscenico, sul quale le monache erano solite allestire rappresentazioni sacre, comprese almeno due opere scritte in questi anni da Buonarroti per le nipoti, il Sermonerecitato da Suora Deodata nel 1611 e Il velo di s. Agata, inscenato nel 1614 (Grimaldi, 1998). È, dunque, ragionevole concludere che le doti artistiche e canore di Paladini siano state coltivate tra le mura di S. Agata.
Arcangela lasciò il monastero nel 1616 per sposare Jan Broomans, un ricamatore di Anversa al servizio dell’arciduchessa Maria Magdalena von Habsburg, moglie di Cosimo II de’ Medici. Secondo Moücke (1756, p. 37), il matrimonio fu celebrato il 13 luglio 1616, poche settimane dopo l’ultimo pagamento per il vitto di Paladini. Dall’unione nacque una figlia, battezzata il 20 agosto 1618 con il nome Maria Maddalena, in onore della madrina, la stessa arciduchessa (Firenze, Archivio dell’Opera di S. Maria del Fiore, Registro dei battezzati 253, c. 117v). Pochi mesi più tardi si trasferirono nella parrocchia di S. Felicita, in una casa in via Guicciardini, a pochi passi da palazzo Pitti, acquistata da Broomans il 20 dicembre 1618 (ASFi, Decima Granducale 1993, c. 412; Notarile moderno 11499, cc. 130r-131r).
Abbiamo notizie di poche opere d’arte eseguite da Paladini negli anni che seguirono le sue nozze e una sola di queste è giunta sino a noi, l’Autoritratto della Galleria degli Uffizi che, secondo un’iscrizione a tergo celata oggi da una foderatura, fu dipinto nel 1621 per l’arciduchessa Maria Magdalena (Inv. 1890, n. 2019, olio su tela, 54,5 x 43,5 cm). Un’altra opera, oggi dispersa, è descritta nell’Inventario delle robbe delle soffitte secrete de’ Pitti, la raccolta privata del defunto granduca Cosimo II, consegnata il 3 agosto 1623 all’aiutante di camera dell’erede Ferdinando II. Tra i libri e gli oggetti d’arte elencati c’era un «Un quadretto a penna effigiatovi la Gloriosa memoria del Granduca Cosmo 2.° di mano dell’Arcangiola.» (ASFi, GM 426, c. 73v [già 22v]; Barocchi - Gaeta Bertelà, 2005, p. 257).
Vi sono, invece, numerose testimonianze delle sue attività musicali. Apprendiamo da una lettera del 25 gennaio 1618 [stile fiorentino=1619] della compositrice Francesca Caccini, che Michelangelo Buonarroti scelse «la Signora Arcangiola» per cantare l’aria che introdusse «le dame o i cavalieri del ballo» nella sua commedia La Fiera, rappresentata alla corte medicea l’11 febbraio dello stesso anno (Firenze, Archivio Buonarroti 44/447; Masera, 1940, pp. 180 s.). Un’altra lettera, inedita, del segretario Montaguto ricorda un «gravisimbalo […] a quattro registri con cassa d’albero» prestato da Cosimo II «alla signora Arcangela» il 13 giugno 1620 (ASFi, GM 390, c. 373). Il clavicembalo in questione figura anche in un elenco di strumenti dati in consegna da Antonio Naldi, il guardarobiere della musica, e restituiti il 31 agosto 1621 (ibid., 361, c. 207d).
Grazie al diario di Cesare Tinghi, sappiamo che Paladini cantò per la corte in più occasioni, a volte in compagnia della Caccini e le sue ‘fanciulle’ e spesso con Muzio Effrem, che compose per lei un’aria dedicata a s. Orsola. Tinghi menziona il suo nome per la prima volta il 27 marzo 1619 (Firenze, Bibl. naz. centrale, Gino Capponi 261, II, c. 194r; Solerti, 1905, p. 144), e per l’ultima il 22 gennaio 1621 [stile fiorentino=1622] pochi mesi prima della sua morte (ibid., c. 485v; ibid., pp. 161 s.). L’appellativo «l’Arcangiola ricamatora», usato da Tinghi nel diario il 22 gennaio 1619 [stile fiorentino=1620] (ibid., c. 234r; ibid., p. 152), induce a immaginarla partecipe alle attività del marito, che è citato nei libri contabili granducali in questi anni come autore di costosi ed elaborati ricami in oro e argento su abiti e tappezzerie. Un altro cenno di Tinghi, che riguarda una catena d’oro regalata a Paladini dal granduca il 25 gennaio 1620 [stile fiorentino=1621], dà la misura della stima goduta (ibid., cc. 297rv; ibid., p. 158).
Le doti canore di Arcangela sono evidenziate da un’altra fonte seicentesca, una lettera di Jacopo Cicognini del 22 aprile 1619 che descrive la compièta cantata il giorno due dello stesso mese nella cappella dell’arciduchessa Maria Magdalena (Versi Sacri,1619, pp. 59-61).
Alla luce di queste testimonianze, non stupisce che Paladini sia definita «Cantatrice della Serenissima», nel Libro de’ mortori, festee offizi della chiesa di S. Felicita, che registra la data e il luogo del suo decesso, avvenuto il 18 ottobre 1622 a Firenze, nella parrocchia di S. Michele Visdomini (Firenze, Archivio arcivescovile, Registri Parrocchie Urbane, 26.13, c. 33v). La stessa data compare nell’iscrizione sul monumento funebre eretto in suo onore nella chiesa di S. Felicita. Il giorno della sepoltura in S. Felicita, il 19 dello stesso mese, è indicato in un registro di morti della magistratura della Grascia (ASFi, Ufficiali poi Magistrato della Grascia 194, c. 35v).
Poche settimane dopo la sua morte, il 12 novembre 1622, l’arciduchessa Maria Magdalena concesse una dote di 1000 scudi alla figlia Maria Maddalena Broomans con l’obbligo, se avesse dovuto mutare il nome di battesimo per monacarsi, di prendere quello di «Arcangiola per conservare al mondo il nome di sua madre» (ASFi, Depositeria generale 1612, c. 52v; Acanfora, 2005, p. 155 n. 127). Meno di un anno più tardi, il 21 settembre 1623, alla vigilia del secondo matrimonio del padre, la piccola fu affidata alle cure delle monache di S. Agata (ASFi, S. Agata di Bibbiena 55, cc. 525s-d) e, raggiunta l’età adulta, prese i voti nel monastero di S. Girolamo alla Costa.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Questo libro nominato Diario secondo è del serenissimo don Cosimo secondo gran duca di Toscana […] tenuto da Ceseri di Bastiano Tinghi […], 1615-1623, Gino Capponi 261, II, cc. 194r, 196,230r, 234r, 243rv, 247r, 263v, 296r, 294v, 297rv, 341v, 485v, parzialmente trascritto da Solerti 1905; Versi Sacri cantati nella cappella della serenissima Arciduchessa d’Austria Gran Duchessa di Toscana del signor Ottavio Rinuccini, Firenze 1619, pp. 59-61; G. Dondori, Della pietà di Pistoiain grazie della sua Patria, Pistoia 1666, p. 350; F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno…, Firenze 1681-1728, a cura di F. Ranalli, IV, Firenze 1846, p. 328, V, ibid. 1847, p. 65; F. Moücke, Serie di ritratti degli eccellenti pittori dipinti di propria mano che esistono nell’Imperial Galleria di Firenze..., III, Firenze 1756, pp. 35-38; F. Tolomei, Guida di Pistoia per gli amanti delle belle arti..., Pistoia 1821, pp. 189-191; V. Capponi, Biografia pistoiese o Notizie della vita e delle opere dei pistoiesi (Pistoia 1878), Bologna 1972, p. 300; A. Solerti, Gli albori del Melodramma, II, Ottavio Rinuccini I, Milano-Palermo-Napoli 1904-1905, pp. 335-345; Id., Musica, ballo e drammatica alla corte medicea dal 1600 al 1637. Notizie tratte da un Diario con appendice di testi inediti e rari, Firenze 1905, pp. 144, 149, 152, 154 s., 157 s., 161 s.; A. Bellini Pietri, Notizie sul Palazzo dell’Orologio di Piazza dei Cavalieri, in Pisa, in Miscellanea storico-letteraria a Francesco Mariotti nel cinquantesimo anno della sua carriera tipografica, Pisa 1907, pp. 213-237; L. Dami, Jacopo Ligozzi e A. P., in L’Illustratore fiorentino. Calendario storico per il 1915, Firenze 1914, pp. 15 s.; M.G. Masera, Alcune lettere inedite di Francesca Caccini, in La Rassegna musicale, XIII (1940), pp. 180 s.; Id., Una cantante del Seicento alla corte medicea: A. P., in La Rassegna musicale, XVI (1943), pp. 50-53; S. Meloni Trkulja in Gli Uffizi. Catalogo generale, Firenze 1980, p. 948 n. A657; G. Goldner, Master drawings from the Woodner collection, (catal. Malibu-Fort Worth-Washington 1983-1984), Malibu 1983, pp. 72 s. n. 27; F. Fiorelli Malesci, La chiesa di S. Felicita a Firenze, Firenze 1986, pp. 88 s., 276-278; A. Grimaldi, Il Chiostro e la scena. Michelangelo Buonarroti il giovane e il convento di S. Agata, in Studi italiani, XIX (1998), 1, pp. 149-198; T. Orfanello, Pittrice «Cantatora», in MCM, 1999, n. 46, pp. 30-31; B. Russano Hanning, From Saint to Muse: Representations of Saint Ceciliain Florence, in Music in Art. International Journal for Music Iconography, XXIX (2004), 1-2, pp. 19-21, figg. 4-6; A. Macchi, A. P., monologo teatrale tra realtà e immaginazione, Roma 2004; E. Acanfora, Maria Maddalena d’Austria, donna di governo e virtuosa delle artieLa villa del Poggio Imperiale, in Fasto di corte. La decorazione murale nelle residenze dei Medici e dei Lorena, a cura di M. Gregori, I, Da Ferdinando I alle Reggenti (1587-1628), Firenze 2005, pp. 136, fig. 78, 155 s. nn. 125-130; P. Barocchi - G. Gaeta Bertelà, Collezionismo mediceo e storia artistica, II, Il Cardinale Carlo, Maria Maddalena, Don Lorenzo, Ferdinando II, Vittoria della Rovere 1621-1666, Firenze 2005, p. 257; K. Harness, Echoes of Women’s Voices. Music, Art and Female Patronage in Early Modern Florence, Chicago-London 2006, pp. 88 n. 73, 101-103; S. Cusick, Francesca Caccini at the Medici Court, Chicago-London 2009, pp. xvi, 66, 71, 73, 319, 363 n. 37, 408 n. 67; J.K. Dabbs, Life Stories of Women Artists 1550-1800. An anthology, Farnham-Burlington 2009, pp. 298 s., 302-305; G. Giusti, Autoritratte «Artiste di capriccioso e destrissimo ingegno» (catal.), Firenze 2010, p. 49 n. 5; M. Bruschi, Biografie minime di artisti pistoiesi dal Quattrocento al Seicento. Note d’archivio, Pistoia 2011, pp. 27 s.; L. Goldenberg Stoppato, A. P. and the Medici, in Women artists of Early modern Italy, Atti del Convegno, Firenze... 2012 (in corso di stampa).