Archeologia
di Sabatino Moscati
Archeologia
sommario: 1. Criteri e metodi. 2. Dalla prospezione allo scavo. 3. La datazione dei reperti. 4. Procedimenti di analisi. 5. Archeologia sperimentale. 6. L'avvento dell'informatica. 7. Verso nuove frontiere. □ Bibliografia.
1. Criteri e metodi
‟La frattura che oggi si misura fra gli interessi e i comportamenti di settori consistenti delle nuove generazioni di archeologi e i loro maestri (nel senso burocratico-accademico del termine) si comprende alla luce della storia della nostra archeologia del Novecento, letta seguendo il filo del dibattito sul metodo" (D. Manacorda, in Harris, 1979; tr. it., p. 20). Queste parole di uno dei più validi esponenti delle nuove generazioni indicano in modo quasi emblematico, al di là di ogni ovvio divario di tradizioni e di interessi, quanto pesi lo sviluppo incessante della metodologia e del relativo dibattito nell'indagine archeologica.
Si è verificata in particolare, negli ultimi anni, l'affermazione su scala internazionale della nuova scuola britannica (v. Barker, 1979; v. Harris, 1979, ecc.), specie a seguito degli scavi di H. Hurst e altri a Cartagine, secondo metodi ripresi in Italia da A. Carandini a Settefinestre (v. Carandini e Settis, 1979) e sviluppati sul piano teorico dallo stesso Carandini (v., 1981). In sostanza, la nuova metodologia privilegia le unità stratigrafiche nella loro interezza e quindi lo scavo per grandi aree omogenee in orizzontale, superando il criterio, precedentemente affermato nello stesso ambiente britannico da M. Wheeler e da altri, dello scavo per campioni o quadrati, dell'impiego diffuso di ‛testimoni' o settori risparmiati, in sintesi della prevalenza attribuita all'indagine in verticale.
L'introduzione in molti cantieri di scavo del ‛diagramma stratigrafico', o ‛matrix di Harris', sancisce questo sviluppo del metodo, attribuendo al riconoscimento delle unità stratigrafiche e alla loro documentazione grafica la funzione primaria dello scavo. Ne consegue una sostanziale dicotomia tra la lettura stratigrafica del terreno e la sua interpretazione storica, teorizzata fino al limite di considerare indifferente per la tecnica dello scavo il luogo e la natura dei reperti a cui si fa riferimento. In realtà, non tanto di questo si tratta quanto della contestazione dello scavo condotto con premesse storiche, inteso piuttosto a ‛trovare ciò che si cerca' che a ‛cercare ciò che si trova'. Invece, si afferma, la ricostruzione storica è da intendersi come un fatto successivo e sostanzialmente autonomo rispetto all'evidenziazione della sequenza stratigrafica.
Una metodologia siffatta determina, com'è ovvio, un approfondimento del concetto di strato. E ciò anzitutto per la distinzione (e sovente la contrapposizione) tra lo strato geologico, determinato dalla natura, e lo strato archeologico, nel quale è intervenuta l'opera dell'uomo. Inoltre per la differenziazione, nello strato, tra il volume e l'interfaccia o superficie, che lo sigilla e ne definisce l'identità. Infine perché la caratterizzazione orizzontale degli strati non impedisce che ne compaiano di verticali in casi come riempimenti di fosse, terrapieni, muri: tali strati verticali possono essere coerenti qualora risultino da apporti omogenei, incoerenti qualora conseguano a scarichi e simili. La raccolta dei reperti, che fu l'oggetto primario della ricerca archeologica nel passato, si presenta ora come la semplice conseguenza, sia pure rilevante, dello ‛smontaggio' degli strati che li contengono.
Parallelamente allo sviluppo delle nuove metodologie si è andata ipotizzando (e in qualche caso realizzando) la sostituzione del tradizionale ‛giornale di scavo' con un sistema di ‛schede del taglio' e ‛schede dell'entità stratigrafica', organizzate in base a questionari che consentano la registrazione di ogni dato significativo. Anche la pubblicazione dei rapporti preliminari è posta in discussione o integrata dalla proposta di microfiches, microfilm e dati computerizzati facilmente riproducibili e consultabili (si veda in tal senso il rapporto Principles of publication in rescue archaeology, pubblicato nel 1975 dall'Ancient Monuments Board for England). In ogni caso, resta l'esigenza di organici rapporti definitivi, senza i quali lo scavo diviene infruttuoso se non dannoso.
La discussione fin qui esemplificata s'inquadra nell'ambito della field archaeology, cioè dell'archeologia sul terreno: una specificazione sempre più frequente, ormai assunta a esponente di volumi (v. Joukowsky, 1980), di riviste scientifiche (‟Journal of field archaeology"), di congressi, ecc. Nella specificazione è evidente la volontà di privilegiare il momento tecnico della ricerca, contro atteggiamenti tradizionali di tipo estetico-antiquario. Tuttavia, come si è visto, l'intento pratico non rimuove quello teorizzante: anzi la teoria della stratificazione e della connessa natura della ricerca archeologica, nonché del suo incontro-scontro con l'indagine storica, costituisce un notevole apporto di ordine concettuale.
Un discorso in parte analogo può farsi per la diffusione sempre maggiore del termine ‛archeometria', al quale si intitolano pubblicazioni fondamentali (v. AA. VV., 1980-1981), periodici (‟Archaeometry", ‟Revue d'archéométrie") e manifestazioni come vari congressi, sicché è possibile che tale termine sostituisca in ampia misura, nell'avvenire, quello di archeologia. Si riflette senza dubbio, nel fenomeno, il rapidissimo affermarsi delle scienze esatte come elementi dell'indagine archeologica, non più sussidiari bensi integranti. Degli apporti di tali scienze, che costituiscono le maggiori novità dell'archeologia negli ultimi anni, si darà conto nei capitoli seguenti.
2. Dalla prospezione allo scavo
Fu rilevata a suo tempo la determinante importanza della fotografia aerea come preparazione allo scavo (v. Moscati, 1975, p. 219). Tale importanza si è negli ultimi anni ulteriormente accresciuta (v. Dassié, 1978; v. AA. VV., Découvertes..., 1980), specie a seguito dell'intervento delle riprese dai satelliti, che consentono un raggio panoramico assai più vasto. Così un'impresa italiana ha potuto individuare e definire nel Veneto il sistema romano di centuriazione, registrando la suddivisione del territorio in base a linee di confine connesse a strade e fossati. Anche su tale base si è determinato un rigoglioso sviluppo di studi, che ha portato nel 1984 alla mostra di Padova Misurare la terra: centuriazione e coloni nel mondo romano. Il caso Veneto (v. AA. VV., Misurare..., 1984). È pure recente l'individuazione sotto le sabbie del Sahara, per opera di fotografie americane dai satelliti, di corsi fluviali e impianti d'irrigazione che mostrano la fertilità preistorica di una regione oggi ridotta a deserto.
Per quanto attiene ai metodi di esplorazione geofisica, che hanno da tempo per protagonista la Fondazione Lerici, gli ultimi anni segnano il loro costante impiego in combinazione con l'analisi meccanica, consistente nel prelievo di limitati campioni del terreno. Tra i risultati più significativi si segnalano in Calabria quelli di Crotone, dove l'indagine alla periferia dell'abitato moderno effettuata per conto della Montedison, che progettava l'installazione di industrie, ha rivelato un'ampia parte della città antica. Nel Lazio, a Tarquinia, è stato individuato sul colle della Civita, poco fuori dell'abitato moderno, quello etrusco: gli scavi successivamente avviati dall'Università di Milano hanno confermato le indicazioni. Infine in Lombardia, a Bagnolo San Vito presso Mantova, la scoperta di un centro etrusco ha avuto come protagonisti, insieme agli archeologi della Soprintendenza competente, anche i tecnici della Fondazione Lerici.
Altri metodi dell'indagine geofisica restano per ora allo stato iniziale: così la prospezione sismica e quella sonica; e così pure la misurazione della radioattività e della conduttività termica, il cui sviluppo è legato a studi adeguati del contesto. Per quanto attiene in particolare alla prospezione sonica, essa sta avendo applicazione nell'archeologia subacquea, una branca delle ricerche che può dirsi in intenso sviluppo; e soprattutto, tale branca sta uscendo finalmente dalla sperimentazione dilettantistica per entrare a pieno diritto nell'ambito scientifico (v. Gianfrotta e Pomey, 1981; v. AA. VV., 1982; cfr. la rivista ‟Nautical archaeology"). Ciò è imposto, tra l'altro, dalla necessità di controllare le coste e di evitare il saccheggio derivante dalle ricerche clandestine.
Anche la strumentazione si rinnova. Tramontato lo scafandro, si usano le pinne e l'autorespiratore a bombole o il cosiddetto narghilè, un lungo tubo di collegamento con il compressore in superficie. L'impiego della campana batiscopica, o più semplicemente della camera di decompressione, consente di ridurre i rischi nel corso della discesa e soprattutto della risalita. Intanto si preannunziano tecniche avanzate per scendere a profondità molto maggiori di quelle attuali, come l'immersione a saturazione e quella con miscela gassosa: il modello viene dall'industria, che per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi sottomarini richiede immersioni fino a duecento metri.
La ricerca sui fondali marini si serve attualmente di una tecnica in parte uguale e in parte diversa rispetto a quella applicata sulla terraferma. Si ripete la rilevazione fotografica e stereofotogrammetrica, nonché la prospezione magnetica, con l'aggiunta dello scandaglio ultrasonoro e del sonar laterale (il che, come si è detto, anticipa le tecniche terrestri). Diversi sono invece i procedimenti per la liberazione degli oggetti sommersi dalla coltre di sabbia, per cui si usa soprattutto la lancia ad acqua; l'asportazione dei reperti viene effettuata mediante aspirazione con la sorbona ad aria e quella ad acqua; la conservazione si giova, a seguito di recenti esperimenti in Francia, del processo di liofilizzazione, comunemente usato per i medicinali e per gli alimenti.
Tra i successi recenti dell'archeologia subacquea spicca la scoperta delle statue che ornavano il palazzo sommerso di Baia, alle quali è stata dedicata nel 1984 una mostra con relativa pubblicazione (v. AA. VV., Baia..., 1984). D'altronde, l'archeologia subacquea non è solo marina, ma si estende anche alle acque interne. Per i laghi, valga l'esempio del villaggio su palafitte scoperto a Viverone in Piemonte e del giacimento individuato da ultimo nel lago di Albano. Per i fiumi, si ricordi in specie l'individuazione di un antico porto fluviale sul Tevere, all'altezza del ponte Testaccio, sul luogo stesso in cui già si conosceva la presenza di grandi magazzini (v. AA. VV., 1982).
3. La datazione dei reperti
I successi della datazione per mezzo del radiocarbonio sono un fatto da tempo acquisito nell'archeologia (v. Moscati, 1975, pp. 219-220). Negli ultimi anni, tuttavia, il metodo ha avuto una diffusione amplissima, con la costituzione di laboratori di analisi in tutto il mondo, l'affermazione di periodici specializzati (‟Radiocarbon"), il succedersi di studi d'insieme e di conferenze internazionali sul tema (v. Berger e Suess, 1979; v. AA. VV., Documenti..., 1983). Inoltre, come vedremo, si è affermata la combinazione di tale metodo con altri, in funzione di controllo e di conferma dei risultati ottenuti (v. in specie Goffer, 1980).
Gli strumenti in uso (contatori proporzionali a gas e contatori a scintillazione) consentono attualmente di rimontare indietro nel tempo fin verso i 50.000 anni or sono, con un margine assai ristretto di errore. Tra i risultati più innovatori v'è la dimostrazione che l'inizio della civiltà agricola in Europa è assai più antico di quanto prima si pensava e verosimilmente autonomo dal Vicino Oriente, donde lo si faceva derivare. Un altro caso notevole è quello della civiltà precolombiana dei Maya, le cui origini si facevano risalire come massimo a pochi secoli prima dell'era cristiana, mentre il radiocarbonio fornisce ora dati intorno al 2.500 a.C., e probabilmente ancora anteriori, che possono risalire addirittura intorno al 4.000 a.C. Ne deriva una modificazione profonda nelle nostre conoscenze sulle civiltà precolombiane.
Altri metodi di datazione offre intanto la chimica. Analogo nel principio a quello del radiocarbonio, ma più recente nell'applicazione, è quello del potassio-argo, che rende possibili datazioni per un'epoca assai più remota: a partire dai 50.000 anni or sono, infatti, si può raggiungere potenzialmente l'intero arco di esistenza della Terra. Al metodo del potassio-argo dobbiamo, tra l'altro, la datazione delle più antiche testimonianze umane scoperte nel Kenya: essa indica una sequenza cronologica che va da circa 3.800.000 a circa 800.000 anni prima della nostra epoca.
Ai metodi fin qui esposti, che si basano sul decadimento radioattivo, se ne affiancano intanto altri, basati sui danni derivanti dalle radiazioni. Uno di essi è quello delle tracce di fissione, fondato sul fenomeno della fissione naturale dell'uranio 238. Un altro è quello della termoluminescenza, fondato sull'emissione di luce prodotta dal riscaldamento e applicato particolarmente alla ceramica che proviene da strati archeologici (v. in specie Fleming, 1979). L'interesse di questo secondo metodo verte preminentemente sul materiale di età preistorica, ovvero su quello per cui non esiste un contesto adeguato; inoltre, la termoluminescenza è risolutiva quando vi siano dubbi sull'autenticità di un oggetto ceramico.
Altri metodi di sviluppo ancor più recente sono: il paleomagnetismo, che consiste nell'analisi della magnetizzazione rimanente negli oggetti archeologici come indicazione del campo magnetico terrestre all'epoca in cui furono prodotti, e quindi della loro datazione; la misurazione dell'uranio, del fluoro e dell'azoto contenuti nelle ossa, che queste assorbono nel terreno con ritmi determinabili; la datazione delle ossidiane attraverso il calcolo dell'idratazione; e soprattutto, per importanza e possibilità di sviluppo, la racemizzazione degli amminoacidi, cioè la reazione che converte un composto otticamente attivo in una forma otticamente inattiva, fenomeno che si verifica nel tempo con leggi definite.
Un metodo di datazione ben noto, ma che ha avuto nuovi sviluppi negli ultimi anni, è la dendrocronologia, basata sul calcolo degli anelli di accrescimento degli alberi, ognuno dei quali corrisponde a un anno (v. Fletcher, 1978; v. Baillie, 1982). I limiti cronologici apparivano in passato ristretti, non oltre i tremila anni, ma ora sono state raggiunte in America datazioni fin verso gli ottomila. Inoltre, la dendrocronologia viene usata con successo a integrazione del radiocarbonio, per cui fornisce una ‛calibrazione' e cioè un controllo della scala cronologica.
Per esempio, la calibrazione ha mostrato gli errori in cui si era incorsi nella datazione con il radiocarbonio degli alberi americani di maggiore longevità (Sequoia gigantea, Pinus aristata): errori dovuti al non aver tenuto conto delle variazioni dell'atmosfera e della superficie del globo attraverso i millenni. La calibrazione delle date ottenute con il radiocarbonio mediante altri metodi, dal paleomagnetismo alla racemizzazione degli amminoacidi, è la frontiera attualmente più avanzata delle ricerche, da cui è lecito attendersi un consolidamento delle date più antiche e significative della preistoria.
4. Procedimenti di analisi
Il contributo delle scienze chimiche, fisiche e naturali all'archeologia non riguarda solo la datazione, ma più in generale l'analisi degli oggetti scoperti. Per quanto attiene ai materiali inorganici, particolare rilevanza assume oggi l'indagine con metodi nucleari sui metalli, che consente di individuarne la composizione senza danneggiarli (v. AA. VV., 1976). I metodi dell'analisi non distruttiva sono soprattutto due: quello per attivazione neutronica e quello per fluorescenza di raggi X. Il primo consiste nell'irradiare il reperto mediante neutroni, che rendono radioattivi alcuni nuclei atomici; la spettroscopia nucleare permette quindi di determinare la composizione chimica del reperto. Il secondo metodo consiste nel bombardare il reperto mediante radiazioni X, che rimuovono da alcuni atomi uno degli elettroni più vicini al nucleo; ne deriva un riassestamento atomico, con l'emissione di raggi X caratteristici dei vari elementi chimici e rilevabili mediante strumenti appositi.
Tra i due metodi di analisi, quello per fluorescenza di raggi X è finora il più economico e il più rapido. Quanto ai risultati, i più appariscenti sono forse quelli ottenuti sulle monete, di cui è possibile determinare la composizione e talora la falsità. Conseguenze storiche di rilievo ha avuto l'analisi in Francia dei più antichi reperti di rame: essa ha dimostrato l'origine del rame stesso nell'Iran del IV millennio a.C., mentre il suo impiego in Mesopotamia, considerato a lungo come un fatto primario, risulta oggi derivato dall'area iranica e più tardo (III millennio). Altre indagini, effettuate nell'Unione Sovietica, hanno dimostrato che una serie di oggetti apparentemente di bronzo, databili tra il IV e il III millennio a.C., sono in realtà composti da rame e arsenico, sicché la composizione del rame con lo stagno risulta storicamente secondaria.
Nell'ambito dei materiali organici, novità significative sono derivate dalla collaborazione del Consiglio Nazionale delle Ricerche italiano con l'Accademia delle Scienze polacca nello studio dell'ambra (v. AA. VV., 1978). Si è visto dalla composizione dei numerosi reperti che provengono soprattutto dalle regioni adriatiche italiane e dal confronto con quelli di altre regioni europee che le maggiori officine di estrazione erano quelle sul Baltico. Qui si trovava il punto d'inizio della grande ‛via dell'ambra', una delle maggiori arterie commerciali del mondo antico, che traversava da nord a sud l'Europa raggiungendo l'Italia, dove aveva numerosi e importanti centri di lavorazione: preminenti tra essi, nella prima età storica, risultano quelli del Piceno.
In campo di paleobotanica portano le analisi dei pollini, da tempo avviate ma sviluppate negli ultimi anni con crescente successo. Il principio sta nella constatazione che i pollini resistono bene agli agenti chimici: depositandosi e fossilizzandosi in ambienti favorevoli come stagni, torbiere e sedimenti marini, essi indicano il tipo di vegetazione a cui risalgono. Combinando l'analisi dei pollini con la datazione mediante il radiocarbonio, si è pervenuti tra l'altro a un risultato tanto notevole quanto inatteso: alcuni chicchi di lenticchie e di piselli trovati nella Francia meridionale risalgono intorno al 9.000 a.C., e dunque mostrano, come si è già accennato a proposito dei nuovi metodi di datazione, un inizio dell'agricoltura parallelo o anteriore a quello nel Vicino Oriente, generalmente considerato il centro primario d'irradiazione.
Quanto all'analisi dei resti umani, cospicui progressi sta facendo lo studio delle ossa. In particolare la determinazione dei gruppi sanguigni nei resti scheletrici comincia a venire utilizzata per riconoscere la distribuzione dei geni nelle popolazioni del passato e, posta la verosimiglianza di una certa stabilità nelle frequenze geniche, per chiarire controversi aspetti della costituzione e dell'evoluzione dei gruppi umani. Altre analisi consentono la determinazione del sesso, dell'età, della fecondità, dello stato dei denti. Esemplari, a tal fine, sono i laboratori inaugurati nel dicembre 1984 presso il Museo Nazionale di Chieti.
Nell'ambito dello studio delle ossa, crescente importanza assume la paleopatologia (v. AA. VV., Médecine..., 1981). Si possono individuare ormai bene malattie come endocrinopatie, vasculopatie, emopatie, tumori, alterazioni derivanti da carenze vitaminiche e altre. Anche la chirurgia antica viene studiata, in base alle lesioni delle ossa che ci risultano: così le indagini sulla trapanazione del cranio effettuate in Francia hanno mostrato l'antichità di questa tecnica chirurgica, che risale con un esemplare da Taforalt (Marocco) all'VIII millennio a.C. e si sviluppa poi a partire dal V millennio con la sedentarizzazione e il conseguente sviluppo delle tecnologie. I medici francesi hanno calcolato il buon esito delle operazioni fino al 90% dei casi.
5. Archeologia sperimentale
Una branca nuova e avanzata costituisce senza dubbio l'archeologia sperimentale, intesa a ricostruire, ripetendo i processi di lavorazione, gli oggetti del passato e ogni componente della cultura materiale (v. Coles, 1979; v. AA.VV., Revivre..., 1980). Tra i centri di sperimentazione più notevoli si può ricordare l'Archeodromo di Borgogna in Francia, posto sull'autostrada del sud e funzionante in modo da dimostrare come si costruivano gli oggetti nell'antichità. Pure notevole è il Centro di ricerca storico-archeologica di Lejre in Danimarca, presso Copenhagen, dove sono state effettuate sperimentazioni anche sul trasporto dei grandi massi occorrenti per le costruzioni monumentali, sull'incendio delle capanne, sulla navigazione per mezzo delle piroghe, ecc. In Italia notevoli successi sono stati realizzati presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche nella ricostruzione di profumi e unguenti antichi (v. AA. VV., Un'arte..., 1984).
Tra i risultati primari dell'archeologia sperimentale si annovera la ricostruzione degli strumenti di pietra preistorici. In alcuni casi si possiedono parti di strumenti, che occorre completare e dimostrare nella loro funzione: così avviene per le frecce, di cui restano le punte di ferro, mentre vanno ricostruite le assicelle e gli archi di legno. La ricostruzione può essere verificata nei suoi esiti osservando l'impatto su alberi, pelli di animali, ecc. Tutto indica per l'invenzione dell'arco (che è stato efficacemente definito la ‛prima macchina' creata dall'uomo) una data nell'ambito dell'età mesolitica, tra il 10.000 e il 6.000 circa a.C.; e dunque l'arco caratterizza la fase in cui il sistema di vita comincia a evolversi dal nomadismo alla sedentarietà.
Un altro strumento di primaria importanza, per l'uomo preistorico, è la lucerna, della quale è ormai possibile riprodurre sperimentalmente la fabbricazione. Si utilizzano dei ciottoli bassi e larghi, in forma approssimativa di mandorla, e si produce su una delle facce un ampio incavo per mezzo di scalpelli o percussori, rifinendolo poi con raschiatoi o strumenti d'osso. Nell'incavo si versa del grasso animale e s'inserisce in esso uno stoppino di muschio secco: l'esito dell'illuminazione è positivo e il fumo conferma, ripetendo le tracce che si possedevano sulle pareti, l'esattezza dell'operazione.
A proposito del fuoco, l'antico e fondamentale problema della sua invenzione viene riproposto dagli studi effettuati recentemente in Svizzera da H. Champion. Oggetto della sperimentazione sono stati i resti degli insediamenti palafitticoli sparsi lungo i laghi di quel paese. Il materiale per produrre le scintille risulta, come mostrano i resti con tracce di percussione e di combustione, la pirite. Per lo più essa serviva sia come percussore sia come ricevitore; talvolta, invece, si usava come percussore la pietra focaia. Le scintille venivano dirette su un'esca infiammabile costituita dalla polvere di un fungo, il Fomes formentarius, che ancor oggi attecchisce su betulle e faggi. La polvere era integrata da un salnitro naturale, ricavato dai pozzi neri e dai letamai. Questo metodo di produrre il fuoco non fu, evidentemente, il solo; ma ciò non ne riduce l'interesse e la novità rispetto alle conoscenze precedenti.
Nell'ambito della ceramica, la sperimentazione consente oggi di ricostruire il processo lavorativo in tutte le sue fasi: preparazione della pasta di argilla e sua solidificazione con frammenti di materiale sgrassante; modellamento a mano dei ‛colombini' o rotoli, poi giustapposti a foggiare il recipiente su stampi positivi (grossi blocchi di pietra) o negativi (panieri); cottura a fuoco vivo fino all'invenzione del forno, che sfiora i limiti dell'età storica. Quanto alle origini della produzione, che si fissavano intorno al 6.000 a.C. in relazione con il passaggio all'agricoltura e all'allevamento, esse sono oggi riportate di due o tre millenni indietro da scoperte in più parti del globo.
6. L'avvento dell'informatica
Nell'applicazione delle scienze all'archeologia sovrasta su ogni altra disciplina, tutte conglobandole e raccordandole, l'informatica (v. Orton, 1980; v. Bietti, 1982; ecc.). È vero peraltro che tale disciplina, che determina il passaggio dall'approssimazione alla precisione quando si immettono i dati nella memoria e si interroga la macchina con quesiti prima non posti o non risolti, è stata finora applicata in campo archeologico sporadicamente e con scarsa sistematicità. Il maggiore impulso viene finora dagli studi di preistoria; e da essi, per conseguenza, viene anche la maggior parte dei risultati.
Premessa la costituzione necessaria e preliminare delle banche dei dati (v. Ihm, 1978; v. Gaines, 1981), nell'indagine matematica e statistica si possono individuare tre livelli. Quello elementare è costituito dalla definizione dei tipi degli oggetti scoperti. Quello medio è costituito dalla comparazione dei complessi di oggetti nei loro vari caratteri. Quello superiore è costituito dalla costruzione di modelli operativi per la ricerca, cioè di processi culturali che si ipotizzano e poi si verificano, sulla base dei programmi detti di simulazione (v. Hodder, 1978 e 1982). Si può osservare che, mentre i due primi livelli sono stati raggiunti da varie ricerche, il terzo è ancora più allo stadio teorico che a quello di coerente attuazione.
Un'importante applicazione dell'elaboratore elettronico riguarda il complesso monumentale di Stonehenge, in Inghilterra (v. Cornell, 1981). Gli uomini che nel III millennio a.C. eressero nel cuore della Britannia il grande edificio a cielo aperto circondato da un duplice cerchio di pietre colossali erano matematici e astronomi, in grado di predire accuratamente le eclissi ai fini dei riti che si effettuavano nel luogo stesso. Questa dimostrazione è stata ottenuta da G. Hawkins all'Osservatorio Smithsoniano della Harvard University, mediante lo studio del passaggio dei raggi solari attraverso le pietre: l'elaboratore IBM 7090 ha dimostrato che si potevano prevedere sia le eclissi sia le fasi lunari per un arco di tempo esteso fino a trecento anni.
Analoga è l'esperienza fatta a Cuili Piras, in Sardegna. Qui un complesso megalitico di quarantadue elementi monolitici di granito è stato analizzato mediante l'elaboratore IBM 370, il quale ha indicato la correlazione tra gli allineamenti dei menhir e gli azimut determinati dal sole e dalla luna nel sorgere e nel tramontare. Di conseguenza il complesso di Cuili Piras potrebbe avere funzioni astronomiche, come quello di Stonehenge. Altrettanto si dica per altri complessi che sorgono nelle vicinanze, sicché è possibile ipotizzare un collegamento funzionale, oltreché tipologico, tra le grandi strutture megalitiche europee del III-II millennio.
L'applicazione dei metodi matematici e statistici ha fornito in Sud Africa cospicue novità nello studio delle pitture e delle incisioni rupestri, dalla preistoria fino all'epoca più vicina a noi. È stata esaminata in particolare l'arte dei Boscimani, per la quale il calcolatore ha consentito di stabilire una serie di dati sistematici sulla distribuzione per luoghi e sulla caratterizzazione delle figure per sesso, abbigliamento, dimensioni, proporzioni, ecc. Tra i risultati più inattesi è quello che le scene di caccia sono assai meno frequenti di quanto abitualmente si ritiene, che gli animali vi hanno poca parte e che raramente essi vengono mostrati nell'atto dell'uccisione.
L'analisi mediante il calcolatore è stata inoltre rivelatrice per lo studio delle finalità proprie delle pitture e delle incisioni rupestri. L'interpretazione corrente vuole che l'arte primitiva sia determinata da un intento di magia simpatica, per cui si rappresentavano le azioni che si volevano realizzare, in particolare l'uccisione degli animali per ottenerne la morte effettiva. Ora l'interpretazione viene contraddetta dai risultati dell'analisi: questa dimostra che gran parte delle scene non ha nulla a che fare con eventi desiderati e che nessuna componente può dirsi legata a valori simbolici anziché semplicemente alla narrazione degli eventi. Del resto, la dimostrazione che le scene di caccia sono in minoranza toglie di per sé fondamento al giudizio abituale.
7. Verso nuove frontiere
Il dilatarsi dell'archeologia nel tempo e nello spazio fu già indicato (v. Moscati, 1975, pp. 216-217) come una caratteristica degli sviluppi recenti. Gli ultimi anni hanno visto un intensificarsi di tale caratteristica, con la contemporanea affermazione di branche specializzate, tra cui vanno ricordate in particolare l'archeologia cristiana e quella medievale (cfr. la rivista ‟Archeologia medievale" e, per le ultime scoperte, v. Moscati, 1983-1984, vol. III, pp. 117-167). Rinvenimenti cospicui caratterizzano l'una e l'altra. Quanto all'archeologia cristiana, valgano da esempio il ritrovamento di una grande chiesa a pianta cruciforme del V secolo sotto San Lorenzo di Aosta, che sposta molto indietro nel tempo le origini del cristianesimo valdostano, e i graffiti del VII-VIII secolo lasciati dai fedeli sulle pareti del santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano.
Quanto all'archeologia medievale, che con quella cristiana si salda e in parte si compenetra, valgano da esempio le testimonianze longobarde (croci, ornamenti, armi) rinvenute a Trezzo sull'Adda; l'insediamento di Capaccio Vecchia, sovrastante l'antica Paestum, dove si spostò la popolazione di quest'ultima a seguito della malaria e delle scorrerie piratesche; la successione storica dall'età romana a quella rinascimentale scoperta sotto il Palazzo dei Vescovi a Pistoia. Alle soglie dell'età moderna ci porta lo scavo della Fortezza medicea di Grosseto, che rivela una storia estesa dal IX al XIV secolo. Una branca a sé può dirsi l'archeologia rupestre, che ha rivelato in particolare a Massafra le testimonianze del ‛vivere in grotte'.
Ormai in età moderna e contemporanea si collocano due nuove branche dell'archeologia, quella industriale e quella rurale. La prima (v. Negri e Negri, 1978; v. AA. VV., Archeologia..., 1983), di origine britannica ma recentemente irradiatasi nel continente europeo, ha per oggetto il recupero delle prime manifestazioni dell'industria: fabbriche, macchinari, insediamenti operai, ferrovie, ponti, canali, ecc. Valga da esempio lo studio sulle fonderie di Mongiana e Ferdinandea in Calabria, che servirono allo Stato borbonico e furono abbandonate in favore delle industrie del Nord al momento dell'unità d'italia.
L'archeologia rurale (v. AA. VV., Campagna..., 1981; v. AA. VV., Documenti..., 1983) ha per oggetto le dimore di campagna, gli strumenti di lavoro, le vie di comunicazione fluviali e terrestri, la parcellizzazione dei campi. Valga da esempio lo studio dei trulli pugliesi, nei quali si è riconosciuta la continuità tipologica dalle capanne antiche. Nel caso dell'archeologia rurale, ancora e più che in quello dell'archeologia industriale, la componente dello scavo è finora scarsa, anche se obiettivamente possibile e talvolta necessaria: in ciò sta il limite, che potrà essere presto rimosso, della reale collocazione di queste due nuove branche nell'ambito vero e proprio dell'archeologia.
Il collegamento tra passato e presente emerge con particolare evidenza da un'altra nuova branca della ricerca, che si definisce nei limiti e nella natura delle aree indagate: l'archeologia urbana (v. AA. VV., Un avenir. .., 1984). Se è evidente che la metodologia dello scavo (e in particolare l'indagine stratigrafica) non si altera (anzi si accentua), l'archeologia urbana è caratterizzata da una problematica tutta particolare. Come hanno mostrato, infatti, le ricerche pionieristiche effettuate in Gran Bretagna, la città deve essere intesa come un'unità organica, e quindi indagata lungo tutta la sua stratificazione attraverso il tempo: si veda il caso emblematico della Crypta Balbi a Roma, dove è stato scavato e pubblicato un deposito di rifiuti del XVIII secolo (v. Manacorda, 1982 e 1984). Strettissimo è il collegamento con gli urbanisti, anche al fine di definire quanto degli scavi debba restare in evidenza: si veda il caso non meno emblematico dell'area archeologica conservata dinnanzi al Parlamento di Stoccolma.
Di tutt'altro genere è il collegamento tra passato e presente nella branca pure recente della ricerca che va sotto il nome di etnoarcheologia (v., per quanto segue, Moscati, 1983). Si tratta dell'indagine che collega la ricerca del passato (con la sua componente di scavo) a quella che indaga le condizioni attuali delle popolazioni che vivono sullo stesso territorio. Particolare sviluppo ha questa disciplina in America: lo dimostrano, ad esempio, le ricerche di P. Grion Griffin e A. Estoko Griffin tra gli Agda delle Filippine, una popolazione a livello ‛primitivo' nel cui territorio lo scavo ha posto in luce armi e utensili antichi assai simili a quelli attualmente in uso.
Analogo carattere hanno le ricerche condotte dal Centro Ligabue di Venezia tra gli Yanoama, una popolazione primitiva del Venezuela il cui territorio ha rivelato ceramiche e strumenti di pietra che anticipano nei secoli le forme presenti. Pure al Centro Ligabue si debbono le ricerche tra i Tau't Bato delle Filippine, che continuano la vita in grotte propria della preistoria e nel cui territorio sono stati trovati strumenti di pietra risalenti all'età paleolitica. Non meno antichi sono in quel territorio altri gruppi umani, come i cacciatori di teste Ilongot e i ‛nomadi del mare' Badjao, ultimi eredi dei pirati malesi.
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