CARRADORI, Arcangelo (Arcangelo da Pistoia)
Per quanto riguarda la prima parte della sua vita sappiamo soltanto che nacque a Pistoia e che entrò nella provincia toscana dell'Ordine dei frati minori osservanti. Egli cominciò ad esercitare un'attività di rilievo in relazione all'opera missionaria svolta dal suo Ordine in Egitto per la riunificazione delle Chiese copta e ortodossa con Roma.
Nel settembre 1623 la S. Congregazione de Propaganda Fide destinò in Egitto due francescani perché sondassero i propositi dei patriarchi copto e ortodosso e allo stesso tempo si procurassero una copia dei codici arabi dei concili. Per la preparazione dei missionari il ministro generale dell'Ordine aveva curato l'anno precedente l'erezione dello Studio della lingua araba e del collegio delle missioni di S. Pietro in Montorio a Roma, e uno studio analogo fu istituito nel 1625 nel convento di Ognissanti a Firenze.
Questa fase iniziale fu piuttosto fruttuosa, i missionari stabilirono buoni rapporti con i due patriarchi e nel 1628 tornarono a Roma con le copie dei codici arabi dei primi quattro concili ecumenici e con una lettera del patriarca copto Giovanni XV indirizzata ad Urbano VIII, nella quale egli chiedeva che venisse aperto a Roma un collegio copto e che venisse fatta un'efficace azione diplomatica presso il pascià del Cairo affinché cessassero le continue vessazioni e repressioni nei confronti della Chiesa copta. In realtà il primo ostacolo all'unione dei cristiani di Egitto con Roma era costituito proprio dall'atteggiamento del governo turco, che vi vedeva un grosso pericolo politico.
Incoraggiata dall'esito favorevole di questi primi contatti, la S. Congregazione de Propaganda Fide decise il 26 febbr. 1630 di fondare la missione d'Egitto. Guardiano di essa venne nominato un altro francescano, Paolo da Lodi, cui venne dato come unico compagno il C., scelto per la sua buona conoscenza della lingua araba (che aveva probabilmente imparato in uno degli Studi già ricordati). I due giunsero al Cairo il 24 settembre di quell'anno, recando una lettera del pontefice per il patriarca copto. Trovarono però che Giovanni XV era morto e che il suo successore, Matteo III, non era affatto disposto a trattare l'unione per timore delle persecuzioni turche, di cui era già bersaglio. Per sfuggirle, anzi, abbandonò di lì a poco il Cairo, senza aver neppure ricevuto i due missionari, e si ritirò nell'Alto Egitto, dove l'autorità turca era meno pesante.
I due francescani dovettero così rinunciare ai progetti iniziali e limitarsi a una modesta attività presso le cappellanie dei vari consolati cristiani della regione del Delta. Il C. si stabilì nella cappellania veneziana di Rosetta, dove non c'erano che pochi mercanti cattolici: la sua posizione era inoltre piuttosto incerta, perché, non avendo neppure l'autorizzazione a dir messa, doveva celebrarla di nascosto dai Turchi, col rischio di essere arrestato. Avrebbe voluto travestirsi da copto ed andare in mezzo a loro per svolgere il suo apostolato, ma la S. Congregazione de Propaganda Fide gli negò il permesso, ritenendola un'impresa troppo pericolosa. Egli manteneva comunque frequenti rapporti coi copti, e ciò preoccupava molto i Veneziani, i quali temevano a ragione le reazioni turche. Finalmente nel 1633 il console veneziano al Cairo, Donato Zuane, gli impose di lasciare l'Egitto e di andarsene in Palestina. Il C. finse di acconsentire, ma prese invece la via dell'Alto Egitto per raggiungere il patriarca Matteo III, che si era rifugiato a Manfalût. Questi lo accolse molto benevolmente, promise che appena fosse potuto ritornare al Cairo avrebbe discusso col suo clero il progetto di unione con Roma e gli diede delle lettere di presentazione per i preti della vicina Assiut, affinché gli dessero una cappella e tre ragazzi da istruire. Ad Assiut il C. non rimase però a lungo, perché la sua opera di proselitismo gli procurò la forte ostilità dei preti copti, sicché decise di lasciare la città. Risalì il Nilo fino ad Isna, visitando la regione e studiando la lingua nubiana.
Nel 1636, ammalatosi gravemente agli occhi, il C. fece ritorno al Cairo. Riprese i contatti col patriarca, che si mostrava piuttosto incline all'unione, ma gli altri esponenti della Chiesa copta erano in gran parte sfavorevoli. Ottenne con molta pazienza e doni in denaro una lettera di risposta a quella di Urbano VIII, che non conteneva comunque nessun impegno concreto.
Di nuovo i suoi rapporti con i copti preoccuparono i cristiani residenti al Cairo: le loro lamentele furono raccolte dal nuovo guardiano della missione, il francescano Francesco de Lequile, che lo invitò a recarsi in Palestina, essendo scaduto il settennio per il quale gli erano stati assegnati i fondi della missione. Si trattava chiaramente di un pretesto, e il C. chiese il parere della S. Congregazione de Propaganda Fide. In attesa della risposta, che gli fu poi favorevole, decise comunque di tornare in Italia per portare la lettera del patriarca copto. Giunse a Roma nel 1638, e non venne più rimandato in Egitto. Venne trattenuto per qualche tempo per collaborare alla edizione della Bibbia in arabo; fu poi professore di arabo nell'università di Pisa.
Si spense nel convento di Giaccherino presso Pistoia nel 1652.
I suoi scritti più importanti sono di natura linguistica. Compose infatti un Dizionario turco-italiano e italiano-nubiano, che è conservato manoscritto nella Biblioteca Forteguerri di Pistoia (ms. D, 312). La prima parte è presentata su tre colonne, in cui di ogni vocabolo si dà la grafia araba, la traduzione italiana e la trascrizione in caratteri latini. Più interessante è la seconda parte, il dizionario italiano-nubiano, perché è il primo che sia mai stato composto. Contiene più di 7.000 vocaboli appartenenti al dialetto Kenzi, dati in caratteri latini poiché non esisteva un alfabeto nubiano, ed inoltre alcuni paradigmi grammaticali e le frasi colloquiali più comuni. La trascrizione fonetica è accurata e quasi sempre esatta, una certa imprecisione si riscontra invece a livello aticale, e talora anche i significati delle parole sono approssimativi o erronei. Evidentemente il C. si servì di interpreti illetterati, che confondevano i casi dei sostantivi e degli aggettivi e le persone dei verbi o non capivano alla perfezione l'arabo, che era la lingua di scambio. Malgrado questi difetti resta un'opera fondamentale per lo studio della lingua nubiana. Un'edizione critica (fino alla lettera O compresa) è stata curata da K. V. Zetterstéen (Arcangelo's Carradori Ditionario della lingua Italiana e Nubiana, in Le Monde Oriental, V [1911], pp. 42-79, 137-167; VIII [1914], pp. 203-236; IX [1915], pp. 17-55; XIII [1919], pp. 184-204).
Al suo ritorno a Roma il C. presentò poi alla S. Congregazione de Propaganda Fide una memoria sulla sua esperienza missionaria: Relationi dello stato in che si trovano li Christiani Chofti dell'Egitto P.a circa li Dogmi della fede 2º. Circa li sacram.ti, e riti ecclesiastici 3ºcirca li loro commi Christ.ni (Arch. S. Congregazione de Propaganda Fide, SOCG 211, ff. 71r-83v), che contiene molti elementi utili per la conoscenza della Chiesa copta e dei problemi di quella missione.
Compose infine un'altra relazione, più ampia della precedente: Relatione delle cose che hà possuto veder frat'Arcangelo da Pistoia Minor Oss.te Missionario nell'Alto Egitto dal 1630 fino al 1638 pubblicata integralmente da G. Lumbroso (Ritocchi ed aggiunte ai "Descrittori italiani dell'Egitto e di Alessandria", in Atti della R. Accademia dei Lincei, classe di scienze mor., stor. e fil., s. 4, X [1892], I, pp. 212-229). In essa leggiamo una descrizione delle principali località del Delta e il racconto del suo viaggio nell'Alto Egitto, delle sue varie peripezie e dei luoghi visitati. è una narrazione molto viva, che dà un efficace quadro generale dell'ambiente ed è importante anche perché è una delle prime che riguardino la regione.
Fonti e Bibl.: P. Veniero da Montepeloso, Croniche ovvero Annali di Terra Santa, a cura di G. Golubovich, Firenze 1929, I, pp. XXXVII, XXXIX, 38, 218; II, pp. 180 s.; 336 s.; III, pp. 106, 110 s.; Francesco da Serino, Croniche ovvero Annali di Terra Santa continuate, a cura di T. Cavallon, Firenze 1939, I, pp. 9, 49 s., 80 s.; II, p. 31; G. G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci a Waddingo, aliisve descriptos, Romae 1806, p. 96; V. Capponi, Biogr. pistoiese, Pistoia 1878, pp. 90 s.; Marcellino da Civezza, Saggio di bibliogr. geografica storica etnografica sanfrancescana, Prato 1879, pp. 82-88; P. Amat di San Filippo, Biografia dei viaggiatori italiani colla bibl. delle loro opere, Roma 1882, p. 403; A. M. Della Torre, Orbis Seraphicus… De missionibus, II, 1Florentiae 1887, pp. 231 ss., 245; K. V. Zetterstéen, The oldest dict. of the Nubian language, in Le Monde Oriental, I(1906), pp. 227-240; L. Lemmens, Acta S. Congregationis de Propaganda Fide pro Terra Sancta, I, Firenze 1921, p. 100; G. Caraci, Un francescano francese nell'Alto Egitto nella seconda metà del sec. XVII, in Studi francescani, n.s., XIII(1927), pp. 349-387 passim; T. Somigli di San Detole-G. M. Montano, Etiopia francescana, I, 1, Firenze 1928, pp. 39, 41, 67, 109; II, ibid. 1948, pp. LXVI-LXX; A. Kleinhans, De collaboratoribus franciscanis in Bibliis arabicis a. 1671editis, in Antonianum, IV(1929), pp. 374 s.; G. Gabrieli, Bibl. di Puglia, in Japigia, II (1931), p. 372; A. Chiappini, Annales Minorum, XXVII(1934), pp. 124, 219 s., 358; XXVIII (1941), pp. 88 s., 179, 229 s., 356 s.; A. Tognocchi da Terrinca, Historia chronologica provinciae etrusco-minoriticae, Florentiae 1935, p. 365; J. Didinger, Bibliotheca Missionum, XVI, Freiburg 1952, p. 95.