Architettura costantiniana a Costantinopoli
È un’impronta di imponenti presenze architettoniche quella che definirà, nelle fasi iniziali del IV secolo, la costruzione di una nuova capitale a est del Mediterraneo, Costantinopoli1.
A molti dei testimoni contemporanei, l’idea di una nuova capitale non doveva presumibilmente apparire come un evento inconsueto. Viceversa, è da supporre che Costantinopoli si definì inizialmente con le connotazioni di una cerniera di memoria, soprattutto nei suoi attributi architettonici, con la più recente storia dell’Impero romano legata alle riforme dioclezianee del volgere del III secolo e alla breve quanto intensa esperienza tetrarchica2. È da tali riforme che scaturì una sistematica moltiplicazione di nuove capitali, che in ragione del nuovo assetto governativo, portarono alla creazione di veri e propri centri di potere in ubicazioni geografiche relativamente inconsuete per l’Impero romano3. Da Sirmione nel cuore dei Balcani a Salonicco affacciata sul mare Egeo ad Antiochia sull’Oronte (moderna Hatay o Antakya) incastonata nell’angolo orientale più estremo del Mediterraneo a Nicomedia (moderna Izmit) situata all’imbocco delle vie di comunicazione con l’Anatolia, le nuove capitali tetrarchiche crearono le premesse per rinnovate centralità urbanistiche, architettoniche e artistiche. Se Roma aveva sino ad allora rappresentato il fulcro, l’Urbs per eccellenza, le nuove città tetrarchiche, insieme a un elaborato sistema di centri urbani di nuova fondazione che si può ora associare con maggiore certezza a questo periodo, propongono una ridefinizione del precedente paradigma di ‘centro e periferia’4. L’incremento di nuovi ‘centri’ con la conseguente disintegrazione di precedenti ‘periferie’, molte delle quali ora gravitanti nell’orbita delle nuove capitali, darà vita a una rinnovata rete di comunicazioni, spostamenti ma anche a nuovi incontri culturali. Nello specifico, le nuove capitali, e Costantinopoli in particolare, possono essere lette anche come nuovi catalizzatori per attività di progettazione urbanistica e di sistemi architettonici, ora calibrati per entrare in sintonia con le straordinarie trasformazioni di questo periodo e in forte dialogo con le realtà delle nuove ubicazioni geografiche.
Quindi, se da una parte la creazione della nuova capitale, Costantinopoli, potrebbe non aver provocato reazioni di sorpresa tra i contemporanei, è evidente che solo poco più tardi e, come si evince anche dalle evidenze testuali, con un’intensità che si registra soprattutto dal VI secolo, la nuova capitale viene già raccontata come un palinsesto di monumentalità architettoniche le cui origini sono rintracciate nell’intervento Costantiniano. La memoria storica della città si estende, già in epoca bizantina, dall’archetipo della πολίς costantiniana indissolubilmente legata al nome dell’imperatore a specifiche testimonianze del suo iniziale assetto urbanistico, architettonico e decorativo. Saranno queste evocazioni a dare vita all’ampio tessuto narrativo della capitale per i secoli a venire e sino a gran parte del periodo ottomano5.
Nell’ambito della naturale diacronia che caratterizza le stratificazioni urbane delle grandi metropoli, gli elementi costantiniani del paesaggio urbano di Costantinopoli rappresenteranno uno stabile e costante elemento di autenticazione, costituendo allo stesso tempo il pedigree storico-monumentale della nuova capitale. Molte delle caratteristiche architettoniche del paesaggio urbano costantiniano si riconoscono però solo entro gli angusti e incompleti confini di memorie testuali, poiché larga parte del costruito che contribuì alla formazione della città nelle sue iniziali fasi di vita, dalle infrastrutture ai grandi edifici pubblici, il palazzo imperiale e altre dimore, edifici di culto e spazi di congregazione, è stato oggetto di quell’inevitabile processo di trasformazione e aggiornamento che è risultato nel palinsesto della Costantinopoli bizantina. Le tracce superstiti sono sporadiche e incomplete, risultando spesso di complessa lettura. A questo, poi, si sovrappone quasi come una vigorosa cesura il rapido processo di cementificazione della Istanbul contemporanea che, dagli ultimi decenni, ha investito senza soluzione di continuità il tessuto urbano della città antica insieme al suo esteso hinterland sul continente europeo e oltre le sponde del Bosforo, in Asia6. La perdita dei molteplici paesaggi storici che sino a pochi decenni addietro si connotavano come isole di rovine in aperto dialogo con il paesaggio circostante e con la città moderna, sta drasticamente riducendo le possibilità di studio della città bizantina, soprattutto delle sue fasi più antiche. Inoltre, in assenza di sistematici progetti di ricerca sul campo, i nuovi ritrovamenti sono da tempo relegati alla sfera degli interventi di emergenza quali scavi archeologici eseguiti in ragione di lavori pubblici o privati e quindi a un’inevitabile casualità che da questi ne consegue7. Le limitazioni che la moderna megalopoli di Istanbul sta imponendo alla scoperta, ma anche alla conservazione del suo patrimonio culturale sono particolarmente evidenti per i periodi più antichi della Costantinopoli bizantina le cui testimonianze, rintracciabili principalmente tramite attente operazioni di scavo archeologico diacronico, risultano vieppiù di difficile applicazione.
Nella presentazione che segue viene proposto un percorso di memoria delle architetture della città costantiniana che, senza pretesa di completezza, si prefigge di mettere in evidenza i prodotti architettonici che, individualmente, in dialogo con il tessuto urbano ma anche in relazione con le realtà storiche del periodo, contribuirono all’impostazione della nuova capitale8.
Riferimenti alla nuova capitale, soprattutto alle dinamiche progettuali, di infrastruttura, organizzazione urbana e alle sue architetture, rintracciabili nelle fonti storiche contemporanee risultano particolarmente esigui e di relativa dovizia di dettagli. Come è stato già notato da Cyril Mango, Eusebio di Cesarea rappresenta, allo stato attuale delle nostre conoscenze, l’unico testimone oculare degli eventi relativi alla costruzione della città9. La faziosità di Eusebio o, come nelle parole di Gilbert Dagron, l’ammirevole coerenza politica riscontrata nel passaggio della Vita Constantini in cui la nuova città costantiniana è descritta come purificata da una preesistente idolatria pagana dall’imperatore, supportata da una lunga lista di edifici e di elementi del decoro urbano di impronta cristiana, trova oramai concordi gli studiosi sia nell’attribuire una paternità eusebiana allo scritto come anche nel riconoscere una difficoltà di identificazione di quanto elencato da Eusebio. Elementi del decoro urbano della nuova capitale costantiniana, quali il rinomato tripode bronzeo a forma di colonna culminante con tre teste di serpente proveniente dal tempio di Apollo di Delfi e poi collocata nella spina dell’ippodromo, non trovano riscontro nel testo di Eusebio, sostituiti da statue del buon pastore o di Daniele tra i leoni, collocate da Costantino, a detta dello scrittore, nelle piazze e fontane pubbliche della città10. Averil Cameron, quindi, aveva lamentato la perdita della sezione costantiniana di Ammiano Marcellino, storico e autore delle Res Gestae, completate poco dopo il 390 d.C., che avrebbe a sua detta offerto un punto di vista alternativo alla narrativa eusebiana11. Nel testo di Eusebio, l’attività edilizia di Costantino a Costantinopoli è esclusivamente descritta come incentrata sugli edifici di carattere ecclesiastico «con numerosissimi oratori, con grandiosi santuari dedicati ai martiri e con splendide chiese»12. Rimane comunque un’assenza di elementi specifici che possano ricondurre il testo di Eusebio a un attendibile catalogo o a una cronaca, lasciando quindi l’impressione di una narrativa dalle forti connotazioni panegiriche e di parte. In questa prospettiva va forse inserita l’unica citazione specifica di una chiesa, quella dei Santi Apostoli, che nel testo eusebiano non viene rappresentata come uno spazio architettonico vero e proprio, piuttosto sembra esser parte di una più estesa agenda ideologica dello stesso autore tesa a promuovere il culto dei martiri cristiani per il tramite di manufatti architettonici e di loro forti monumentalità13.
Bisognerà quindi arrivare alle fonti del VI secolo per ricavare descrizioni e liste dei lavori intrapresi da Costantino e, soprattutto, indicazioni sugli edifici la cui costruzione venne presumibilmente iniziata durante il regno dell’imperatore. Va ricordato che molti dei manufatti architettonici menzionati in questo periodo erano presumibilmente entrati a pieno titolo nella memoria storica della città ed è altresì possibile che molti degli stessi versassero già in una condizione di rovina o abbandono14. Le fonti del periodo potrebbero quindi, per alcuni edifici, avere una valenza di evidenza documentaria intesa anche come una testimonianza di un passato della città ora in corso di ammodernamento come si conviene a una capitale dalle radici storiche profonde.
Sia il Chronicon Paschale sia Zosimo aprono le loro rispettive cronache indicando la presenza dell’imperatore Costantino a Nicomedia, metropolis della Bitinia ma soprattutto capitale tetrarchica dove, presumibilmente dal palazzo costruito da Diocleziano, Costantino, si dice, si recava frequentemente a Bisanzio15. Nicomedia è un punto di riferimento importante per le questioni di geopolitica costantiniana del IV secolo, oltre che a rappresentare parte integrante della vicenda costantiniana. Da Nicomedia Diocleziano creò il regime tetrarchico e intraprese un’intensa attività di modernizzazione della città mirata alla sua trasformazione in capitale. Lattanzio parla della costruzione delle nuove mura della città all’inizio del IV secolo, come anche della realizzazione del palazzo imperiale, di un ippodromo, di una basilica imperiale, del rifacimento dell’impianto termale di epoca antonina oltre che della zecca16. Affacciata sul mare di Marmara, incorniciata da rilievi che resero possibile la costruzione di un impianto difensivo visibile quanto efficace, Nicomedia si contraddistingueva per un’ubicazione strategica inserita in sistemi di movimento e comunicazione sia via mare che via terra. Allo stesso tempo, la città si definì inizialmente come il centro di potere e di presenza imperiale più a Oriente, ubicata ben oltre il Mediterraneo, che l’Impero romano avesse mai sperimentato. Nel progetto dioclezianeo di riqualificazione della città e nella scelta di specifici apparati architettonici, si potrebbe intravedere delineato quello che si riproporrà come il paradigma urbanistico delle città tetrarchiche.
In seguito, sarà una linea di presenze incrociate quella che legherà Costantino a Nicomedia; a significative figure del suo entourage e alla creazione di Costantinopoli. Da Nicomedia Licinio regna prima della battaglia di Crisopoli e, a seguito della sua sconfitta, dalla stessa città invia il vescovo locale Eusebio al vittorioso Costantino per negoziare la sua resa17. Infine, come ci informa lo stesso Eusebio, è nei sobborghi di Nicomedia, presumibilmente in una residenza imperiale ad Achyron, nel 337 che Costantino giungerà al termine della sua esistenza18. La città di Nicomedia, probabilmente più di molte delle altre capitali tetrarchiche, rappresenta per Costantino un importante punto di riferimento nonché un forte elemento di collegamento geopolitico teso a rafforzare e convalidare la sua politica di allontanamento da Roma a sostegno di uno spostamento di centralità verso Oriente. Le fonti del VI secolo sembrano riconoscere il ruolo svolto da Nicomedia nel IV secolo in una Costantinopoli che ha, nel contempo, pienamente assunto e guadagnato il titolo di capitale.
L’immagine della Nicomedia tetrarchica è purtroppo svanita, come d’altronde scarsissimi sono i resti del tessuto urbano di questa e di epoche successive sopravvissuti nella moderna Izmit. Gli edifici della città di IV secolo cui fanno riferimento le fonti storiche risultano di difficile individuazione o anche di posizionamento topografico.
In un raro documento visivo – una veduta panoramica della città risalente al 1745 a opera di Charles de Peyssonel – la città ottomana è ritratta dal mare con basse abitazioni contenute all’interno di una cinta muraria ancora ben conservata e i resti del palazzo di Diocleziano indicati al di fuori delle mura, lungo la costa19. La suggestione di un monumentale palazzo con una facciata marittima o, almeno in rapporto visivo con l’acqua e sulla falsariga di quanto realizzato dallo stesso Diocleziano ad Antiochia-sull’Oronte e poi a Spalato, rimane forte e riconducibile quindi a quel momento di intense sperimentazioni architettoniche nell’articolazione delle facciate; nella elaborazione e vivace scansione degli spazi interni, inquadrati da quei rapporti assiali ben definiti che caratterizzano l’architettura palatina di alcuni grandi complessi di questo periodo20. È nel palazzo imperiale di Nicomedia che Costantino soggiornò mentre seguiva i lavori di costruzione della nuova capitale che includevano, tra gli altri, la realizzazione di un nuovo palazzo imperiale la cui posizione topografica prevedeva, oltre che a un’apertura verso la città, anche un rapporto visivo e di vicinanza con l’acqua.
Della Nicomedia del IV secolo sopravvivono tratti dell’impianto murario i cui resti monumentali di epoca dioclezianea sono da rintracciare, a parere di Clive Foss, su una collina nella parte alta della città21. L’architettura delle mura è possente e ancora chiaramente visibile nonostante la condizione di abbandono. Una spessa cortina lascia supporre elevati di notevole entità che, insieme a torri – anche se poco conservate, dall’apparenza aggettante e di notevoli dimensioni, probabilmente a pianta semicircolare e quadrata – ricordano esempi di impianti urbici di città di nuova rifondazione di questo periodo quali Abritus, in Bulgaria22. La tecnica muraria delle mura di Nicomedia prevede l’apparecchiamento di bande di corsi di pietra locale travertinosa alternate a bande di laterizio, con il laterizio che attraversa l’intera sezione del muro e il resto definito da un riempimento a sacco. A Nicomedia le mura, dedicate personalmente dall’imperatore Diocleziano nel 304, mostrano caratteristiche costruttive e di utilizzo di materiali che diventeranno consolidata tradizione nell’architettura costantinopolitana dei periodi successivi23.
Nicomedia, come le altre città tetrarchiche, impostava le sue connotazioni di capitale in un tessuto urbano preesistente, spesso adattandolo o anche accrescendo la superficie del costruito con l’intento di creare un’estensione di spazio nell’ambito del quale la monumentalità della nuova capitale trovava espressione. Come è stato osservato purtroppo, Nicomedia conserva modeste se non scarsissime testimonianze di queste sistemazioni urbanistiche e architettoniche. Si direbbe che l’aspetto della città subì cambiamenti e trasformazioni non solo in virtù di eventi naturali quali i numerosi terremoti ma anche a seguito di devastazioni belliche, fornendo quindi a Diocleziano ripetute occasioni di ricostruzione24. Queste inclusero la possente cinta muraria che verosimilmente potrebbe aver aumentato l’estensione della città. La costruzione o allargamento di mura urbane, oltre a rappresentare un fenomeno che contraddistingue l’architettura delle città del III secolo, sembra ora avere ampie attestazioni nelle nuove capitali tetrarchiche, da Salonicco ad Antiochia e, possibilmente, anche a Nicomedia25.
All’interno di un rinnovato perimetro urbano la cui monumentalità rimane ancora oggetto di ricerca ma che potrebbe trovare elementi di contatto con le enfatiche forme delle contemporanee mura di città di nuova fondazione quali Romuliana o anche Tropeum Traianii, sembra che anche lo spazio interno inizi ad assumere forme inusuali per le città. Innanzitutto, la presenza di un palazzo imperiale rappresenta un inserimento apparentemente incongruo ma, allo stesso tempo, di caratterizzazione architettonica dalle forti valenze. Non dovrebbe quindi risultare sorprendente se, da parte di osservatori contemporanei, il palazzo tetrarchico urbano fosse associato all’idea di ‘nuova città’ come nel caso della Oratio XI di Libanio, composta nel 360 e facente riferimento al palazzo dioclezianeo ad Antiochia26. Le residenze tetrarchiche si connotano come entità ben definite all’interno di più ampi e pubblici spazi urbani, qualificando una specifica area della nuova città. A queste si accompagna quello che può essere visto come il secondo elemento del binomio che rappresenta il paradigma della nuova capitale, ovvero l’ippodromo. Da un lato tale paradigma ripropone un forte legame con il palatium per eccellenza, quello del Palatino e il Circo Massimo e con la città di Roma. Dall’altro lato il moltiplicarsi di questo paradigma funziona come elemento di autenticazione delle nuove capitali, ma anche come detrattore di potere e prestigio per la città di Roma.
L’immagine urbanistica e architettonica di Costantinopoli che sembra delinearsi nelle narrative sulla nuova capitale si connota attraverso toni, riferimenti e punti di contatto con il sorprendente cambiamento geografico verificatosi tra gli scorci del III e gli inizi del IV secolo. I nuovi intenti politici che definiscono questo periodo trovano nella costruzione delle nuove capitali tetrarchiche una delle manifestazioni di produzione architettonica più espressiva e completa. La scelta di Costantino si connota come avveduta e in sintonia con i riallineamenti geopolitici del momento. Il prestigio di Roma rimaneva comunque forte e il processo di trasformazione di Costantinopoli è un processo di crescita nel tempo attraverso cui l’apparato architettonico della città contribuisce a definire la presenza del potere imperiale.
L’iniziale impegno da parte di Costantino nella costruzione della nuova città richiese quasi certamente l’implementazione di un piano finanziario di contingenza che, per il tramite di nuove imposte, avrebbe consentito la costruzione di edifici e il completamento, dove possibile, del loro apparato decorativo. Questo accadeva all’indomani di una serie di onerosi scontri militari, investimenti per la costruzione di nuove città capitali nonché di sistemi difensivi. Costantino si trova nella posizione di dover reperire con sollecitudine fondi che consentano di affrontare e implementare un nuovo quanto oneroso progetto. Nuove imposte quali la collatio lustralis (chrysargyron) e la collatio glebalis, insieme a beni confiscati a Licinio e da templi pagani avrebbero rappresentato la base finanziaria per la realizzazione delle grandi opere della nuova capitale27. Da questo momento in poi, le esigenze di sostentamento finanziario di Costantinopoli saranno quelle di una grande città con un inizio segnato da ciò che viene descritta come una gloriosa magnanimità costantiniana, diretta non solo alla costruzione e al decoro della città ma anche ai nuovi abitanti della stessa per il tramite di distribuzioni gratuite di viveri28.
La città costantiniana, come già osservato, si imposta sulle preesistenze urbane di Bisanzio, centro attivo al momento dell’intervento anche se di dimensioni relativamente modeste29. La nuova capitale prende le mosse da uno spazio urbano di quattro volte superiore rispetto a quello utilizzato da Bisanzio determinando la sua estensione con le mura terrestri. Queste tagliavano il profondo promontorio della città dal Corno d’Oro (keratios kolpos) al mare di Marmara (propontis), a una distanza di almeno dieci stadia da Bisanzio, delineando una linea ad arco molto pronunciato (fig. primo volume VI 22)30. Nello spazio all’interno delle mura la costa è segnata da insenature naturali sia sul Corno d’Oro sia sul mare di Marmara; il fiume Lykos scende lungo la dorsale principale del promontorio verso il mare di Marmara e una serie di valli digradano abbastanza precipitosamente verso la costa31. Sulla linea di costa, Mango ha suggerito di individuare alcune insenature naturali il cui assetto originario fu oggetto di trasformazioni e riempimenti nel corso dei secoli e che servirono come approdi marittimi. Una delle insenature antiche era in corrispondenza dell’uscita del fiume Lykos (Bayrampaşa deresi) sul mare di Marmara. Una seconda era ad una distanza di circa cinque stadia dalla prima ma sul Corno d’Oro. Più a est, sempre sul Corno d’Oro, protette dalla punta del promontorio erano due insenature già utilizzate, rispettivamente come porti marittimi e commerciali, il Bosphorion o Prosphorion e il Neorion32. Il promontorio della nuova capitale incrementava una fisionomia topografica che avrebbe contribuito negli attributi di Costantinopoli come città-porto. Seguirà una sistemazione urbanistica che, con il passare del tempo, continuerà a tessere congiunzioni spaziali tra insenature e approdi trasformati in porti e gli spazi del commercio.
La topografia della città è complessa, poco adatta all’allestimento di ampi spazi e di costruzioni monumentali. Lo sviluppo di Costantinopoli nei secoli successivi alla sua fondazione vede ampie testimonianze di riorganizzazione della topografia per facilitare la costruzione di cospicui complessi architettonici. Si tratta prevalentemente di sistemi di terrazzamento con murature di contenimento, in linea con la tradizione di epoca romana, che estendendo la superficie del costruito avevano anche la funzione di regolarizzare il terreno. È comunque da supporre che un assetto topografico di questa complessità richiese operazioni di sbancamento di notevole consistenza o anche di semplice regolarizzazione del terreno al fine di poter accomodare un impianto urbano dalle forti monumentalità. Una delle principali opere di sistemazione del terreno deve essere stata attuata per consentire la costruzione delle mura terrestri, che nel loro attraversamento del promontorio ne recidevano decisamente la dorsale. Anche le ampie strade porticate dall’andamento rettilineo, soprattutto la Mese – arteria principale – le piazze e gli spazi pubblici insieme al palazzo imperiale, il suo vicino ippodromo e altri edifici come gli impianti termali, nonché la Megale Ekklesia o anche il mausoleo imperiale (apostoleion) che trovano menzione in diverse fonti storiche e la cui costruzione viene fatta risalire alla volontà di Costantino o dei suoi immediati successori, richiesero interventi di sistemazione della topografia del terreno33. Sebbene tracce di lavori di regolarizzazione del terreno ascrivibili al IV secolo siano di difficile individuazione, soprattutto nel paesaggio urbano della Istanbul contemporanea, già Ernest Mamboury negli anni Cinquanta, poi Raymond Janin e James Crow più recentemente hanno provato a definire le modalità e la consistenza di tali opere in epoca tardoantica34. Si tratterebbe di un sistema di terrazzamenti che, secondo le ipotesi formulate, avrebbe interessato una serie di aree della città antica. Mamboury ipotizzò l’articolazione di terrazzamenti nella zona marittima o vicina alla costa e di altri nella parte alta della città, quindi nella fascia centrale del promontorio35. In questa organizzazione le cisterne sotterranee divenivano parte integrante del sistema infrastrutturale, spesso inserite nei terrazzamenti, conferendo a Costantinopoli qualità di un paesaggio urbano di forte originalità. La datazione dei terrazzamenti, in assenza di scavi archeologici stratigrafici e di uno studio aggiornato sulle tecniche edilizie costantinopolitane, allorché in presenza di murature in laterizio, utilizza l’evidenza dei bolli laterizi. Jonathan Bardill ha suggerito che l’inizio della produzione sistematica di bolli laterizi a Costantinopoli sarebbe riferibile al tardo IV secolo, quando l’attività di edilizia pubblica e privata in città entrò in una fase di intense realizzazioni36. Allo stato delle ricerche sarebbe ragionevole sostenere l’ipotesi che lavori di sistemazione del terreno nella forma di terrazzamenti e sostruzioni in aree mirate all’interno della città vennero intrapresi già nelle prime fasi di vita della stessa. Una sorta di pianificazione urbana che si presenta comunque come pratica consolidata per gli architetti e urbanisti romani già impegnati nella preparazione di assetti topografici urbani di una certa complessità, come nella vicina città di Nicomedia.
Una delle carenze più manifeste della città costantiniana era indubbiamente rappresentata dall’assenza di sorgenti di acqua potabile. Difatti né all’interno delle mura né nelle vicinanze della città erano presenti bacini acquiferi che consentissero di approvvigionare adeguatamente la nuova capitale37. Tale condizione di precarietà fu risolta con la costruzione di quello che risultò il più lungo sistema di adduzione idraulica progettato e realizzato nell’antichità. Il sistema trovava il punto di origine nelle piovose e metamorficamente ricche regioni della Tracia, non lontano dalla città di Byze (moderna Vize, nella Tracia turca) dove, attraversando la sinuosa topografia della regione, raggiungeva le mura della città lungo un percorso attualmente stimato intorno ai 350 chilometri. Recenti indagini archeologiche hanno consentito di individuare due linee di adduzione realizzate in epoche successive che, lungo il percorso, si arricchivano per il tramite di bacini acquiferi anche di natura carsica38. Una volta in città l’acqua veniva conservata, per poi essere distribuita, in un’articolata rete di cisterne collocate lungo le dorsali della città. In questo modo il problematico assetto topografico di Costantinopoli venne convertito in una risorsa per la stessa, dove le curve di livello, regolarizzate dai lavori di terrazzamento, vennero utilizzate per accomodare la rete di cisterne, funzionanti quindi come un sistema di sifoni digradanti. Il sistema raggiunse il suo apice funzionale e di portata intorno al VI secolo. Recenti indagini sul campo condotte da Crow, Richard Bayliss e Paolo Bono hanno ricondotto il funzionamento del primo sistema di adduzione idraulica al IV secolo, suggerendo che la costruzione del nuovo sistema di acquedotto mirato a incrementare la portata di acqua nella nuova capitale iniziò quindici anni dopo l’inaugurazione della città39. Sembra che dalla fine del IV la ‘sete’ alla quale la città di Costantinopoli fu inizialmente sottoposta fu sopita grazie al funzionamento dell’opera40.
Una delle immagini più iconiche dell’architettura della Costantinopoli del IV secolo è certamente quella delle monumentali doppie arcate in blocchi di pietra travertinosa, ben squadrati e apparecchiati, del ponte di acquedotto che attraversa l’ampia valle che separa la terza dalla quarta collina, all’interno delle mura di epoca costantiniana della città. Le arcate sono conosciute come bozdoğan kemeri (o l’acquedotto del falco grigio) e, malgrado restauri di epoca ottomana che ne attestano continuità di uso e un più recente e quanto mai aggressivo intervento di restauro, conservano tratti del loro originale assetto41. La cronologia del ponte, che si conserva per una lunghezza di circa 971 metri, è stata recentemente fissata alla seconda metà del IV secolo, confermando quindi ipotesi precedenti che ne stabilivano l’associazione con l’imperatore Valente42. Il canale idraulico del ponte sarebbe quindi da associare con la realizzazione del primo impianto di adduzione tracico, denominato ‘sistema basso’, che trovava origine nella zona di Damamdıra e Pınarca nelle immediate vicinanze del Lungo Muro di Anastasio – la fortificazione lineare che tagliava la penisola tracica dal Mar Nero al mare di Marmara su un percorso di circa 56 chilometri – probabilmente realizzato anche per proteggere questo vitale aspetto dell’infrastruttura e del sostentamento della città43. Per il bozdoğan kemeri si era anche ravvisata la possibilità di considerarlo come parte del precedente sistema idraulico di epoca adrianea che, a una lettura della legislazione del Codex Theodosianus, parrebbe continuare a funzionare contemporaneamente al sistema del IV secolo. Tale supposizione sembra al momento non trovare riscontro nell’analisi degli elementi decorativi che, a un’attenta ispezione degli archi con murature di epoca tardoantica ancora ben conservate, ha rivelato su una delle arcate inferiori un enfatico chrismon decorato a rilievo nella chiave d’arco, escludendo quindi una datazione adrianea. Questo, insieme ai dati raccolti sulle quote dei canali, ha consentito a Crow, Bayliss e Bono di proporre che il sistema collegato al bozdoğan kemeri, in ragione dei forti dislivelli, non poteva servire le parti più basse della città, ovvero l’antica acropoli e le regioni limitrofe sulla punta del promontorio.
Queste aree della città corrispondevano alla città precostantiniana e, in alcune sue parti, si incardinò l’ompholos della nuova capitale. Nel settore est della punta del promontorio il palazzo imperiale, ma anche le vicine terme di Zeuxippos, insieme a strutture in prossimità dell’acropoli quali le terme di Achille, avevano un’ubicazione topografica relativamente bassa che poteva essere servita dal sistema adrianeo. Questa ipotesi troverebbe parziale conforto in una legge dei primi decenni del V secolo nella quale si fa espressa richiesta di cessazione di utilizzo delle acque provenienti dall’acquedotto per impieghi privati quali irrigazione, uso nelle dimore, nelle ville e negli impianti termali privati. Il fine è quello di utilizzo dell’acquedotto adrianeo esclusivamente per «uso pubblico; acqua calda e fredda di impianti termali e per il Palazzo»44. Il sistema adrianeo quindi, doveva rappresentare una delle principali fonti di approvvigionamento del palazzo imperiale, dove una rete di cisterne collocate lungo i terrazzamenti, sui quali si articolava il complesso, integrava il sistema. A questo si aggiunge il grande impianto termale di Zeuxippos, i cui resti vennero scavati solo parzialmente con conseguenti scarse informazioni sul funzionamento del sistema idraulico del complesso ma con una prevedibile sistemazione che deve aver tenuto in considerazione anche delle necessità di questo impianto pubblico45. L’altro impianto termale che potrebbe aver beneficiato del sistema adrianeo era quello di Achille, la cui ubicazione è ipotizzata in prossimità dello strategion, a occidente della collina dell’antica acropoli46. È solo nel VI secolo e in una convergenza di eventi che segnano ricostruzioni e rifacimenti di intere aree dell’ompholos della città che Giustiniano collega al sistema adrianeo la grande basilica cisterna (yerebatan sarayı), la cui data di completamento è fissata da Malalas al 54147. Le esigenze di approvvigionamento in questa parte della città dovevano aver subito un ulteriore incremento dal periodo di emanazione della legislazione teodosiana. Nuove ricerche potranno forse meglio chiarire le connotazioni più ampie dell’incremento del sistema idraulico in questa zona della città in epoca giustinianea. Dall’utilizzo in edifici pubblici come impianti termali, fontane e ninfei, il cui funzionamento richiedeva un costante e regolare approvvigionamento di acqua, alle necessità del palazzo imperiale. La città costantiniana quindi, mette a punto in una sua area specifica un sistema di sfruttamento di infrastrutture di epoca precedente quale l’acquedotto adrianeo. Tuttavia la congenita carenza di risorse idrauliche, la complessità del sistema di adduzione identificato nell’hinterland tracico insieme alla prevista estensione della città costantiniana lascerebbero supporre che la progettualità infrastrutturale idraulica abbia fatto parte del progetto costantiniano sin dall’inizio.
Uno dei tratti qualificanti dell’architettura urbana costantinopolitana rispetto a controparti occidentali, soprattutto alla città di Roma, è l’impianto di strade porticate. Queste contribuivano a formare l’armatura ma anche l’immagine pubblica della città stessa. Intorno al 425, data in cui venne presumibilmente redatta la Notitia Urbis Costantinopolitanae – un catalogo composto in latino che elenca infrastrutture e edifici della città seguendo una suddivisione di quattordici regioni – nella lista dei porticus (strade porticate) se ne contano 5248. Più che un’esagerazione del numero delle strade porticate, il testo della Notitia, impone complesse riflessioni sul significato dei termini utilizzati per inventariare lo spazio urbano49. Nonostante ciò i porticus di Costantinopoli rappresentarono sin dalla creazione della nuova capitale un suo elemento di distinzione architettonica; essi incardinano la struttura urbanistica oltre i limiti della città precedente, senza peraltro formare una griglia regolare. Le strade porticate si inseriscono nella topografia del terreno, adattandosi ad essa o anche modificandola, e funzionando allo stesso tempo da elemento di connessione con le architetture che intorno a esse vennero realizzate50.
La costruzione di una strada colonnata prevedeva un discreto livellamento del terreno al fine di accomodare una zona centrale rappresentata dalla strada pavimentata. Questa era affiancata su entrambi i lati da porticati con colonnati architravati che sostenevano una copertura, normalmente un tetto a spiovente inclinato verso la strada. All’interno dei porticati si aprivano file di botteghe che comunicavano direttamente con lo spazio ombreggiato e relativamente raccolto del portico. Verticalità nell’altezza dei porticati, come anche una forte orizzontalità data dalla sua ampiezza, caratterizzavano l’arteria principale di Costantinopoli, la Mese. La strada porticata principale della città, infatti, con una retorica di forte monumentalità scandiva lo spazio urbano fungendo anche da elemento di interconnettività tra le molteplici piazze pubbliche che, dall’epoca costantiniana in poi, si collocarono lungo il suo percorso. La Mese prendeva le mosse dal milion, il miliario aureo della città, ubicato in prossimità del tetrastoon, dalle probabili sembianze architettoniche di un grande arco quadrifronte51. Il milion, a sua volta, rappresenta anche un ompholos simbolico della città oltre che a fungere da elemento di interconnessione con altri spazi porticati come la precedente stoà di epoca romana e la strada che risaliva la collina dal Corno d’Oro52. In epoca costantiniana, secondo Marlia Mundell Mango, la Mese si estendeva dal milion al capitolium, passando attraverso il foro di Costantino con un’ampiezza calcolata intorno ai venticinque metri53. Sempre secondo la studiosa, molte delle strade porticate di Costantinopoli erano scandite da portici organizzati su due livelli, almeno agli inizi del V secolo. Non è possibile stabilire con esattezza quale fosse l’aspetto della Mese in epoca costantiniana o le dimensioni dei suoi porticati, in quanto rarissime sono le testimonianze archeologiche della Mese come di altre strade porticate a Costantinopoli, e nessuna è riconducibile agli anni della costruzione della nuova capitale54. Si può presumere che alla struttura architettonica della Mese costantiniana, come peraltro nelle sue controparti nelle città romane d’Oriente, quali Palmira, Gerasa e la stessa Antiochia sull’Oronte, si accompagnassero elementi di statuaria, pavimentazioni in tessellato, lastre di marmo o anche opus sectile lungo i portici e un sistema di illuminazione pubblico55.
L’aspetto di interconnettività visiva e architettonica della Mese costantiniana, giustificherebbe la presenza di tetrapyla, strutture monumentali collocate all’incrocio di due strade colonnate; archi quadrifrons come il milion; di nymphaea come quello inserito, secondo Cyril Mango, nei portici del foro di Costantino e, naturalmente il foro di Costantino stesso56. La continuazione della Mese oltre il foro portava alle mura della città e a quella che doveva rappresentare la porta cerimoniale della città, la antiquissima pulchra porta indicata da Cristoforo Buondelmonti nel suo panorama della città57. Questa sistemazione proponeva un sistema di movimento e di visibilità all’interno della città che poneva enfasi sulle qualità della sua monumentalità, nonché del decoro pubblico. Se poi si aggiunge che nel corso del suo regno l’imperatore Costantino, intorno al 333, avrebbe fatto realizzare un ammodernamento della via Egnatia per facilitare i collegamenti nel suo ultimo tratto – ovvero tra la città di Heraklea Pontica/Perinthos e Costantinopoli – è possibile immaginare che la Mese rappresentasse, entro le mura, la prosecuzione ideale della stessa58.
Dalla fine del III secolo un fenomeno che contribuisce alla definizione di una nuova immagine urbana di molte delle città all’interno dell’Impero romano è rappresentato dalla costruzione di mura urbiche. La città di Roma è un esempio significativo e si qualifica in parte anche come un archetipo di questo cambiamento. Essa dispiega un ampio circuito murario costruito durante il regno dell’imperatore Aureliano (271-275) cui seguirono a breve distanza una serie di innalzamenti monumentali con Onorio (401-403)59. Agli inizi del IV secolo un trattato di epidittica (una forma di oratoria dimostrativa, come encomi pubblici) pervenutoci in forma incompleta e attribuito a Menandro di Laodicea, elenca gli elementi necessari alla composizione di encomia per città60. Menandro incoraggia gli autori a porre enfasi sulle mura urbane, che insieme agli elementi naturali, a impianti termali, porti e altri edifici definiscono le qualità di una città. In particolare, il testo di Menandro sottolinea che, se la città risulta essere di grandi dimensioni e non collocata in prossimità dei confini dell’Impero, sarà comunque importante porre la giusta attenzione al fatto che è circondata da mura su tutti i suoi lati; munita di porte anche per il suo decoro e fornita di un peribolos per la sua sicurezza61. Nel testo di Menandro le mura non isolano la città, piuttosto contribuiscono alla sua definizione con elementi di decoro nonché di difesa, secondo modalità che appaiono riflettere le nuove realtà del periodo.
Le città tetrarchiche non sono immuni da questo fenomeno e vedono sovrapporsi alle mura costruite nel III secolo nuovi innalzamenti ed estensioni, o semplici modifiche su committenza dei reggenti tetrarchici62. Le funzionalità difensive e l’iconografia simbolica di questi sistemi murari urbani sono state e continuano a rappresentare argomento di ricerca, mentre, nel contesto della presente discussione sull’immagine architettonica di Costantinopoli, si propongono alcune riflessioni sul significato delle mura urbane di questo periodo che muovono dalla loro specifica liminalità e qualità difensive. Già John Haldon aveva indicato come la città, nell’uso del termine civitas, era intesa nella sua accezione di dilatazione dei concetti di centro urbano e territorio-territorium63, quindi in una dimensione che toccava anche lo spazio fuori le mura. Più particolarmente si potrebbe affermare che, soprattutto nel caso della città di Costantinopoli, una lettura delle mura della città intese solo come manufatto architettonico che separa quanto appartiene alla città dall’‘esterno’ crei dei condizionamenti per una più piena comprensione della città stessa e delle sue dinamiche di territorium. La città-suburbio, ovvero la città e quanto oltre le sue mura, è anche emanazione del territorium urbano. Come suggerisce un recente studio di Hendrik Dey sulle mura aureliane di Roma, l’istituzione topografica che origina dal rapporto tra le nuove mura e quanto le circonda è parte delle più ampie dinamiche urbane della Roma tardoantica e medievale64.
Anche a Costantinopoli le mura costantiniane, nella loro breve esistenza come manifestazione di liminalità urbana, e simbolo del progetto costantiniano, possono essere intese in comunicazione con il territorium a esse vicino. Questo includeva la chiesa martiriale di S. Mocio, ubicata poco fuori le mura costantiniane in una zona necropolare compresa tra il fiume Lykos e la porta aurea. La chiesa, che doveva presumibilmente consistere di un imponente impianto basilicale, trova al momento, concordi diversi studiosi nell’assegnare la sua costruzione a epoca costantiniana65. Della chiesa non possediamo altre informazioni che consentano di ricostruirne il suo assetto architettonico e le sue modalità di funzionamento. Insieme alla chiesa di S. Acacio, costruita in una data compresa tra una delle persecuzioni dioclezianee all’inizio del IV secolo (303 o 306) e il 359 dentro la città costantiniana, sulle sponde del Corno d’Oro, i due edifici rappresenterebbero le prime espressioni architettoniche del culto dei martiri a Costantinopoli. S. Mocio assumerebbe le connotazioni di un complesso a ridosso delle mura in una zona cimiteriale, contribuendo quindi alla definizione di una nuova istituzione topografica tra la città e il suo immediato territorium.
Inoltre la porta aurea, collocata poco più a sud del complesso di S. Mocio, che, come abbiamo osservato, era collegata alla strada colonnata principale di epoca costantiniana, proseguiva in prossimità della costa fuori delle mura verso l’Hebdomon, il cui sviluppo come quartiere suburbano ed emanazione della presenza imperiale avvenne nel IV secolo66.
Non sappiamo quale fosse la struttura architettonica e decorativa della porta aurea la cui struttura, come del resto gran parte del circuito murario costantiniano, sopravvisse a lungo oltre la costruzione delle mura teodosiane con resti inseriti nel paesaggio della memoria della città bizantina e ottomana. È probabile che, in una tradizione che incontra particolare fortuna anche in epoca tetrarchica, la porta prevedesse un assetto architettonico elaborato, come nel caso della porta Nigra a Treviri ma anche della cosiddetta porta aurea a Spalato o della porta occidentale a Romuliana67. Tali ingressi monumentalizzati erano frequentemente integrati in un sistema di assi urbani preferenziali con connotazioni cerimoniali, quali la Mese a Costantinopoli. Le loro facciate decorate vanno intese anche come parte di dinamiche architettoniche che contribuiscono alla definizione del rapporto città-territorium.
L’autenticazione di Costantinopoli come nuova capitale è strettamente collegata e in un certo senso sancita, dalla presenza fisica del palazzo imperiale la cui costruzione è puntualmente messa in relazione all’imperatore Costantino da tutte le fonti storiche. Se il palazzo costantiniano non ha lasciato tracce tangibili del suo essere nella città, la sua ubicazione, come anche il suo nesso con il tessuto, urbano appaiono di più chiara leggibilità68.
Il palazzo costantiniano si imposta principalmente sulla sommità meridionale della punta del promontorio, quindi sul versante opposto dell’antica acropoli della città. Il paradigmatico rapporto di prossimità spaziale tra palazzo e ippodromo, che i regnanti di epoca tetrarchica avevano mantenuto nelle nuove capitali e che visualmente ne sanciva la loro autorità, viene riproposto a Costantinopoli. È possibile che qui, come nel caso di diverse delle nuove capitali tetrarchiche, alla scelta dell’ubicazione topografica del complesso abbiano contribuito una molteplicità di elementi. Per esempio le preesistenze urbane; l’assetto topografico generale, ma anche l’impatto visivo che il complesso avrebbe esercitato nel paesaggio urbano e setting naturale della città; il suo inserimento nella costruzione di un cerimoniale urbano di movimento, e allo stesso tempo la sua esclusione, una necessaria separazione, dalla routine della metropoli.
Nell’ambito delle preesistenze va certamente preso in considerazione l’aspetto infrastrutturale rappresentato dall’approvvigionamento idrico di questa zona della città che, come è stato osservato, poteva contare su un esistente sistema risalente all’epoca adrianea. Il palazzo, quindi, insieme ai suoi residenti e ospiti, poteva fare affidamento su rifornimenti idrici che ne garantivano il funzionamento. Il problema dell’approvvigionamento sussisteva per le altre zone della nuova città ma richiedeva, come le indagini archeologiche hanno dimostrato, un progetto di tale portata e impegno finanziario la cui realizzazione non poteva essere immediata. È più che plausibile, quindi, che la costruzione del palazzo imperiale abbia rappresentato una delle priorità del progetto costantiniano che non poteva attendere il completamento di un programma infrastrutturale come quello del nuovo acquedotto tracico.
Il binomio palazzo-ippodromo vede nella città di Costantinopoli contraddittorie interpretazioni sulla data di costruzione dell’ippodromo. Le testimonianze storiche, prevalentemente del VI secolo che, come abbiamo indicato rappresentano il nucleo portante della memoria costantiniana della città, intesa come memoria narrativa quindi, parlano dell’ippodromo come di un edificio di epoca severiana ampliato da Costantino. Bardill ha recentemente suggerito che tali testimonianze vanno lette come ripetizioni di leggende create per rafforzare il rapporto tra Costantinopoli e Roma, attribuendo loro una scarsa attendibilità storica69. Indubbiamente un nuovo rapporto ideologico con Roma viene definito, in un certo senso anche costruito letterariamente, da Costantinopoli nel VI secolo, e la narrativa della città costantiniana rappresenta un forte elemento di autenticazione di questo rapporto. Come aveva suggerito Dagron, «la conclusione è che Costantinopoli non fu fondata per soppiantare Roma, bensì per esserne il suo prolungamento»70. Permane, nella vicenda costantiniana della nuova capitale, un’articolazione progettuale in forte dialogo con le città tetrarchiche di cui sembra, però, essersi perduta traccia nelle testimonianze storiche. D’altra parte le testimonianze archeologiche delle città tetrarchiche risultano ancora scarse, frammentarie, anche se, in alcuni casi, in via di scoperta. A Salonicco, recenti scavi archeologici nella zona sudorientale dalla città hanno portato alla luce nuove porzioni dei resti del palazzo costruito da Galerio proponendo un suo allineamento con il fianco occidentale dell’ippodromo, in un rapporto di forte prossimità71. Tale rapporto di prossimità di questi manufatti è, nel periodo tetrarchico, ampiamente attestato nelle fonti storiche che lo elaborano anche con informazioni sull’organizzazione architettonica del palazzo e sul sistema di interazione di questo con la città largamente intesa. Palazzo e ippodromo rappresentano uno dei principali elementi di valorizzazione della capitale in dialogo con un panorama urbanistico che si qualifica anche per il tramite di un nuovo, esteso o rinnovato impianto murario provvisto di un ingresso enfatico – la porta aurea – e collegato a strade porticate che, con la presenza di tetrapila, formano nuovi assi cerimoniali urbani. A questi si collega spesso la presenza di un mausoleo dinastico72.
La data di costruzione dell’ippodromo a Costantinopoli rimane oggetto di speculazione con evidenze archeologiche limitate e sporadiche, così come sono stati gli scavi archeologici che in tempi diversi si sono avvicendati in questa zona; dal grande incendio che nel 1912 e 1913 distrusse ampie aree di questa regione agli scavi di salvataggio negli anni Cinquanta73.
Materiale di epoca severiana risulta essere di difficile identificazione, a detta di Bardill, con l’assenza di materiale numismatico precedente al periodo costantiniano rinvenuto nel corso degli scavi. L’ippodromo contribuisce alla pompa delle cerimonie di inaugurazione della città, l’11 di maggio del 330. Collocato sul lato occidentale del palazzo imperiale con un orientamento nord-sud, esso presentava una pianta canonica per questa tipologia di luoghi di intrattenimento: a forma di U allungata; le porte di partenza, carceres, disposte a nord verso la Mese; una barriera centrale, euripos o spina, e una parte terminale curvilinea, la sphendone (fig. primo volume VI 25). La monumentale struttura dell’ippodromo era ingegnosamente allungata oltre i limiti della collina sulla quale si impostava, per il tramite di possenti sostruzioni. L’intero complesso era contraddistinto da un caché di scultura in funzione architettonica di ingente quantità e realizzato ad hoc. Infine, questo immenso spazio pubblico inserito al centro della città fungeva anche da contenitore di un assemblaggio di sculture antiche, molte delle quali bronzee, che non trovava confronti in altri luoghi pubblici della Costantinopoli del IV secolo74.
La prossimità dell’ippodromo al palazzo imperiale era sancita architettonicamente dal kathisma, la loggia imperiale alla quale l’imperatore accedeva direttamente dal palazzo passando attraverso una scala coclide. La loggia era organizzata su due livelli svettando forse in altezza rispetto ad altre zone dell’ippodromo. Comprendeva una zona prettamente cerimoniale definita da una loggia centrale presumibilmente segnata da un’enfatica arcata articolata su quattro colonne così come la si osserva sui rilievi della base dell’obelisco di Teodosio I eretto nell’ippodromo nel 390. Il livello superiore può essere immaginato come un parakuptika imperiale, un luogo relativamente recluso nel quale l’imperatore, presumibilmente attraverso un sistema di finestre a grate, poteva guardare senza venire a sua volta osservato75. La loggia incorniciava architettonicamente la presenza imperiale nella sua pompa e manifestazione formale al popolo.
Dell’architettura dell’ippodromo sopravvivono pochi elementi, la maggior parte dei quali estremamente frammentari. Mentre dell’immenso patrimonio scultoreo e decorativo accumulato nell’ippodromo nel corso dei secoli resta testimonianza solo lungo la spina centrale con i tre monumenti sopravvissuti, la colonna bronzea, l’obelisco di Teodosio I e l’obelisco cosiddetto in muratura (fig. primo volume VI 28)76.
La sphendone rappresenta l’elemento architettonico meglio conservato del complesso. Funzionava sia come sostruzione sia come elemento dalle forti valenze decorative. La sphendone e alcuni dei monumenti dell’euripos sono rimasti esposti nel corso dei secoli e inseriti poi nel paesaggio storico della città. Prominentemente rappresentati nelle vedute della città sino a gran parte del periodo ottomano, ne formano uno degli elementi distintivi77.
Descrizioni di viaggiatori, vedute e fonti storiche, insieme alle ricognizioni all’interno delle sostruzioni a opera di Mamboury e Theodor Wiegand nel 1918, consentono di ricostruire la forma della sphendone nel IV secolo78. Il suo impianto semicircolare si innalzava per circa venti metri, organizzato su un sistema di venticinque ampie arcate poggianti su altrettanti massicci pilastri. Le arcate sostenevano altrettanto ampie volte a botte sulle quali poggiavano i sedili dell’ippodromo. Da questo sistema, all’interno della sphendone si sviluppavano profondi ambienti disposti concentricamente. Le grandi arcate a doppia ghiera di laterizio erano realizzate utilizzando un sistema di costruzione simile a quello osservato nelle mura dioclezianee di Nicomedia che vede bande di laterizio alternarsi a bande di pietra travertinosa con muratura a sacco. Si tratterebbe di una delle prime attestazioni di questa tecnica edilizia nella città di Costantinopoli del IV secolo.
Nelle descrizioni e vedute della città la sphendone è identificata tramite la presenza di colonne sulla parte superiore della struttura e quindi in corrispondenza dell’arena, una reminiscenza della galleria che copriva la parte superiore della cavea. Le colonne appaiono di notevoli dimensioni e, come nella veduta di Costantinopoli di Matrakçı Nasuh (1537-1538), mostrano un architrave di gusto classico e poggiano su di una struttura di muratura in laterizio con arcate, visibilmente diversa dagli altri manufatti architettonici della rappresentazione79. Della rimozione delle colonne a opera del sultano Süleyman è testimone oculare Petrus Gyllius nel 1544, che misurò anche l’intercolunnio80. Bardill ipotizza che le cinquanta colonne che definivano la parte alta della sphendone vennero aggiunte sui venticinque pilastri di epoca costantiniana in un rifacimento del V secolo, con una conseguente chiusura delle grandi arcate collegate ai pilastri. L’aspetto della sphendone in epoca costantiniana, soprattutto la sua articolazione architettonica in corrispondenza dell’arena, come d’altronde la copertura dei sedili rimarrebbero quindi da chiarire81.
Le aree dell’arena e sue immediate vicinanze sono state oggetto di scavi archeologici condotti in momenti diversi che hanno in parte contribuito a mettere in luce alcune porzioni della struttura. Sul lato occidentale sono stati rinvenuti due segmenti del complesso, comprendenti tra l’altro imponenti file di pilastri in muratura sui quali poggiava la cavea, di cui vennero scavate otto file di sedili in opera muraria e i resti di sedili di pietra, pertinenti secondo il Mamboury, a un restauro successivo82. Il lato orientale del complesso ha recentemente rivelato, nel corso di alcuni scavi illegali condotti nei giardini della Sultanahmet Camii, elementi marmorei di sedili tutti delle stesse dimensioni.
Mentre dei carceres, dell’euripo o spina, come anche dei vomitoria – vie di accesso all’impianto e le rampe di scale per l’accesso dall’esterno – i dati archeologici non consentono di definire con una certa dose di precisione le loro connotazioni. La più recente proposta di ricostruzione dell’ippodromo, a opera di Bardill, è basata su una nuova mappatura dei resti e calcola una lunghezza totale del complesso intorno ai 429 metri. Da un punto di vista architettonico Bardill propone la presenza di un porticato su colonne marmoree che copriva gran parte della zona superiore della cavea83. Si può immaginare un aumentato senso di verticalità e ariosità della struttura grazie alla presenza dell’ipotetico porticato.
L’ampio complesso del palazzo imperiale è spesso inteso, nel cerimoniale della corte bizantina, anche come ‘sacro’ o ‘protetto da Dio’, con una conseguente sacralità conferita, o meglio, trasferita alla figura dell’imperatore soprattutto quando questi si trovava in prossimità o all’interno di specifici ambienti del palazzo84. La sacralità della figura investe anche lo spazio all’interno del quale l’imperatore si muove, contribuendo all’immagine di un palazzo quasi sospeso, rimosso dal paesaggio urbano di Costantinopoli. Sin dalla sua iniziale costruzione è plausibile che il palazzo imperiale abbia presto assunto le qualità, ma anche le connotazioni architettoniche, di uno spazio invalicabile e sicuramente non accessibile agli abitanti di Costantinopoli85. Il palazzo quindi, pur rappresentando una presenza nella città, divenne presto uno spazio immaginato per i più. Le grandi cesure storiche imposte a questo complesso, dall’abbandono della corte imperiale in occasione della quarta crociata nel 1204 e una conseguente rimozione della sua sacralità e inaccessibilità, alla conquista ottomana della città nel 1453, alla costruzione della Sultanahmet Camii, inaugurata nel 1616, la cui imponente struttura si impostò proprio sull’area delle rovine del palazzo di epoca costantiniana, hanno contribuito alla formazione di una nuova forma di immaginazione nei suoi confronti. Quella della pressoché sistematica mancanza di resti della sua fase costantiniana.
Il palazzo imperiale di epoca costantiniana si imposta molto probabilmente su di una serie di terrazzamenti degradanti verso il mare che vennero realizzati ad hoc per accomodare quella che deve essere stata una articolazione di edifici, padiglioni e spazi aperti le cui sembianze come anche l’estensione rimangono comunque di complessa definizione86. Sembra che nel VI secolo, porzioni dell’oramai antico palazzo costantiniano fossero ancora incluse nel cerimoniale di corte e che la loro ubicazione andasse ricercata in quella che nel frattempo era divenuta la parte alta del palazzo, ovvero il terrazzamento che correva lungo il fianco sud-orientale dell’ippodromo87. Le terrazze più basse e di più recente costruzione, quasi aggettanti verso il mare di Marmara e l’imboccatura del Bosforo erano nel frattempo divenute la nuova parte del palazzo88.
Nella parte alta, proposte di ricostruzione sulla disposizione degli ambienti sono state sino a ora determinate sulla base della lettura del testo del De ceremoniis, quindi dei cerimoniali e protocolli e movimenti negli spazi del palazzo. Ai nomi di portici – del Grande triclinio, dei Diciannove letti, dell’Augusteos e del Consistorion – risulta complesso riuscire ad associare l’intricato sistema di sostruzioni, ambienti voltati e corridoi sotterranei individuati e documentati nelle aree della terrazza superiore e che, al momento, ne rappresentano le uniche sopravvivenze89. Ancora una volta la forte diacronia verticale che definisce la città di Costantinopoli, come anche la moderna Istanbul, rimette nelle attività di scavo archeologico l’onere o la speranza del riscontro sul terreno. Soprattutto, nel caso del palazzo imperiale, si direbbe che le proposte di stabilire l’ubicazione degli ambienti nonché le loro connotazioni architettoniche sulla base di evidenza testuale, abbiano raggiunto una fase di stallo che può beneficiare dell’apporto dell’archeologia.
A tal proposito, il recente scavo di emergenza condotto dalla direzione dei Musei Archeologici di Istanbul in prossimità del Dar-ül Fünun, un edificio commissionato nel 1846 dal sultano Abdülmecid a sud-est della Santa Sofia, ha rivelato la presenza di una serie di edifici di epoca bizantina distrutti per accomodare la costruzione ottocentesca90. Qui i livelli più bassi hanno restituito i resti, peraltro molto danneggiati, di un ingresso monumentale di sei metri circa, che si apriva sulla piazza dell’Augusteon. Due nicchie marmoree accoppiate segnavano i lati della porta e resti di fori di allettamento al loro interno hanno fatto ipotizzare alle archeologhe la presenza di statuaria. Le nicchie poggiavano a loro volta su una piattaforma marmorea. Altri dati archeologici hanno fatto avanzare la supposizione che, collegato alla base della piattaforma, vi fosse un embolos, una strada porticata. Il complesso è stato ipoteticamente identificato con la porta della Chalke che, sappiamo dalle fonti storiche, rappresentava l’ingresso principale, il vestibolo del palazzo imperiale come anche il punto di contatto architettonico con lo spazio urbano al di fuori del palazzo (fig. primo volume VI 26)91. La data di costruzione dei resti identificati con il complesso che, come si è detto, corrispondeva presumibilmente alla porta Chalke è ancora in via di definizione. Va ricordato che nelle fonti storiche non si individua traccia di questa struttura prima del regno di Anastasio I (491-518) mentre Eusebio fa riferimento a un’immagine dell’imperatore Costantino collocata all’ingresso del palazzo92. I resti della porta individuano un punto di riferimento topografico nella complessa ricostruzione non solo del palazzo imperiale ma anche dei suoi limiti. La sua ubicazione corrisponderebbe anche al lato sud-est della grande piazza dell’Augusteon.
L’asse urbano della Mese trovava nel foro di Costantino una manifestazione di spettacolare architettura pubblica. Come in alcune città dell’Oriente quali Gerasa, nella Decapoli, dove il raccordo architettonico fra strade colonnate e spazi pubblici, nel foro circolare porticato, dava luogo a impressionanti scenografie urbane. Dal milion, definito in questo periodo probabilmente da un’architettura a forma di tetrapylon, la Mese saliva verso il foro di Costantino, lasciando nella parte bassa della città un’altra grande piazza pubblica, il tetrastoon. Del foro di Costantino non rimane che la colonna porfiretica sulla quale era collocata un’imponente statua dell’imperatore, presumibilmente in guisa di Apollo-Helios93. La colonna, (Çemberlitaş o, la colonna bruciata), era posizionata sulla sommità di uno dei rilievi che segnano la dorsale centrale del promontorio della città, assumendo quindi una considerevole visibilità nel paesaggio urbano della Costantinopoli bizantina, sia da terra che dal mare. Grazie alla sua posizione topografica e alla sua altezza, la colonna di Costantino avrebbe sovrastato per secoli numerosi monumenti sino alla costruzione dei minareti delle moschee di epoca ottomana94. La novità architettonica della colonna era indubbiamente anche rappresentata dalla combinazione cromatica della sua struttura.
La colonna, nella sua versione originaria e prima di rifacimenti e aggiunte di epoca bizantina, ma soprattutto prima di un rivestimento della sua base attuato nel 1701, poggiava su di uno zoccolo a pianta quadrata di circa cinque metri, a sua volta elevato su cinque gradini. Il fusto, ancora conservato, ha una altezza di circa venticinque metri, composto da nove rocchi di porfido del diametro di 2,90 metri e giunti di bronzo con patina aurea a guisa di corona di alloro. Sulla sua sommità, sopra un capitello marmoreo, era la statua dell’imperatore che, oltre all’iconografia descritta dalle fonti, sorreggeva nella mano destra un globo sormontato da una Tyche come rappresentato nella Tabula Peutingeriana95. È probabile che l’altezza complessiva della colonna superasse i trentacinque metri; immaginata sulla sommità della collina dove era collocata, essa si presentava come una delle immagini architettoniche, ma anche iconografiche, più visibili nella Costantinopoli del IV secolo. Inoltre, l’uso preponderante di porfido è una novità per questo genere di manufatto. Vi si possono individuare connotazioni ideologiche tese a sottolineare un legame con l’ideologia tetrarchia che prediligeva il porfido nella statuaria imperiale96.
Dell’architettura cristiana a Costantinopoli ascritta dalle fonti storiche a Costantino, non sopravvive, allo stato attuale delle nostre conoscenze, alcuna traccia né in elevato né nei resti archeologici. La chiesa episcopale della città, la Santa Irene (o Pace Divina), risulta di complessa attribuzione al periodo costantiniano97. Mentre dell’originaria Santa Sofia non sono ancora state individuate le tracce. L’unico edificio per il quale si possono formulare ipotesi riguardo le sue connotazioni architettoniche è l’Apostoleion. La sua ubicazione topografica è altresì chiara mentre le sue connotazioni architettoniche, insieme alla morfologia architettonica dello spazio circostante, soprattutto nel IV secolo, rimangono oggetto di congetture basate peraltro su scarse evidenze letterarie98.
Ubicato presumibilmente in prossimità del secondo grande asse viario principale della città, l’Apostoleion sorgeva nelle zone periferiche della città costantiniana, non lontano dalle mura e prossimo alla porta cosiddetta di Melentias. La posizione del complesso è segnata dal monumentale complesso della Fatih Camii i cui lavori di costruzione, iniziati nel 1462, si impostarono sui resti del complesso utilizzando come spolia elementi in funzione architettonica99.
Interpretazione delle fonti storiche che menzionano il complesso nel IV secolo lascia supporre che l’Apostoleion non faceva parte del panorama urbano di Costantinopoli al momento della sua inaugurazione, nel 330, suggerendo piuttosto che i lavori di costruzione iniziarono probabilmente nell’estate del 334100. Si presume inoltre che, alla morte di Costantino, nel maggio del 337, il corpo dell’imperatore venne sistemato in un sarcofago di porfido all’interno dell’edificio mentre altra proposta vedrebbe l’edificio completato dopo la morte dell’imperatore dal suo successore Costanzo II. L’Apostoleion venne ricostruito pressoché interamente in epoca giustinianea divenendo uno degli edifici di culto principali della città, con uno straordinario assemblaggio di reliquie, insieme a sepolture di imperatori e patriarchi101. Da questo periodo in poi, numerose sono le testimonianze narrative che descrivono le sue forme, il decoro, le reliquie e il funzionamento. Tra queste, il poema composto nel X secolo da Costantino di Rodi e l’ekphrasis, o descrizione encomiastica, composta dallo skeouphilax delle chiese del palazzo imperiale, Nicola Mesarite, tra la fine del XIII secolo e i primi anni del XIV102.
Per la fase del IV secolo i riferimenti all’architettura nelle fonti letterarie sono riconducibili a Eusebio, Gregorio Nazianzeno e Giovanni Crisostomo103. Le diverse e spesso contrastanti interpretazioni di testi, la cui lettura risulta comunque complessa, si sono mosse da un pressoché completo disconoscimento della testimonianza di Eusebio a una più recente proposta da Cyril Mango, che vedrebbe Costantino edificare non tanto una chiesa dedicata agli Apostoli quanto una chiesa-mausoleo104. Ci troveremmo, quindi, di fronte a un complesso costituito da un edificio cupolato a pianta circolare. Sulla base di questa ipotesi Mark Johnson ha più recentemente proposto che tale edificio fosse collocato all’interno di un perimetro o temenos a pianta quadrangolare, una sorta di grande quadriportico. La rotonda circolare o ottagonale, come proposto da Johnson, è messa in relazione con la controparte romana del mausoleo di Costantina o anche con la rotonda vaticana105. Indubbiamente il panorama romano offre un altro spunto di confronto rappresentato dal mausoleo di Massenzio (costruito tra il 306 e il 312), sulla via Appia Antica, probabilmente uno dei più monumentali nel cospicuo gruppo di mausolei imperiali tardoantichi. Un ampio quadriportico vede collocata al centro una rotonda su podio con un enfatico pronaos orientato verso l’ingresso del quadriportico. Rimane da verificare se l’edificio costantinopolitano poteva essere caratterizzato da un pronaos e costruito su di un podio, parte quindi di quel gruppo di edifici definiti da Rasch come ‘Podiumraundbauten’ o del genere ‘Obergadenrundbauten’ come il mausoleo di Elena (costruito tra il 315 e 327) provvisto di finestrature, ma senza podio e pronaos e strutturalmente legato a un altro edificio, in questo caso una basilica circiforme106. La presenza di un quadriportico intorno all’originario edificio del mausoleo di Costantino escluderebbe la presenza di altri edifici immediatamente intorno a esso, almeno nelle sue prime fasi di vita, e incoraggerebbe a immaginare la struttura più vicina alle controparti romane quali il mausoleo di Massenzio. La morfologia dell’area lascia poi immaginare che intorno al mausoleo si distribuirono altri edifici.
1 Per un inquadramento storico generale sul periodo, si veda Av. Cameron, The Later Roman Empire, AD 284-430, Cambridge (MA) 1993 (trad. it. Il tardo impero romano, Bologna 1995); con la sequela, Id., The Mediterranean World in Late Antiquity: AD 379-700, London-New York 20122; S. Mazzarino, Aspetti sociali del quarto secolo, Roma 1951; seguito da, Id., La fine del mondo antico, Milano 1988; Società romana e impero tardoantico, a cura di A. Giardina, 4 voll., Bari 1986; P. Brown, The World of Late Antiquity, London 1974 (trad. it. Il mondo tardo antico. Da Marco Aurelio a Maometto, Torino 1974); e il più recente P. Brown, Through the Eye of a Needle; Wealth, the Fall of Rome, and the Making of Christianity in the West, 350-550 AD, Princeton 2012. Si segnalano qui alcuni dei principali manuali di storia tardoantica e bizantina di recente pubblicazione: C. Petinos, Byzance, la naissance de l’empire, IV-VI siècles, Paris 2012; S. Mitchell, A History of the Later Roman Empire, AD 284-622, Oxford 2006; T.E. Gregory, A History of Byzantium, Malden 2005; J. Haldon, Byzantium. A History, Stroud 2005; W. Treadgold, A History of the Byzantine State and Society, Stanford 1997.
2 Sulla fondazione di Costantinopoli si veda G. Dagron, Naissance d’une capitale. Constantinople et ses institutions de 330 a 451, Paris 1974 (trad. it. Costantinopoli; nascita di una capitale (330-451), Torino 1991); per una lettura degli eventi in chiave cristiana, R. Krautheimer, Three Christian Capitals. Topography and Politics, Berkely-Los Angeles-London 1983 (trad. it. Tre Capitali Cristiane. Topografia e Politica, Torino 1987); per una puntuale ricostruzione dei rituali di fondazione della città cfr. E. La Rocca, La fondazione di Costantinopoli, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, Colloquio sul Cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, Macerata 1993, pp. 553-583; per una discussione sulla topografia della città in epoca costantiniana si veda C. Mango, Le développement urbain de Constantinople (IVe-VIIe siècles), Paris 1985 (2004³). Sul periodo tetrarchico cfr. The Crisis of Empire, AD 193-337, in The Cambridge Ancient History, XII, ed. by A. Bowman, Av. Cameron, P. Garnsey, Cambridge 2005; S. William, Diocletian and the Roman Recovery, London 1985.
3 Il termine ‘nuova capitale’ utilizzato in questo contributo è da intendersi in linea con letture di questo periodo che ne propongono la stessa definizione, si veda recentemente, S. Ćurčić, Architecture in the Balkans. From Diocletian to Süleyman the Magnificent, New Haven-London 2010, p. 18-22.
4 Per le città di nuova fondazione nel periodo tetrarchico, S. Ćurčić, The architecture, cit., pp. 22-32.
5 Sulla memoria della città nel periodo ottomano si vedano alcuni dei saggi contenuti nel recente Scramble for the Past. A Story of Archaeology in the Ottoman Empire, 1753-1914, ed. by Z. Bahrani, Z. Çelik, E. Eldem, Istanbul 2011; mentre per il periodo successivo alla conquista di Costantinopoli si veda Ç. Kafescioğlu, Constantinopolis/Istanbul: Cultural Encounter, Imperial Vision, and the Construction of the Ottoman capital, University Park (PA) 2009.
6 Per i cambiamenti urbanistici, culturali e i processi di gentrificazione dei quartieri storici, si veda Orienting Istanbul: Cultural Capital of Europe?, ed. by D. Götürk, L. Sosyal, I. Türeli, London-New York 2010; M. Gül, The Emergence of Modern Istanbul: Transformation and Modernization of a City, London-New York 2009. Per l’impatto di queste trasformazioni sul patrimonio culturale di epoca bizantina, si veda il dossier di recente pubblicazione, Bizans’tan Türkiye’ye kalan miras: Tanıdık yabancı, ed. by K. Durak, A. Vasilakeris, in Toplumsal Tarih, 229 (2013), pp. 53-93 con saggi di P. Magdalino, Z. Ahunbay, A. Vasilakeris, T.E. Akyurek, N. Necipoğlu, K. Durak, K. Kitapçı Bayrı e A. Ricci.
7 Nel panorama degli scavi di emergenza, degne di nota per il loro approccio diacronico sono le attività condotte in concomitanza del progetto di trasporto pubblico urbano Marmaray, con la scoperta, tra gli altri, del porto di Teodosio, A. Karamani Pekin, S. Kangal, Istanbul: 8000 years. Brought to Daylight, Marmaray, Metro, Sultanahmet excavations, Istanbul 2007; Istanbul Archaeological Museum. Proceedings of the 1st Symposium on Marmaray-Metro Salvage Excavations (Istanbul 5th-6th May 2008), Istanbul 2010.
8 Nella presente opera sono numerosi i contributi ove si potranno trovare riferimenti ad alcuni dei temi trattati nel presente saggio, si vedano tra gli altri quelli di C. Barsanti, L. Bevilacqua e F. Guidobaldi.
9 C. Mango, Le développement, cit., p. 23.
10 Eus., v.C. III 49.
11 Av. Cameron, Il tardo impero romano, cit., p. 85.
12 Eus., v.C. III 48; Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, trad. L. Tartaglia, Napoli 1984, p. 148.
13 Sul culto dei martiri nello scritto di Eusebio si veda F. Scorza Barcellona, Le fondazioni ecclesiastiche di Costantino e il culto dei martiri, in Costantino il Grande. La civiltà antica al bivio tra Occidente e Oriente, a cura di A. Donati, G. Gentili, Milano 2005, pp. 124-129. Per il Mediterraneo orientale, A.M. Yasin, Saints and Church Spaces in the Late Antique Mediterranean: Architecture, Cult and Community, Cambridge 2010.
14 Questa è un’ipotesi avanzata da Mango che, in assenza di indagini archeologiche, rimane comunque valida: C. Mango, Le développement, cit., p. 24.
15 G. Dagron, Naissance, cit., pp. 29-34.
16 Su Nicomedia in età tardoantica si veda la discussione storico-archeologica in C. Foss, Survey of Medieval Castles of Anatolia, II, Nicomedia, Ankara 1996 con un’accurata discussione del testo di Lattanzio, pp. 2-3; preceduta da N. Firatli, Izmit tarihi ve eski eserleri rehberi, Istanbul 1959.
17 C. Foss, Survey of Medieval Castles, cit., pp. 4-5.
18 Eus., v.C. IV 62.
19 Charle de Peyssonel, 1745 Yılında Izmit ve Iznik’e Yapılmış Bir Gezinin Öyküsü, (titolo originale Relation d’un Voyage fait a Nicomédie et a Niceée en 1745), trad. F.Y. Ulugün, Kocaeli 2005, pp. 17-18.
20 Per una recente discussione su Spalato inclusiva di restituzioni assonometriche, si veda S. Ćurčić, Architecture in the Balkans, cit., pp. 32-40; sul palazzo di Antiochia, cfr. Id., Late Antique Palaces: the Meaning of Urban Context, in Ars Orientalis, 23 (1994), pp. 67-90.
21 C. Foss, Survey of Medieval Castles, cit., pp. 29-31, tav. 1, figg. 1-3.
22 S. Ćurčić, Architecture in the Balkans, cit., pp. 30-31, fig. 20.
23 Per la costruzione e dedica delle mura di Nicomedia si veda, C. Foss, Survey of Medieval Castles, cit., p. 2.
24 C. Foss, Survey of Medieval Castles, cit., pp. 1-5; a questo si aggiunga anche una forte rivalità con la vicina Nicea cfr. Id., Nicaea: a Byzantine capital and Its Praises, with the Speeches of Theodore Laskaris, in Praise of the Great City of Nicaea, and, Theodore Methochites, Nicene Oration, Brookline 1996.
25 S. Ćurčić, Architecture in the Balkans, cit., pp. 17-18.
26 G. Downey, Libanius’ Oration in Praise of Antioch (Oration XI), in Proceedings of the American Philosophical Society, 103,5 (1959), pp. 652-686; discussa recentemente in S. Ćurčić, Late Antique Palaces, cit., pp. 68-69. Anche Salonicco con il palazzo di Galerio, assume le qualità di uno spazio nello spazio urbano.
27 Per una puntuale presentazione delle fonti storiche facenti riferimento all’aspetto finanziario dell’opera costantiniana per la nuova capitale, si veda G. Dagron, Naissance d’une capitale, cit., p. 35-38; più recentemente, J. Bardill, Constantine, Divine Emperor, cit., p. 251 con riferimenti alle due tasse.
28 Sozomeno, nella metà del IV secolo, fa riferimento a distribuzioni gratuite di viveri a Costantinopoli, cfr. Soz., h.e. II 3-4. Sull’annona frumentaria, il suo spostamento da Roma a Costantinopoli e l’organizzazione della distribuzione, si veda J. Durliat, De la ville antique à la ville byzantine. Le problème des subsistances, Rome 1990.
29 Sulle dimensioni di Bisanzio e sulla stima della popolazione si veda C. Mango, Le développement, cit., pp. 13-21; per l’archeologia di Bisanzio precostantiniana cfr. C. Barsanti, Note archeologiche su Bisanzio romana, in Milion, 2 (1990), pp. 11-72; seguito da Id., Costantinopoli: testimonianze archeologiche di età costantiniana, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, cit., pp. 115-150.
30 Sulle mura costantiniane, in mancanza di resti ed evidenza archeologica, le discussioni più complete sono in T. Preger, Die Konstantinsmauer, in Byzantinische Zeitschrift, 19 (1910), pp. 450-461; R. Janin, Constantinople Byzantine, cit., pp. 26-31; C. Mango, Le développement, cit., pp. 24-25.
31 È in corrispondenza dello sbocco al mare di Marmara del fiume Lykos che sono stati rinvenuti i resti del porto Teodosiano.
32 C. Mango, The Shoreline of Constantinople in the Fourth Century, in Byzantine Constantinople: Monuments, Topography and Everyday Life, ed. by N. Necipoğlu, Leiden 2001, pp. 1-28.
33 Una misura della entità degli spostamenti di terreno cui venne sottoposta la città di Costantinopoli è data dai 910,000 m³ rimossi per accomodare il fossato lungo le mura terrestri teodosiane all’inizio del V secolo, J. Crow, The Infrastructure of a Great City: Earth, Walls and Water in Late Antique Constantinople, in Technology in Transition A.D. 300-650, ed. by L. Lavan, E. Zanini, Leiden-Boston 2007, p. 280. Precedentemente Michelangelo Guidi aveva proposto una lettura della Vita constantini suggerendo che già in epoca costantiniana erano stati intrapresi livellamenti del terreno, cfr. M. Guidi, Un Bios di Costantino, in Atti della Accademia Nazionale dei Lincei, 16 (1907), Classe di scienze morali, storiche e filologiche. Rendiconti, s. 5, vol. XVI, pp. 46-53.
34 E. Mamboury, Les fouilles byzantines à Istanbul et les environs et les trouvailles archéologiques faites au cours de construction ou de travaux officiels et privés depuis 1936, in Byzantion, 21 (1951), pp. 425-459. R. Janin, Constantinople byzantine. Développement urbain et répertoire topographique, Paris 1964², pp. 7-8; J. Crow, The Infrastructure of a Great City, cit., pp. 252-262.
35 J. Crow, The Infrastructure of a Great City, cit., p. 256.
36 J. Bardill, Brickstamps of Constantinople, I, Oxford 2004, pp. 28-30.
37 C. Mango, Le développement, cit., pp.19-20.
38 J. Crow, Water and Late Antique Constantinople: “It would be abominable for the inhabitants of this Beautiful City to be compelled to purchase water”, in Two Romes. Rome and Constantinople in Late Antique, ed. by L. Grig, G. Kelly, Oxford 2012, pp. 387-404.
39 J. Crow, Infrastructure, cit., p. 270.
40 Si veda l’utile repertorio di fonti storiche raccolto da J. Bardill, D. Krausmüller in appendice a J. Crow, J. Bardill, R. Bayliss, The Water Supply, cit., pp. 221-247, in particolare alcune delle orazioni di Them., Or. XI 151A-152B; XIII 167C-168C.
41 W. Müller-Wiener, Bildlexikon zur topographie Istanbuls. Byzantion-Konstantinopel-Istanbul, Tübingen 1977, pp. 271-277.
42 Per una discussione completa sulla datazione inclusiva di risultati di indagini sul campo, J. Crow, J. Bardill, R. Bayliss, The Water Supply, cit., pp. 118-121.
43 Il ‘canale basso’ originava nelle vicinanze di Byze e appare avere una portata superiore del primo, cfr. ibidem. Sul Lungo Muro di Anastasio si veda J. Crow, A. Ricci, Investigating the hinterland of Constantinople, an interim report on the Anastasian Long Wall Project, in Journal of Roma Archaeology, 10 (1997), pp. 235-262, dove il rapporto tra impianto difensivo e sistema di adduzione dell’acqua non è ancora ben definito. Una monografia in corso di preparazione a cura degli stessi autori chiarisce ed elabora sul nesso.
44 Cod. Iust. XI 42,6, datata da Bardill e Dirk Krausmüller tra il 426 e il 439-431, cfr. J. Crow, J. Bardill, R. Bayliss, The Water Supply, cit., p. 227.
45 Sull’archeologia dell’impianto termale, cfr. W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 51-52; sullo straordinario assemblaggio di scultura classica sistemato nel periodo costantiniano negli ambienti termali, secondo modalità di paideia tardoantica, piuttosto che di decoro termale, cfr. S. Bassett, Historiae custos: Sculpture and Tradition in the Bath of Zeuxippos, in American Journal of Archaeology, 100 (1996), pp. 491-506; A. Ricci, Ut scultura poesis: statuaria classica nelle dimore costantinopolitane di età tardoantica e bizantina (IV- X secolo), in Medioevo: il tempo degli antichi, Atti del Convegno internazionale di studi (Parma 24-28 settembre 2003), a cura di C.A. Quintavalle, Milano 2006, pp. 188-196.
46 Si veda il contributo di C. Barsanti in questa stessa opera.
47 J. Crow, Water Supply, cit., pp.17-18.
48 Notitia Dignitatum in Partibus Orientis et Occidentis, cur. O. Seek, Berlin 1876, pp. 227-243; per la più recente discussione del testo in relazione all’organizzazione urbana della città cfr. D.P. Drakoulis, The Functional Organization of Early Byzantine Constantinople according to the Notitia Urbis Constantinopolitanae, in Openness. Studies in Honour of Vasiliki Papoulia, ed. by T. Korres, P. Doukellis, S. Sfetas, F.I. Toloudi, Thessaloniki 2012, pp.153-184.
49 M.M. Mango, The Porticoed, cit., pp. 44-45, calcola quarantanove strade porticate entro le dodici regioni della città.
50 Sull’impianto urbanistico di Costantinopoli, la proposta di Albrecht Berger di ipotizzare un impianto ortogonale e regolare, sembra non prendere appieno in considerazione l’eterogenea topografia naturale, cfr. A. Berger, Regionen und Strassen im frühen Konstantinopel, in Istanbuler Mitteilungen, 47 (1997), pp. 349-414.
51 Sul milion si veda C. Barsanti nella presente opera; S. Ćurčić, Late Antique Palaces, cit., p. 71 confronta il milion di Costantinopoli con il tetrapylon degli Elefanti nella città di Antiochia sull’Oronte in epoca tetrarchica.
52 Si veda C. Barsanti nella presente opera.
53 M.M. Mango, The Porticoed, cit., p. 45.
54 W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 268-269.
55 Sulle strade porticate di Antiochia cfr. J. Lassus, Les portiques d’Antioche, Princeton 1972.
56 Per il foro di Costantino si veda C. Mango, Le développement, cit., p. 26.
57 Ivi, pp. 24-25.
58 C. Mango, The Shoreline, cit., pp. 27-28; una discussione più estesa anche in C. Mango, Le développement, cit., pp. 32-33, il percorso della via Egnatia in prossimità della città di Costantinopli rimane comunque oggetto di speculazioni in assenza di ritrovamenti archeologici. Su Herakleia in epoca pre-giustinianea, M.H. Sayar, Perinthos-Herakleia und Umgebung, Geschichte, Testimonien, Grieschische und Latainische Inschriften, Wien 1998.
59 Sulle mura aureliane cfr. L. Cozza; R. Mancini, Le mura aureliane di Roma: atlante di un palinsesto murario, Roma 2001.
60 Su Menandro di Laodicea, Menander Rhetor. A Commentary, ed. by D.A. Russell, N. G. Wilson, Cambridge 1981.
61 Menander Rhetor. A Commentary, cit., pp. 28-59.
62 Si veda la recente discussione sulle mura tardoantiche di Salonicco in E. Rizos, The late-antique walls of Thessalonica and Their Place in the Development of Eastern Military Architecture, in Journal of Roman Archaeology, 24 (2011), pp. 451-468.
63 J.W. Haldon, Byzantium in the Seventh Century. The Transformation of a Culture, Cambridge 1990, pp. 92-124, in partic. 100.
64 H.W. Dey, The Aurelian Wall and the Refashioning of Imperial Rome, A.D. 271-855, Cambridge 2011.
65 C. Mango, Le développement, cit., pp. 34-35; J. Bardill, Constantine, cit., pp. 253-255.
66 Sull’Hebdomon (moderna Bakırköy), lo studio di Mamboury continua a rappresentare il principale punto di riferimento archeologico. Degli scavi condotti da Mamboury non sopravvive altro che i resti di una cisterna, immediatamente a sudest del centro commerciale Galleria, cfr. E. Mamboury, Contribution à la topographie de l’Hebdomon, Paris 1926.
67 S. Ćurčić, Architecture in the Balkans, cit., p. 26.
68 G. Dagron, Naissance, cit., pp. 92-97; S. Ćurčić, Late Antique Palaces, cit., pp. 69-71; M.J. Johnson, Architecture of Empire, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, rev. ed., Cambridge 2012, pp. 291-292.
69 J. Bardill, The architecture and archaeology of the hippodrome in Constantinople, in Hippodrome. A Stage for Istanbul’s History, ed. by B. Pitarakis, Istanbul 2010, pp. 91-148, in partic. 93-94 con discussione sulle fonti storiche.
70 G. Dagron, Naissance, cit., p. 542. Rimane, a nostro parere, aperta la riflessione sulla definizione dell’iniziale prolungamento da Roma a Costantinopoli e sul contributo delle nuove capitali nella definizione del distacco e differenziazione da Roma.
71 S. Ćurčić, Some Observations and Questions Regarding Early Christian Architecture in Thessaloniki, Thessaloniki 2000.
72 M. Johnson, The Roman Imperial Mausoleum in Late Antiquity, Cambridge 2009, pp. 107-109.
73 Sull’archeologia dell’ippodromo, interpretazioni e proposte di datazione si veda W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 64-71; J. Bardill, The Architecture and Archaeology, cit., pp. 91-148. In generale, J. Humphrey, Roman Circuses: Arenas for Chariot Racing, London 1986; Le cirque et les courses de char, Rome-Byzance (catal.), éd. par C. Landes, Lattes 1990.
74 S. Bassett, The Urban Image of Late Antique Constantinople, Cambridge 2004, pp. 212-232; J. Bardill, The Monuments and Decoration of the Hippodrome in Constantinople, in Hippodrome. A Stage, cit., pp. 149-184.
75 Una ricostruzione del kathisma in J. Bardill, The Archaeology and Architecture, cit., pp. 140-145, fig. 8.48.
76 Su questi monumenti cfr. il contributo di C. Barsanti in questa stessa opera.
77 Si veda, tra gli altri, G. Gerola, Le Vedute di Costantinopoli di Cristoforo Buondelmonti, in Studi Bizantini e Neoellenici, 3 (1931), pp. 247-279; C. Barsanti, Costantinopoli e l’Egeo nei primi decenni del XV secolo. La Testimonianza di Cristoforo Buondelmonti, in Rivista dell’Istituto d’Archeologia e Storia dell’Arte, s. 3, 24 (2001), pp. 83-253.
78 E. Mamboury, T. Wiegand, Die Kaiserpaläste von Konstantinopel zwischen Hippodrom and Marmara-Meer, Berlin 1934.
79 Si veda il dettaglio della veduta di Costantinopoli a opera di Matrakçı Nasuh, in J. Bardill, The Architecture and Archaeology, cit., p. 98, fig. 8.6.
80 Pierre Gilles, De topographia Constantinopoleos et de illius antiquitatibus libri quatuor, Lyon 1561, discusso in J. Bardill, The Architecture and Archaeology, cit., pp. 128-130.
81 Ivi, p. 133: «Exactly how the fourth-century seating at the sphendone was supported remains unclear».
82 Un sommario dettagliato degli scavi in J. Bardill, Archaeologists and Excavations in the Hippodrome, in Hippodrome. A Stage, cit., pp. 83-90.
83 J. Bardill, The Architecture and Archaeology, cit., p. 127, fig. 8.36; p. 135, fig. 8.43.
84 In particolare nel Chrysotriklinos, J. Featherstone, The Great Palace as Reflected in the De Cerimoniis, in Visualisierungen von Herrschaft. Frühmittelalterliche Residenzen – Gestalt und Zeremoniell, Internationales Kolloquium (Istanbul 3./4. Juni 2004), hrsg. von F. Alto Bauer, BYZAS, 5 (2006), pp. 47-62, in partic. 49.
85 Per l’archeologia del palazzo, W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 229-237; J. Bardill, Visualizing the Great Palace of the Byzantine Emperors at Constantinople. Archaeology, Text and Topography, in Visualisierungen, cit., pp. 5-46.
86 Sui terrazzamenti, E. Bolognesi, Il Grande Palazzo, in Bizantinistica. Rivista di Studi Bizantini e Slavi, 2 (2000), pp. 197-243; E. Bolognesi Recchi Franceschini, J. Featherstone, The Boundaries of the Palace: De Cerimoniis, in Travaux et Memoires, 14 (2002), pp. 37-46.
87 Il testo che fa riferimento al palazzo costantiniano è di Pietro Patrizio, è incluso nella compilazione di testi sul palazzo imperiale, De Cerimoniis aulae byzantine, recentemente discusso da J. Featherstone, The Great Palace as reflected in the De Cerimoniis, cit., pp. 49-50.
88 È anche possibile che il movimento dalla parte bassa a quella altra del palazzo era oggetto di controlli.
89 E. Mamboury, T. Wiegand, Die Kaiserpaläste, cit.
90 A. Denker, G. Yağcı, A.B. Akay, The Great Palace Excavations, in Brought to Light. Istanbul: 8000 Years, Marmaray, Metro, Sultanahmet excavations, Istanbul 2007, pp. 127-141.
91 C. Mango, The Brazen House: A Study of the Vestibule of the Imperial Palace of Constantinople, Copenhagen 1959.
92 Si veda il contributo di C. Barsanti in questa stessa opera.
93 Sul foro di Costantino si veda ibidem; sulle reliquie cristiane del foro si veda il contributo di L. Bevilacqua in questa stessa opera.
94 Per la posizione sui rilievi topografici della città si veda la pianta in J. Crow, P. Bono, R. Bayliss, The water supply, cit., p. 12, fig. 2.2.
95 Per le misure della Colonna cfr. W. Müller-Wiener, Bildlexikon, cit., pp. 255-257; per una discussione della Thyche si veda il contributo di C. Barsanti in questa stessa opera.
96 L. Faedo, I porfidi: imagines di potere, in Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana, a cura di S. Ensoli, E. La Rocca, Roma 2000, pp. 61-65.
97 Per un sommario delle posizioni degli studiosi si veda il contributo di C. Barsanti in questa stessa opera.
98 K. Dark, F. Özgümüş, New Evidence for the Byzantine Church of the Holy Apostles from Fatih Camii, Istanbul, in Oxford Journal of Archaeology, 21,4 (2003), pp. 393-413, risulta essere al momento l’unica ricognizione archeologica della zona. È auspicabile l’uso di nuove tecnologie quali laser scanner, ma anche indagini geomagnetiche sull’area della attuale Fatih Camii per verificare l’eventuale presenza di strutture preesistenti.
99 Ç. Kafescioğlu, Constantinopolis/Istanbul, cit., pp. 53-108.
100 M. Johnson, The Roman Imperial Mausoleum in Late Antiquity, Cambridge 2009, pp. 119-129 per un aggiornamento completo e puntuale dello stato delle ricerche.
101 Ivi, pp. 124-125.
102 Nicola Mesarite, XXXIX 3, cfr. Nikolaos Mesarites: Description of the Church of the Holy Apostles at Constantinople, Greek Text Edited with Translation, Commentary and Introduction by G. Downey, in Transactions of the American Philosophical Society, n.s., 47 (1957), pp. 853-922; Constantine of Rhodes, on Constantinople and the Church of the Holy Apostles, ed. by L. James, Ashgate 2012.
103 Sintetizzate in M. Johnson, The Roman Imperial, cit., pp. 121-122.
104 C. Mango, Constantine’s Mausoleum and the Translation of Relics, in Byzantinische Zeitschrift, 83 (1990), pp. 51-61.
105 M. Johnson, The Roman Imperial, cit., p. 124.
106 J.J. Rasch, Das Maxentius-Mausoleum an der Via Appia in Rom, Mainz 1984; Id., Das Mausoleum bei Tor de’ Schiavi in Rom, Mainz 1993; J.J. Rasch, A. Arbieter, Das Mausoleum der Constantina im Rom, Mainz 2007.