Archeologia preventiva
Modalità d’indagine preliminare delle potenzialità e delle eventuali evidenze archeologiche in aree interessate da opere strutturali o infrastrutturali. L’affermazione di questa prassi operativa è legata all’evoluzione dell’approccio metodologico: dal campo dell’emergenza, ovvero attraverso interventi di scavo conseguenti a rinvenimenti imprevisti in fase di esecuzione lavori, a quello della prevenzione, ovvero attraverso indagini diagnostiche realizzate in fase di progetto.
In Italia l’a. p. è l’esito di una prassi da tempo adottata dalle soprintendenze per valutare in via preventiva le potenziali minacce al territorio e ai centri urbani, conseguenti all’incremento delle problematiche di mobilità e residenzialità urbana e di infrastrutturazione territoriale. Dopo le esperienze devastanti legate all’esplosione edilizia degli anni Sessanta e Settanta, che avevano visto l’Amministrazione ancora impreparata a fare fronte alle rapide trasformazioni territoriali, intorno agli anni Ottanta, grazie anche all’influenza esercitata dalle esperienze archeologiche maturate in ambito nord-europeo (in particolare in Gran Bretagna), è subentrata la consapevolezza che i salvataggi realizzati in condizioni d’urgenza rischiavano di compromettere definitivamente il patrimonio archeologico. A livello infrastrutturale e macroeconomico l’a. p. corrisponde alla necessità di limitare il costo, soprattutto in termini di dilatazione dei tempi di esecuzione, di grandi opere pubbliche, come le autostrade e le linee ferroviarie ad alta velocità e, nei centri urbani, le metropolitane e i grandi parcheggi.
A partire dal 2004 il Codice dei beni culturali e del paesaggio, all’art. 28, 4° co., ha previsto, in caso di realizzazione di opere pubbliche ricadenti in aree di interesse archeologico, la possibilità da parte del soprintendente di richiedere l’esecuzione di saggi archeologici preventivi a spese del committente dell’opera stessa. Nello stesso anno, per iniziativa del ministro delle Infrastrutture Pietro Lunardi, venne istituita una commissione mista con il ministero dei Beni culturali, presieduta dall’archeologa Francesca Ghedini, con il compito di elaborare i principi guida di una legge sull’a. p. in ambito di lavori pubblici.
Con la l. 109 (25 giugno 2005), poi recepita negli artt. 95-96 del d. legisl. 12 apr. 2006 nr. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), è stata così definita la procedura della cosiddetta Verifica preventiva dell’interesse archeologico (VIArch). La fase preliminare di detta procedura (art. 95) impone alle stazioni appaltanti di trasmettere al soprintendente copia del progetto preliminare dell’intervento corredata dagli esiti di studi e analisi geoarcheologiche preliminari, ovvero la raccolta dei dati pregressi di archivio e bibliografici, la lettura geomorfologica del territorio e, per le opere a rete, l’interpretazione del telerilevamento, nonché le ricognizioni di superficie sulle aree interessate dai lavori.
Con il d.m. del 20 marzo 2009 nr. 60 è stato istituito, presso la Direzione generale per i beni archeologici (ora Direzione generale archeologia) del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo, l’elenco dei dipartimenti archeologici universitari e dei soggetti professionali (archeologi specializzati o dottori di ricerca) qualificati all’attività di raccolta ed elaborazione dei dati per questa prima fase della verifica preventiva dell’interesse archeologico. La medesima Direzione, con la circolare nr. 10/2012, ha elaborato e pubblicato le linee guida in materia di a. p. per assicurare la piena attuazione delle procedure e l’uniformità di attuazione in ambito nazionale. Nel 2015, in verifica congiunta con il ministero delle Infrastrutture, sono in corso di preparazione le nuove, articolate linee guida per l’esecuzione delle indagini finalizzate alla verifica preventiva delle opere pubbliche.
Mentre la prima fase della procedura comporta solo attività di analisi e studio non invasive (coerentemente alla fase progettuale preliminare), la seconda (art. 96), qualora siano stati individuati elementi archeologicamente significativi, si articola in ulteriori due fasi, entrambe di carattere esecutivo, ovvero con attività condotte direttamente ‘sul terreno’, come solo le fasi progettuali definitiva ed esecutiva consentono. La prima fase (art. 96, 1° co., lett. a) prevede che il soprintendente possa richiedere alla committenza di integrare la progettazione preliminare con l’esecuzione di prospezioni geofisiche, carotaggi e sondaggi stratigrafici; la seconda (art. 96, 1° co., lett. b) di integrare la progettazione definitiva ed esecutiva con l’esecuzione di più ampi saggi e/o scavi estensivi.
Al termine della procedura la norma delinea tre possibili fattispecie: a) contesti in cui lo scavo stratigrafico ha esaurito le esigenze della tutela, non essendosi conservate strutture significative; b) contesti in cui invece sono necessari interventi di rinterro protettivo o smontaggio-rimontaggio di dette strutture; c) complessi di particolare rilevanza culturale da sottoporre a tutela ai sensi degli artt. 12-13 del Codice dei beni culturali. Tale ultima eventualità comporta varianti progettuali più o meno significative dell’opera programmata. Uno studio preventivo in relazione al possibile rischio sul patrimonio archeologico è previsto anche dalle direttive europee per la Valutazione di impatto ambientale (VIA) e per la Valutazione ambientale strategica (VAS), recepite in Italia nel d. legisl. 3 apr. 2006 nr. 152 (Norme in materia ambientale).
Oltre che nell’ambito delle opere pubbliche le modalità dell’a. p. hanno trovato sempre più spesso applicazione anche nelle opere private, pur in assenza di normativa specifica, laddove il loro impatto su aree a rischio archeologico consiglia – anche in termini strettamente economici e programmatici e nell’interesse della committenza – la loro adozione.
L’a. p. ha apportato significativi sviluppi anche alle metodologie della ricerca, in particolare nel campo della diagnostica predittiva e dei sistemi informatici applicati all’archeologia. L’a. p. rientra a pieno
titolo tra le operazioni definite di archeologia globale, dato che si caratterizza per un approccio interdisciplinare che coniuga studi di carattere storico e cartografico con quelli di carattere archeometrico: dal remote sensing alle prospezioni geofisiche, agli studi ambientali. Presuppone, inoltre, un’analisi non selettiva del territorio, con un interesse diacronico rivolto a documentare tutte le testimonianze materiali di una certa area, secondo logiche tipiche dell’archeologia dei paesaggi urbani e rurali.
Rischio archeologico: se lo conosci lo eviti, Atti del Convegno di studi su cartografia archeologica e tutela del territorio, Ferrara 2000, a cura di M.P. Guermandi, Firenze 2001; M. Carver, Archaeological value and evaluation, Mantova 2003; L. Malnati, La verifica preventiva dell’interesse archeologico, «Aedon», 2005, 3; Strumenti per l’archeologia preventiva: esperienze, normative, tecnologie, a cura di A. D’Andrea, M.P. Guermandi, Budapest 2008; B. Sassi, I. Chiesi, Archeologia preventiva. Un metodo di ricerca, in Vesuviana. Archeologie a confronto, Atti del Convegno internazionale, Bologna 2008, a cura di A. Coralini,Bologna 2009, pp. 359-64; Archeologia preventiva. Esperienze a confronto, Atti dell’incontro di studio (Salerno, 3 luglio 2009), a cura di M.L. Nava, Venosa 2009 (in partic. F. Ghedini, Archeologia preventiva, pp. 11-18).