archeologia
Alla ricerca delle tracce materiali del passato
L'archeologia non è ricerca di tesori sepolti, ma è una scienza della storia. Non è stato, però, sempre così: dall'antichità a oggi, molto è cambiato nella considerazione delle tracce materiali del passato. Quest'ultimo prima era visto come deposito di cose strane e meravigliose di una sola parte del mondo (Mediterraneo e Medio Oriente), ora invece ‒ soprattutto con l'aiuto di altre scienze e della tecnologia informatica ‒ come chiave per una comprensione più corretta e più ampia della storia
Il termine archeologia, che in greco significa "studio dell'antico", evoca subito all'immaginazione tesori scintillanti, tombe misteriose, geroglifici indecifrabili, avventure entusiasmanti in foreste impenetrabili, esplorazioni in cunicoli sotterranei pieni di trappole e scheletri… Un mondo affascinante, ben lontano dai polverosi e noiosi libri della storia 'ufficiale'. Anche se ovviamente su basi diverse, la distinzione tra storia e archeologia è utile, per esempio sul piano della documentazione: lo scopo dell'archeologia, infatti, è quello di studiare le testimonianze materiali del passato.
Anche nell'antichità, storia (greco istorìa) e archeologia (greco archaiologìa) erano distinte: la istorìa mirava alla ricostruzione precisa e veritiera, in ordine cronologico, degli eventi politici e militari, basata il più possibile sui testimoni diretti degli avvenimenti (pensiamo, per esempio, a un grande storico come Tucidide); la archaiologìa (in latino antiquitates) era invece l'interesse erudito per altri aspetti del passato, dalla lingua alla letteratura, dalla religione alla vita privata, dai costumi alle istituzioni, con lo scopo principale di individuare origini e motivazioni di usanze, riti, modi di dire ancora esistenti, nell'ambito di una continuità tra il presente e il passato.
La scomparsa più o meno traumatica del mondo romano, con l'emergere di realtà politiche e sociali del tutto diverse, fece nascere invece a partire dall'Alto Medioevo il senso di una separatezza del presente dal passato classico, da cui si sviluppò il concetto di antico. Di qui la crescente necessità della conservazione della memoria del mondo greco-romano, in primo luogo sul piano della documentazione letteraria: in questo senso i primi 'archeologi' occidentali possono essere identificati con gli amanuensi (i monaci addetti a scrivere) che hanno tramandato, ricopiandoli, i testi letterari antichi. Colpisce, inoltre, la presenza frequente, nelle chiese, nelle fortificazioni, nelle cinte murarie del Medioevo occidentale, di frammenti architettonici, scultorei, talvolta anche di epigrafi, dell'antichità classica. Queste presenze possono facilmente spiegarsi sulla base di motivazioni di ordine pratico (possiamo considerarle uno dei primi esempi di riciclaggio di materiali!), ma nello stesso tempo è evidente che questi frammenti materiali del passato classico non sono disposti a caso, bensì come elementi di prestigio con lo scopo di elevare il rango del contesto architettonico in cui sono inseriti.
Le prime raccolte di antichità. A partire dalla fine del 14° secolo, con l'Umanesimo ma soprattutto con il Rinascimento, in una visione che considera sempre più l'epoca classica il modello di riferimento culturale ‒ artistico, architettonico, letterario ‒ delle corti europee, specie italiane, cresce l'attenzione nei confronti delle antichità: si pensi alla scoperta della Domus Aurea, la splendida dimora romana dell'imperatore Nerone. Nascono così le prime collezioni e i primi musei e, inevitabile rovescio della medaglia, si ha anche la distruzione irrimediabile di interi giacimenti archeologici.
Nella costituzione delle prime raccolte di antichità in Italia si può individuare la nascita dell'archeologia moderna: essa non è intesa come attività scientifica, ma piuttosto come collezionismo delle cose antiche; con un criterio restrittivo, cioè come selezione del 'pezzo bello'. Le collezioni rinascimentali sono costituite, infatti, soltanto da statue e pezzi architettonici di pregio artistico: nel 1471 nasce a Roma, in Campidoglio, il primo museo archeologico aperto al pubblico.
Archeologia e propaganda politica. La civiltà greco-romana è però un modello non solo artistico, ma anche politico e sociale. Vediamo così sovrani, come Carlo V di Spagna, che si fanno ritrarre abbigliati come antichi imperatori o condottieri romani, su monumenti anch'essi ispirati al passato greco-romano. Questa attenzione del potere per l'antico ha certamente favorito, dati i mezzi messi a disposizione, il progredire dell'archeologia: si pensi agli scavi di Pompei, iniziati su impulso di Carlo di Borbone nella metà del Settecento. Ma ha anche determinato il persistere di un'archeologia legata alla propaganda e all'immagine del potere: un notevole esempio è la spedizione napoleonica in Egitto (1798-99), che tra le altre cose pose le basi dell'egittologia.
L'archeologia come attività scientifica. Verso la fine del 18° secolo, sulla scorta del pensiero illuminista (che induceva a liberarsi dalla prospettiva cronologica imposta dalla Bibbia) e soprattutto nei paesi dell'Europa settentrionale, l'archeologia si caratterizza per una visione più scientifica accanto quella prevalentemente storico-artistica o antiquaria. Risale al 1807 la fondazione in Danimarca di un museo nazionale in cui erano raccolti reperti preistorici di nessuna rilevanza artistica, ma raggruppati 'storicamente', secondo le tre Età della Pietra, del Bronzo e del Ferro.
Il secolo delle grandi scoperte. Nell'Ottocento la presenza sempre più significativa di esponenti delle potenze europee continentali (come la Francia, la Gran Bretagna, la Germania) nel Vicino Oriente portò a un allargamento dell'archeologia in territori che avevano una storia precedente al mondo greco-romano, ambito dell'archeologia tradizionale; le vicende dei popoli che avevano abitato questi territori ricevettero nuova luce anche grazie alla decifrazione, da parte di autorevoli studiosi, delle scritture geroglifica (J.-F. Champollion) e cuneiforme (G.F. Grotefend, H.C. Rawlinson). Il 19° è il secolo dell'archeologia dei grandi scavi, delle grandi scoperte nel Medio Oriente e nel mondo classico: quelle dei tedeschi K.R. Lepsius in Egitto e di H. Schliemann a Troia e in Grecia, del francese P.-E. Botta, dell'inglese A.H. Layard e ancora del tedesco R.J. Koldewey in Mesopotamia, soltanto per citarne alcuni. È l'archeologo 'romantico' di questo periodo che ancora oggi domina l'immaginario collettivo: una figura affascinante, impegnata in avventure e scoperte in luoghi esotici, un solitario intellettuale occidentale alla testa di operai locali.
Registrare tutto. In questo stesso periodo la necessità di una migliore comprensione delle aree indagate, di solito di enormi dimensioni, porta a mettere a punto metodi scientifici nello scavo il cui fondamento comune è l'approccio stratigrafico, attraverso il quale si riconosce nel terreno una logica sequenza di eventi, cui necessariamente devono essere riferiti i reperti rinvenuti. Si tratta di un ribaltamento di prospettiva dell'archeologia: anziché focalizzare l'attenzione sugli oggetti che si vogliono trovare, si registra e ci si sforza di comprendere tutto ciò che si trova: oltre agli oggetti in sé, si prende in considerazione anche dove e come sono stati trovati. Come se un cacciatore di tesori s'interessasse più a capire come e perché è stata fatta la buca che nasconde il tesoro che non al tesoro stesso.
Il concetto di cultura materiale. Il superamento della concezione dell'archeologia come ricerca dell'oggetto prezioso o dell'opera d'arte avvenne soprattutto in quei paesi in cui era stata meno forte ‒ o completamente assente ‒ la presenza della civiltà greco-romana con tutte le sue implicazioni, prima fra queste la relativa documentazione letteraria e artistica. Si tratta dei paesi dell'Europa settentrionale, in particolare dell'Inghilterra e della Polonia, dove l'attenzione degli archeologi si rivolse alla cultura materiale, cioè ai manufatti d'uso comune e quotidiano piuttosto che alle opere d'arte; ci s'interessò, di conseguenza, anche a periodi storici diversi dall'antichità classica, al Medioevo in primo luogo, nel quale la maggior parte dei paesi del Nord riconosceva le proprie radici nazionali. Nei paesi dell'Est europeo, all'indomani della Rivoluzione sovietica, in un quadro ideologico in cui l'economia era considerata come il primo motore nello sviluppo della civiltà umana, l'archeologia si rivolse alla ricostruzione della storia economica piuttosto che a quella artistica.
Nuovi ambiti d'indagine. Il punto di vista sovietico, radicalmente nuovo, ha obiettivamente dato una ulteriore e importantissima svolta all'archeologia, contribuendo a delimitarne con maggior precisione i confini rispetto all'antiquaria e alla storia dell'arte, senza peraltro ignorare i suoi stretti rapporti con esse. Le indagini archeologiche si sono inoltre estese ad ambiti che l'archeologia tradizionale, incentrata sul Mediterraneo e sul binomio Bibbia-antichità classica, riteneva 'vuoti', sia dal punto di vista geografico ‒ come l'America del Nord e l'Estremo Oriente o l'Africa ‒ sia dal punto di vista temporale ‒ come il Medioevo e la rivoluzione industriale della fine del 18° secolo, oggetto dell'archeologia industriale. A partire dagli anni Cinquanta del 20° secolo il raggio d'azione dell'archeologia si è esteso a tutte le testimonianze materiali del passato: non più soltanto opere d'arte, gioielli o grandi palazzi, ma ceramiche d'uso comune, strumenti di lavoro e capanne; non solo città, ma anche paesaggi; non più soltanto le grandi civiltà, ma anche i cosiddetti periodi bui della storia. In questi casi, anzi, l'approccio 'materiale', nato in funzione di una ricostruzione storica su base esclusivamente economica, ha sicuramente superato tale limite, in quanto l'indagine archeologica costituisce l'unica base possibile di conoscenza. È il caso del Medioevo: i primi scavi archeologici relativi a insediamenti medievali in Italia sono stati condotti non a caso da archeologi polacchi. In Italia per buona parte del Novecento l'archeologia è stata considerata (e in qualche caso lo è ancora) parte integrante della storia dell'arte antica. Solo negli anni Settanta del secolo scorso, con l'introduzione del metodo stratigrafico e di archeologie diverse da quella classica (come quella medievale), l'archeologia italiana si è affiancata nei metodi alle scuole archeologiche europee.
Con l'estensione del campo d'indagine a tutte le testimonianze materiali dell'intero passato e di ogni parte del globo e con la progressiva definizione di un comune metodo d'indagine, l'archeologia attuale è ormai una scienza autonoma che contribuisce alla ricerca storica. Si divide in rami distinti sul piano cronologico (per esempio, archeologia preistorica, archeologia classica, archeologia medievale), sul piano territoriale (egittologia, archeologia del Vicino Oriente, archeologia italica, etruscologia, archeologia della Magna Grecia, archeologia mesoamericana, archeologia iranica e così via) e sul piano tematico (dalla archeologia cristiana, bizantina, islamica, industriale ‒ che rientrano nella tradizione ‒ alle ultime specializzazioni quali l'archeologia dell'architettura, del potere, del commercio, del paesaggio, del tessuto).
Oggi, comunque, tutte le diverse archeologie, anche se in misura variabile, tendono sempre più a condividere ‒ oltre alla metodologia stratigrafica nello scavo ‒ metodi e tecniche di analisi con scienze apparentemente lontanissime dalle 'antichità', quali chimica, fisica, geologia, medicina, zoologia, botanica, con un sempre maggiore apporto delle tecnologie informatiche. L'attinenza dell'archeologia con queste discipline può risultare oscura se si continua a pensare a essa solamente come scavo, e come reperimento e ricerca di cose antiche.
L'attività di documentazione. L'archeologo non può essere soltanto uno scavatore, sia pure attento: è prima di tutto uno storico, che consulta quel particolare archivio che è la terra, con quanto essa contiene. Lo scavo (v. fig.) è una delle fasi dell'indagine, che deve essere preceduta da un'accurata preparazione nella raccolta dei dati, dalla lettura e dallo studio della documentazione storica, di ogni tipo, relativa all'oggetto dell'indagine: una posizione privilegiata occupano i testi antichi, di tipo letterario o epigrafico. La conoscenza delle lingue antiche (almeno il greco e il latino, per un aspirante archeologo europeo) è per l'archeologo assolutamente obbligatoria!
Indispensabili per l'individuazione dei siti sono lo studio della toponomastica (l'interpretazione dei nomi dei luoghi), l'attenta lettura del paesaggio, la ricognizione (con raccolta sistematica dei materiali di superficie), anche con l'aiuto delle fotografie aeree o della rete delle mappe satellitari; queste ultime tecniche rientrano propriamente tra le attività di diagnostica archeologica, tra le quali vanno annoverati anche i vari tipi di prospezione: ricerche geofisiche, prospezioni geoelettriche, geomagnetiche, elettromagnetiche, georadar: qui è indispensabile la collaborazione di ingegneri e di fisici; si tratta di tecniche che, a differenza dello scavo, non distruggono i depositi archeologici. Infatti lo scavo distrugge definitivamente quanto progressivamente mette in luce (è un 'esperimento irripetibile'!). Per questo è assolutamente necessaria una documentazione molto accurata, sia scritta sia illustrata (disegni, rilievi, sezioni, piante, fotografie). Nell'attività di documentazione è di grande aiuto l'uso dei computer, specialmente per l'archiviazione ordinata dei dati.
Senza una documentazione accurata lo scavo archeologico invece di essere un'occasione di accrescere le nostre conoscenze sulle testimonianze del passato ne provoca irrimediabilmente la perdita.
L'analisi dei materiali. Allo scavo segue l'analisi qualitativa, e dunque anche cronologica, dei diversi materiali rinvenuti, affidata anche ai relativi specialisti: ceramologi, numismatici, epigrafisti, paleoantropologi, zoologi, botanici, chimici. Questa analisi dei materiali, però, acquista il suo senso più pieno in archeologia soltanto quando viene strettamente collegata ai contesti in cui sono stati rinvenuti e permette un'interpretazione storica dell'insieme dei dati. L'obiettivo della ricerca archeologica non è infatti, per così dire, scavare oggetti, ma piuttosto "scavare esseri umani", secondo il pensiero del grande archeologo inglese Robert E. M. Wheeler. La terra, testimone corretto e imparziale, ha conservato le tracce del passaggio degli uomini, di tutti gli uomini del passato; scopo dell'archeologia è rintracciarle per offrire elementi il più possibile precisi e aderenti alla realtà oggettiva, per costruire una prospettiva storica che possa integrare e correggere la testimonianza sicuramente parziale, e di parte, della istorìa: la storia dei re, degli eserciti, dei potenti, che ancora occupa ‒ forse ingiustamente ‒ la maggior parte dei nostri libri.
La stratigrafia è lo studio della natura e delle caratteristiche del terreno attraverso l'esame degli strati che si succedono in profondità. Negli scavi archeologici lo studio stratigrafico del terreno e la distinzione dei diversi strati che contengono i materiali ritrovati hanno una grande importanza, in quanto permettono di stabilire una cronologia basata sulla successione degli strati e di raggruppare i materiali e gli elementi rinvenuti in uno stesso strato. Lo scavo stratigrafico è particolarmente utile nel campo della preistoria, per il quale non abbiamo altri elementi per ricostruire una successione cronologica; ma esso ha dato contributi notevolissimi anche negli scavi relativi a periodi storici, come nel caso di quello di Troia.