RESANI, Arcangelo
RESANI (Reggiani, Rezani), Arcangelo. – Nacque a Roma nel 1670, quartogenito di Carlo, garzone d’oste, e di Chiara, figlia di Belardino. Secondo le puntuali indicazioni fornite da Pellegrino Antonio Orlandi, Resani, di padre genovese e madre napoletana, svolse il proprio apprendistato nella città natale presso la bottega del pittore di origini abruzzesi Giovanni Battista Boncori (o Boncore), allievo di Pier Francesco Mola (Orlandi, 1704, p. 88). Recenti indagini archivistiche hanno confermato che alla sua nascita la famiglia risiedeva in vicolo Scanderbeg, a poca distanza dalla residenza del maestro, alloggiato in via dei Serpenti. È registrato a Roma negli Stati d’anime della parrocchia dei Ss. Vincenzo e Anastasio a Trevi dal 1671 al 1688, con i suoi numerosi fratelli: i maggiori Manlio (1661), Vittoria (1665) e Camilla (1669), cui seguirono Luigia (1673), prematuramente scomparsa, Francesca (1674) e Antonio (1677). Tuttavia non si conosce con precisione la sua data di nascita, poiché i registri battesimali superstiti della parrocchia partono dal 1673. All’età di soli quindici anni, nel 1685, Arcangelo è già definito pittore (Palloni, 2011, pp. 65-67).
L’intera famiglia dell’artista risulta partita nel 1688: data che si addice a quanto riferisce Giampietro Zanotti (1739, p. 327), il quale colloca a diciannove anni di età (nel 1689) l’arrivo di Resani a Bologna, dove la sua presenza è attestata nel 1697. Secondo l’amico biografo – come si ricava da una lettera che Resani gli inviò da Ravenna nel 1703 (Zauli Naldi, 1965, p. 60) –, a Bologna il romano riscosse una notevole fortuna, venendo apprezzato per le sue capacità di dipingere animali dai principali artisti cittadini del tempo, a partire da Lorenzo Pasinelli, maestro dello stesso Zanotti (1703, p. 97), e una volta giunto a Forlì sarebbe stato richiesto anche da Carlo Cignani (Zanotti, 1739, p. 327). Tuttavia non sono note le date del suo primo soggiorno forlivese, né quelle dei viaggi di studio a Siena e Venezia, ricordati da Orlandi (1704, p. 88).
A giudizio di quest’ultimo, fu la visita in tali città, oltre che a Bologna, a indurre Resani ad ampliare i propri interessi, spingendolo ad abbandonare lo specialismo per misurarsi con la pittura di figura, tenuta in maggiore considerazione non solo nell’ambito felsineo.
Nonostante le sue umili origini, Resani in gioventù dovette fruire di una buona educazione letteraria – sulla quale non abbiamo informazioni –, dato che alla professione artistica affiancò costantemente un’attività poetica. Non a caso, buona parte della sua vita è stata ricostruita grazie agli atti delle accademie letterarie cui è risultato iscritto: dal 1713 al 1719 fece parte dell’Accademia faentina dei Filoponi, nel 1719 fu ammesso all’Arcadia romana con lo pseudonimo di Dasippo, mentre dal 1723 fu associato all’Accademia ravennate degli Informi.
Tra il 1697 e il 1739 compose numerosi sonetti, molti dei quali giunti alle stampe e altri conservati manoscritti nelle biblioteche di Bologna, Faenza e Ravenna.
Benché sia stato un pittore versatile, la sua notorietà è affidata alle nature morte e alle scene di genere, raffiguranti prevalentemente figure o mezze figure di pastori, per le quali seppe mostrare «talento buono ugualmente» (Lanzi, 1809, 1968, p. 427). Con ogni probabilità fu proprio l’accostamento alla poetica dell’Arcadia a indurlo ad affrontare anche in pittura temi d’ispirazione pastorale e di vita contadina, traducendoli in immagini di vivace immediatezza.
La riscoperta novecentesca del pittore spetta a Giacomo Bargellesi (1961), che ne sottolineava il carattere feriale e intimistico, ma al contempo anche Giuseppe De Logu (1962) ne indagava la personalità in relazione alle coeve esperienze di Candido Vitali. La sua attività si è poi giovata degli interventi condotti da Carlo Volpe (1963), Renato Roli (1964, pp. 119 s.), Antonio Corbara (1965), Luigi Zauli Naldi (1965) e Maria Pace Marzocchi (1986). Una prima traccia biografica sull’artista è stata inoltre redatta da Fiorella Frisoni nel catalogo dell’esposizione dedicata al Settecento emiliano (1979, pp. 158-160); spetta invece ad Anna Colombi Ferretti la voce dedicatagli nello studio sulla natura morta italiana (1989, pp. 490-492). Di recente il catalogo di Resani è stato ampliato grazie agli studi condotti da Francesca Baldassari (2000, pp. 269-277), Angelo Mazza (2004, pp. 44 s., 184), Alberto Crispo (2006; 2014, p. 311) e Giulia Palloni (2006; 2011, pp. 37 s., 52 s.).
La sua prima opera nota, raffigurante una Tavola con cane e capra, firmata e datata sul verso 1698, di collezione privata bolognese (Marzocchi, 1986, pp. 98 s.), benché nella minuzia descrittiva degli animali dia conto dell’avvenuto aggiornamento sui modelli offerti dagli specialisti d’Oltralpe attivi nell’Urbe (da David de Koninck a Monsù Aurora), nella sua calda intonazione si dimostra già pienamente partecipe della cultura artistica emiliana. La consuetudine del romano con l’ambiente di Bologna appare d’altronde testimoniata dalla presenza ab antiquo di suoi dipinti in numerose collezioni cittadine (Oretti, 1981, p. 84; 1984, p. 167).
Dopo il soggiorno a Bologna e i viaggi tra Toscana e Veneto, il pittore si stabilì in Romagna. Al principio del Settecento fu con certezza a Ravenna, allorché realizzò due dipinti di carattere sacro, ancora in loco, firmati e datati sul verso 1701 e 1704. Entrambi i quadri rivelano tuttavia una scarsa familiarità con la pittura di figura. Il primo, realizzato in ovale, una Crocifissione tra i ss. Vitale e Apollinare, oggi nella Pinacoteca comunale, assembla suggestioni culturali eterogenee di matrice secentesca basandosi su modelli bolognesi e veneti della fine del XVII secolo, fino a comprendere testuali riprese da esemplari lasciati durante il soggiorno in Italia da Anton van Dyck (Mazza, 2001, pp. 282 s., fig. 218; Viroli, 2002, p. 115, fig. 185). Il secondo, invece, di non semplice lettura iconografica, con S. Francesco e altri due santi in gloria, conservato al seminario arcivescovile, presenta un registro stilistico più coerente e aggiornato sulle coeve esperienze pittoriche bolognesi (Mazza, 2001, p. 283; Viroli, 2002, p. 115).
Al 1703 risale la citata lettera dell’artista da Ravenna, e sempre qui, nel 1705, fu dato alle stampe un sonetto del conte Ippolito Lovatelli – a sua volta collezionista del pittore secondo Francesco Beltrami (1783, p. 69) –, redatto per celebrare un quadro di Resani realizzato per il marchese Ignazio Rabuffi. Si tratta della data che compare accanto alla firma dell’artista nel Mercurio e Argo, transitato alla casa d’aste Dorotheum di Vienna nel 1977, tempestivamente segnalato da Fiorella Frisoni (1979, pp. 158 s.), ma fatto conoscere da Maria Pace Marzocchi (1986, p. 99).
Rispetto alle prove figurative precedenti, ancora incerte, la tela presenta un lessico piuttosto paludato ma in linea con i fatti più significativi della cultura centrosettentrionale (tra Pieter Mulier detto il Tempesta e Giuseppe Maria Crespi), anticipando soluzioni iconografiche destinate a consolidarsi in alcuni dipinti degli anni successivi, nei quali, a dispetto del tema mitologico, prevale l’intonazione pastorale propria della scena di genere. Nutrita di influenze crespiane e bassanesche è del resto anche l’Adorazione del Bambino, già in collezione privata a Bassano, che reca a tergo il nome dell’autore e la data 1707 (p. 100), di cui s’ignora l’originaria provenienza.
Nella prima decade del Settecento la sua presenza a Ravenna è testimoniata in maniera molto frammentaria, per cui appare verosimile ipotizzare che sia da collocare tra il 1705 e il 1710 circa il soggiorno forlivese dell’artista accanto a Cignani, anche in ragione delle suggestioni di ascendenza cignanesca che si ravvisano nelle opere collocabili allo scadere del decennio, quali la pala con S. Rosa da Lima e s. Ludovico Beltrán nella chiesa di S. Domenico a Ravenna, da datarsi post 1708 in base a indagini archivistiche, o la tela raffigurante Orfeo con gli animali, di collezione privata ravennate (Palloni, 2006, pp. 102 s., 112).
Attorno al 1712, o forse prima, l’errabondo romano giunse a Faenza in compagnia della moglie, di origini ravennati, Chiara Cicognini (si ignora la data del loro matrimonio), con la quale si stabilì nella parrocchia di S. Clemente. L’11 ottobre 1717 Chiara morì e fu sepolta in S. Francesco (Faenza, Biblioteca comunale, Diverse memorie appartenenti alle belle arti, 77.II.II.46, c. 9); rimasto vedovo e senza figli, due anni più tardi Resani prese gli ordini minori: dal 1719, infatti, è detto abate. Il periodo faentino, che si protrasse fino al 1722, fu il più produttivo nella vita dell’artista, considerato il quantitativo di opere registrate nelle più prestigiose raccolte cittadine alla fine del Settecento (Zauli Naldi, 1965, pp. 55, 59), e nonostante alcune notevoli perdite appare ben documentato. Qui l’impresa che più dovette impegnarlo fu la decorazione a fresco della cupola di S. Maria Foris Portam (o S. Maria Vecchia), con la visione dell’Assunta di cui oggi non resta traccia perché crollata nel 1782 e la cui esecuzione non si spiegherebbe senza un suo coinvolgimento nel cantiere forlivese della Madonna del Fuoco al seguito di Cignani (Corbara, 1965, p. 52).
A Faenza, entro il 21 agosto 1713 Resani dipinse un Autoritratto che in tale data pervenne a Cosimo III de’ Medici a Firenze (oggi è conservato nel Corridoio Vasariano agli Uffizi) e nel quale l’autore realizzò un autentico compendio delle sue abilità nel campo della pittura animalistica. L’origine faentina della tela appare suffragata dalla presenza alle spalle dell’artista di una natura morta con Fagiani appesi a una sporta che si trova tuttora presso gli eredi della famiglia Missiroli a Faenza (p. 53), dov’è attestata già alla fine del XVIII secolo insieme a un pendant andato disperso. Sono in effetti numerose le opere che si possono ricondurre a questo ristretto giro di anni, come la Sporta con pollo già nella raccolta Nigrisoli a Ferrara (Bargellesi, 1961, pp. 154-156), di analogo impianto compositivo, o i Piccioni nel nido della Pinacoteca comunale (Corbara, 1965, p. 54), un tema destinato a ricorrere nella produzione dell’autore anche a date inoltrate.
Questa serie di dipinti si qualifica per una diligenza stilistica e un repertorio di oggetti d’uso quotidiano, come l’amatissima sporta di giunchiglie, che costituiscono i tratti caratteristici della pittura di Resani e testimoniano la sua adesione alla natura morta emiliana sulla direttrice tracciata da Paolo Antonio Barbieri e dal cosiddetto Pittore di Rodolfo Lodi.
Nel secondo decennio del Settecento si può situare anche la sua produzione di genere, che costituisce forse l’aspetto più moderno del suo linguaggio, da leggere in relazione all’attività condotta in Italia settentrionale e in Romagna da Monsù Bernardo, nonché con la tradizione romana dei bamboccianti, nota a Resani fin dagli anni dell’apprendistato. Tra i temi di soggetto popolaresco ideati in questi anni, il Pollarolo, già in collezione privata bolognese, firmato a tergo, costituisce senz’altro l’esempio più antico noto finora. Nel dipinto, «di aspetto singolarmente cerutiano» (Volpe, 1963, p. 60), il trattamento del piumaggio dei volatili è analogo alle tele summenzionate, e tuttavia la ribassata luminosità e la rigorosa individuazione del protagonista trovano confronto solo nel clima più profondo della cultura settentrionale. Tali considerazioni inducono ad anteporre il Pollarolo al pendant di tema pastorale, firmato e datato al 1713, già in collezione Muratori a Ferrara, ora in proprietà della Fondazione Cassa di risparmio di Ravenna. La coppia, che offre un’inquadratura simile all’Orfeo di collezione ravennate ma una maggiore padronanza del linguaggio figurativo, non mostra al proprio interno la stessa tenuta qualitativa. Se il Pastore con capre rappresenta un’invenzione a sé stante nel catalogo dell’artista (Bargellesi, 1961, p. 154), il dipinto compagno, che raffigura un Pastorello con mucca, va considerato una replica di bottega.
L’invenzione è nota in almeno altre tre redazioni, di cui la sola che possa dirsi autografa è quella conservata allo Snite Museum of art dell’University of Notre Dame, in Indiana (Marzocchi, 1986, p. 100).
Tra le invenzioni più felici del secondo decennio va annoverata anche la Pollarola, siglata dall’artista, un tempo nella raccolta della contessa Rondinini a Faenza assieme ad altri quadri di Resani, tra cui la Sporta con animali e frutta, oggi ambedue in collezione privata a Firenze, dove si conserva anche il Fanciullo con volatile e ciliegie, di cui si ignora l’originaria provenienza (Baldassari, 2000, pp. 270, 273). Al periodo faentino appartengono inoltre alcune tra le sue opere più celebri, come il Cane addormentato con sporta e la Pernice con piatto della Pinacoteca comunale di Faenza, pervenuti dal lascito della locale famiglia Bosi, che isolano gli animali al centro della composizione accompagnandoli al consueto repertorio. Lo stesso può dirsi per il Barbagianni con sporta e cacciagione, nonché per la Natura morta con airone grigio della collezione Molinari Pradelli a Marano di Castenaso, nel Bolognese, di datazione incerta, che ragioni stilistiche inducono a scalare entro i primi due decenni del Settecento.
Tra gli episodi più alti della raggiunta maturità artistica di Resani, i dipinti sono contrassegnati da spessori materici, ombre nette e una cura del dettaglio che non trova più riscontro nelle opere realizzate a partire dagli anni successivi.
Per tutto il periodo in cui restò a Faenza, Resani fu inoltre coinvolto in gran parte delle iniziative di stampo celebrativo patrocinate dai Filoponi, di cui era entrato a far parte nel 1713, prestando il proprio talento artistico all’ideazione di apparati, in particolare per le cerimonie funebri degli accademici.
A tale contesto sono da ricondurre sia il ritratto dell’arciprete Emiliano Emiliani, realizzato nel 1715, sia quello del canonico Filippo Rondinini, del 1719, andati dispersi o distrutti. Lo stesso dicasi per i ritratti dei conti Carlo e Giambattista Cavina, assegnati al pittore in un inventario del 1769, dei quali si è persa ogni traccia.
Il successo di questo decennio di attività fu sancito dalla nomina ad honorem con la quale fu aggregato all’Accademia Clementina di Bologna, dove l’amico Giampietro Zanotti ne propose l’elezione il 14 giugno 1722.
Interessanti novità sul pittore sono emerse in un convegno tenutosi a Ravenna nel marzo 2016. Grazie a documenti di recente ritrovamento è possibile legare alla committenza forlivese del conte Fabrizio Antonio Monsignani, illustre letterato, la coppia di dipinti a tema pastorale, siglata dall’autore, raffigurante un’Anziana contadina con gallina e un Giovane con asino (Palloni, 2011, pp. 37 s., 52 s.; Crispo, 2014, p. 311) e collocarla attorno al 1723, allorché Resani risulta di nuovo residente a Forlì, proveniente da Faenza (dove dimorava ancora nel 1721). A un’analoga cronologia si possono assegnare il Narciso alla fonte dell’Istituto Prati di Forlì (Marzocchi, 1986, p. 100) e la Contadina che scuoia una lepre, conservata presso lo stesso istituto, restituita all’autore da Angelo Mazza (2004, p. 184), dei quali non conosciamo l’originaria destinazione. Tutti questi dipinti sono accomunati da una stesura magra e da tonalità cinerine nutrite di riverberi neoveneti con evidenti rimandi crespiani, non solo nella contrastata luminosità ma nel trattamento stesso delle fisionomie, divenute più sfumate e indefinite rispetto alla produzione anteriore. Simili considerazioni possono essere estese al secondo Autoritratto dell’artista, nonostante la presa ravvicinata del taglio sotto le spalle, che reca sul verso una lunga iscrizione, forse autografa, e la data 1724 e che fu acquistato nella primavera del 1918 da Helene Homme per la propria collezione di Vienna, città ove secondo Theodor von Frimmel (1918-19, pp. 63-65, tav. XVI) si trovava già al principio del Novecento.
La permanenza del pittore a Forlì nel 1723 dovette comunque essere assai breve, se a partire da quell’anno egli figura tra gli accademici informi di Ravenna, dove è documentato con certezza nel 1733, quando stimò la raccolta del marchese Ignazio Cavalli, e nuovamente dal 1736 al 1740. A queste date risale l’ultimo dipinto devozionale noto finora, un Riposo durante la fuga in Egitto, firmato e datato sul telaio originale nel 1734 (Marzocchi, 1986, p. 100), che presenta caratteristiche non dissimili in relazione alle prove precedenti, specie per quanto riguarda la pittura sacra, nella quale influenze derivanti dalla grande tradizione cinquecentesca dei Bassano si fondono a componenti crespiane, qui ravvisabili in particolare nel volto della Vergine.
Sebbene i modelli dell’artista restino sostanzialmente invariati, tra un genere e l’altro il suo registro espressivo si modifica in maniera significativa, a dimostrazione dell’attitudine a servirsi di linguaggi diversi a seconda della destinazione dell’opera e del tema di volta in volta affrontato, pur rimanendo entro le medesime coordinate culturali.
A Resani sono stati attribuiti altri dipinti, anche di carattere sacro, sui quali la critica non ha un’opinione unanime.
La sua materia pittorica, ben definita e corposa nelle opere prodotte fino alla maturità, negli ultimi anni si fa via via sempre più fluida e asciutta, come dimostra il pendant di notevoli dimensioni della quadreria Classense di Ravenna (Viroli, 1993, pp. 106 s.). Firmato e datato nel 1736, fu commissionato al pittore per celebrare l’elevazione degli Spreti al marchesato: il diploma risale infatti al 29 gennaio di quell’anno. I dipinti rappresentano con una singolare intensità realistica il primo il ritratto a grandezza naturale del cavallo spagnolo del marchese Giulio Spreti e il secondo una dama in veste da cacciatrice, verosimilmente Faustina Casali Spreti.
Descritti nell’inventario redatto alla morte del committente (1750) insieme a numerosi altri quadri dell’autore, furono venduti al Comune di Ravenna dagli eredi della famiglia nel 1913.
Nella fase estrema di attività va collocata anche la Villanella della raccolta Lucchese Salati a Bologna, riconsegnata al pittore da Francesca Baldassari (2000, p. 273), opera che per le sue tonalità decisamente schiarite trova il confronto più immediato nella tela con i Piccioni al nido in collezione privata a Parigi, datata 1738, in quella raffigurante Quattro volatili con una brocca, del 1740, e nella Natura morta con sporta e quarto di capretto già in collezione Vitale Bloch (Roli, 1964, pp. 119 s.), che una scritta antica, riportata sul telaio, data in maniera impropria al 1742, similmente a quanto accade in un’altra tela di recente ritrovamento, Cane, gatto e uccelli morti di collezione privata, sul cui verso compare la scritta «Arc:lo Resani / P. 174[1]» (Mazza, 2004, pp. 44 s.), dati incompatibili con il decesso dell’autore: come si ricava dai libri della chiesa di S. Apollonia in S. Agata (Zauli Naldi, 1965, p. 58), infatti, Resani morì a Ravenna il 13 luglio 1740.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico del Vicariato, Parrocchia dei Santi Vincenzo e Anastasio a Trevi (in Trivio), Stati delle anime, IV (1667-82) e V (1683-99), cc.n.n. (ad annum); Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms. B 133: M. Oretti, Notizie de’ Professori del Disegno, cioè Pittori, Scultori ed Architetti Bolognesi e de’ Forestieri di sua scuola, 1778 circa, cc. 189-190.
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