Archeologia medievale
L'a. m. applica la tecnica d'indagine archeologica allo studio del periodo che, nel mondo europeo e mediterraneo occidentale, ha inizio convenzionalmente con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476) e termina alla fine del sec. 15°. Si ritiene che l'aggettivo 'medievale', accogliendo istanze europee, vada inteso nella qualifica di 'post-classica', nel senso di disciplina squisitamente tecnica relativa al recupero, all'interpretazione, alla sistemazione storica di manufatti posteriori all'età romana.
In Italia solo negli anni Sessanta sono state poste le basi per un riconoscimento ufficiale di tale ambito di ricerca, convalidato dalla innovativa interpretazione del concetto di bene archeologico insita nell'indagine condotta dalla Commissione Franceschini e nella pubblicazione di Per la salvezza dei Beni culturali in Italia (1967). Nello stesso anno si è aperto a Roma il Museo nazionale dell'Alto Medioevo, già istituito nel 1955 e sostenuto da M. Salmi, secondo un piano programmatico di natura essenzialmente archeologica; contemporaneamente è stato anche attivato presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano il primo insegnamento ufficiale di a. m., accogliendo le istanze degli studiosi che gravitavano intorno al CISAM (Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo) di Spoleto. Gli incontri annuali avevano costantemente ribadito l'importanza e la quantità delle informazioni che si potevano ottenere da fonti non scritte, quali quelle archeologiche, e dai dati materiali. Le indicazioni scientifiche del CISAM hanno trovato riscontro nell'iniziativa editoriale del Corpus della scultura altomedievale - il 1° volume è stato pubblicato nel 1962 -, cui dal 1996 si è affiancata quella delle Inscriptiones Medii Aevi Italiae (IMAI), e nella rubrica di schede sui materiali 'longobardi' in Italia, all'interno della rivista Studi medievali.
Al dibattito scientifico dei primi anni Settanta, che ha annoverato tra i promotori anche istituzioni culturali straniere, quali la British School at Rome e l'École française de Rome, ha fatto seguito il rapido affermarsi della nuova disciplina, sia in campo didattico, con l'istituzione di cattedre nelle università italiane, sia nella ricerca, con iniziative di scavo, di ricognizione territoriale, di schedature sistematiche di manufatti, sia sul piano editoriale con la rivista Archeologia medievale, che dal 1974 si è affiancata all'inglese Medieval archaeology (iniziata nel 1959), alla francese Archéologie médiévale (iniziata nel 1972), alla tedesca Zeitschrift für Archäologie des Mittelalters (iniziata nel 1973). Precedenti possono essere riconosciuti in segnalazioni di insediamenti e strutture di età medievale presenti in ricerche preistoriche, protostoriche e classiche, già dall'Ottocento, nelle indagini di necropoli longobarde e nella lunga tradizione di studi sull'edilizia religiosa, funeraria, sulle produzioni epigrafiche, pittoriche e scultorie relative alle testimonianze materiali del cristianesimo (archeologia cristiana). L'a. m. ha avuto sin dall'inizio un carattere segnatamente storico e ha risentito positivamente del clima culturale venutosi a creare negli anni Settanta, a seguito del dibattito storiografico nell'ambito dell'archeologia classica, tra i sostenitori della 'cultura materiale' e coloro che assegnavano ancora un ruolo preminente all'analisi storico-artistica. Affiancatasi decisamente ai primi, la nuova disciplina ha rivendicato innanzitutto un ruolo autonomo e distaccato dalla storia dell'arte medievale per finalità e metodo di ricerca, anche se, a volte, interessata ai medesimi campi di studio.
Nell'Europa settentrionale, nei territori non romanizzati e quindi privi di monumenti classici, già dal secolo 16° si è manifestato l'interesse per il Medioevo, corrispondente alla loro prima età storica. Nei territori romanizzati, invece, la ricerca archeologica medievale, intesa in senso moderno, ha avuto inizio, a partire dagli anni Cinquanta del secolo 20°, in Gran Bretagna, con l'archeologia del territorio. Sperimentata già agli inizi del secolo da A.H. Allcroft (1908) sul tema qualificante del villaggio abbandonato, l'indagine è continuata con gli studi di M. Beresford (1954) e di W.G. Hoskins (1955) sul villaggio medievale della contea di Leicester. Con la pubblicazione di I.Y. Winkelmann dello scavo di Warendorf in Vestfalia, l'attenzione si è accentrata sugli insediamenti. L'interesse per i villaggi abbandonati ha portato alla fondazione del Desert Medieval Village Research Group (1952) e l'ormai affermata a. m. a quella della Society for Medieval Archaeology. Nella prima metà degli anni Sessanta anche in Francia hanno avuto inizio le indagini archeologiche in insediamenti abbandonati, promosse (a eccezione dello scavo integrale di Rougiers diretto da G. Démians D'Archimbaud, pubblicato nel 1980) dall'École pratique des hautes études (iv Section), in collaborazione con l'Istituto della cultura materiale di Varsavia, con immediata diffusione dei risultati. Con le indagini franco-polacche si è ampliato il campo della ricerca alla storia del mondo rurale. In Gran Bretagna il progetto di W. Percy è stata la più significativa indagine archeologica medievale europea su un sito rurale abitato dal secolo 7° sino all'inizio del 16°, mentre lo scavo dell'insediamento rurale altomedievale di Mucking ha posto le premesse per lo studio delle tipologie abitative.
In Italia, sulla traccia degli studi di Ch. Klapish Zuber e di J. Day (1965), si sono attivate ricerche in Liguria, in Sicilia (Brucato), in Campania (Capaccio Vecchia). Lo studio della sopravvivenza delle villae e delle nuove destinazioni d'uso di talune loro parti, spesso a carattere religioso, ha affrontato sul piano archeologico il tema della cristianizzazione delle campagne, oggetto di un ampio dibattito storiografico (28a settimana CISAM 1980). Si ricordano le indagini condotte in Spagna negli insediamenti rurali di El Bovalar, di El Gatillo, di Fraga, di Centcelles con presenze di aree funerarie e chiese con fonti battesimali. In Italia si menziona, in particolare in Sardegna, un rilevante numero di strutture a carattere religioso impiantatesi nelle villae, suburbane e rurali, specie tra il 5° e il 7° secolo; in Toscana si segnala la chiesa di San Vito di Calci; nel Lazio il complesso di Sant'Ilario ad bivium; in Campania il complesso chiesa-battistero con area funeraria altomedievale di Altavilla Silentina; in Puglia l'ecclesia baptismalis con annessa area funeraria di San Giulio e in Basilicata l'insediamento di San Giovanni di Ruoti. Nel Lazio si è indagato anche sulle domuscultae, organizzazioni agrarie alla diretta dipendenza della Chiesa romana.
Uno dei temi che ha suscitato maggiore interesse è quello dell'incastellamento, verifica - sul piano archeologico - di modelli formulati in campo storico da P. Toubert, ove il castrum, succedendo alla curtis, appare come la forma normale dell'habitat rurale. Gli scavi di Scarlino e di Montarrenti in Toscana, gli studi sugli insediamenti nella Terra di San Vincenzo al Volturno, in Sabina a Caprignano, a Montagliano, a Offiano e a Villa Sant'Agnese, sui castelli della Sicilia (Calathamet e Brucato) e della Sardegna (Monreale), hanno, tra gli altri, evidenziato la complessità del fenomeno, con soluzioni che lungi dall'essere unitarie si mostrano, invece, a volte diverse e originali, anche in una stessa regione. Il castrum, insediamento di derivazione militare, inteso anche come centro fortificato civile, risalente alla tarda antichità, segna con la sua presenza la topografia dell'Alto Medioevo.
L'esegesi archeologica delle fonti scritte, unita a scavi finalizzati, ha consentito di chiarire, in parte, le incertezze interpretative derivate dalla terminologia univoca - castrum - per insediamenti diversificati. Nell'Italia settentrionale, dove vanno ricordati i castra dell'età gota, della prima età bizantina e poi dell'età longobarda - tra cui quelli della Liguria - sono stati indagati quelli di Castelseprio, di Ibligo-Invillino e di Monte Barro. Accanto agli insediamenti fortificati bizantini dell'Italia meridionale e insulare, che rappresentano, nella loro differenziata tipologia, un aspetto organizzativo del territorio, devono porsi i castra urbani recentemente riconosciuti come parte dello spazio-città, segnatamente durante le guerre greco-gotiche, con continuità nei secoli dell'Alto Medioevo.
In territorio anglosassone si segnalano le prime esperienze di a. m. urbana, programmate per la salvaguardia e la tutela. Con gli stessi intenti in Italia, mentre si sono poste le basi per una corretta metodologia di ricerca, sono state elaborate alcune carte archeologiche di rischio (Pavia, Brescia). Preceduti dalle esperienze di archeologia urbana attuate a Genova, dalle indagini archeologiche a Torcello volute da G.P. Bognetti (che ne affidò la direzione a W. Hensel, gli scavi in alcune città italiane hanno segnato l'inizio di un dibattito scientifico, ancora in corso, sui temi della continuità o discontinuità del fenomeno urbano ovvero, come attualmente si preferisce, di destrutturazione e ristrutturazione. Lo studio della città 'di pietra' accanto a quello della 'città vivente' - secondo la definizione isidoriana - è attualmente campo privilegiato della ricerca archeologica medievale: è rivolto a città di età classica per lo più abbandonate (Luni, Entella, Segesta, Cornus, Tharros, Nora) con fenomeni diversificati nelle fasi di età medievale, a città di fondazione medievale (Ferrara, Leopoli-Cencelle) e a città con continuità di vita, in cui i cantieri, solo raramente programmati, vengono, per lo più, aperti a seguito di lavori di pubblica o privata utilità (Milano, Verona, Brescia, Roma, Napoli, Otranto, Porto Torres).
A seguito delle ricerche archeologiche è stato possibile riaprire il dibattito su taluni temi di storia urbana e su alcuni poli di indubbio valore topografico e poleogenetico, come i complessi episcopali, sui problemi connessi con la viabilità e con gli spazi aperti destinati anche a coltivo e a uso funerario, sui fenomeni di inurbamento, sulla nascita di borghi satelliti e sulla tipologia edilizia residenziale. Per quest'ultima, cui è stata sistematicamente applicata una metodologia archeologica di rilevamento, si dispone già di sintesi d'insieme a carattere regionale. Negli ultimi decenni, in ambito europeo e mediterraneo, la ricerca archeologica negli spazi urbani si è notevolmente arricchita.
Le indagini sistematiche a Bergen e a Jarlshof in Norvegia hanno consentito, nel primo caso, la ricostruzione dell'assetto urbano con la rete viaria sia terrestre sia su pontili, dell'edilizia residenziale caratterizzata dall'uso quasi esclusivo del legno, della presenza di chiese e monasteri, e del porto, ove il recupero di tre navi ha fornito notizie sui commerci. In Svezia le ricerche nelle città di Lund (stratificata su sei livelli a partire dalla fine del sec. 10°), di Lodose (seconda metà del sec. 11°) e di Kalmar (seconda metà del sec. 12°) hanno restituito preziose informazioni sulla fondazione e sulla conformazione di tali insediamenti urbani, sull'edilizia del potere e su quella popolare, che privilegiava l'uso del legno, sull'edilizia religiosa e sulle attività commerciali. Si segnalano in Danimarca gli scavi dei centri di Horsen e di Hedeby; in Olanda le indagini a Haarlem e a 's-Hertogenbosch, che ne hanno dimostrato l'origine carolingia. In Gran Bretagna il fenomeno di urbanizzazione di emporia è testimoniato dal centro di Ipswich; in Francia l'attenzione alle fasi tardo-antiche e altomedievali delle città a continuità di vita è attestata dalle ricerche archeologiche urbane a Aix-en-Provence, Amiens, Autun, Auxerre, Caen, Grenoble, Lione, Marsiglia, Orléans, Rouen, Tours, Tolosa e Parigi. In Belgio gli scavi nel centro urbano di Anversa hanno chiarito le fasi insediative a partire dal sec. 9°, con particolare attenzione alle strutture di fortificazione e all'area della chiesa di S. Valpurga. In Germania le dinamiche d'insediamento e le strutture a carattere religioso sono state oggetto d'indagini ad Amburgo, Augsburg, Colonia, Esslingen, Francoforte sull'Oder, Fulda, Gottinga - con particolare attenzione anche alle attività metallurgiche e artigianali -, Hildesheim, Lipsia, Lubecca, Treviri. In Spagna l'ultimo decennio ha segnato l'ampliarsi della ricerca dagli studi di archeologia tardoantica e paleocristiana a quelli altomedievali, come testimoniano gli scavi di Pechina (Almeira), un complesso urbano del sec. 10°, di Córdoba, di Gerona, di Granada, di Merida, di Recopolis, di Tarragona.
Notevole lo sviluppo della ricerca nei centri urbani e nei borghi fortificati dei territori slavi. In Polonia le indagini nei castra di Biskupin e di Cracovia, nei borghi fortificati su terrapieni di Breslavia, Danzica, Gnezno, Łęczyca, Poznań, hanno consentito la ricostruzione di interi insediamenti e la conoscenza di tipologie edilizie, di edifici religiosi, di botteghe artigianali, di impianti commerciali (a Biskupin) per l'affumicazione del pesce e per la fabbricazione del catrame. In Bulgaria, a Červen le ricerche hanno consentito di cogliere le varie fasi di vita, dalla fortezza giustinianea distrutta nel sec. 7°, a quella dei secc. 11°-12°, allo sviluppo urbano dei secc. 13°-14°; a Kărdžali si sono rivolte in particolare al monastero e al complesso episcopale; a Pliska, capitale del regno dal 7° al 9° sec., le indagini si sono estese alle tre città, chiuse in tre circuiti fortificati concentrici, con presenza di piccoli insediamenti urbani e palazzi monumentali; a Preslav, capitale del regno nei secc. 9° e 10°, anch'essa difesa da una triplice fortificazione in pietra, con presenza di edifici a carattere religioso successivi alla conversione al cristianesimo (864) e di fasi edilizie successive alla conquista bizantina del 1018, sul piano della cosiddetta cultura materiale è parsa di grande interesse la ceramica dipinta derivata dall'Asia Minore; a Tărnovo, capitale del secondo regno nei secc. 13° e 14°, articolata in tre fortezze collegate da quartieri fortificati e caratterizzata da colonie di mercanti veneziani, genovesi, slavi, sono stati indagati monasteri e residenze; in Ucraina, a Kiev, il più importante centro della Rus' con la cittadella (gorod) fortificata, circondata da suburbi artigianali e mercantili, è stata messa in luce un'edilizia quasi esclusivamente in legno; nella Repubblica Ceca, infine, il centro di Mikulčice dal sec. 9° ha restituito un modello di insediamento fortificato con resti di attività mercantili.
Nei territori mediterranei si rileva interesse per le fasi urbane postclassiche, anche se le ricerche in città della Grecia come Argo, Atene, Chio, Mistrà, e in centri dell'Africa settentrionale, di norma non superano cronologicamente la prima età bizantina. Un posto a sé spetta all'archeologia funeraria: le indagini di scavo hanno consentito di ricostruire tipologie tombali, usi e costumi funerari e, attraverso i corredi, la cultura materiale di diverse popolazioni. In Europa sono di particolare interesse i ritrovamenti di necropoli legate a singole etnie: tre sepolture principesche attribuite a re gepidi, gli Ardarichingi, di Apahida in Romania, della seconda metà del sec. 5°, i coevi tumuli funerari regali germanici di Austerlitz (Slavkov, Repubblica Ceca); la sepoltura di Childerico a Tournai (Francia); le tombe regali merovingie di Saint-Denis; le navi-tumulo vichinghe di Borre, di Oseberg e di Gokstad (Norvegia) e di Sutton Hoo (Gran Bretagna), le necropoli vichinghe a Vendel e a Fiskeby (Svezia); la grande necropoli avara di Zamardi, l'unica tomba di un khan avaro con ricchissimo corredo aureo di Kumbabony (Ungheria); la necropoli franca di Krefeld Gellep; quella longobarda di Kranj-Lajh (Slovenia); il cimitero musulmano su un insediamento funerario ispano-visigoto a Cabeza de Griego (Spagna); la vastissima area funeraria di Plinkaigalis (Lituania), attribuita al periodo delle Grandi Migrazioni, uno dei pochi esempi dei Paesi baltici; le sepolture reali danesi del sec. 10° con aula di culto e iscrizioni funerarie.
In Italia l'archeologia funeraria è stata a lungo limitata allo studio delle necropoli dei popoli germanici immigrati: quelle gote (Acquasanta Terme), le longobarde (Cividale, Trezzo sull'Adda, Testona, Nocera Umbra, Castel Trosino, Benevento ecc.), la necropoli di Campochiaro Vicenne nel Molise, l'unico sito in Italia in cui è documentato il rituale della sepoltura del cavallo con bardatura completa, comprensiva di elementi di tipo avaro. Fatta eccezione per alcuni insediamenti funerari dell'Italia meridionale (Puglia, Sicilia), è risultata carente l'indagine sui cimiteri delle popolazioni autoctone: a partire dagli anni Settanta gli scavi condotti in una vasta area cimiteriale, connessa con il complesso episcopale della città di Cornus in Sardegna, hanno messo in luce inumazioni altomedievali che attestano una continuità tipologica rispetto all'età romana nelle sepolture e nei riti, quali il refrigerium, e nella presenza di corredi. Pertanto si è dato di verificare anche presso i cristiani, e non solo in ambito germanico, l'uso di seppellire con gioielli e suppellettile varia.
Questa posizione critica, universalmente accettata, ha portato al moltiplicarsi delle indagini e all'ampliamento delle conoscenze. Le testimonianze funerarie più significative sono quelle di Agrigento, Albenga, Asti, Casalrotto, Cimitile, Corfinio, Porto Torres, Venosa e i cimiteri islamici della valle del Belice in Sicilia. Rimangono ancora scarsamente studiate le tipologie tombali del pieno e del tardo Medioevo.
L'a. m. di carattere religioso ha ampliato le indagini alle chiese, sia urbane sia rurali, e agli insediamenti monastici. Si deve principalmente a studiosi britannici l'impulso dato in Italia alle ricerche sulle grandi abbazie altomedievali: i progetti sull'abbazia di Santa Maria di Farfa e sul complesso di San Vincenzo al Volturno hanno segnato due importanti tappe per la conoscenza delle strutture materiali dell'ordine benedettino; a questi vanno aggiunti gli scavi del complesso monastico della Novalesa, importante centro di passaggio anche per i pellegrinaggi.
In Italia, un settore privilegiato è stato senza dubbio quello dell'archeologia delle produzioni, inteso come ricerca rivolta ai prodotti e alle tecniche di lavorazione, ma anche alle conseguenze ambientali e sociali della produzione. Alla fine degli anni Sessanta i contributi di D. Whitehouse e di T. Mannoni hanno aperto la strada agli studi del materiale ceramico medievale, "non più lasciato al puro dominio della storia dell'arte, dell'antiquariato e del collezionismo". Nell'ultimo trentennio lo sviluppo degli studi, in continuo e proficuo avanzamento, ha portato alla conoscenza delle principali tipologie di manufatti, alle classificazioni delle produzioni, dei commerci e degli usi, nonostante siano state rilevate notevoli disparità tra le diverse aree geografiche e per taluni periodi.
Nella maggior parte dei paesi dell'Europa e del Mediterraneo occidentale la produzione e il commercio su larga scala cessarono con la tarda antichità; nell'Alto Medioevo si ebbe una produzione artigianale per lo più legata a singoli centri. A partire dal sec. 9° si può parlare di produzioni professionali e, con l'incremento del sec. 12°, si è giunti nel 13° a produzioni di carattere industriale. Meno attiva si è rivelata sino a oggi l'indagine sui centri di produzione, fatta eccezione per il rinvenimento di talune fornaci altomedievali ad Agrigento, Brescia, Carlino, Otranto, Castellana di Pianella, Mola di Monte Gelato e San Vincenzo al Volturno, quelle di Agrigento datate tra i secc. 11° e 12°, e una del sec. 14°; quelle più tarde di Roma, San Giovanni in Persiceto, Siena, Cesena, Pisa e Albisola.
Agli inizi degli anni Sessanta la scoperta di un'officina vetraria a Torcello e, più tardi, quella di una fornace a Monte Lecco hanno consentito di acquisire dati tecnici sulle attività produttive del vetro, ma solo negli anni Ottanta si sono avuti i primi sostanziali contributi sulle produzioni medievali (nel 1990 si deve a D. Stiaffini una prima sistemazione tipologica). In questi ultimi anni le indagini archeologiche hanno testimoniato presenze produttive soprattutto in Toscana: a Pisa, nel territorio di San Gimignano e a Montopoli Val d'Arno; non mancano però attestazioni in altre aree geografiche come a Modena e in Sardegna.
Notevole la produzione di oggetti in metallo attestata nel Medioevo: una classificazione funzionale ha evidenziato prodotti di metallo nobile (monili e oggetti di oreficeria, vasellame e manufatti, arti suntuarie), pertinenti, per lo più, alla sfera del potere laico e religioso, ma anche privato, di cui già si posseggono raccolte tipologiche; noti anche gli oggetti di armamento. Non sono stati ancora approfonditi gli studi sulle classi di manufatti appartenenti all'edilizia: dai prodotti della carpenteria a quelli dell'arredo domestico, fatta eccezione per talune produzioni di oggetti per l'illuminazione, per gli utensili agricoli e per l'estrazione e la lavorazione dei materiali lapidei o metallici. Una particolare attenzione è stata rivolta, nell'ultimo decennio, alle attività estrattive e metallurgiche. L'archeometallurgia, grazie ai progetti di ricerca diretti da R. Francovich, si è sviluppata particolarmente in Toscana nei territori delle Colline Metallifere, di Massa, di Follonica e dell'isola d'Elba. Largamente utilizzato è stato senza dubbio il legno: per il suo impiego nell'edilizia, nel sottosuolo di Ferrara se ne sono conservati eccezionalmente i resti, che hanno dato ampia testimonianza alle fonti scritte. Per la produzione di manufatti per il mobilio domestico e funerario, per le stoviglie, della cui esistenza ci rendono ampiamente edotti i documenti d'archivio, e per gli attrezzi agricoli, il riscontro si è trovato nei contesti europei (Novgorod in Russia, Friburgo in Germania, Paladru in Francia), pur se non mancano esempi anche in Italia (Classe, San Martino Valle Caudina, Crecchio per l'Alto Medioevo, Ferrara per il Basso Medioevo). Sono documentati manufatti in osso e in avorio, e in Sardegna oggetti di uso domestico in sughero; per i prodotti in cuoio è stata individuata un'area del Priamàr a Savona. Infine sono stati oggetto di indagine impianti di produzione per i materiali fittili e per la calce (le calcare).
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