ARCHITETTURA DIPINTA
La pittura fu uno dei mezzi adottati nel Medioevo per rendere policroma l'a., insieme a materiali da costruzione colorati, incrostazioni, mosaici, tappezzerie, vetrate dipinte e pavimenti. Poiché non esiste un preciso confine tra la semplice coloritura di elementi costruttivi e la pittura architettonica decorativa, in questa sede verranno trattate entrambe. I procedimenti tecnici adoperati abitualmente furono l'affresco, la pittura a calce e a caseina di calce, ma venne usata anche la pittura a olio. Nei secoli alti e in genere più frequentemente che nella pittura figurativa, si incideva di solito preliminarmente il sistema decorativo sulla parete (cripte carolinge di St. Maximin a Treviri e di St. Emmeram a Ratisbona). Solo nel Tardo Medioevo si affermarono alcune tecniche più elaborate come l'esecuzione di motivi ornamentali con l'ausilio di sagome, l'intonaco graffito, la terracotta invetriata (un unico esempio precoce è costituito dalla facciata del duomo di Pavia, ca. 1100, alcuni frammenti della quale si trovano nei Civ. Mus. della stessa città).Molta della colorazione architettonica medievale è andata perduta, in parte a causa delle intemperie (per ciò che riguarda gli esterni), in parte perché nei secoli quasi ogni generazione intervenne sulla coloritura degli edifici, adattandola al proprio gusto. Effetto ancor più deleterio ebbero, a partire dalla metà del sec. 19°, gli interventi puristi che, mirando a una radicale pulitura, portarono inesorabilmente all'eliminazione sia delle diverse intonacature, comprese quelle originali, sia di tante decorazioni, in particolare le più semplici. Ciononostante, nel tempo sono state riscoperte varie decorazioni pittoriche così come è stato possibile ricostruirne molte altre - in modo più o meno attendibile - sia nell'ambito degli studi sia nella realtà materiale degli edifici, come già nel 1837-1844 nella chiesa superiore della Sainte-Chapelle di Parigi. Una ricostruzione moderna, non meno problematica, è quella della decorazione pittorica esterna del duomo di Limburg an der Lahn (1968-1973). Tecniche e motivi provenivano in gran parte dalla tradizione romana (Phleps, 1930). Nei casi più semplici la parete era intonacata e imbiancata, oppure direttamente coperta da uno strato di calce. Rimangono poche testimonianze di pittura esterna di una certa estensione: nella Cappella Palatina di Aquisgrana sono state rinvenute tracce di colore rosso nella grande nicchia occidentale e, nelle altre parti dell'edificio, frammenti d'intonaco rosato a base di polvere di mattone, il c.d. coccio pesto, il quale poteva peraltro a sua volta venir imbiancato, come per es. nel caso della basilica paleocristiana di S. Lorenzo a Milano. Delle decorazioni pittoriche esterne di epoca carolingia si sono conservati solo alcuni semplici fregi sotto le gronde e le mostre d'arco, realizzati con alternanza di bianco e rosso, a S. Salvatore di Brescia, e in tre edifici del cantone dei Grigioni: Müstair (Kobler, Koller, 1981), Mistail e S. Vittore. Anche nel periodo romanico le decorazioni più modeste non cambiarono aspetto, come a Noli (Savona), Châtel Argent (Aosta), Piane Sesia (Vercelli), Romainmôtier (Vaud; Bourgeois, 1910, tav. III, 2). L'esterno della cappella del castello di Sparone (Torino) mostra con i suoi tre colori, bianco, rosso e grigio-azzurro, una policromia relativamente ricca per l'11° secolo.La persistenza della tradizione antica o la sua renovatio si evidenzia con chiarezza, piuttosto che nella semplice pittura esterna, in alcuni interni altomedievali, come quello della Torhalle dell'abbazia di Lorsch (Assia), nota anche per i suoi prospetti esterni di muratura policroma, nel cui piano superiore fu realizzata - con i soli mezzi della pittura - una finta loggia scandita da colonne ioniche architravate poggianti sopra uno zoccolo a riquadri variopinti (Hubert, Porcher, Volbach, 1968, fig. 4). Un accento meno classico presentano invece le stupende 'pitture a quinte' (812-842) di San Julian de los Prados presso Oviedo (Schlunk, Berenguer, 1957). Colonne dipinte sono inserite nelle decorazioni delle cripte di Saint-Germain ad Auxerre (Hubert, Porcher, Volbach, 1968, fig. 5) e di St. Maximin a Treviri, decorazione questa in gran parte perduta. Per il Westwerk di Corvey (ca. 885) è stato possibile identificare le finte colonne dipinte attorno ai lati delle bifore (Claussen, Exner, 1990).Nel periodo romanico la pittura decorativa seguì lo stesso principio riscontrabile già ad Auxerre e Corvey: sulle grandi superfici chiare, per lo più bianche, delle pareti si stagliavano le membrature architettoniche colorate, reali o fittizie, come pilastri, archi, cornici, fregi.Nella scelta dei colori per gli elementi strutturali i pittori riprendevano spesso - anche per ragioni tecniche - il colore dei materiali edilizi locali: in Vestfalia (e probabilmente anche in Toscana) si preferì una tonalità verdastra, a Treviri l'ocra, nella Renania superiore e centrale e nelle regioni caratterizzate dall'abbondante impiego del mattone, come per es. l'Italia settentrionale, il rosso. Tuttavia, non essendo il colore dei vari materiali necessariamente vincolante, si trovano membrature dipinte di rosso anche in luoghi dove la pietra locale non è di tale colore, come nelle pitture esterne dell'Heiligkreuzkapelle a Treviri e della St. Maria Lyskirchen a Colonia (Bentchev, 1986).La pittura decorativa medievale si avvaleva di alcuni elementi, continuamente ripetuti e variati: per es. il cambiamento di colore in corrispondenza delle chiavi di volta, che potevano essere eseguite effettivamente con materiale diverso (Spira, cripta del duomo, ca. 1025-1041; Mittelzell nella Reichenau, 1048). Altrimenti potevano venire soltanto dipinte, come nella navatella di S. Demetrio a Salonicco, o, in epoca romanica, nella ristrutturazione di S. Stefano Rotondo a Roma (Ceschi, 1982), nell'abbaziale di St Albans, oggi cattedrale, nell'Inghilterra meridionale (si veda anche Cappenberg, in Vestfalia; Claussen, 1978, fig. 13a). A volte si adottavano contemporaneamente entrambe le soluzioni (Hildesheim, St. Michael, restaurata). Il cambiamento di colore in corrispondenza delle chiavi di volta è caratteristico dei secc. 11° e 12°, ma continuò a essere una componente fissa del repertorio decorativo fino al 16° secolo.In Europa erano comunque diffusi anche altri motivi: anzitutto fasce a palmette e meandri prospettici oppure colonne binate poste a incorniciatura di finestre, motivi che compaiono come reali elementi architettonici all'esterno del battistero di Firenze e del coro di S. Abbondio a Como (1095), più tardi (1129), all'interno dell'abbaziale di Quedlinburg (Sassonia) e, solo dipinti, a Lippoldsberg (Assia) intorno al 1150, e nei cento anni successivi in varie chiese della Vestfalia (Claussen, 1978, pp. 46-47), dell'Assia e della Renania, nonché in Francia, dove un esempio è a Château-Gontier (Mayenne; Deschamps, Thibout, 1963, tav. LXI); una variante bizantina di questo tipo di colonne si trova a Kurbinovo (Mora, Mora, Philippot, 1977, tav. 13), una di tipo gotico-verticale nella Badia di Firenze, un'altra nella chiesa dei Domenicani di Costanza e infine una trecentesca, di carattere illusionistico, nuovamente in S. Abbondio a Como (interno del coro).
Lo studio di un singolo ambito culturale permette di constatare che i motivi decorativi in uso nell'a. dipinta erano adottati in tutti i generi artistici: colonne tortili appaiono infatti nella cappella funeraria della contessa Matilde di Canossa (San Benedetto Po), sia effettivamente messe in opera sia riprodotte nel pavimento musivo della cappella stessa; una colonna tortile, dipinta in modo da simulare il marmo, si trova nella Rotonda 'matildina' di Mantova e, infine, anche le miniature della Vita Mathildis di Donizone (Roma, BAV, lat. 4922) presentano colonne tortili a sostegno di baldacchini. Altri tipi di ornato delle colonne erano ancora più diffusi, per es. il nastro spiraliforme e, dal sec. 12°, anche gli chevrons.Fra i principali sistemi di decorazione va annoverato quello della marmorizzazione, di cui si è tramandata una formula del sec. 12° (Eraclio, De coloribus et artibus Romanorum, a cura di A. Ilg, Wien 1873, p. 73). Il marmo era simulato ovunque, anche in quelle aree geografiche in cui un osservatore locale difficilmente poteva conoscerne l'aspetto reale, per es. nella Germania settentrionale. A Tours, Poitiers e Saint-Savin-sur-Gartempe la pittura che ricopre i giganteschi pilastri di muratura simula un tipo di marmo che non esiste in natura (Demus, 1968, tav. 101; Klein, 1976; Camus, 1989). Uno degli esempi più interessanti di questo modo di simulare colonne di marmo è forse nella chiesa di St. Peter a Salisburgo (sec. 12°). L'importanza secondaria attribuita, a livello esecutivo, all'imitazione realistica ha però consentito che venissero decorati i fusti con venature spiraliformi del tutto innaturali (Saint-Savin-sur-Gartempe; battistero di Concordia, presso Portogruaro; parrocchiale di Bochum-Stiepel in Vestfalia). Un basamento di finto marmo era finalizzato a dare maggiore monumentalità alla pittura figurativa. È possibile seguire questo motivo antico attraverso i secoli: a Müstair nel sec. 9°, a San Benigno Canavese (Torino) all'inizio del sec. 11° e ancora a Castel d'Appiano (Alto Adige) nel 12° secolo. Nel sec. 14° il carattere ornamentale della venatura è talvolta così accentuato che, senza l'aiuto della tradizione, sarebbe di fatto difficile riconoscere in tali pitture l'intenzione di imitare il marmo (Raimann, 19852, pp. 56-57). Più che altrove il senso della mímesis si rivelò in Italia: nel basamento della cappella degli Scrovegni di Padova Giotto ne dipinse una delle imitazioni più verosimili mai realizzate. In alternativa al marmo si raffiguravano, in corrispondenza dei basamenti, anche vela e tappezzerie, temi ripresi anch'essi dal repertorio della pittura decorativa antica: la continuità di tali motivi è testimoniata dalla loro presenza a S. Maria Antiqua a Roma e dai documenti pittorici rinvenuti negli scavi dell'abbazia di Farfa nel Lazio e di S. Maria di Teodote a Pavia. Evidente risulta ancora tale continuità a Müstair, dove i velari carolingi vennero ripresi anche in epoca romanica. Altri esempi ragguardevoli di vela sono conservati a Torba (Varese) e nelle cripte di Saint-Savin-sur-Gartempe e di Aquileia, mentre motivi di tappezzerie con medaglioni si trovano nel coro di S. Stefano a Verona e a S. Maria in Foro Claudio, presso Ventaroli in Campania (Demus, 1968, fig. 35). Queste tappezzerie, rapportandosi al loro impiego reale, vennero dipinte anche in posizioni più elevate; si vedano gli esempi del St. Peter und Paul a Gehrden e della parrocchiale di Bochum-Stiepel (Claussen, 1978, figg. 33-36), di Müllenbach (Clemen, 1916, fig. 451), di Saint-Jean a Château-Gontier (Deschamps, Thibout, 1963, tav. LXI); esse potevano trovarsi dipinte anche all'esterno dell'edificio come per es. a Castel Magliaso nel Canton Ticino.Già nel sec. 10° le fonti testimoniano l'esistenza di soffitti in legno dipinto (San Gallo, Reichenau, Fécamp) e nel sec. 12° il monaco Teofilo nella Diversarum artium schedula (a cura di C.R. Dodwell, London 1961, p. 22) descrive la tecnica della doratura in muro vel laqueari. Tali soffitti sono pervenuti generalmente frammentari e sono giustamente famosi quelli conservatisi integri: Zillis (Grigioni, ca. 1140), Peterborough (Northamptonshire, ca. 1220), Hildesheim, St. Michael (1200 o 1240), Teruel (Aragona, inizio sec. 14°). Le capriate riccamente dipinte delle chiese romaniche italiane nel loro assetto attuale risalgono ai secc. 14° e 15° (Verona, S. Zeno e S. Fermo; Firenze, S. Miniato; Viterbo, duomo). Negli ambienti coperti da volte si sottolineavano abitualmente le chiavi di volta e le nervature (nel sec. 9° ad Auxerre, la cripta di Saint-Germain; nel sec. 11° le cripte di Fulda e il deambulatorio di S. Lorenzo a Milano); sulle vele erano spesso dipinti stelle, tralci di vite, raffigurazioni dell'albero della vita o piccoli motivi ornamentali variati. L'intero repertorio disponibile per decorare una volta tardoromanica è rappresentato nel coro della Rotonda di Brescia.Quanto al rapporto fra decorazione architettonica e pittura figurativa, bisogna tener presente che la loro esecuzione poteva venir affidata a botteghe diverse (Claussen, 1978; in epoca gotica, Assisi, S. Francesco) o avvenire sotto la medesima direzione (come nelle chiese della Reichenau e, in periodo gotico, la cappella degli Scrovegni a Padova). In quest'ultimo caso, le soluzioni potevano variare da composizioni armoniose (Berzé-la-Ville in Borgogna, Chalon-sur-Saône, Gurk in Carinzia) all'associazione bizzarra di figure ed elementi ornamentali (Saint-Julien di Brioude, Haute-Loire). Talvolta la struttura architettonica dipinta era ridotta a sottili fasce intorno alle figure, come avviene per es. nella pittura parietale bizantina; talvolta tutto il sistema acquisiva invece maggiore imponenza grazie ad arcate dipinte e ciò avveniva il più delle volte nelle absidi.Nella navata di una basilica o di una chiesa 'a sala', la decorazione, rifacendosi ai prototipi delle basiliche paleocristiane di Roma, creò un sistema strutturale costituito da registri orizzontali (Müstair; Oberzell nella Reichenau; S. Angelo in Formis presso Capua). Raramente vennero adottate, comunque, soluzioni originali: in S. Antonino a Piacenza (sec. 11°; Segagni, 1970) arcate tonde e cuspidate si estendevano nei tratti di parete fra le finestre formando una specie di galleria continua (affine a configurazioni presenti in edifici a pianta centrale, come il battistero Neoniano a Ravenna e il battistero di Novara). Nel primo Duecento arcate a più ordini, animate da vivaci figure, decoravano la sommità delle pareti della chiesa di Nostra Signora in ambitu di Bressanone. Sul volgere del secolo a Roma e Tivoli si dipingevano immagini incorniciate, pínakes, inserite all'interno di una decorazione floreale (Belting, 1977), mentre al 1300 ca. risale l'architettura prospettica di S. Piero a Grado presso Pisa (Wollesen, 1977).Nelle volte romaniche la decorazione figurativa poteva essere disposta secondo vari schemi: ripartizione mediante ampie fasce (Saint-Savin-sur-Gartempe), talvolta ulteriormente suddivise da bande incrociate (sala capitolare di Brauweiler, Renania; S. Maria Gualtieri a Pavia), composizioni centriche (Allerheiligenkapelle a Ratisbona, cripta del duomo di Anagni), medaglioni contenenti raffigurazioni (sec. 11°: Neuenberg presso Fulda; Wieselburg in Austria); a partire dal sec. 12° intrecci vitinei adornano spesso la superficie fra i medaglioni (Ely, Petit-Quevilly in Normandia e, nel sec. 13°, Winchester e il duomo di Brunswick).Accanto a cicli figurativi più ricchi, maggiormente conosciuti, esistevano anche ambienti più modestamente decorati. È quasi certo che la chiesa maggiore dell'abbazia della Reichenau (Mittelzell) non aveva nessuna decorazione rilevante, così come avveniva per la navata di S. Ambrogio a Milano. La chiesa di St. Michael a Hildesheim, consacrata nel 1033, benché costruita cum summo decoris studio (Lehmann-Brockhaus, 1938, nr. 559) era caratterizzata essenzialmente da pareti bianche, scandite solo dall'alternanza del rosso e del bianco negli archi e da fregi ornamentali. Semplici fregi dipinti nella parte alta della navata, talora un meandro prospettico che correva sotto la copertura, sono l'unica decorazione di numerose chiese del sec. 11° (Echternach, Prüfening nei pressi di Ratisbona, Sciaffusa, cattedrali di Treviri e Costanza). La supposizione che in tali casi sulle pareti fossero appesi ampi drappi è suffragata da fonti scritte relative ad altre chiese (abbazia di Maria Laach, in Renania; cattedrali di Laon e Pavia).Non è raro, inoltre, che i cronisti facciano riferimento a interventi di dealbatio, soprattutto dopo incendi (Mortet, 1911; Mortet, Deschamps, 1929; Lehmann-Brockhaus, 1938; 1955-1960). Con questo termine, tuttavia, essi non accennavano alla pura imbiancatura a base di calce (come nella Stephankapelle a Ratisbona), ma anche alle decorazioni del tipo semplice. La dealbatio eseguita nell'abbaziale di St Albans nel 1160 ca., sia all'esterno sia all'interno, venne rifatta nel 1220 poiché si era sporcata (Lehmann-Brockhaus, 1955-1960, nrr. 3847, 3912); come risultato si ottenne la decorazione conservata fino a oggi: alternanza di colori nei conci degli archi e sugli spigoli delle lesene, sottarchi rivestiti con motivi ornamentali, un fregio sotto le finestre e un sottile reticolato a giunture nere sulle pareti (Tristram, 1950). La navata centrale dell'abbaziale di Le Ronceray (Angers) fu ornata esclusivamente con fregi e fasce (secc. 12° e 13°; Enguehard, 1969).Le singole parti delle chiese potevano essere trattate in modo differenziato: il transetto di S. Antonino a Piacenza aveva una decorazione meno ricca rispetto a quella delle navate (Segagni, 1970); a Saint-Savin-sur-Gartempe le navate laterali presentano invece solo una decorazione che imita un paramento murario (Fugenmalerei), disegnando un sistema a commessure, e un fregio che, svolgendosi all'altezza di m. 2,60, ha la funzione di proporzionare la parete, così come avviene analogamente a Salisbury. Come nelle chiese paleocristiane, la decorazione tendeva a diventare più elaborata nella zona presbiteriale: la navata della chiesa abbaziale di Prüfening era imbiancata e conclusa in alto dalla già ricordata fascia a meandri, mentre il coro tripartito era riccamente dipinto. Le chiese minori spesso presentavano pitture a carattere figurativo solo all'interno dell'abside; nella cappella di Berzé-la-Ville la navata, con la sua tenue decorazione, fungeva da semplice proscenio alla preziosa abside.L'effetto spaziale della pittura parietale romanica era modesto. Se dietro le figure si estendeva un fondale continuo di color azzurro o verde-azzurro, ne risultava una certa suggestione spaziale, soprattutto in ambienti di piccole dimensioni come a Ratisbona (Allerheiligenkapelle) o a Schwarzrheindorf presso Bonn (St. Klemens). Effetti di profondità spaziale si potevano ottenere anche sovrapponendo le figure a fondali a fasce o a grandi riquadrature rettangolari solitamente verdi (per es. Schwarzrheindorf; Castel d'Appiano). In alcuni motivi ornamentali si osserva un illusionismo particolare: si tratta di motivi desunti dal repertorio classico e tramandati come 'pezzi di bravura' dai pittori nel corso di tutto il Medioevo, come il meandro prospettico (Müstair e Brescia in periodo carolingio, Oberzell nella Reichenau, nel primo periodo romanico, svariate decorazioni in epoca romanica), il fregio prospettico a mensole - motivo ornamentale cui, peraltro, Roma e Bisanzio non rinunciarono mai (Belting, 1977), del quale si ritrovano esempi carolingi (basilica di Eginardo a Steinbach; S. Salvatore a Brescia) e romanici (S. Giustina a Sezzadio presso Alessandria, cattedrale di Aosta) - e i dischi dipinti (clipei, o meglio phalerae) con effetto di rilievo (Ravenna, S. Vitale; Bressanone, S. Giovanni; Rocca d'Angera; Assisi, S. Francesco, basilica superiore, transetto settentrionale).Nell'uso del repertorio descritto alcune regioni adottarono, sviluppandola, una decorazione seriale, ripetuta puntualmente: in Vestfalia le membrature erano colorate di verde o giallo, con giunture bianche, le pareti e la volta erano bianche, con fasce nere e rosse o motivi ornamentali (Claussen, 1978). In altre regioni, parallelamente alla crescente articolazione degli elementi architettonici, si arricchì anche il repertorio pittorico, come in Inghilterra (Tristram, 1944) e particolarmente in Renania, dove sono venuti alla luce resti databili soprattutto agli inizi del sec. 13° (Clemen, 1916; Caspary, 1967; Bentchev 1986). I complessi più significativi si trovano a Boppard e a Limburg an der Lahn; di più recente scoperta sono le pitture di Morsbach, Güls (Coblenza) ed Ezpel. Sulla struttura esterna le membrature si stagliavano in genere rosse o rosa sulla parete bianca (Oberbreisig, Limburg an der Lahn, Rheinkassel), in grigio su rosso (Oberpleis) o in rosso su giallo (Köln-Esch). All'interno i pilastri e gli archi erano grigi o rossi, le modanature e i costoloni, divisi in vari segmenti, venivano ricoperti di decorazioni di vario colore o marmorizzati, le colonnine erano lucidate in nero. Nonostante la ricchezza delle soluzioni sembrerebbe comunque aver dominato una certa sistematicità (Caspary, 1967, p. 25).La policromia delle chiese della Vestfalia e della Renania esercitò un influsso sulle regioni settentrionali, le quali tuttavia avevano sviluppato anche schemi decorativi autonomi, per es. sistemi basati sul motivo del laterizio e quindi a forte predominanza di rosso (Meischke, 1966).Fonti dei secc. 11° e 12° riferiscono inoltre di chiese lignee forse colorate (Lehmann-Brockhaus, 1938, nr. 825) e dipinte (Mortet, 1911): resti di tali decorazioni si sono conservati in edifici scandinavi per lo più del Tardo Medioevo (Söderberg, 1951; Ahrens, 1982).
Un ruolo particolare svolse l'Italia che più degli altri paesi ha basato la decorazione architettonica sulla policromia dei materiali; basti pensare alla Toscana, a Roma, alla Sicilia, ma anche alle costruzioni in laterizio dell'Italia settentrionale che sarebbero inimmaginabili senza l'effetto coloristico prodotto dall'inserimento di pietre chiare. Ciò naturalmente non escludeva affatto la componente pittorica, che qui ebbe anzi a privilegiare l'alternanza tra il rosso e il bianco. Erano quasi una costante i fregi ad archetti pensili con le lunette e con i denti di sega in bianco; le lunette potevano essere dipinte con piccoli motivi ornamentali o addirittura con testine. Sotto i fregi, la parete restava invece, di norma, in mattone a vista (abbazia di Chiaravalle Milanese, broletto di Novara, fianchi del duomo di Monza), oppure era dipinta con un motivo a imitazione del laterizio. Resti originali di altre pitture esterne si trovano nelle chiese abbaziali di Nonantola (absidi, sec. 12°) e in S. Lazzaro a Pavia (inizi del sec. 13°); meglio conservate sono le pitture di Fontevivo (Parma); riccamente dipinto era anche l'esterno del duomo di Crema. Tutte queste decorazioni erano eseguite direttamente sui mattoni o sulle pietre oppure su campi limitati a intonaco; una decorazione esterna su muri completamente intonacati venne invece dipinta intorno al 1300 a Grottaferrata (Andaloro, 1983) e nel Tardo Medioevo a S. Bassiano a Lodi Vecchio.Grandi pitture d'interno puramente architettoniche sono note a partire dal Duecento (Modena, Vercelli, Anagni). Il duomo di Modena, iniziato nel 1099, verso il 1220 fu intonacato, imbiancato e decorato con un sistema di membrature in cotto dipinto, avente lo scopo di fingere sulle pareti della navata la nuova suddivisione in alte campate di derivazione francese. Con S. Andrea a Vercelli nacque, a partire dal 1219, un edificio gotico di tipo anglofrancese, il cui esterno, prescindendo dalla facciata, conserva la colorazione rossa e bianca di scuola lombarda; all'interno i pilastri maggiori sono di pietra, forse dipinta, le pareti bianche, gli archi e i costoloni accompagnati da larghe fasce con motivi ornamentali; è tuttavia ancora presente il motivo del laterizio dipinto. L'autenticità dei particolari è comunque oggi difficilmente valutabile, poiché la decorazione fu rifatta - in un caso significativo di precoce riscoperta della pittura architettonica medievale - tra il 1822 e il 1828 da Carlo Emanuele Arborio Mella (Ottollini, Lose, 1867). Alcune parti della decorazione originale sono state recentemente liberate dalle aggiunte ottocentesche (Biancolini, 1980).Un motivo fondamentale e significativo di tutta la pittura architettonica medievale è il finto paramento murario.Nelle regioni in cui era diffusa l'a. in laterizio si intonacavano le pareti, si tinteggiava di rosso l'intonaco e vi si stendeva sopra un motivo a finto paramento murario bianco, di formato corrispondente più o meno a quello dei mattoni, come per es. nel S. Felice di Pavia di epoca altomedievale (Galassi, 1953, fig. 286). Questa tecnica non cadde mai in disuso, ma dal sec. 12° in poi il laterizio veniva ricoperto solo con uno strato di colore molto sottile, sul quale erano poi dipinte le commessure con un sottile tratto bianco (Peroni, 1978). Di grande effetto è l'interno del battistero di Cremona iniziato nel 1167, mentre nella cattedrale della stessa città si trovano combinate addirittura due varianti di paramento murario dipinto, l'una su fondo rosso, l'altra sul rosato, di cui attualmente rimangono lacerti sopra le volte gotiche. La pittura con il motivo del laterizio dipinto non ebbe comunque diffusione solo in Italia, ma anche in Olanda, nella Germania settentrionale, in Slesia, Polonia, Turingia e Baviera meridionale.Negli altri paesi si prediligeva invece il motivo dei conci dipinti (Gélis-Didot, Laffillée, 1888-1890; Bourgeois, 1910; Phleps, 1930; Aubert, 1957; Bornheim, 1965-1967; Kobler, Koller, 1981). Tale pittura a finto paramento murario risale all'epoca romana (Phleps, 1930) e verosimilmente fu adottata con maggiore impulso nelle province che non al centro dell'impero. Per il Medioevo è possibile citare alcuni esempi databili intorno al Mille, che necessiterebbero comunque di un riesame archeologico. Murature con le giunture ripassate in rosso sono state individuate nella cappella di S. Martino a Serravalle in Valtellina, edificio databile stilisticamente alla fine del 10° secolo. A La-Charité-sur-Loire (Borgogna) sono stati compiuti scavi in una chiesa con pitture a finto paramento murario, che, secondo Renimel (1976), può essere identificata con l'edificio pertinente alla fondazione cluniacense (1056). Una decorazione integrale a finte giunture, datata da Sennhauser (1970) a prima del 1030, ricopre l'interno della chiesa cluniacense di Romainmôtier (Vaud). Nei principali edifici tedeschi del sec. 11°, come il duomo di Spira, non veniva ancora utilizzata la pittura a finto paramento murario che viceversa in Francia aveva già trovato il suo pieno sviluppo con Saint-Savin-sur-Gartempe (ca. 1100).Anche l'esterno degli edifici poteva essere munito di un paramento murario dipinto: ne offre un esempio, relativamente precoce e accertato, la cattedrale di York (1080-1100; Phillips, 1985). A poco a poco la pittura a paramento murario, facile da eseguire e di grande effetto, finì con il sostituire la decorazione con giunture a fascia rilevata, spesso anche dipinta, di più difficile esecuzione, la quale, particolarmente usata nel sec. 11° (Forsyth, 1953), non fu comunque mai del tutto abbandonata (Spoleto, S. Eufemia).
L'intento della pittura a finto paramento murario è evidente: si voleva presentare una parete unitaria, perfetta sia nel disegno sia nel colore, una 'muratura ideale' senza alcun rapporto, generalmente, con la tessitura muraria reale. Le giunture dipinte potevano rivestire muri di pietrisco intonacati e murature in conci, sebbene poi, in realtà, le costruzioni in laterizio abbiano mantenuto per secoli il motivo dipinto dei mattoni di piccolo formato. Nei paesi d'Oltralpe si conoscono pitture con motivi a grossi conci su murature in laterizio a partire dal 1300 ca. (interni della chiesa dei Giacobini di Tolosa, della Marienkirche di Lubecca; interno ed esterno della collegiata di Xanten in Renania Settentrionale-Vestfalia). Nell'Italia settentrionale quando non era usata l'imitazione del laterizio si fingevano rivestimenti a lastre, come nel tiburio di S. Michele a Pavia o nella galleria esterna e soprattutto all'interno del transetto del duomo di Modena, ove venne ripreso (ca. 1220) il motivo architettonico degli archi cuspidati dell'esterno marmoreo (Autenrieth, 1984).Esempi di pittura a paramento murario medievale sono testimoniati in numerosissimi edifici, pur essendo rari quelli conservatisi integri. È difficile distinguere sistematicamente le tipologie: di gran lunga preferito e abituale in tutti i periodi fu il reticolato rosso su uno sfondo bianco o biancastro, il quale, dopo York, ebbe la sua maggiore diffusione nei secc. 13° e 14°: intorno al 1257 a St Albans persino le assi di una volta lignea furono rivestite con questo 'motivo a conci' (Tristram, 1950, tav. 168).Il motivo a doppia giuntura non è il prodotto di uno sviluppo tardivo, si ritrova infatti già poco dopo il Mille (Saint-Maieul a Cluny: Mercier, 1931; Romainmôtier: Sennhauser, 1970). Saint-Savin-sur-Gartempe - giunto peraltro nel rifacimento del sec. 19° - mostra già un accostamento di tre tipi differenti di pittura a finto paramento. Dalla fine del sec. 12° compaiono anche motivi a giunture triplici (per es. rosso-bianco-rosso a Provins, Ile-de-France), mentre, a partire dal 1200 ca., piccoli fiori potevano ornare il centro dei singoli campi come nelle volte di Saint-Martin ad Angers (Forsyth, 1953, fig. 51; numerosi esempi in Gélis-Didot, Laffillée, 1888-1890; Tristram, 1950). Lo spunto per queste rosette centrali fu fornito forse da rappresentazioni di a. con murature a conci con gemme incastonate, per es. in epoca carolingia la Bibbia di Viviano proveniente da Tours (Parigi, BN, lat. 1, c. 386v), o i motivi circolari presenti anche nella chiesa di Saint-Gilles ad Argenton-Château nel Poitou(Deschamps, Thibout, 1963), tuttavia tali rosette derivarono con maggiore probabilità dai soffitti cassettonati romani (Naumann, 1937, tavv. 34, 35) o dalle volte a botte come quelle dell'arco di Tito a Roma.Nel sec. 14° le giunture divennero estremamente regolari e raffinate: sottili linee d'accompagnamento bianche e nere potevano suggerire la luce e l'ombra (Schwarzach nel Baden-Württemberg; Stein an der Donau). Nel periodo tardogotico e nel Rinascimento si prediligevano conci a punta di diamante dipinti, come testimonia un affresco eseguito da Matteo Giovannetti a Villeneuve-lès-Avignon nel 1353-1355 (Laclotte, Thiébaut, 1985).Il finto paramento murario è caratteristico dell'architettura transalpina; l'Italia, come Bisanzio, non mostrò molto interesse per questa decorazione astratta e pochi esempi palesano la loro provenienza straniera: il chiostro dell'abbazia delle Tre Fontane a Roma, della fine del sec. 12° (Bertelli, 1978); la chiesa e alcuni ambienti delle abbazie cistercensi di Fossanova (Berger Dittscheid, 1988), Casamari e, forse, di Follina; le volte della navata e del chiostro dell'abbazia di Valvisciolo; la parete di fondo del portico di S. Giovanni a Porta Latina a Roma; la vasta decorazione del duomo di Anagni, della metà del sec. 13° (Belting, 1977) e quella del S. Pietro in Vineis nella stessa città (Bianchi, 1983). In Toscana e in Liguria si usavano probabilmente decorazioni dipinte a fasce bicrome, generalmente ridipinte nell'Ottocento (interno del duomo di Pisa e di Orvieto; S. Francesco a Siena). Un bell'esempio originale, del 1300 ca., è conservato nella Badia di Firenze (Morozzi, 1979).In epoca gotica l'intero repertorio decorativo romanico venne ripreso e affinato con l'introduzione di alcune novità, quali, per es., elementi architettonici a scala ridotta come trafori ornamentali o motivi polilobati.Per quanto riguarda le cattedrali gotiche francesi parrebbe forse possibile ipotizzare la presenza di pitture come quelle rifatte, tra il 1837 e il 1844, nella chiesa superiore della Sainte-Chapelle di Parigi, ricche di motivi realizzati con colori accesi - soprattutto rosso, blu e moltissimo oro - tali da stabilire un equilibrio fra le parti in muratura e le rilucenti vetrate colorate. In realtà una colorazione così ricca si trova in rari casi, per es. nelle a. dipinte della recinzione del coro della cattedrale di Colonia, in alcune cappelle (cappella della Vergine nella cattedrale di Losanna, sec. 14°) o in un edificio eccezionale come la basilica di S. Francesco ad Assisi. Al contrario le colossali navate delle cattedrali (Parigi, Chartres, Reims, Amiens, Bourges), secondo quanto scrisse Viollet-le-Duc (1876, pp. 5, 9), non sembrerebbero essere state dipinte, realtà questa che comporta vari problemi interpretativi. Una conoscenza più precisa di questo tipo di pittura è dovuta a restauri e studi dell'ultimo ventennio (Michler, 1977): a Rampillon, a Essômes (Saint-Ferréol) e anche a Chartres (Michler, 1989), per es., le pareti, i pilastri e gli arconi erano dipinti in ocra con false commessure in bianco o rosso e bianco. Contro questo fondale si stagliavano con chiarezza modanature e semicolonnine bianche. Delle grandi cattedrali anche quella di Auxerre conserva resti di pittura di una certa importanza, fortunatamente ancora illuminati dalla luce colorata delle vetrate originali (coro, ca. 1230-1240; Michler, 1977, tav. IV). Vi si nota inoltre bene come in alcuni punti, specialmente nelle chiavi di volta e, in loro prossimità, su brevi tratti delle nervature, si concentrino i colori e l'oro.Si deve forse ritenere (C. Gélis-Didot, Laffillée, 1888-1890, tavv. 25, 28, 36) che le stesure cariche di ocra gialla o di rosa abbiano avuto origine nella Francia settentrionale, sebbene intonaco e tinteggiatura rosati non siano sconosciuti negli edifici romanici tedeschi (Mittelzell nella Reichenau; Spira, duomo). Da studi recenti risulta infatti con sempre maggiore evidenza che le pareti dipinte di ocra gialla o quelle rosate con commessure bianche fecero la loro comparsa, al di fuori della zona d'origine del Gotico, proprio ove avvenne l'introduzione delle nuove forme architettoniche (Michler, 1977; 1984): probabilmente a Treviri, quindi a Marburgo nell'importante Elisabethkirche (1235-1283), dipinta di rosa sia all'esterno sia all'interno, con costoloni gialli e profilature bianche (il sistema ritorna con qualche variazione nella vicina chiesa cistercense di Haina). Nel duomo di Bamberga le pareti della navata erano rosate ed eccezionalmente prive di commessure dipinte (Haas, 1978). La presenza dell'ocra gialla è inoltre testimoniata da documenti attendibili in chiese del Belgio (Floreffe, Villers-la-Ville, Orval). A Münstermaifeld, in Renania, durante la costruzione della chiesa conventuale si passò dai colori tradizionali nel coro al più 'moderno' ocra nella navata, eretta a partire dal 1250 (Weyres, 1973); nel duomo di Paderborn, nella Vestfalia, furono realizzate pareti 'a traforo' color ocra, parzialmente ripassata; solo su una volta fu fatto un tentativo di pittura in rosa (Claussen, 1986). La cattedrale di Ginevra fu tinteggiata con una stesura monocroma di ocra con commessure bianche (Saint-Pierre, 1982) e così alla metà del sec. 14° la collegiata di Vendôme.
Nonostante il diffondersi delle tinteggiature di tonalità ocra e rosa, gli altri tipi di pittura non furono dimenticati: in Inghilterra e nella Francia occidentale rimase in uso la tinteggiatura in bianco delle pareti; il cantiere gotico attivo a Marburgo scelse per diversi edifici religiosi, nell'arco di un breve lasso di tempo, vari sistemi di decorazione della parete fra cui uno su fondo bianco (Michler, 1984, p. 327). Nella Marienkirche di Lubecca, verso la fine del sec. 13°, si adottò inizialmente la tradizionale decorazione a finti mattoni nel coro, per poi passare, sempre nel coro, a un diverso sistema basato sulla prevalenza dei colori bianco e rosso; la Briefkapelle ricevette invece una decorazione in bianco, ocra, rosso e azzurro, mentre la monumentale navata (1320-1330) ebbe membrature e fasce ornamentali dipinte con un vivace accordo di rosso e verde sul consueto fondo bianco.Una diversa soluzione è rappresentata dalle pareti color pietra con le commessure dipinte in bianco. Adottata nella cattedrale di Amiens (Michler, 1984), essa ha un sicuro precedente nella cattedrale di Losanna, consacrata nel 1232 e dipinta in grigio con membrature solo imbiancate e volte color ocra (Bach, Blondel, Bovy, 1944). Nel coro del duomo di Colonia (1248-1322), in aggiunta alle numerose pitture (recinzione del coro, sculture dei pilastri, pennacchi, fregio del triforio), la struttura portante dell'edificio lasciava a sua volta probabilmente intravedere una colorazione giallo-grigia simile alla pietra o la pietra stessa.Fra il 1259 e il 1267 era stata costruita, nell'Ile-de-France, la cappella della Vergine di Saint-Germer-de-Fly, un ambiente prezioso la cui luminosa navata conserva per lo più il colore della pietra, mentre la parete occidentale e il coro erano caratterizzati da un'intensa colorazione (Kimpel, Suckale, 1985). Analogamente, anche il duomo di Ratisbona venne dipinto solo in alcune parti, limitando la presenza del colore alle chiavi di volta e a brevi tratti attigui delle nervature.Creazione significativa dei cantieri gotici, la finestra a trafori geometrici impegnò talvolta anche i pittori, particolarmente nel caso in cui il muro di fondo delle finestre cieche era concepito a imitazione delle vetrate (Chartres, cattedrale, atrio interno; Perpignano, palazzo dei re di Maiorca, cappella). Un esempio d'imitazione analoga, ma senza trafori, si ha già all'inizio del sec. 13° a Champcenest, nell'Ile-de-France (Rochette, 1983, p. 197); della fine del sec. 13° è invece il finto rosone dipinto sulla controfacciata della chiesa di Brechten in Vestfalia (Claussen, 1978, figg. 64, 66), mentre a Lubecca, all'inizio del sec. 14°, si imitavano i tipici medaglioni delle vetrate. Come fondali delle finte finestre si trovano inoltre impiegati motivi decorativi ripresi dalle tappezzerie e già in uso nella miniatura e nella pittura su vetro (Tolosa, cappella di S. Antonio nel convento dei Giacobini; Stein an der Donau, Göttweiger Hof; esterno della chiesa di Sayn in Renania). Un altro tipo di decorazione utilizzato è quello che sostituisce alle finestre il motivo del traforo cieco su parete, come per es. nel caso della Elizabethkirche di Marburgo (ca. 1283), la cui sagrestia è decorata da finte trifore su uno sfondo che si qualifica come parete tramite una tessitura muraria dipinta. In altri casi la pittura giunse a inserire le finestre reali in una struttura a baldacchini figurati, simili a finestre, come avviene nel transetto settentrionale della basilica superiore di S. Francesco ad Assisi (Belting, 1977) e a Stein an der Donau. Non deve meravigliare il fatto di trovare esempi di traforo dipinto sulle volte, come nella Armklarenkirche di Magonza (1330 ca.) o nella cappella di S. Antonio nel convento dei Giacobini di Tolosa (ca. 1341; Mesuret, 1967, tavv. XXVII, XXVIII) e ancora nel 1470 nella cappella del castello di Ziesar nel Brandeburgo.In molte a. dipinte del Gotico maturo la resa pittorica è priva di profondità, particolarità questa che fa pensare ai grandi disegni su pergamena usati nei cantieri. Tipici esempi di pittura 'a disegno ritagliato' sono il citato rosone di Brechten, le finte finestre di Neustadt nell'Holstein (Teuchert, 1960) e il finto triforio dell'abbaziale di Doberan (Meclemburgo). Un raro documento di laboratorio pittorico è sopravvissuto, in stato precario, nella cattedrale di Cremona: su una parete del matroneo i pittori composero un'a. di fantasia come 'campionario' di studio (Autenrieth, Autenrieth, 1988). Anche durante il periodo gotico l'Italia svolse un ruolo particolare: l'a. e la decorazione della basilica superiore di S. Francesco ad Assisi accolsero per es. molteplici stimoli dall'ambito francese - in modo evidente sulle ghimberghe dipinte nel braccio settentrionale del transetto (Poeschke, 1985, figg. 53, 54) - laddove, viceversa, l'effetto d'insieme o la presenza di altri motivi ornamentali come per es. le incrostazioni marmoree dipinte, destinate peraltro a divenire un elemento caratterizzante della pittura per tutto il Trecento, avevano ben poco in comune con la Francia. Inoltre l'Italia precedette gli altri paesi sviluppando novità in grado di aprire la strada alle costruzioni prospettiche: si pensi per es. alla tradizione romana, allo schema compositivo di S. Piero a Grado, all'architettura figurata nelle Storie di s. Francesco ad Assisi, all'Annunciazione sull'arco trionfale della cappella degli Scrovegni a Padova o ancora ai giochi prospettici del basamento dipinto sullo zoccolo nella basilica inferiore di Assisi (Poeschke, 1985, fig. 276). Grazie alla pittura prospettica è infatti possibile riconoscere l'influsso italiano ad Avignone, nel castello di Karlštejn presso Praga, a Castel Roncolo presso Bolzano. Una scuola decorativa caratterizzata da una spiccata predilezione per i leggeri effetti illusionistici si sviluppò in Lombardia (Lodi Vecchio, S. Bassiano; Lodi, S. Francesco; Como, S. Abbondio) con propaggini fino nei Grigioni.In merito alla decorazione architettonica di ambito cistercense è significativo che nel 1130 alcuni visitatori a Clairvaux "nihil in oratorio nisi nudos viderunt parietes" (Sancti Bernardi vita et res gestae, II; PL, CLXXXV, col. 272), e ancora nel sec. 13° i capitoli generali dell'Ordine prescrivevano di eliminare dipinti murali troppo vistosi (Mortet, Deschamps, 1929). Quanto oggi rimane di ca. sessanta abbaziali cistercensi, nonché le notizie a esse relative, forniscono un quadro abbastanza complesso: nelle prime chiese la pittura era effettivamente assente, risultando limitati spesso perfino gli interventi tesi a imitare il paramento murario; ancora nella seconda metà del sec. 12° le pietre venivano lasciate a vista e solo le commessure erano ripassate con una mano di calce bianca (Hauterive I, Hautecombe I, probabilmente Maulbronn). Era questo un tipo comune di decorazione estremamente ridotta, di cui si conoscono esempi anche al di fuori dell'Ordine, dall'Irlanda fino nei Grigioni o in Friuli. Qualora la parete fosse solo intonacata, le giunture dipinte di bianco spiccavano sulla tonalità naturale dell'intonaco (Aubert, 1947), come a Fountains e a Fossanova (prima fase pittorica). Alla seconda metà del sec. 12° risalgono le più antiche commessure dipinte in rosso (Bonmont, rosso sulla nuda pietra degli archi), oltre a esempi di giunture applicate a rilievo (bianche a Cadouin e Obazine, nere e rosse nella sala capitolare di Zwettl). Non più tardi del 1200 i Cistercensi adottarono il motivo diffuso delle giunture rosse su fondo bianco (a Ebrach, Michaelskapelle; Fossanova, seconda fase pittorica; in seguito a Heiligenkreuz e a Wilhering; nel sec. 14° a Kaisheim), pur essendo consentita anche una decorazione a finti conci con un fiore centrale (Maulbronn, ambiente al di sopra del transetto). Un tipo di policromia architettonica di esclusiva formulazione cistercense non è tuttavia mai esistito. I monaci ripresero di volta in volta la tecnica costruttiva usata nelle varie regioni, rendendola non di rado più funzionale, come per es. nel caso delle costruzioni in laterizio. La decorazione ammessa era costituita dall'alternanza di pietre, talvolta anche finte, di diverso colore e dall'uso, in funzione ornamentale, di motivi geometrici - i quali possono essere peraltro considerati una caratteristica dell'Ordine (Rivalta Scrivia, Doberlug nel Brandeburgo) - o a intrecci come a Walderbach e a Ebrach (Wiemer, 1985).La storia della policromia cistercense è caratterizzata dal passaggio da un'austerità spoglia e severa a un'estetica elitaria votata alla semplicità e alla purezza. Un esempio tipico è la cappella della foresteria di Fossanova (Berger Dittscheid, 1988) con pareti interne di colore rosato, volte nel tono ocra dell'intonaco, commessure dipinte di bianco e, nel presbiterio dipinto di rosso, motivi geometrici e vela nello zoccolo, un tondo con croce greca sull'arco trionfale. In Vestfalia, regione che prediligeva un tipo di decorazione con motivi minuti e variopinti, la chiesa cistercense di Marienfeld (ca. 1220-1222; Claussen, 1978), con i conci a vista, le pareti e le volte color ocra semplicemente intonacate con fasce bianche dipinte, doveva costituire all'epoca in cui venne edificata una vera e propria provocazione. Inevitabilmente poi i maggiori cantieri dell'Ordine - posseduto da morbo aedificandi (Pietro Cantore, Verbum abbreviatum; PL, CCV, col. 257) - in cui lavoravano anche artisti a esso estranei, contribuirono a diffondere, oltre alle nuove forme architettoniche, anche il gusto gotico per il colore: commessure bianche su fondo giallo furono dipinte a Longpont e Ourscamp intorno al 1220 (Michler, 1977; Kimpel, Suckale, 1985, figg. 271, 272, 378), a Villers-la-Ville nelle Fiandre, a Lilienfeld in Austria; si hanno inoltre volte (Fossanova, Haina e Schulpforta) e pareti (Baumgartenberg) dipinte di rosso. Nelle chiese cistercensi dell'Italia settentrionale predominava il mattone naturale o dipinto, ravvivato da tratti intonacati (Chiaravalle Milanese, Morimondo); Cerreto mantenne un aspetto relativamente severo con alternanza di membrature dipinte di rosso e di nero, mentre una più vasta gamma di colori fu usata a Staffarda e a Follina; vivaci pitture caratterizzano l'esterno di Fontevivo; invece materiali policromi diversi ornano il fronte della sala capitolare di Chiaravalle della Colomba e quello di Santo Spirito a Palermo.A partire dal tardo sec. 13° e per tutto il 14° alcune chiese e ambienti cistercensi furono decisamente arricchiti di pitture in contrasto con il rigore di s. Bernardo, come per es. le chiese di Doberan e di Wienhausen (Borrmann, 1897), il refettorio di L'Epau nel Maine e l'ala dei monaci dell'abbazia delle Tre Fontane a Roma (Bertelli, 1978).Il colore preferito dai 'monaci bianchi' era, e non solo per l'abito, il bianco: nel 1157 fu infatti concesso che nelle chiese venissero dipinte solo le porte e solo di bianco (Statuta Capitulorum Generalium, 1933-1941, I, p. 61). Ancora nel 1257 si faceva del resto obbligo di tabulae di uno colore (Park, 1986, p. 184); si può quindi supporre che vi fossero pitture en grisaille non solo sulle luminose vetrate, che erano proprie delle chiese cistercensi (vitrae albae erano prescritte dal 1134). A questo punto va considerato che in genere le vetrate dipinte a partire dalla metà del sec. 13° acquistarono un aspetto più luminoso e che intorno al 1300 i principali edifici erano passati dalle colorazioni ocra e rosso al colore della pietra a vista o al bianco. È difficile stabilire se siano stati i Cistercensi a influenzare l'a. europea al di fuori dell'Ordine oppure se essi stessi abbiano semplicemente partecipato allo sviluppo generale.Una rinnovata avversione nei confronti degli eccessi di decorazione negli edifici ecclesiastici si ebbe comunque anche da parte degli Ordini mendicanti. Gli ambienti spogli dei loro edifici presentavano pitture nel presbiterio o nelle cappelle del coro, mentre nella navata si dipingevano usualmente fregi e decorazioni a fascia. Le vaste pareti prive di articolazioni costituirono tuttavia ben presto per la borghesia cittadina una sorta di 'invito' ad arredare tali chiese con monumenti sepolcrali e pitture votive. Decorazioni a fascia sono o erano presenti nelle chiese francescane di Brescia, Padova, Treviso, Monza, nelle chiese domenicane di Piacenza, Treviso, Arezzo, nelle chiese degli Eremitani di Vicenza e Padova e dei Canonici regolari di Mantova (S. Maria di Gradaro). Anche edifici cistercensi come l'abbazia di Follina e S. Giuliana a Perugia vanno annoverati in questo gruppo, come pure edifici benedettini quali la chiesa di San Benedetto Po e S. Abbondio a Como. Nel Veneto alcune chiese degli Ordini mendicanti ebbero un paramento murario a mattone simulato (Ss. Giovanni e Paolo e S. Maria Gloriosa dei Frari a Venezia) o in laterizio regolarizzato (S. Nicolò e S. Francesco a Treviso, S. Lorenzo a Vicenza). A Firenze la chiesa dei Domenicani, S. Maria Novella, ricevette una decorazione semplice, ma di grande effetto, basata sull'alternanza di conci finti, mentre Santa Croce, l'imponente chiesa dei Francescani, fu ornata, nella parte orientale, con incrostazioni marmoree dipinte che però non proseguivano nella navata; i donatori si prendevano cura soprattutto della decorazione delle loro cappelle di famiglia, ritenendo comunque non priva di dignità la severa e monumentale bicromia ottenuta dall'abbinamento del 'color ferrigno' della pietra macigno con l'intonaco. Questo tipo di colorazione esisteva probabilmente anche nella cattedrale: la bicromia fiorentina del primo Rinascimento, adottata poi in tutto l'Occidente, era quindi già stata praticata nel Trecento e anticipata nelle incrostazioni del Romanico toscano.
Oltralpe gli Ordini mendicanti impiegarono il solito motivo a paramento murario dipinto, senza regole particolari per la scelta dei colori: i Domenicani usarono per es. il rosso su bianco e, in seguito, il bianco su grigio a Ratisbona e Costanza, il bianco su rosso a Krems an der Donau. Un semplice esempio di pittura architettonica, eseguita con gusto e molto ben conservata, si trova nella chiesa delle Clarisse di Pfullingen nel Württemberg (bianco e rosso su fondo grigio; Phleps, 1930, fig. 63). I Francescani a Lubecca scelsero il bianco per la navata e il grigio per il coro, sempre con giunti rossi. Come una decorazione a carattere esclusivamente architettonico di una chiesa mendicante potesse tuttavia raggiungere uno straordinario splendore di colori è dimostrato dalla chiesa dei Giacobini di Tolosa (coro eseguito tra il 1285 e il 1294, navate entro il 1385) con i pilastri cilindrici del coro in color porfido, gli sguanci delle finestre, le membrature e le nervature marmorizzati in rosso, verde e ocra e la raffinata decorazione delle volte (Stym-Popper, 1968).Del periodo tardogotico si è conservato un alto numero di a. dipinte in Germania, Svizzera, Austria e Alto Adige (Clemen, 1930; Dambeck, 1967; Findeisen, 1969; Kobler, Koller, 1981). La struttura esterna è articolata solitamente mediante pilastri, lesene, finestre e cantonali a risega (sempre più frequenti a partire dal sec. 13°), tutti dipinti con tonalità simili alla pietra e talvolta con commessure bianche. All'interno, pilastri, membrature e intreccio decorativo delle nervature erano a loro volta caratterizzati da un colore, più o meno vivace, ma sempre imitante la pietra, mentre le vele delle volte erano ornate da trafori geometrici dipinti o, più spesso, da sottili viticci (Büchner, 1967). Quando il colore usato si avvicinava a quello del materiale di costruzione, l'effetto poteva essere quello della pietra a vista: questo è il caso, per es., del duomo di Freiberg in Sassonia. Tuttavia appare per lo più chiaramente il carattere di rivestimento color della pietra, per es. ocra nel duomo di Ulma e nella vicina abbaziale di Blaubeuren (1491-1499) o grigia a Nördlingen (pilastri 'monolitici' senza commessure simulate). Cromie nelle tonalità naturali del materiale, illuminate dalla luce diurna attraverso vetrate chiare, avevano una grande diffusione. Analogamente, anche la scultura, sia in pietra sia in legno, poteva presentarsi quasi priva di colorazione (stalli dei cori) oppure ricoperta da una vernice monocroma trasparente di tonalità simile alla pietra (Blaubeuren) o al legno (intagli di Tilman Riemenschneider).Si è già accennato come tale tendenza alla semplice colorazione nei toni della pietra avesse avuto origine prima del periodo tardogotico. I dipinti dell'inizio del sec. 15°, anche quando raffigurano interni di chiese 'antiche', mostrano ambienti poco colorati come per es. nella c.d. Madonna nella chiesa di Jan van Eyck (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Gemäldegal.) e in diverse tavole di Rogier van der Weyden. Qui si esprime lo stesso gusto per cui nel sec. 15° si tenne in gran conto la pittura di origine romana che già Giotto aveva ripreso. Non oltre la metà del secolo, questo gusto si espresse in a. illusionistiche, grigio su grigio (Annecy, immagine votiva Monthouz; duomo di Costanza, cappella di St. Margarete), che, benché assolutamente diverse nello stile, vanno considerate come parallele ai monumenti equestri dipinti in monocromo nella cattedrale di Firenze. L'uso di tonalità simili alla pietra è visibile nel duomo di Erfurt, in quelli di Freiberg e di Meissen (Magirius, 1978) e nella chiesa di Brou presso Bourg-en-Bresse nella Franca Contea; edificio ambizioso ancora di impianto tardogotico, quest'ultimo sorse tra il 1513 e il 1532 come luogo di sepoltura di Filippo I il Bello, re di Castiglia, e di Margherita d'Austria. La chiesa fu costruita in arenaria bianca e dipinta, all'interno, con una tenue colorazione e commessure bianche, così come sempre in arenaria bianca, alabastro e marmo fatto venire appositamente da Carrara furono eseguite le ricche sculture del coro e i monumenti sepolcrali in un insieme basato su tonalità limpide e chiare. Già da tempo del resto nell'a. in laterizio della Germania meridionale, in concomitanza con il diminuito apprezzamento del colore acceso del mattone, gli ambienti interni venivano intonacati.Fino al sec. 15°, nell'Italia settentrionale il colore della terracotta aveva determinato direttamente o indirettamente, attraverso l'uso del paramento dipinto, l'aspetto degli edifici, comparendo in particolare all'esterno, naturalmente frammisto ad altri colori (Pavia, S. Maria del Carmine; Ottollini, Lose, 1867). L'uso del laterizio simulato e di membrature architettoniche rosse si ritrova fin verso il 1500 (chiesa di San Benedetto Po nella sua fase tardogotica; certosa di Pavia; chiostro della canonica di Novara; S. Maria della Croce presso Crema; Ospedale Maggiore e altri edifici a Milano). In seguito però questa tradizione si estinse sotto l'influsso dell'a. rinascimentale toscana. In realtà nell'Italia settentrionale, a partire dal sec. 12°, si erano già usati l'intonaco e, sempre più di frequente, i rivestimenti a lastre; spesso strutture in laterizio erano state dipinte con motivi nei colori delle pietre (archi e costoloni con segmenti neri o bianchi), ora però venne imitato il semplice colore della pietra ricoprendo di pittura le parti in laterizio (primo esempio noto, fra il 1480 e il 1484, è il palazzo Bevilacqua di Bologna).
Né la colorazione tonale di età tardogotica a imitazione della pietra né la severità dei monumenti fiorentini possono tuttavia legittimare la supposizione che con la fine del Medioevo la policromia sia andata scomparendo. Insieme al gusto raffinato per il colore naturale dei materiali, continuò infatti a permanere, in alcuni ambienti, un gusto per i colori ora fastoso ora ingenuo, riscontrabile sia in molte chiese tardogotiche minori (cappella di Blutenburg e parrocchiale di Pipping vicino a Monaco; St. Leonard presso Pucking in Austria) sia in ambienti civili come, per es., quelli all'interno della fortezza di Salisburgo. Spesso, anzi, proprio le campiture color pietra servivano da sfondo monocromo per dare risalto ad arredi colorati.Architettura civile. - L'esistenza, già in periodo altomedievale, di ambienti profani dipinti è testimoniata dalle fonti scritte. A causa delle più frequenti ristrutturazioni degli edifici civili tuttavia, questi ambienti si sono conservati in misura minore rispetto a quelli nelle chiese. Importanti testimonianze di pittura decorativa civile sono fra gli altri: nel sec. 13°, la sala dei Notari nel palazzo dei Priori a Perugia, il palazzo Pubblico di Siena e il palazzo Comunale a San Gimignano; nel sec. 14°, il castello di Chillon (Vaud), il palazzo dei Papi ad Avignone, il castello di Karlštejn presso Praga, alcune sale nel castello di Pavia e il castello di Pandino nel cremonese (Albini, Cavalieri, 1986). È invece perduta, anche se ricostruibile, la grande sala della Lega Anseatica a Colonia (ca. 1360) con ricchi motivi a traforo dipinti (Clemen, 1930, I, pp. 228-235). Intorno al 1400 furono eseguiti i dipinti a Castel Roncolo presso Bolzano, nel sec. 15° quelli dei castelli piemontesi della Manta, di Fenis, di Issogne e la decorazione nel palazzo della Ragione a Padova.
Sebbene la pittura murale profana utilizzasse un tipo di iconografia particolare (episodi romanzeschi, temi a carattere politico, motivi araldici), a grandi linee essa adottò tuttavia lo stesso repertorio decorativo in uso nelle chiese e, dunque, in primo luogo, i vela e la finta apparecchiatura muraria: nel sec. 13°, per es., Enrico III d'Inghilterra (1207-1272) diede ordine di dipingere la stanza della regina con un motivo a commessure e fiori (Salzman, 1952). Esempi di motivi a tappezzeria, anch'essi risalenti al sec. 13°, sono stati rinvenuti in vari edifici a Treviso (Botter, 1955; 1979). Molto apprezzato dovette essere anche il motivo 'a medaglioni': nell'appartamento del decano del capitolo a Le Puy, all'inizio del sec. 13°, esso non si estendeva infatti solo alle pareti, ma anche al camino (Enaud, 1968). Vivaci 'tappezzerie murali' sono conservate nelle sale del palazzo di Bonifacio VIII ad Anagni (Marchetti-Longhi, 1920), mentre all'inizio del Trecento le volte della sala maggiore nella rocca d'Angera (Lombardia) furono dotate di ricchi motivi ornamentali (Bellonci, Dell'Acqua, Perogalli, 1977, figg. 207-212, e fig. p. 289). Le evidenti affinità fra i motivi dipinti e quelli delle vere tappezzerie comprendevano non di rado allusioni dirette, come nel caso delle splendide - sia pur rifatte - tappezzerie dipinte di palazzo Davanzati a Firenze, le quali simulano veri e propri tendaggi risultando infatti appese ad anelli. I soffitti dipinti dovrebbero essere stati in realtà più numerosi di quanto testimoniano i resti del sec. 13°, per es. a Metz (Tintelnot, 1954, coll. 1151-1152), a Colonia (Clemen, 1930; Vogts, 1966) e a Basilea (case Nadelberg nrr. 6 e 10).Come gli interni, anche le facciate potevano essere dipinte o decorate a graffito (Koller, 1984). È possibile a questo proposito risalire fino al sec. 13°, quando nella maggior parte delle città le case in pietra cominciarono a sostituire quelle di legno. Pare che inizialmente si dipingessero solo le intelaiature delle finestre (simili ai collarini ripassati con la calce dell'a. rurale), i fregi marcapiano e immagini isolate e, solo in seguito, le intere facciate. Come esempi più antichi si possono ricordare quelli di Treviso (Botter, 1955; 1979), dove, come del resto più generalmente in Veneto, si prediligeva il motivo a mattoni a più colori, spesso disposti a losanghe; a Pavia, Firenze e Verona le facciate dipinte risalgono almeno al sec. 14° (Thiem, Thiem, 1964; Schweikhart, 1973). A Venezia l'uso dei rivestimenti marmorei venne con il tempo a sostituire quello di dipingere le facciate: queste tuttavia, anche se rivestite, potevano acquistare maggiore splendore con l'aggiunta di pitture a olio e dorature (Boni, 1887).In Germania si conoscono facciate dipinte a partire dal sec. 13° (Colonia, Overstolzhaus; Vogts, 1966; Ratisbona, Keplerhaus; Farbige Architektur, 1984). Numerosi palazzi gotici con raffinati trafori dipinti si conservano a Torun in Polonia (Swiechowski, 1972, tav. 300 b; Koller, 1984, fig. 4). Nel periodo tardogotico erano frequenti esempi virtuosistici di finta a. (castello di Füssen, in Baviera meridionale, 1499), pur non mancando decorazioni più semplici a scacchi (castello di Padova) o a losanghe (castello di Villanova in area pavese; per gli esempi in Germania si veda Phleps, 1930, figg. 17-18, tav. XXIV).
Per avere un'idea della città tardomedievale, delle sue strade e delle sue piazze è necessario osservare gli sfondi architettonici delle miniature, delle tavole dipinte e degli affreschi. Specialmente la pittura dei paesi nordici mostra una ricchezza di dettagli fra cui i più evidenti sono i tetti a decorazione variopinta e le pareti a graticcio di legno (Fachwerk; Cramer, 1990). Nell'antichità i craticii (Fachwerk) erano una struttura di sostegno poco dispendiosa (disprezzata da Vitruvio) destinata a essere successivamente intonacata. È comunque difficile stabilire a quale epoca risalgano tali singolari motivi grafico-strutturali che poi determinarono il carattere di intere città. Alcuni elementi decorativi gotici, privi di funzione strutturale, possono essere considerati come indizi di una tendenza a lasciare scoperte, prive d'intonaco, le parti in legno (Sage, 1976; Brunskill, 1985). Solo a partire dal 1460-1480 alcune raffigurazioni mostrano Fachwerk dipinti di nero (Chroniques di Jean Froissart; Londra, BL, Harley 4379, c. 64v), intorno al 1495 scomparti rossi e parti in legno marrone (Koschatzky, 1971, tav. 6), prima del 1520 le parti in legno appaiono rosse (Hans Wurm, Veduta della città di Norimberga; Norimberga, Germanisches Nationalmus.). Precoci esempi in situ si conoscono a Marburgo (Die Bemalung der Marburger Bürgerhäuser, 1980), a Nördlingen e a Bad-Cannstat (Stoccarda) che è attualmente l'esempio più antico, risalente al 1460-1470 ca. (Bongartz, 1986).Nonostante sia relativamente facile studiare la funzione del colore e delle pitture in tanti singoli edifici, è assai problematico esaminare in termini generali la policromia medievale. In molti casi la colorazione costituiva il naturale completamento dell'a. - eseguito utilizzando gli stessi ponteggi che erano serviti per la costruzione - con cui di regola si dava risalto alle singole membrature, contrapponendole fra di loro o facendole spiccare sulla parete di fondo. Talvolta l'a. era veramente compiuta solo con l'ausilio del colore: nella navata della cattedrale di Losanna, per es., lungo l'estradosso degli archi corre una profilatura bianca, la cui omissione costituirebbe una sorta di mancanza. In altri casi la decorazione medievale poteva invece avere un carattere ornamentale intricato (Brioude), creare finte strutture a sé stanti, laddove per es. una volta a crociera poteva essere trasformata in una cupola dipinta (Prüfening; Novara, oratorio di S. Siro); era infine possibile che predominassero rappresentazioni figurative.Lo studio dei capitelli romanici rivela inoltre l'esistenza di 'prodotti semilavorati' nei quali la pittura aveva il compito di integrare la forma plastica. Fra i secc. 9° e 13° vari esempi si trovano nel San Julian de los Prados a Oviedo, nel S. Isacco di Spoleto, a Oberzell nella Reichenau, nel Saint-Hilaire a Poitiers e nell'abbazia di Saint-Georges a Saint-Martin-de-Boscherville (Gélis-Didot, Laffillée, 1888-1890, tav. 32; Ruprich-Robert, 1889, tav. CLXVII), nella cripta del duomo di Anagni e nel coro della cattedrale di Losanna. Di solito però i capitelli erano compiuti e la decorazione pittorica, stesa in uno strato più o meno spesso, ne rivestiva le forme (Pavia, cripta di S. Teodoro; Angers, Saint-Martin; Berzé-la-Ville, cappella dei monaci). Altri capitelli, come nel caso di quelli in marmo del duomo di Modena, restavano privi di colorazione.La maggior parte degli edifici medievali presentava colorazioni; non sembra però possibile affermare che essi fossero completamente dipinti, tranne pochi edifici monumentali (Marburgo, Elisabethkirche). Nella cattedrale di Parigi la policromia esterna, secondo la testimonianza di Viollet-le-Duc, raggiungeva il livello della galleria dei Re (alcune sculture colorate che ne facevano parte sono state rinvenute nel 1977), seguiva una zona dipinta solo parzialmente (cornici delle finestre) e infine "la partie supérieure, perdue dans l'atmosphère, était laissée en ton de pierre" (Viollet-le-Duc, 1864). In molti casi solo in corrispondenza dei portali è possibile accertare la presenza di una ricca colorazione (nelle cattedrali di Modena e di Fidenza essa risulta tuttavia completamente assente, mentre a Ferrara la zona dipinta si estende anche più in alto). Gli ambienti interni sembra potessero invece rimanere più a lungo con la pietra a vista: secondo le fonti, sessanta anni vi sarebbe rimasta, prima di venire dipinta, la chiesa dell'abbazia di Weingarten, nel Baden-Württemberg, ottant'anni Saint-Truiden in Belgio, ca. cento anni San Benedetto Po. Le navate di alcune cattedrali gotiche francesi non furono mai completamente dipinte.Si può prendere in considerazione la possibilità che talvolta siano state realizzate delle pitture provvisorie. In alcuni edifici medievali francesi si trovano infatti sotto gli affreschi commessure realizzate a rilievo, la cui fattura molto accurata induce a ritenere che non fossero destinate a venir subito ricoperte d'intonaco: per es. a Le Ronceray d'Angers (Enguehard, 1969), a Méobecq, a Montoire, a Tours. In un primo momento le pareti venivano dipinte con poche note di colore (per es. Rotonda di Mantova); questo avveniva anche in edifici particolarmente importanti, come nella prima fase del duomo di Modena (Autenrieth, 1984). La realizzazione di un 'sistema completo' era, viceversa, naturalmente più facile nel caso di decorazioni piuttosto semplici (chiese romaniche della Vestfalia; seconda fase del duomo di Modena; S. Abbondio di Como; edifici gotici francesi). La completa assenza di pitture negli edifici poteva invece verificarsi per una determinata impostazione ascetica, come per i Cistercensi, oppure nel caso di edifici incompiuti; questa era la convinzione di Viollet-le-Duc (1864) riguardo alle cattedrali. Ipotesi del genere non risultano tuttavia valide né per la cattedrale di Basilea o per il S. Zeno di Verona, né per tutte quelle chiese le quali, nonostante fossero prive di decorazioni murali dipinte, erano però riccamente arredate con pale d'altare e immagini votive.Pur non essendo propria della mentalità medievale un'estetica dei materiali, la loro naturale bellezza era tuttavia in molti casi apprezzata. Il battistero di Parma al suo interno fu completamente dipinto, ma le membrature di marmo di Verona restarono prive di colore, mentre all'esterno, fra le parti scolpite policrome, vi sono anche rilievi non dipinti. Sculture dipinte potevano essere consapevolmente messe in contrasto con sculture non dipinte, come per es. nel Santo Sepolcro di Costanza (1283), dove a differenza delle sculture in arenaria esterne policrome, quelle all'interno non erano dipinte. Anche anteriormente al periodo gotico erano usate coloriture parziali (Freckenhorst, in Vestfalia; Lippoldsberg, in Assia; Cravant, in Turenna; chiesa abbaziale di Cerisy-la-Forêt, in Normandia); a questo proposito la testimonianza di un cronista, che intorno al 1185 scriveva di una chiesa in arenaria di Norimberga: "quadris ac naturaliter rubricatis lapidibus" (Lehmann-Brockhaus, 1938, nr. 998), testimonia come potesse essere apprezzata anche la semplice pietra.Iconografia dei colori. - La colorazione di un edificio medievale, oltre a seguire le leggi del gusto, poteva non di rado obbedire a esigenze di tipo araldico (scacchi rossi e bianchi dei Savoia nel castello di Chillon; losanghe bianche e azzurre nell'Alter Hof a Monaco di Baviera) o a ragioni di ordine simbolico: il bianco, per es., era il colore della luce, della purezza e dell'innocenza. Intorno al 670, in occasione della ristrutturazione di una chiesa di York si legge, in riferimento a Is. 1, 18: "parietes quoque lavans secundum prophetam super nivem dealbavit" (Knögel, 1936, nr. 997). Lo stesso significato scaturisce da una frase, spesso citata, di Rodolfo il Glabro (Vita S. Guillelmi abbatis Divionensis; PL, CXLII, col. 710), che è però di duplice interpretazione (Peroni, 1978). Un tipo di simbolismo 'figurato' era insito nell'azzurro stellato dei soffitti e nel verde dei capitelli a foglie. Il motivo ricorrente dei viticci poteva invece alludere al paradiso, in base a una simbologia che, analogamente a quella del cielo stellato, è comunque anteriore al Medioevo. Anche la pittura a finto paramento murario potrebbe essere interpretata come illustrazione dipinta di 1 Pt. 2,4. Nel periodo tardogotico, inoltre, le piccole nuvole multicolori su cui si librano gli angeli si trasformarono in una bordura ornamentale con funzione apparentemente solo decorativa, ma che conservava in realtà il suo riferimento celeste. Tale motivo si ritrova sulle volte e sulle nervature, come per es. a San Nazzaro Sesia (Piemonte), o su soffitti, come nel duomo di Viterbo.I colori, tuttavia, non hanno sempre una valenza simbolica: il bianco era infatti usato abitualmente anche nelle rocche e nei castelli, come nella White Tower a Londra, città nella quale, dopo l'incendio del 1212, esso fu prescritto per le locande (coquinae), intus et extra (Lehmann-Brockhaus, 1955-1960, nr. 2659). Fra i tipi di rosso, nelle a. dipinte, il vero colore del porfido 'imperiale' compare raramente (Milano, incrostazioni marmoree dipinte nel coro di S. Ambrogio) e non sempre con effettivo significato imperiale (semicolonna in S. Teodoro a Pavia). Molto diverso da questa tonalità raffinata è il rosso comune, il cui uso frequente si spiega semplicemente con la sua maggiore vivacità rispetto a quella di tutti gli altri colori; esso può avere tanti significati che devono essere interpretati volta per volta.Teoria e prassi. - La discussione sull'a. dipinta si è accesa nella prima metà del sec. 19° insieme alla questione della policromia dell'a. antica, che investe in realtà il problema della funzione del colore nell'ambito dell'a. ideale. Ai puristi e sostenitori dell'uso dei materiali al naturale si sono opposti i fautori della policromia, muovendo da concezioni diverse a seconda dei paesi d'appartenenza: in Francia, Viollet-le-Duc nel suo ultimo periodo; in Germania, Schäfer, Phleps e numerosi seguaci; in Italia, i due Mella, d'Andrade e Rubbiani. In Italia si è creata una situazione particolare: mentre infatti nel Settentrione sono prevalse le posizioni dei puristi francesi (puliture a Milano, Pavia, Modena e altrove), la presenza ininterrotta nella penisola di edifici riccamente dipinti, come a Padova e Assisi, ha comunque fatto in modo che la questione della policromia non fosse accesa come nei paesi d'Oltralpe, dove le scoperte di Saint-Savin-sur-Gartempe e Brunswick ebbero a suo tempo il carattere di una rivelazione. Dal sec. 19° l'Italia è stata comunque la zona d'indagine preferita da parte dei fautori della policromia medievale (Gruner, Braun, 1850; Street, 1855; Ottollini, Lose, 1867).Oggi va segnalato, sia negli studi sia nella prassi del restauro, un crescente interesse per gli intonaci e per le tinteggiature. Le impostazioni estetiche sono tuttora differenti: in Francia si ricerca ancora il purismo dei materiali (specie per quanto riguarda l'apparecchio murario), in Italia si ama conservare la patina, nei paesi di lingua tedesca si è abituati al rinnovo integrale sulla base dei reperti (nach Befund). La stessa bibliografia scientifica sull'argomento varia del resto molto da paese a paese: per l'Inghilterra, oltre alla fondamentale opera di Tristram (1944; 1950), è in corso la realizzazione di un nuovo inventario delle pitture murali esistenti; per la Germania e i paesi confinanti esiste un grandissimo numero di pubblicazioni (Kobler, Koller, 1981), mentre per Italia, Francia e Spagna rimangono ancora vuoti da colmare.
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