ARCHEOLOGIA MEDIEVALE
L'a. medievale è l'applicazione delle tecniche archeologiche allo studio del periodo che, nell'Europa mediterranea e occidentale, ebbe inizio con la caduta dell'Impero romano e terminò all'incirca nel 15° secolo.Oggi la maggior parte degli archeologi descrive la disciplina in rapporto a una ben precisa specificità di settore; ma in ogni caso si tratta sempre del recupero sistematico e dello studio di antichità, e dunque di manufatti visti nel loro contesto. Il termine 'contesto' ha implicazioni culturali, spaziali, cronologiche e ambientali: l'archeologo fa quindi parte di un gruppo che, per ciascun progetto, può comprendere oltre agli addetti allo scavo e ai responsabili della registrazione dei reperti - disegnatori, architetti e fotografi - anche geomorfologi e specialisti di numerose scienze di laboratorio, dalla datazione radiometrica all'identificazione dei pollini o della microfauna.
Le radici della a. scientifica hanno origine negli studi degli umanisti rinascimentali del 15° secolo. Già nel secolo successivo papi ed esponenti di famiglie aristocratiche italiane cominciarono a raccogliere opere di arte antica e a finanziare scavi per arricchire le proprie collezioni. Nel sec. 18° la scoperta e l'esplorazione delle città sepolte di Pompei ed Ercolano contribuirono allo sviluppo di una ricerca più sistematica dei resti antichi, portata avanti in seguito, su basi più o meno scientifiche, da Schliemann (che operò negli anni 1870-1880 a Troia e Micene), Bilotti, Curtius, Conze, Evans, il quale ultimo nel 1900 avviò lo scavo di Cnosso.Nello stesso periodo gli studiosi dell'Antichità classica volsero la propria attenzione anche alle vestigia paleocristiane. Lo studio approfondito delle catacombe romane si può dire cominci già con Panvinio e precisamente con la pubblicazione della sua opera intitolata De ritu sepeliendi mortuos apud veteres christianos et de eorumdem coemeteriis (Roma 1512). Più tardi Bosio (1575-1629) dedicò la propria vita alla ricerca sulle catacombe; il suo monumentale Roma sotterranea fu pubblicato postumo (Roma 1632). Nel frattempo, in Francia de Peiresc raccolse un'importante collezione di antichità che includeva i primi sarcofagi cristiani di Arles. La prima esposizione pubblica di antichità cristiane, il Mus. Sacro del Vaticano, venne inaugurata nel 1756. Il vero fondatore dell'a. cristiana fu comunque De Rossi (1822-1894), che creò il Bullettino di Archeologia Cristiana e pubblicò due monumentali opere: Inscriptiones Christianae Urbis Romae (Roma 1857-1888) e Roma sotterranea cristiana (Roma, 1864-1877).Nell'Europa settentrionale, che non aveva fatto parte dell'Impero romano e, di conseguenza, era priva di vestigia monumentali che potessero interessare gli umanisti classici, gli studiosi avevano a loro volta cominciato a investigare sino dal sec. 16° sulle più modeste tracce della loro preistoria e della prima età storica: in particolare tombe megalitiche e pietre con caratteri runici di epoca medievale. Tra i primi studiosi scandinavi va ricordato Worm (1588-1654), che operò sotto il patrocinio del re Cristiano IV di Danimarca. Nel 1666, nel regno di Svezia e Finlandia furono emanate le prime leggi sulla protezione dei reperti antichi e nel 1682 ca. la collezione di antichità dei reali danesi fu collocata in un museo a Slotsholm (Copenaghen). Nel sec. 19° l'a. dell'Europa settentrionale era ormai altrettanto diffusa quanto quella del mondo classico. Thomsen (1836) formulò il sistema delle 'tre età', suddividendo la preistoria scandinava nelle età della Pietra, del Bronzo e del Ferro, e Worsaae condusse lavori di scavo molto accurati stendendone dettagliati rapporti. L'analisi tipologica dei reperti fu più tardi perfezionata dal generale inglese Pitt-Rivers (1887-1898) e dallo svedese Montelius (1895; 1899), che interpretarono i mutamenti tipologici ispirandosi al metodo evoluzionista darwiniano. Contemporaneamente Pitt-Rivers, nel corso delle ricerche condotte a Cranbourne Chase (nel Dorset, Inghilterra meridionale), portò le tecniche dello scavo archeologico e della relativa documentazione a un alto livello qualitativo.Per quanto riguarda lo sviluppo dell'a. nei paesi dell'Europa nordoccidentale, in Gran Bretagna le prime indagini su siti medievali riguardarono essenzialmente cimiteri pagani anglosassoni. I primi scavi, condotti con scarsa attenzione alla contestualizzazione degli oggetti ritrovati e senza alcun riguardo per la stratigrafia, furono effettuati nel Kent da Fausset tra il 1757 e il 1773. Va notato peraltro che Fausset ritenne che i siti cimiteriali da lui ritrovati risalissero all'epoca romana, mentre il merito di averne accertato la reale identità spetta a Douglas (1793). Agli inizi del sec. 19° numerosi sepolcreti anglosassoni vennero alla luce in seguito a lavori agricoli o alla costruzione di strade, ferrovie e canali. Intorno al 1850 il materiale raccolto e ordinato era ormai assai vasto così che Akermann poté realizzare la prima opera di sintesi (1855).Le prime importanti applicazioni del metodo tipologico perfezionato da Montelius furono quelle di Salin (1904) e di Leeds (1913). I due autori condussero un'analisi rigorosa delle forme e delle decorazioni di fibule e di altri oggetti ornamentali trovati in gran numero in cimiteri, per la maggior parte pagani, di età altomedievale. Inoltre, studiando la distribuzione di particolari tipi di oggetti, arrivarono a poterli assegnare a specifici gruppi etnici in rapporto a quanto ricavabile delle fonti storiche.In particolare l'opera di Leeds costituì una pietra miliare nello sviluppo dell'a. medievale in Gran Bretagna. Solo dieci anni più tardi Fox (1924) dimostrò il rapporto che intercorre tra insediamento e territorio, studiando la distribuzione dei manufatti, incluse le fibule anglosassoni, nell'area esaminata; seguirono altri studi, tra cui quelli di Kendrick (1930; 1938; 1949), che lavorò su materiale anglosassone e vichingo. Il vertice di questa fase di formazione venne raggiunto infine con la scoperta e il rapido scavo, nel 1939, della navesepolcro del sec. 7° a Sutton Hoo, nel Suffolk (Inghilterra sudorientale), il più cospicuo rinvenimento archeologico mai effettuato in Gran Bretagna.Il periodo postbellico segnò il rapido sviluppo e la diversificazione dell'a. medievale in tutta l'Europa occidentale; vennero inoltre adottate nuove tecniche di ricerca sul campo. La pubblicazione (Winkelmann, 1954) del brillante scavo di Warendorf, in Vestfalia, diede impulso all'a. degli insediamenti, fino a quel momento in larga misura trascurata. Lo scavo di Hope-Taylor della villa reale degli Angli a Yeavering costituì negli anni 1953-1957 una nuova pietra miliare, dimostrando per la prima volta, in Gran Bretagna, come gli effimeri resti di edifici in legno, da tempo scomparsi, potessero nonostante tutto essere oggetto di indagine. Al tempo stesso scavi nei quartieri centrali di città bombardate, come Canterbury (a opera di Frere) e Londra (a opera di Grimes), confermarono l'enorme potenziale dell'a. urbana. Nel 1957 i tempi si dimostrarono maturi per la creazione di un'associazione professionale di archeologi interessati ai resti materiali del Medioevo: in quell'anno venne quindi fondata la Society for Medieval Archaeology.L'esempio britannico non è peraltro affatto isolato: durante la prima metà del sec. 20° l'a. medievale si sviluppò infatti in maniera analoga sia nell'Europa nordoccidentale sia nella penisola scandinava.Per quanto riguarda l'area mediterranea, l'a. medievale - intesa come studio sistematico dei resti della cultura materiale recuperati nel corso di ricognizioni e di scavi stratigrafici - si affermò in genere solo negli anni Sessanta. Prima di allora, per es. in Italia, la quasi totalità degli studi medievali era stata solo di carattere storico o storico-artistico. Gli edifici più importanti - chiese, palazzi, fortificazioni - erano stati considerati il legittimo campo d'indagine degli storici dell'architettura e gli edifici più modesti di uso privato totalmente trascurati. Gli unici resti medievali presi in esame con metodo 'archeologico' erano stati le più antiche chiese cristiane e le catacombe, con gli oggetti ivi recuperati, oltre ai cimiteri di origine 'germanica'. Agli inizi degli anni Sessanta le prime ricerche sul campo vennero attuate da archeologi non italiani, soprattutto britannici e polacchi, ma va tenuto presente che l'incoraggiamento a essi dato da studiosi italiani, come Bognetti, fu decisivo per il loro successo. Verso la metà di quegli stessi anni si diffuse inoltre la consapevolezza che l'a. postclassica era stata sino ad allora trascurata e si attuò una positiva inversione di tendenza. Il primo corso universitario di a. medievale fu istituito, per l'anno accademico 1966-1967, presso l'Univ. Cattolica del Sacro Cuore di Milano; il Mus. dell'Alto Medioevo fu inaugurato a Roma nel 1967 e il primo scavo stratigrafico urbano in Italia cominciò nel 1968 a Genova. Nello stesso periodo si ebbe la pubblicazione del rapporto della commissione Franceschini, Per la salvezza dei beni culturali in Italia (Roma 1967), in cui è messa in evidenza la dicotomia tradizionale tra a. e storia dell'arte, riflessa nell'esistenza di due distinte soprintendenze: alle antichità e ai monumenti, la prima delle quali interessata ai monumenti e siti preistorici, protostorici e classici, l'altra ai monumenti medievali e di epoca successiva, ma non alle aree archeologiche di tali ambiti cronologici. Le tecniche archeologiche, sosteneva il rapporto, sono applicabili altrettanto bene sia ai siti postclassici sia a quelli più antichi, come dimostrato ineccepibilmente dagli scavi russi di Novgorod; quindi la responsabilità per tutti i siti archeologici (e non soltanto per quelli del periodo preromano e romano) doveva essere affidata alle soprintendenze alle antichità. L'istituzione nel 1975 del nuovo Ministero dei Beni Culturali non impedisce peraltro che ancora oggi, per quanto riguarda i monumenti medievali, non risulti sempre chiaro dove sia possibile tracciare una linea di separazione tra i compiti delle soprintendenze archeologiche e quelli delle soprintendenze per i beni ambientali e architettonici.Negli ultimi quindici anni in Italia l'a. medievale si è rapidamente sviluppata sino a costituire oggi una pratica di ricerca ampiamente consolidata, come è testimoniato dalla nascita di riviste specializzate, dal moltiplicarsi dei convegni e dal sempre maggiore riconoscimento in sede istituzionale. L'interesse si è concentrato in modo particolare in tre direzioni: cultura materiale, insediamenti, territorio.Tradizionalmente lo studio della cultura materiale del Medioevo, impostato secondo un'ottica storico-artistica, si era limitato alla pittura, alla scultura, nonché alle arti suntuarie e ai tessuti, i quali ultimi ben di rado si incontrano negli scavi archeologici e di norma vengono relegati nella categoria delle arti minori. Pressoché uniche eccezioni a questa regola sono i lavori in metallo e le monete altomedievali: molti paesi d'Europa vantano infatti una tradizione secolare di studi numismatici e, nel caso dell'Italia, molte delle numerose zecche medievali sono già ampiamente trattate nel Corpus Nummorum Italicorum. In ogni caso, sino a oggi i materiali medievali di uso comune sono stati decisamente trascurati con il risultato che l'a. medievale si è trovata priva dei reperti-guida (indicatori di attività, condizione o datazione), di cui altre branche dell'a. possono usufruire già da decenni. Anche per la ceramica, che è sempre stata riciclata e, praticamente indistruttibile, costituisce il manufatto più abbondante in quasi tutti i siti medievali, si è compiuto un notevole sforzo per fissare delle tipologie databili. In questo settore numerose nuove istituzioni e opere di indagine specifica hanno seguito e seguono metodi di approccio differenti: quello tradizionale, storico-artistico, è stato sostituito in generale, negli ultimi due decenni, dalle metodologie basate sul materiale ricavato da contesti stratigrafici e su schemi di distribuzione, studi quantitativi e analisi di laboratorio. In effetti, l'analisi delle argille e delle ceramiche ha aperto nuovi campi d'indagine. L'esame di una sezione sottile rivela molti dei minerali contenuti nell'argilla e questo spesso permette di accertare la regione di provenienza dei materiali ceramici rinvenuti; anche quando l'esatta ubicazione della fornace resta sconosciuta è possibile talvolta determinare l'origine di un particolare tipo di ceramica. Tenendo presente sia questi dati sia lo schema di distribuzione diventa possibile affrontare i problemi della produzione e del commercio dei manufatti ceramici; contemporaneamente l'analisi chimica delle vetrine e degli smalti permette di tracciare anche una storia della tecnologia.L'insieme di queste ricerche ha condotto a nuove acquisizioni circa la produzione, il commercio e l'uso della ceramica nel Medioevo. Ovviamente alcune regioni risultano meglio conosciute di altre, ma complessivamente il progresso delle conoscenze può dirsi in linea di massima notevole e in alcuni casi di grande importanza. Nella maggior parte dell'Europa e del Mediterraneo occidentale la produzione e il commercio su vasta scala cessarono alla fine dell'epoca romana e nell'Alto Medioevo la produzione ceramica fu essenzialmente artigianale o addirittura domestica; una produzione professionale o semiprofessionale ricomparve solo nel sec. 9° o subito dopo e, mentre la qualità e la varietà delle ceramiche usate nei centri urbani crebbe rapidamente nel corso del sec. 12°, solo a partire dal sec. 13° fornaci industriali produssero ceramiche da cucina e da mensa, insieme con vasellame per usi industriali e contenitori per il trasporto e l'immagazzinamento delle derrate.Per quanto riguarda gli insediamenti medievali, la maggioranza di essi si può dividere in due gruppi: centri urbani e comunità rurali. L'immagine più diffusa degli insediamenti rurali, in molte zone del Mediterraneo, è quella del villaggio compatto collocato in una posizione di difesa naturale, spesso un promontorio, alla confluenza di due gole o vallate. Una delle conquiste più importanti dell'a. medievale in Francia è lo scavo integrale di un simile insediamento a Rougiers (dip. Var). Si tratta di un progetto che dopo un lavoro di quindici anni è stato condotto a termine nel 1976 ed è ora oggetto di una esemplare monografia della direttrice dello scavo, Démians d'Archimbaud (1980).In Italia questi insediamenti sono conosciuti come 'castelli' e dominano il paesaggio dell'intero territorio nazionale. Alcune delle prime indagini archeologiche nell'area mediterranea furono condotte nella campagna a N di Roma alla fine degli anni Sessanta; esse permisero di avanzare l'ipotesi che il tipo romano di insediamento sparso fosse sopravvissuto fino al sec. 9° e che in seguito la popolazione si fosse stabilita nei castelli. La ricerca d'archivio ha confortato questa tesi, poiché il processo noto come incastellamento è ben documentato in molte regioni nel 10° e 11° secolo.Una ricerca successiva, negli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, ha rivelato che la storia dell'insediamento rurale è assai più complessa e meno uniforme di quanto fosse stato supposto. Tra l'altro, il tipo di insediamento romano era anch'esso variabile e tutt'altro che statico. Se è vero che i secc. 10° e 11° videro in molte zone la diffusione di castelli, è altrettanto vero che un tale processo in alcune regioni si verificò assai precocemente: nei secc. 6° e 7° ai confini del ducato di Roma e forse anche nella valle del Biferno, in Molise. Fonti bizantine riportano notizie sulla creazione di castra paramilitari, ma manca ancora la prova archeologica per conoscere il loro effettivo carattere.Per quanto concerne l'a. urbana, a seguito della seconda guerra mondiale essa ha attraversato una fase rivoluzionaria. Tradizionalmente gli archeologi studiavano le città 'morte': Ostia, Leptis Magna, Efeso; gli scavi di una parte significativa di una città moderna come Atene erano stati un'eccezione. A partire dagli anni Cinquanta, invece, in vari paesi d'Europa gli archeologi approfittarono delle zone devastate dalla guerra per ricercare le origini e lo sviluppo delle città odierne. Il ritmo accelerato della riedificazione portò a concentrare l'attenzione sull'urgente necessità di compiere scavi nei centri urbani, prima che eventuali depositi archeologici venissero distrutti dalla costruzione di fondazioni di nuovi edifici, piani interrati e parcheggi sotterranei. La distruzione di questa particolare fonte archeologica è stata presa in considerazione da Biddle, Hudson, Heighway (1973).L'a. urbana su grande scala, tuttavia, è un fenomeno degli anni Settanta e Ottanta. Richiede la capacità di lavorare in condizioni difficili e in tempi brevi, di registrare e interpretare stratigrafie complesse e frammentarie, di coordinare l'attività del personale e dei macchinari e di trattare adeguatamente i manufatti e i reperti, che a volte si rinvengono in quantità prodigiose. Spesso la rapidità è essenziale, dato che le complesse operazioni di recupero vengono svolte con scadenze rigide, prefissate contrattualmente; nello stesso tempo, la quantità di reperti può costituire un ostacolo alla realizzazione del progetto iniziale. Nell'Italia settentrionale, tre progetti di scavi urbani meritano una particolare attenzione: Pavia, dove si è condotta un'eccellente indagine (Hudson, 1981), Verona e Milano, dove la costruzione della metropolitana, nel 1982-1983, fu preceduta da scavi finanziati dalla Soprintendenza Archeologica e dalla Metropolitana Milanese, la società appaltatrice. Nel cuore di Roma gli scavi esemplari della Crypta Balbi promettono di dire sull'evoluzione della città tra il 500 e il 1000 più di quanto abbiano fatto un secolo e mezzo di ricerche archeologiche nel Foro. A Napoli, il lavoro compiuto dalla Soprintendenza competente e dall'Ist. Univ. Orientale offre possibilità altrettanto significative. In questi ambiti l'a. urbana ha conquistato così il posto che le spetta tra i fattori da tenere in considerazione nella elaborazione dei piani regolatori.È importante rilevare come l'a. urbana sia più orientata allo studio dell'evoluzione delle città nel loro complesso che non a quello del loro carattere in un particolare momento. Caratteristica essenziale degli scavi urbani è quindi quella di occuparsi di tutti i periodi testimoniati dalla stratificazione archeologica; nessun tipo di monumento, nessuna attività e nessun periodo risulta prioritario, benché la circostanza che l'a. urbana sia spesso una corsa contro il tempo obblighi di fatto talvolta gli scavi a sacrificare aspetti particolari della stratificazione.Come terzo punto va detto che l'a. contribuisce in primo luogo alla conoscenza del territorio e, attraverso gli studi relativi, all'utilizzo del terreno. Essi assumono varie forme: ricognizione, studio di fotografie aeree, ricerche sulle strategie di sussistenza.In Europa l'a. del territorio è stata applicata per la prima volta in Gran Bretagna, dove Allcroft (1908) pubblicò un resoconto su uno dei più significativi aspetti del paesaggio rurale del Tardo Medioevo, il c.d. villaggio abbandonato. Negli anni Quaranta Hoskins condusse un'indagine dettagliata sui villaggi medievali della contea di Leicester, valendosi dei registri parrocchiali, del Domesday Book e di altri documenti per identificare i siti e scoprire le date e le cause del loro abbandono. I villaggi britannici furono particolarmente studiati nel periodo postbellico: nel 1952 venne fondato il Deserted Medieval Village Research Group; nel 1953 furono avviati gli scavi del sito abbandonato di Wharram Percy con l'obiettivo di riportare totalmente alla luce l'intero insediamento (il progetto è ancora in corso); un anno dopo Beresford (1954) pubblicò il primo studio sintetico.Un altro aspetto attualmente oggetto di discussioni fra archeologi e storici è il contributo dell'archeozoologia, lo studio di resti animali provenienti da siti archeologici ai fini di una migliore conoscenza delle basi economiche della società medievale. Tali resti possono fornire un'ampia informazione sull'allevamento del bestiame, i metodi di macellazione, il diverso consumo dei vari animali domestici e selvatici: un insieme di dati assai importanti per ricostruire la storia dell'uso del territorio confermando o, a volte, confutando le informazioni ricavate dagli archivi.In ogni caso oggi le più importanti ricerche di a. medievale prevedono il lavoro degli storici come parte integrante del progetto: è il caso del notevole programma di a. urbana realizzato a Winchester in Inghilterra e, in Italia, dello scavo di un insediamento rurale a Brucato, in Sicilia (Brucato, 1984), e del progetto in corso di attuazione a San Vincenzo al Volturno, in prov. di Isernia.Nonostante i rapidi progressi e il diffuso consenso ottenuto da parte degli storici, l'a. medievale non ha ancora convinto tutti gli studiosi riguardo alla sua legittimità come strumento d'indagine storica, anche se il numero di coloro che considerano l'informazione documentaria e i dati archeologici come tra loro incompatibili diminuisce di anno in anno. I vantaggi che si possono trarre da un approccio pluridisciplinare sono infatti senza dubbio di tale valore da non poter essere ignorati. Lo studio degli insediamenti rurali e in particolare dei c.d. villaggi medievali abbandonati ha tratto enorme vantaggio dalla sintesi delle informazioni raccolte da storici, archeologi, geografi e studiosi di toponomastica.Lo studio della storia urbana e in particolare della continuità o della rinascita della vita cittadina nell'Alto Medioevo è stato modificato dagli sforzi riuniti - come a Winchester e recentemente a Ferrara e in altre città italiane - di archivisti, archeologi e storici dell'architettura, specie quelli interessati all'architettura minore. Lo studio della produzione e della distribuzione, in particolare per l'Alto Medioevo, è stato rinnovato dall'analisi della ceramica e di altri prodotti, come la pietra ollare.Nel trattare dell'a. medievale vanno, in conclusione, sottolineate due delle sue caratteristiche fondamentali: in primo luogo si tratta di una disciplina a carattere diacronico, particolarmente per quanto riguarda le ricerche urbane e sul paesaggio; in secondo luogo, come tale, per essere uno strumento di indagine efficace, essa deve inserirsi in un ambito disciplinare più ampio, che va dalle scienze naturali alle ricerche d'archivio.
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La storia, l'a. e la storia dell'arte medievale sono legate non solo dallo stesso oggetto e dallo stesso fine della ricerca, la realtà storica del Medioevo e la sua conoscenza integrale; hanno inoltre in comune anche taluni condizionamenti generali della ricerca. Divergono invece, come rileva Fehring (1987, p. 15), per quanto riguarda la qualità delle fonti: quelle archeologiche contengono in genere informazioni virtuali su rapporti, stati e situazioni storiche; quelle testuali informano in modo precipuo e innanzitutto su avvenimenti. In tal senso documenti, atti, diari, cronache, ecc., cioè tutte le fonti scritte nel loro insieme, riflettono un aspetto della realtà diverso da quello rilevato dalle fonti archeologiche e in genere oggettuali.La complementarità di tali diverse categorie di fonti risulta evidente in particolar modo in alcuni tipi di ricerche, per es. quelle sulle origini delle città medievali. Le fonti scritte testimoniano di solito dell'atto di fondazione, dello stato giuridico, come pure di certi avvenimenti della vita politica, economica e sociale. Mancano invece, o sono pochissime, le informazioni su condizioni naturali, clima, risorse del territorio. Altrettanto poco è noto, in genere, delle forme di insediamento che precedevano la città, come pure dell'aspetto e dell'estensione delle forme edilizie nelle successive fasi dello sviluppo urbano. Se alcuni aspetti politici e militari del sistema difensivo trovano spesso un certo riflesso nei documenti, rimangono aperti i quesiti circa le sue dimensioni, le modalità costruttive e funzionali e spesso anche la cronologia delle fasi più antiche; a questi solo un intervento archeologico appositamente programmato e sistematico può dare risposta.Lo stesso vale per la tipologia dei modelli abitativi, delle tecniche costruttive, degli arredi e degli utensili domestici; ma anche nell'indagine sulla produzione primaria e sull'alimentazione, sugli strumenti di lavoro e sulla produzione artigianale, sulla circolazione monetaria e sugli scambi e commerci, i dati archeologici risultano insostituibili. Persino le produzioni artigianali di importanza primaria, come quella delle ceramiche o dei tessuti, o anche il consumo dei prodotti costituiscono solo raramente oggetto delle fonti scritte: "Nonostante le preziosissime descrizioni, come quella di Teofilo, monaco del sec. 12°, le nostre conoscenze dei numerosi campi della storia delle tecniche e delle tecnologie medievali poggiano sulle fonti archeologiche" (Fehring, 1987, p. 32). "Lo storico della società medievale sa ora che non può più fare a meno delle informazioni fornite dalla indagine archeologica degli insediamenti antichi. Questo apporto riveste particolare importanza a tre livelli: 1) Gli oggetti che lo scavo riporta alla luce costituiscono, per le epoche anteriori ai secc. 14° e 15°, i soli documenti sicuri per una storia della tecnica. Essi suppliscono alla carenza delle fonti scritte e dell'iconografia; senza di essi non si saprebbe pressoché nulla sui procedimenti grazie ai quali un gruppo sociale si assicurava la sussistenza, provvedeva alla propria difesa contro le intemperie e gli aggressori; né, per es., di come si prendeva cura dei propri morti, contro i pericoli del soprannaturale; né sarebbe noto quale parte della produzione venisse destinata all'ornamento della persona o quali prodotti venissero importati dall'estero. 2) La ricerca archeologica fornisce d'altra parte la sola testimonianza convincente sull'organizzazione dello spazio sociale. Attraverso ciò che rivela circa le dimensioni e le divisioni interne delle case, essa fornisce argomenti per ogni serio studio delle strutture familiari; grazie all'immagine che fornisce della topografia dell'insediamento e della distribuzione dei diversi tipi di edifici, essa permette di calare nel concreto ciò che le fonti scritte evocano della stratificazione sociale e delle relazioni che questa determinava; riconoscere con precisione la situazione dell'abitato in rapporto al territorio che lo circonda, agli altri centri e alle vie di comunicazione, costituisce infine un approccio indispensabile per ogni storia sociale condotta in un quadro regionale. 3) Per un periodo storico i cui documenti scritti informano assai poco sulla vita quotidiana, lo studio sul terreno della disposizione dei siti, del modo in cui la loro organizzazione si è modificata nel corso delle generazioni, offre un sostegno necessario a ogni ipotesi sull'evoluzione del popolamento e sulla distribuzione dei poteri" (Duby, 1976, p. 15).Un legame particolarmente stretto unisce l'a. medievale alla storia della cultura materiale intesa come area interdisciplinare di ricerca. Da una parte i nessi con una storia non événementielle e dall'altra gli stretti legami con la ricerca etnologica fanno della storia della cultura materiale un terreno privilegiato, dove l'approccio archeologico s'incontra fecondamente con le discipline che mirano, anche se ognuna in maniera diversa, a far rientrare le ricerche settoriali in un quadro complessivo di ricostruzione integrale della storia.Nell'esperienza di ricerca archeologica sul Medioevo degli ultimi decenni la storia della cultura materiale si è associata a una determinata concezione dell'etnografia e del suo rapporto con le discipline storiche. La particolare natura dei rapporti sussistenti in radice tra la storia e l'etnologia è stata puntualmente rilevata da Lévi-Strauss (1958, trad. it. pp. 30-31): "Ci proponiamo di mostrare che la loro differenza fondamentale non è né di oggetto, né di scopo, né di metodo; ma che avendo lo stesso oggetto (la vita sociale), lo stesso scopo (una migliore intelligenza dell'uomo) e un metodo in cui varia soltanto il dosaggio dei procedimenti di ricerca, esse si distinguono soprattutto per la scelta delle prospettive complementari: la storia organizza i suoi dati in base alle espressioni coscienti e l'etnologia in base alle condizioni inconscie della vita sociale". A sua volta Le Goff (1973, p. 233ss.) rileva che "la nuova storia, dopo essersi fatta sociologica, tende a divenire etnologica" ed esprime l'opinione che "l'apporto immediato dell'etnologia alla storia è, a colpo sicuro, la promozione della civiltà o cultura materiale".Nell'a. intesa nel suo insieme sono compresenti elementi di ambedue gli approcci alla realtà socioculturale. L'a. preistorica può essere concepita, secondo Laming Emperaire (1964, p. 193), come, in un certo senso, le summum de l'ethnologie, in quanto studio di fenomeni involontari dell'evoluzione delle società umane, perché essa è la sola a fornire informazioni sui fatti, senza che questi siano passati per il vaglio del pensiero dell'informatore (testi, relazioni, inchieste, ecc.). Per sua natura quindi essa è molto vicina all'etnologia e continua a caratterizzarsi in termini di ethnographie du passé.L'a. classica invece, con i suoi legami con la filologia e con la storia dell'arte, è più vicina alla storia, mentre l'a. postclassica, specie quella medievale, sembra unire, più delle altre, ambedue le prospettive conoscitive, a vari livelli di ricerca.Qui l'etnologia viene infatti chiamata a intervenire ad almeno tre livelli distinti, i primi due individuati da Poisson (1979, p. 147), il terzo da Bucaille: 1) "per l'interpretazione dei reperti materiali, essa può fornire una griglia di analisi messa a punto, in origine, per lo studio delle società ancora esistenti, ma che ha dato anche prova delle sue possibilità operative nell'applicazione a dati archeologici. L'archeologia fa intervenire in questo caso la dimensione diacronica nell'antropologia culturale"; 2) "lo studio delle società attuali può fornire dei punti di paragone con i materiali scoperti dallo scavo: paragoni fra differenti momenti sincronici di una società o fra differenti elementi, ripartiti geograficamente, di una o più società nello stesso momento, forniscono le dimensioni spaziali e temporali che richiama l'antropologia"; 3) "a livello di sintesi i lavori dell'archeologia medievale si ricollegano direttamente all'antropologia culturale" (Moreno, Quaini, 1976, p. 23). Proprio a questo livello, tuttavia, per sua stessa natura decisivo e perciò delicato, si scontrano opinioni contrastanti: e di fatto la tesi che possiamo definire Archaeology as anthropology (Binford, 1962) non si è mai radicata nella tradizione europea. Al contrario, l'a. medievale ha avuto sin dall'inizio uno stretto e organico rapporto con la storia. Lo rileva tra l'altro Bognetti (1964, p. 67s.): "l'operare dell'archeologo presuppone un corredo talvolta assai raffinato di nozioni storiche. È di per sé un problema 'storico' quello che spinge all'indagine archeologica; ed è la consapevolezza storica che fornisce, nella più parte dei casi, i principali criteri per la valutazione di quanto viene scoperto dall'archeologo". È questa una tendenza, radicata del resto profondamente nella pratica della ricerca, che da una parte viene a più riprese confermata, dall'altra continua a essere oggetto di vive discussioni (XVI. Internationaler Kongress der Geschichtswissenschaften, Stuttgart 1985; World Archaeological Congress, Southampton 1986; XIe Congrès de l'Union Internationale des Sciences pré- et protohistoriques, Mainz 1987).In ogni caso l'a., analogamente alla storia dell'arte, opera in base alle fonti oggettuali, studiate per lo più nei due casi con metodi dello stesso genere (come per es. analisi stilistica o esame comparativo dei tipi) prima che, in un secondo momento, vengano presi in considerazione differenti tipi di fonti specifiche. Contrariamente a quel che avviene in a., però, l'oggetto di ricerca della storia dell'arte non è tutto il patrimonio materiale di una civiltà, bensì solo quegli oggetti che possiedono le qualità estetiche di un'opera d'arte, anche se in grado o a livelli c.d. 'minori', qualità del resto difficilmente definibili in modo del tutto oggettivo (Fehring, 1987, p. 17). Per un archeologo medievale invece le qualità estetiche di un prodotto sono altrettanto poco rilevanti quanto per un etnografo. Lo studio archeologico non esclude programmaticamente l'apprezzamento dei valori estetici, quando essi sussistano - "interferendo così con la storia dell'Arte con l'A maiuscola e con la storia delle cosiddette arti minori" (Fasoli, 1968, p. 127s.) - ma l'oggetto d'indagine viene determinato in base a criteri non estetici, bensì storici.I mutamenti che sono avvenuti nell'a. classica italiana dalla fine degli anni Sessanta in poi la avvicinano del resto molto di più alle impostazioni dell'a. medievale: "il problema storico-artistico cessa di essere il motivo primario dell'archeologia, per diventare uno dei molteplici temi, anche se rilevante" (Torelli, Tortorella, 1985, p. 31). Il nuovo orientamento trova una netta espressione nelle parole di Bianchi Bandinelli (1976, p. IX): "Il compito dell'archeologia si è oggi precisato e ampliato col proporsi la ricostruzione integrale della storia di un'età e di un luogo sulla base di elementi di fatto materiali, da porre a confronto, quando ve ne siano, con le tradizioni scritte, ma da analizzarsi, altrimenti, di per se stessi [...] Oggi la ricerca archeologica, congiunta a quella etnologica, si estende ad ogni età e ad ogni luogo. L'antichità classica non ne è che uno degli argomenti, e il suo intento è esclusivamente storico". Le posizioni teoriche espresse negli ultimi scritti di Bianchi Bandinelli aprono la strada verso "una rifondazione materialistica degli studi classici" (Carandini, 1979, p. 31) e verso un'a. che, nelle sue scelte, non espunga il non bello, ammettendo che in realtà tra il prodotto d'arte e gli oggetti d'uso non c'è soluzione di continuità (Kroeber, 1952; Maltese, 1970, p. 186).Nell'accezione più larga del termine, l'a. medievale è "intesa nel senso più generale di raccolta di informazioni mediante il recupero sistematico di testimonianze materiali della cultura postclassica. L'aggettivo medievale non deve qui prendersi nel significato storiografico più restrittivo, ma deve piuttosto essere riferito, globalmente e accogliendo una istanza 'europea', alla storia delle 'culture' di antico regime, postclassiche e preindustriali. Una storia per definizione di lungo periodo e che presenta una continuità e una periodizzazione riferibili non tanto agli avvenimenti politici quanto alle trasformazioni dei modi e rapporti di produzione" (Editoriale, 1974, p. 7).Più diffusa, tuttavia, è in molti paesi la tendenza a limitare il quadro cronologico della ricerca al Medioevo vero e proprio. Al di là dei confini della civiltà classica, l'a. medievale inizierebbe là dove termina il campo d'interesse dell'indagine pre e protostorica. Va inoltre osservato che la ricerca sull'Alto Medioevo si incontra spesso direttamente con quella protostorica. Ora, quest'ultima inizia con l'apparizione delle prime fonti scritte, il che in Europa centrale avviene con l'arrivo dei Romani al Reno e al Danubio. Meno chiaro invece appare l'orizzonte cronologico che chiude quel periodo. Nella parte occidentale dell'Europa centrale l'ambito di ricerca della frühgeschichtliche Archäologie di regola non va oltre la fine del periodo merovingio, in Europa settentrionale oltre la fine della Wikingerzeit, mentre in Europa orientale si estende fino ai secc. 11°-12° (Fehring, 1987, p. 19) e in alcuni casi addirittura alla metà del sec. 13° (Hensel, 1986, p. 19ss.). Diversa ancora è la situazione italiana: "fino a pochi anni or sono dove terminavano le indagini dell'archeologo classico iniziavano quelle dell'archeologo cristiano, figura riassuntiva, fino all'ultimo decennio, della ricerca sull'Alto Medioevo e sulle fasi postclassiche in generale" (Melucco Vaccaro, 1982, p. 18). Comunque in genere a partire dal sec. 12° al più tardi si accetta comunemente e senza riserve il termine a. medievale (Jankuhn, 1973, p. 9ss.).Da un punto di vista più generale, tuttavia, questa articolazione interna della ricerca archeologica del periodo postclassico per etnie, per divisioni cronologiche più dettagliate o per ideologie ha un valore assai relativo. Importante è invece, anche nell'ottica di rappresentanti di altre discipline, assicurare la continuità della ricerca. Se si accetta - come propone Schlesinger (1974, p. 7ss.) - che i secc. 4°-5° segnino il momento di transizione tra il Tardo Antico e il Medioevo, diventa importante - rileva Fehring (1987, p. 19) - che questo periodo entri a pieno titolo nel campo della ricerca dell'a. medievale.Per quanto riguarda la demarcazione cronologica dell'a. medievale rispetto a quella dei tempi moderni, esistono due opinioni. Secondo la prima, l'a. medievale, in quanto studio sistematico delle condizioni materiali, delle forme di produzione, dei processi di lunga durata, non deve intendersi nel suo significato storiografico più restrittivo bensì, per garantire la continuità delle indagini, dovrebbe abbracciare tutto il periodo preindustriale, avvicinandosi così alla c.d. a. industriale. Più diffusa tuttavia è una seconda accezione, meno ampia, dell'a. medievale: il passaggio tra il sec. 15° e il 16°, con i suoi molteplici mutamenti culturali, servirebbe da cesura fra l'a. medievale e quella postmedievale (Fehring, 1987, p. 19).Per dare al termine maggiore elasticità e nello stesso tempo per renderlo più coerente al senso, all'uso e all'accezione più comuni dell'aggettivo 'medievale' sembra più opportuno inquadrare in questa sede la materia in questione tra la fine del mondo antico da una parte e l'inizio dell'età moderna dall'altra."L'archeologia, dal momento del suo costituirsi come scienza storica, appare caratterizzata da profondi mutamenti, tanto nel metodo quanto nel fine, che sono particolarmente evidenti a partire dagli ultimi decenni. Solo in tempi molto recenti, infatti, essa ha cominciato a interrogarsi sui suoi fini, sul suo ruolo e sulla sua posizione rispetto alle altre scienze, affrontando problemi teorici e metodologici rimasti a lungo estranei agli interessi degli archeologi classici, rivolti tradizionalmente allo studio storico-artistico e filologico del mondo antico" (Torelli, Tortorella, 1985, p. 29). Queste considerazioni possono essere riferite anche all'a. medievale, ma in questo caso un accento maggiore va posto sulla diversità delle possibili opzioni, spesso contraddittorie, che offrono gli attuali tentativi di impostare un nuovo orientamento della ricerca. Infatti, si possono distinguere almeno: 1) un'impostazione vicina al positivismo 'pratico' (spontaneo), ancora vitale nelle sue diverse varianti e addirittura dominante nella pratica di ricerca e nei programmi universitari di numerosi centri europei; 2) la 'nuova a.' e gli indirizzi di ricerca che ne derivano o si richiamano al suo patrimonio e che sono propri di talune scuole anglosassoni; 3) l'a. teorica, con il suo programma logicistico formulato da Gardin e Frerichs, che si richiama alla filosofia analitica, all'empirismo logico e alla semiotica; 4) l'approccio simbolico-strutturale rappresentato, nella sua versione britannica, dal gruppo di Hodder; 5) lo storicismo marxista, di cui uno dei maggiori artefici rappresentanti è stato Childe, che ha dato un forte impulso al concetto di storia della cultura materiale.Mentre i primi tre orientamenti si ricollegano al positivismo nelle sue diverse versioni, gli ultimi due sono in qualche modo legati tra loro, sia perché si staccano dalla visione del mondo fenomenologica e individualistica contenuta nelle concezioni positivistiche, sia perché ambedue, anche se in modo differente, si richiamano al materialismo storico (Tilley, 1981; Leone, 1982).Il pensiero positivista - frutto dell'ideologia evoluzionistica - in a. faceva volgere l'interesse sullo strato superficiale del processo socioculturale, quello direttamente osservabile. Una rilevanza particolare veniva attribuita alle operazioni formali di classificazione e tipologia dei materiali acquisiti. Tali operazioni di sistemazione del materiale secondo i criteri di tempo, luogo e appartenenza oggettuale (indispensabili in ogni ricerca sistematica) nella coscienza di numerosi studiosi hanno subìto trasformazioni tanto radicali da divenire, in molti casi, il fine del processo di ricerca di cui erano strumento. Ciò ostacolava, evidentemente, la visione complessiva dell'oggetto delle ricerche e da un lato contribuiva alla parcellizzazione dell'osservazione del reale - propria tanto della conoscenza del mondo del senso comune, quanto di quella positivista - dall'altro lato tendeva a delimitare le ricerche entro un ambito meramente 'fattografico', trascurando una conoscenza teorica che guidasse le operazioni della selezione, della gerarchizzazione e del collegamento di fatti eterogenei in entità più vaste.Oggetto di ricerca, stando a questa concezione, è una realtà 'obiettivamente esistita' e 'irripetibile'. Tale realtà sussiste non solo in senso ontologico (come un qualcosa che abbia avuto un luogo, che sia avvenuto) ma anche in senso conoscitivo (epistemologico), in quanto struttura conformata e ormai immutabile di fatti socioculturali accessibili alla conoscenza. L'archeologo tende a stabilire quei fatti obiettivi che è in grado di cogliere e a presentare le regolarità del loro manifestarsi. Il ragionamento e le argomentazioni dovrebbero poggiare sull'induzione e inoltre essere fondati su fonti 'pure' e non già interpretate e appesantite da opinioni e precisazioni. Il ragionamento deduttivo è consentito solo "quando si tenti di colmare delle lacune nelle nostre fonti o di chiarire fenomeni e circostanze oscure in base a regolarità registrate altrove" (Godlowski, 1962, p. 81s.).Alla fede nell'esistenza di fonti 'pure', cioè di fatti grezzi da cui il passato, come una costruzione in mattoni, sarebbe costituito e che andrebbero accumulati nella misura maggiore possibile attraverso un'osservazione libera da ogni interpretazione e da ogni riflessione teorica, si accompagnava la convinzione che da tale massa di fatti sarebbe stato possibile ricavare generalizzazioni e, infine, una teoria, come risultato automatico delle ricerche. L'induzionismo confluisce (così come in storiografia) nell'individualismo metodologico e nella concezione secondo cui ciò che realmente esiste nella società sono gli individui, le loro attività e i prodotti di tale attività, per cui è possibile ridurre la conoscenza di una società alla somma delle conoscenze legate agli individui che la costituiscono (Tilley, 1981).Testimonia l'ampiezza del raggio d'azione di tale modo di affrontare i fenomeni socioculturali il fatto che molti studiosi interpretano la nascita della 'nuova a.' negli anni Sessanta come una reazione all'unilateralità dell'approccio parcellizzato del diffusionismo che informava la quasi totalità delle visioni delle età pre e protostoriche (Chapman, 1980, p. 22). A differenza dei loro predecessori, però, i 'nuovi archeologi', orientati verso il funzionalismo, ordinano le informazioni sulla cultura secondo il criterio sincronico piuttosto che secondo quello diacronico, proprio degli evoluzionisti. Di qui lo scarso interesse verso le dimensioni temporali e le ricerche sulle relazioni genetiche tra fenomeni socioculturali, come pure la differente prassi di ricerca archeologica, più vicina all'antropologia che alla storiografia.La 'nuova a.' con il suo orientamento naturalistico, il suo astoricismo, il suo culto della quantificazione, si è ritrovata fin dall'inizio in aperta contrapposizione con il resto dell'a. dichiarata 'tradizionale', compresa quella medievale, accusata di essere incapace di passare oltre un approccio particolareggiante, di non essere preparata a mettere in pratica una 'a. scientifica' (South, 1977, p. 51). Alla storia viene attribuito dai 'nuovi archeologi' un posto subalterno: il suo ruolo nel futuro sarebbe essenzialmente quello di controllare i fondamenti dei modelli elaborati dagli archeologi e quindi eventualmente di convalidarli. L'a. storica, rileva South (1977, p. 125), avrà il compito di "contribuire all'affinamento del metodo e alla costruzione di una teoria valida per tutta l'archeologia".Reazioni critiche si sono avute anche da parte degli archeologi medievisti. De Bouard (1982, p. 58ss.) ha dato in proposito una delle risposte più convincenti rievocando tra l'altro l'opinione di uno dei più acuti critici della 'nuova a.', Morgan, che così si esprimeva: "Il lavoro dei 'nuovi archeologi' sembra essersi limitato a mettere in evidenza le caratteristiche di alcune società o culture particolari. Ma non se ne è ricavato nulla che possa costituire, in maniera credibile, una legge interculturale o una legge dei cambiamenti culturali. Se è impossibile formulare tali leggi, si hanno vaste lacune nella nostra conoscenza delle culture passate, della loro evoluzione e delle loro trasformazioni. Così l'elaborazione di tali leggi dipende dal lavoro di archeologi orientati verso la storia. Non si devono dunque scoraggiare gli archeologi dall'adottare nel loro lavoro la prospettiva storica" (Morgan, 1973, p. 259s.).Di recente Frerichs (1981) ha elaborato una concisa presentazione di una a. teorica basata su premesse logicistiche. Il suo saggio è un tentativo di riconsiderare l'oggetto di ricerca, le finalità e i metodi dell'a. attraverso l'analisi degli enunciati formulati dagli stessi archeologi, confidando nel presupposto che la struttura di tali enunciati - e, più in generale, del linguaggio in cui sono formulati - rispecchi la struttura del reale: sia della realtà storica, vero e proprio oggetto delle ricerche, sia della realtà delle fonti, che è la proiezione specifica ed estrapolabile della precedente, sia, infine, della realtà della ricerca in cui sono formulati questi e solo questi enunciati. Questo programma 'logicistico' evita di porre gli studiosi di fronte a esigenze che nessuno, del resto, sarebbe in grado di soddisfare, avvicinandosi con ciò notevolmente a quello già formulato in precedenza da Gardin (1979).Alla discussione, sviluppatasi finora soprattutto sul piano del confronto fra a. tradizionale, 'nuova a.' e, in parte, 'a. logicistica', hanno apportato negli ultimi anni elementi qualitativamente nuovi gli interventi degli studiosi inglesi, soprattutto di quelli che fanno capo alla scuola di Hodder. Se la nascita della New Archaeology negli anni Sessanta può essere considerata - soprattutto nel campo delle teorie della cultura - una reazione al diffusionismo (Chapman, 1980, p. 22), la Symbolic and structural Archaeology è una risposta di stampo propriamente britannico al funzionalismo della 'nuova a.', alla sua fede acritica nell'efficacia dell'approccio sistemico e ai suoi dilemmi insoluti rispetto ai problemi della cultura e della società, della statica e della dinamica; è la reazione ai suoi legami organici con il positivismo (Hodder, in Symbolic and structural Archaeology, 1982, p. 1ss.).In ogni caso attualmente nella prassi delle ricerche si riscontra per lo più una gamma di posizioni intermedie, nelle quali coesistono elementi delle più diverse, estreme interpretazioni del processo conoscitivo (Gardin, 1979, p. 239ss.). Si può inoltre osservare come vengano abbandonati, da un lato, il metodo che consiste nell'accumulare, senza riflettervi, la maggiore quantità possibile di dati, dall'altro, l'uso di schemi concettuali corretti da un punto di vista formale ma poco utilizzabili nella prassi.Particolarmente caratteristico è il cambiamento avvenuto nel modo di intendere i fatti in quanto categoria del passato storico. L'affermazione secondo la quale le fonti non parlano mai di per sé, ma rispondono soltanto alle domande che vengono loro sapientemente poste (Bloch, 1952, p. 79), ha incontrato un consenso generale. Molto controversa rimane invece la questione circa la natura e il funzionamento delle procedure esplicative nelle specifiche condizioni della ricerca archeologica.Il concetto di spiegazione più diffuso in a., ma pure accompagnato da numerose controversie, è quello rappresentato dal covering-law model, introdotto nelle scienze storiche da Hempel (1949, p. 459ss.). Secondo questo schema, a una richiesta di spiegazione del tipo 'perché?' va contrapposto il fatto (il fenomeno, l'evento) che si intende spiegare mediante leggi relative alle dipendenze più generali. Nell'ambito così creatosi, il fatto preso in esame costituisce un caso particolare di una regola generale, come tale già nota e riconosciuta. Tutto ciò dovrebbe assicurare "una comprensione sistematica di un fenomeno empirico, dimostrando che esso ha il suo posto preciso nella rete di collegamenti nomici" (Sztompka, 1971, p. 157). Finora tuttavia i tentativi d'introdurre il modello nomologico sono stati fallimentari.L'échec épistémologique dei 'nuovi archeologi' è dovuto peraltro non solo e forse non tanto alle imperfezioni o agli errori commessi, quanto alla situazione delle scienze sociali e storiche in cui le asserzioni generali usate come premesse esplicative non hanno soddisfatto le esigenze imposte dal modello nomologico. Questo per due motivi: 1) perché non esprimono le regolarità prive di eccezioni per ogni tipo di eventi; 2) perché o non sono, come precisa Donagan (1966, p. 146) "condizionali strettamente universali (e quindi non sono leggi)", oppure, se lo sono, non sono vere, salvo quelle "che costituiscono applicazioni camuffate di leggi delle scienze naturali oppure asserzioni analitiche camuffate" (Amsterdamski, 1981, p. 386). Tuttavia, se pure la tesi secondo cui gli archeologi - come altri rappresentanti delle scienze sociali - non sarebbero in grado di formulare leggi universali si rivelasse fondata, questo ancora non dimostrerebbe, per fare riferimento alla formulazione di Amsterdamski, "che nel campo di tali scienze le spiegazioni conformi al modello della legge di copertura sono impossibili". Spesso è necessario accontentarsi di spiegazioni statistiche, non perfette, ma legittime. D'altra parte "la possibilità di scoprire delle leggi strutturali transculturali, che spieghino le regolarità del comportamento sociale, non sarebbe da escludere" (Amsterdamski, 1981, p. 386). Se queste asserzioni formulate di recente nell'ambito della filosofia della scienza si rivelassero vere, la visione pessimista di molti archeologi potrebbe attenuarsi.Si tratta in definitiva di decidere se e in che modo rendere più liberale la definizione del concetto di legge stessa, in modo che denoti almeno alcune asserzioni 'universali non in senso stretto' che possano fungere da premesse esplicative secondo i requisiti del modello di Hempel. Una risposta alla questione se sia possibile la teorizzazione delle singole discipline sociali e storiche - tra cui l'a. - può essere formulata solo in base alla pratica stessa della ricerca nell'ambito di queste discipline. Infatti, proprio l'analisi della loro prassi sembra indicare che il lento e difficile, ma anche evidente, progresso che si sta realizzando in questo campo si svolge prevalentemente non secondo le regole del modello di Hempel ma piuttosto sulla base di approcci meno rigidi e più appropriati alle specifiche esigenze di ognuna di queste discipline.Un posto notevole occupano qui le procedure di spiegazione professate dalla Post-processual Archaeology. Nella spiegazione del passato sociale non basta seguire i modelli metodologici delle scienze naturali (Hodder, 1986). L'a. - come la storia nella concezione di Collingwood (1946) - si occupa dell''individuale' e perciò non può dare spiegazioni causali come nelle scienze naturali. Si tratta invece di scoprire l'intelligibilità dell'insieme dei fatti (individuali e irripetibili) e dell'insieme dei valori in ogni azione sociale concreta che viene studiata. Nella descrizione di ciò che è avvenuto, l'archeologo deve ricorrere alla conoscenza intuitiva, deve 'comprendere' azioni umane, rivivere il passato nella propria mente. La spiegazione è il risultato di questa 'empatia', equivale cioè a una comprensione derivante dal 'sentire in profondità' le relazioni significative tra i fatti in ogni azione sociale studiata.Non possiamo peraltro oggi decidere se sia o meno applicabile il programma di un'a. 'che comprende', basata sull'empatia come fattore euristico, né se sia possibile ricostruire con sufficiente esattezza il contenuto di convinzioni che motivavano soggettivamente l'agire dell'uomo e verificare la validità delle ricostruzioni. Di conseguenza va detto che la prospettiva che le indagini archeologiche passino da una fase descrittivo-empirica a una fase teorica, caratterizzata dalla formulazione di sistemi di spiegazione adeguatamente sviluppati, sembra, nonostante le dichiarazioni dei 'nuovi archeologi', ancora abbastanza lontana.
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