architettura e matematica
architettura e matematica Dal Partenone agli acquedotti romani, dalle cattedrali gotiche alle chiese barocche, dall’art nouveau al postmoderno: da sempre la matematica ha messo i suoi strumenti a disposizione della scienza del costruire e ne ha ricavato spunti per nuove speculazioni. A sua volta, con l’aiuto della matematica, il progetto architettonico ha sviluppato i canoni e le norme che mirano al raggiungimento della perfezione estetica.
Il primo a presentare un’architettura dell’universo espressa nei termini rigorosi e razionali della geometria è Platone nel Timeo. Scrive il filosofo greco che il demiurgo, sommo architetto-matematico, diede all’universo «una forma che gli era conveniente ed affine. Infatti, al vivente che deve comprendere in sé tutti i viventi è conveniente quella forma che comprende in sé tutte quante le forme. Perciò lo tornì arrotondato, in forma di sfera che si stende dal centro agli estremi in modo eguale da ogni parte, ossia la più perfetta di tutte le forme e la più simile a sé medesima, ritenendo il simile più bello del dissimile». E prosegue: «Ma la superficie piana e retta è costituita da triangoli. E tutti i triangoli derivano da due triangoli, aventi ciascuno un angolo retto e due acuti. Di questi triangoli, poi, alcuni hanno da ciascuna parte una parte uguale di angolo retto delimitata da lati uguali; altri, invece, hanno parti disuguali divise da lati disuguali».
Per vedere “all’opera” la matematica nell’architettura si può far riferimento ai numerosi esempi di applicazione del principio di simmetria e della nozione di sezione aurea. La simmetria è un rapporto proporzionale. È la proprietà di un tutto, le cui parti soddisfano una serie di corrispondenze numeriche. Come tale, la simmetria è presente sia nell’architettura greca sia in quella romana e si trova definita nel De Architectura di Vitruvio, architetto, ingegnere e trattatista romano. Il suo trattato in dieci libri, redatto attorno al 27 a.C., costituisce il più celebre trattato del genere nel mondo antico e l’unico pervenutoci; raccoglie il meglio dell’architettura e dell’urbanistica greca ed ellenistica, e costituisce una summa dell’intera problematica architettonica, dalla struttura della città ai materiali. Per la robustezza della sintesi e la perdita di molte fonti dirette, il testo, dopo la riscoperta nel Quattrocento, godette di enorme fortuna nel rinascimento e costituì un modello imprescindibile per la trattatistica architettonica, dall’Alberti al Palladio. Nel De Architectura, Vitruvio spiega che la simmetria «consiste nell’accordo armonico delle parti dell’opera stessa e nella loro corrispondenza fra ciascuna parte singolarmente presa e la configurazione complessiva». La simmetria evolve poi da un «rapporto di ragione» a un rapporto di uguaglianza tra parti che si corrispondono specularmente rispetto a un punto, a una retta o a un piano. In questa accezione è presente, per esempio, a Roma nell’Arco di Costantino (315 d.C.) dove si può ammirare un’evidente simmetria bilaterale.
L’architettura si è avvalsa della simmetria in modi svariati che possono essere ricondotti a due tipologie: una simmetria di struttura degli edifici e una simmetria nella decorazione degli stessi. Le simmetrie del primo tipo sono leggibili nelle piante delle costruzioni: si pensi alla simmetria bilaterale delle chiese a croce latina, alla più complessa simmetria assiale delle chiese a croce greca, alla simmetria ottagonale del duomo di Magonza, alle simmetrie poligonali di tanti battisteri (Pisa, Firenze), alla simmetria cilindrica del thólos di Epidauro e delle «rotonde» romaniche o di certi edifici rinascimentali o neoclassici. Le simmetrie del secondo tipo (assai spesso del resto combinate con quelle del primo) si valgono di un sapiente gioco di elementi architettonici (simmetria cilindrica della colonna, simmetria bilaterale dei capitelli, simmetria centrale dei rosoni, simmetria speculare delle bifore e delle trifore, simmetria sferica, poligonale o cilindrica di cupole e transetti).
Si ritrova la simmetria nell’arte medievale, che non conosce la prospettiva e tende a riprodurre le immagini frontalmente, seguendo una serie di schemi e di regolarità di tipo matematico. La si ritrova nel mondo della decorazione nei rosoni (che contengono simmetrie centrali o assiali), nei fregi (caratterizzati da traslazioni in un’unica direzione, che sono esattamente, come si è dimostrato, in numero di 7), e nei mosaici (o tassellazioni) che presentano invece traslazioni anche in direzioni diverse.
Un complesso architettonico che evidenzia l’importanza della simmetria e della geometria per la partizione dello spazio è il complesso architettonico della Piazza dei Miracoli a Pisa, segno della stretta collaborazione che si era andata instaurando tra artisti e matematici nella città toscana. Le evidenti simmetrie dei tre edifici del complesso (Duomo, Battistero e Torre) obbediscono a canoni diversi. In particolare, il Battistero presenta un disaccordo tra le simmetrie all’esterno e quelle all’interno dell’edificio, e profonde differenze anche all’esterno: il primo e il terzo livello hanno una simmetria rotazionale, in particolare icogesimale (realizzata con 20 finestre equidistanti), mentre il secondo livello ha solo 12 finestre e anche il tetto riprende la simmetria dodicesimale con le sue 12 nervature. Con tutta probabilità, questa evidente disarmonia è dovuta alla volontà dei costruttori dell’esterno del Battistero di riprendere la simmetria che nel frattempo era emersa dalla costruzione della Torre. La sua simmetria rotazionale, pentadecagonale e trentagesimale, è estremamente rara nella storia dell’architettura e si può spiegare nella Pisa di quei secoli unicamente ricordando le strette relazioni sussistenti all’epoca tra tecniche architettoniche e pensiero scientifico. I matematici arabi e pisani, che vivevano in Toscana all’epoca di Fibonacci o poco prima, erano gli unici a saper determinare le misure di un pentagono e di un pentadecagono regolari!
Dal punto di vista della struttura algebrica, le simmetrie costituiscono un gruppo. La dimostrazione che nel piano esistono esattamente 17 gruppi di simmetrie risale al 1891 e ai lavori di E.S. Fëdorov che giunge a questa conclusione dopo la scoperta nel 1890 dei 230 gruppi cristallografici. Ma tutti i 17 gruppi di simmetrie sono visibili nei mosaici che decorano i soffitti e le pareti dell’Alhambra, il grande complesso architettonico costruito tra il 1230 e il 1354 e che a Granada rappresenta l’apogeo della cultura moresca in Spagna.
Anche l’impiego della sezione aurea in architettura risale alla civiltà greca. La sezione aurea di un segmento di lunghezza L è una sua parte (di lunghezza l) che risulta media proporzionale tra l’intero segmento e la parte rimanente. Si ha cioè L : l = l : (L − I). Dalla proporzione si ricava l 2 = L2 − IL ovvero L2 − lL −I 2 = 0 da cui segue che x = L/l deve soddisfare l’equazione x 2 − x − 1 = 0. Dovendo scartare la soluzione negativa, si ottiene per x il valore (1 + √(5))/2 dato approssimativamente da 1,618. La prima chiara definizione di questo rapporto (che nel Cinquecento sarebbe stato chiamato aureo), già noto a Pitagora e a Platone, si trova in Euclide che negli Elementi parla di «dividere un segmento in estrema e media ragione» e utilizza in particolare il rapporto aureo per la costruzione di un pentagono regolare. Si parla allora di rettangolo aureo per indicare un rettangolo in cui il rapporto tra la base e l’altezza è dato dalla sezione aurea. Il valore (1 + √(5))/2 è un numero “magico” che si ritrova in molte forme naturali e geometriche, per esempio nel pentagono: in tale poligono regolare il rapporto tra la misura di una diagonale e quella di un lato è uguale a (1 + √(5))/2, così come si tagliano in parti che stanno tra loro in proporzioni auree (sempre in un pentagono regolare) due diagonali che non hanno alcun vertice in comune. Il valore (1 + √(5))/2 è anche legato alla cosiddetta successione di Fibonacci e al suo famoso problema dei conigli: «Un tale pose una coppia di conigli in luogo circondato da pareti. La coppia iniziò a riprodursi a partire dalla fine del primo mese e ogni mese generò una nuova coppia di conigli. Tutte le altre coppie, nate nel corso dell’anno, iniziarono a riprodursi a partire dal secondo mese dopo la nascita e anch’esse generarono una nuova coppia ogni mese. Quante coppie di conigli nascono complessivamente in un anno?». Il problema presentato nel Liber abaci porta alla costruzione di una successione numerica in cui ogni termine è uguale alla somma dei due che lo precedono: an = an−1 + an−2. Ebbene, il rapporto tra un generico termine della successione e il precedente tende proprio a (1 + √(5))/2.
La più famosa e antica tra le strutture architettoniche in cui è riconoscibile il rettangolo aureo è il Partenone di Atene, costruito su progetto di Fidia tra il 460 e il 430 a.C. in onore di Pericle che aveva salvato Atene durante le guerre persiane. La presenza di svariati rettangoli aurei dà al complesso un aspetto armonico e produce una sensazione di profondo equilibrio, anche se rimane problematica la risposta all’interrogativo se Fidia abbia operato davvero consapevolmente lungo le direttrici della sezione aurea. Un altro esempio del ricorso al rapporto aureo è visibile nell’Arco di Adriano nel Propileo, sempre sull’acropoli ateniese, nella costruzione generale e nella specifica collocazione delle conchiglie e di altre suppellettili sulla cima dell’arco. Gli esempi non mancano nemmeno in tempi successivi. Nella Basilica di San Vitale a Ravenna (vi secolo d.C.) il raggio del cerchio inscritto nell’ottagono interno sta in rapporto aureo con quello del cerchio circoscritto alle esedre, il quale, a sua volta, è in sezione aurea rispetto al raggio del cerchio circoscritto all’ottagono esterno. Anche Castel del Monte, il castello-fortezza fatto costruire da Federico ii in Puglia nel secolo xiii, con pianta ottagonale che si ripete negli otto torrioni angolari e nel cortile centrale, presenta nella sua struttura riferimenti alle proporzioni auree, come altri insigni monumenti dell’architettura civile e religiosa (per esempio, la cattedrale di Chartres in Francia e il Palazzo della Signoria a Firenze). Le esemplificazioni non subiscono limiti temporali. Si ritrova la sezione aurea e la successione di Fibonacci a essa collegata anche nel Novecento, per esempio nella progettazione di Le Corbusier e nella formulazione del suo Modulor (1942-48), il modulo nato dall’esigenza di pensare e progettare spazi a misura d’uomo: esso offre una scala dimensionale basata appunto sulla sezione aurea e definita attraverso due successioni di Fibonacci (che l’architetto chiama la serie rossa e la serie blu) rapportate alle dimensioni del corpo umano. Una figura umana stilizzata con un braccio steso sopra il capo si trova vicino a due misurazioni verticali, la serie rossa basata sull’altezza del plesso solare (108 cm nella versione originale, 1,13 m nella versione rivista) poi divisa in segmenti secondo il ϕ, e la serie blu basata sull’intera altezza della figura, doppia rispetto all’altezza del plesso solare (216 cm nella versione originale, 2,26 m nella rivista), e divisa in segmenti allo stesso modo. Una spirale, sviluppata graficamente tra la serie rossa e la blu, pare simulare il volume della figura umana.
Il canone estetico basato sul rispetto delle proporzioni conserva la sua centralità anche nel rinascimento, alimentato dalla riscoperta dei classici. La simmetria continua a essere principio ispiratore nella progettazione degli edifici e delle loro piante, come mostra per esempio la Basilica di San Pietro (1452-1626) a Roma. Cerchi e sfere vengono considerati l’espressione perfetta dell’armonia: il pensiero corre subito alla cupola (1418-46) realizzata in Santa Maria del Fiore dal Brunelleschi, non a caso attento conoscitore del Pantheon romano, un edificio la cui geometria è davvero unica: a pianta circolare, è dominato da una grandiosa cupola semisferica in cui si apre un oculo di 30 piedi romani di diametro senza copertura, unica fonte di luce per la costruzione, che esibisce all’interno una struttura semplice e armoniosa riducibile a una sfera tangente a un cilindro. Con Brunelleschi e la scoperta della prospettiva, ancor prima della formalizzazione offerta dalla geometria proiettiva di Desargues, nasce una nuova concezione delle relazioni spaziali che Leon Battista Alberti – i 10 libri del suo De re aedificatoria, che sviluppano idealmente il De Architectura di Vitruvio, sono del decennio che va dal 1443 al 1452 – si incarica di veicolare in una pratica architettonica in cui i modelli diventano parte integrante del processo di progettazione. Di nuovo non è un caso che Alberti sia nello stesso periodo anche autore di un’opera come i Ludi matematici, in cui affronta problemi di topografia e di balistica.
La prospettiva contribuisce a introdurre nuove forme geometriche. La circonferenza lascia talora il posto all’ellisse, con la consapevolezza che tutte le coniche trovano una loro legittimazione come proiezione della circonferenza. Nella Roma barocca, Gian Lorenzo Bernini disegna il tracciato di piazza San Pietro approssimando un’ellisse con 4 archi circolari e nelle sue chiese, pure a pianta centrale, mostra di apprezzare il dinamismo indotto dalla forma ellittica. In quello che è il capolavoro della sua maturità, Sant’Ivo alla Sapienza (1642-62) a Roma, Francesco Borromini ricorre a espressioni geometriche sino ad allora impensabili, fino a inserire una lanterna spiraliforme ottenuta attraverso una elicoide conica.
È matematico e architetto Guarino Guarini che, come uomo di scienza, è noto per il suo Euclides adauctus et methodicus (1671, 1676) e gli studi sulle sezioni coniche e la geometria descrittiva. L’architetto Guarini è invece ricordato per la sua attività a Messina e a Torino (dove è ingegnere e matematico alla corte di Carlo Emanuele di Savoia), per le cupole ad archi intrecciati che sembrano voler esaltare il «miracolo della luce» e della geometria, e per quattro trattati pubblicati nel 1737 con il titolo di Architettura civile, in cui si afferma che «l’Architettura, come facoltà che in ogni sua opera adopera le misure, dipende dalla Geometria». È di Guarini la Cappella della Sindone (1667-90) a Torino con il ripetuto ricorso alla forma del triangolo equilatero – il triangolo costituisce il poligono primo, l’indivisibile, l’atomo delle rappresentazioni geometriche – e in cui ogni partizione (sia in pianta sia in alzato) è basata sui numeri 3, 6,12 e 36.
Nello stretto rapporto che storicamente intercorre tra architettura e matematica, altre variabili (culturali o tecniche) portano via via a privilegiare forme geometriche diverse. L’attenzione verso la simmetria, il cerchio (eventualmente nella sua variante ellittica) e i rapporti aurei rimane comunque costante e al centro dei diversi canoni estetici. Bisogna aspettare i decenni a cavallo tra Otto e Novecento per assistere, con Antoni Gaudí, a un cambiamento radicale. Gaudí ricama Barcellona con le sue opere di apparente irregolarità e di una fantasia esuberante e immaginifica che sembrano dettate dal caso, come forme naturali spontanee senza alcuna regola e coerenza. Sono in realtà costruite con grande scientificità e rigore e trasudano formalizzazioni matematiche e geometriche. A Barcellona, la matematica è in ogni angolo: negli splendidi archi parabolici del Collegio di Santa Teresa (1889-94) o di Casa Milá (1905-10) e nelle coperture di quasi tutte le opere di Gaudí. L’architetto catalano utilizza fondamentalmente due curve matematiche: la parabola e la catenaria, la forma che assume una catena omogenea e libera di pendere in virtù del suo peso, fissata solo agli estremi, e che analiticamente è rappresentata dalla funzione coseno iperbolico: y = coshx = (ex + e−x)/2. Le configurazioni che ottiene, con la novità di queste curve aperte che hanno un punto all’infinito, sono di grande stabilità e resistenza alle sollecitazioni. Attraverso l’uso combinato di parabole e catenarie, Gaudí realizza dei modelli di cui controlla la stabilità progettandoli e costruendoli, capovolti, con corde alle quali appende dei sacchetti di sabbia. A seconda della loro disposizione, le corde assumono l’andamento di una parabola (quando i sacchetti si distribuiscono uniformemente lungo la direttrice e presentano pertanto la stessa distanza da un piano orizzontale) oppure di una catenaria, se i sacchetti si distribuiscono uniformemente lungo la curva stessa.
Il testamento culturale di Gaudí è rappresentato dalla Sagrada Familia (dal 1882), dove le scale di accesso alle torri della cattedrale offrono uno splendido esempio di elicoide leggermente conico. Né è possibile trascurare le terrazze delle case, arricchite da variopinti camini e impianti di aerazione anch’essi costruiti ricorrendo a forme geometriche quali paraboloidi e iperboloidi, spirali, sinusoidi, curve arrotondate o ancora alle superfici rigate e al motivo delle rampe elicoidali così frequente nelle colonne e in numerose scale a chiocciola.
Con il Novecento il cambiamento è ancora più profondo e radicale e si arricchisce delle possibilità offerte dai nuovi materiali e dallo sviluppo tecnologico. Si adottano forme classiche mai usate prima per la struttura di un edificio come accade, per esempio, per la rampa elicoidale del Guggenheim Museum (1943-58) di Frank Lloyd Wright. Il razionalismo lascia il posto ad architetture «in movimento» che vanno oltre l’uso esclusivo della linea retta. Oscar Niemeyer afferma: «Non è l’angolo retto che mi attira. Neppure la linea retta, dura, inflessibile, creata dall’uomo. Quello che mi attira è la linea curva, libera e sensuale. La linea curva che ritrovo nelle montagne del mio paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle nuvole del cielo, nel corpo della donna amata. L’universo intero è fatto di curve. L’universo curvo di Einstein». Tra i nuovi materiali, il cemento armato è protagonista della ricerca architettonica di Le Corbusier. «Il cemento ha dato avvio a questa rivoluzione. Ma non è detto che ne resterà ancora per molto tempo il supporto. In un prossimo futuro verrà sicuramente sostituito da materiali leggeri, più malleabili». Sono parole del musicista Iannis Xenakis, a cui Le Corbusier chiede di collaborare per la realizzazione del Padiglione Philips commissionatogli dall’azienda nel 1956 a Bruxelles con queste parole: «Vorrei che facesse il Padiglione Philips senza che sia necessario esporre nessuno dei nostri prodotti. Una dimostrazione tra le più ardite degli effetti del suono e della luce, dove il progresso tecnico potrebbe condurci in avvenire». Era insomma, nelle parole della dirigenza della Philips, la richiesta di un simbolo e di un’immagine perenne. Dalla sinergia tra Le Corbusier e Xenakis scaturisce la forma geometrica del Padiglione costruita da paraboloidi iperbolici con splendide cuspidi, che sottolineano la forza del messaggio e il protendersi verso un futuro innovativo e progressista. Scrive ancora Xenakis: «Fino a questo momento, cioè fino al Padiglione Philips, queste superfici non erano mai state utilizzate in una sintesi d’insieme che escludesse le pareti verticali e un’ossatura estranea alla loro natura. Era per me un’occasione unica immaginare un edificio costituito nella struttura e nella forma solamente da paraboloidi iperbolici e da conoidi e che fosse autoportante».
Il punto di partenza della ricerca di Xenakis è un problema di minimo. È convinto che l’architetto debba porsi i problemi in modo diverso dal passato chiedendosi «quale forma geometrica deve avere la copertura affinché la quantità di materiale che la costituisce sia minima». Il tema dell’ottimizzazione è alla base anche dei lavori dell’architetto tedesco Frei Otto e di tutta la scuola di Stoccarda da lui fondata che si ispirano al problema matematico delle superfici minime, proposto nel xix secolo dal fisico belga J. Plateau e che consiste nella ricerca della superficie di area minima che abbia come suo bordo una determinata curva assegnata nello spazio. In natura è relativamente semplice individuare queste forme ottimali: è sufficiente permettere a una pellicola di sapone di sottendere la configurazione al bordo desiderata. Se la superficie non si rompe, allora è in equilibrio stabile e quindi minimizza l’area. Non a caso Otto ha usato le pellicole di sapone come principale strumento per i suoi progetti architettonici che hanno portato, tra l’altro, alle realizzazioni del Padiglione tedesco dell’Esposizione mondiale di Montreal del 1967, al tetto dello stadio olimpico di Monaco di Baviera e di quelli delle arene olimpiche di atletica e di nuoto. Sono costruzioni in cui l’architetto ha dovuto prendere atto che le superfici minime presentano anche alcune criticità dal punto di vista strutturale dato che, quando si abbandona il modello, entra in gioco il peso della struttura che è invece del tutto trascurabile fino quando si tratta di bolle di sapone. Sempre alla ricerca di una forma ottimale, e sempre con l’aiuto di piccoli modelli di lamine saponate, si è mosso l’ingegnere e architetto italiano Sergio Musmeci (1926-81) nella progettazione del ponte sul Basento, a Potenza. Scrive Musmeci: «Mi sono divertito a determinare la forma dell’arco limite, cioè di un arco che porta solo sé stesso. Esso ha la sagoma la cui equazione è y = log(cosx), a parte le costanti moltiplicative che tengono conto della resistenza del materiale».
Un problema di ottimizzazione affronta anche Richard Buckminster Fuller nella progettazione e realizzazione tra il 1948 e il 1956 delle sue famose cupole geodetiche, ottenute mediante strutture tubolari collegate come i lati di una triangolazione secondo il principio della decomposizione di superfici mediante poligoni: lo scopo era quello di realizzare una struttura che avesse la massima capienza possibile all’interno (proprietà tipica della sfera) e che fosse nel contempo molto stabile (stabilità garantita dalla struttura triangolare). Muovendo dall’icosaedro, che ha 20 facce costituite da triangoli equilateri, si individua il centro di ogni faccia circolare e si tracciano altri triangoli più piccoli in modo che la struttura viene spinta verso l’esterno; si compie la stessa operazione su ogni faccia dell’icosaedro aumentando così il volume e poi la si ripete incrementando il numero dei triangoli: con il crescere del volume le cupole geodetiche diventano non solo più leggere ma anche più resistenti.
Con gli anni Settanta-Ottanta del Novecento il legame tra matematica e architettura appare sempre più saldo, testimoniato com’è da convegni e riviste che indagano sulle fruttuose intersezioni tra le due discipline. L’architetto progetta oggi in team a cui partecipano ingegneri, matematici, fisici, supportato da una potente e raffinata strumentazione informatica. Nelle opere dell’architetto spagnolo Santiago Calatrava e del canadese Frank Gehry la forma si fa sempre più audace, tra enfasi strutturale e virtuosismi plastici, ma è supportata da rigorose analisi ingegneristiche. L’architetto statunitense Peter Eisenman nel progetto del Max Reinhardt Haus del 1992 sperimenta, attraverso la forma del nastro di Möbius, il concetto di spazio “ripiegato” come alternativa al reticolo ordinato dello spazio cartesiano. Nella ricostruzione del Reichstag di Berlino (1993-99), l’architetto britannico Norman Foster introduce una cupola classica nella forma, ma innovativa nei materiali; alla cupola si accede attraverso una rampa a spirale che ne risale le pareti trasparenti mentre la lanterna è interna alla cupola e rovesciata e si presenta così come una “scultura di luce”.
È stato detto che il computer consente la non-forma, il caos nella forma: poche informazioni sono sufficienti per produrre con estrema libertà forme complesse e caotiche. In questo modo progetta uno dei maggiori architetti contemporanei: Zaha Adid, laureata in matematica a Baghdad e poi architetto a Londra. Le sue forme si generano digitalmente da un’idea iniziale e si evolvono – a volte attraverso processi iterativi – fino all’inverosimile. Accanto a forme classiche, seppur esasperate (si pensi ad alcune architetture di Norman Foster e Jean Nouvel) se ne ritrovano altre che sembrano descrivere fantastici mondi futuri. «Le piante dei progetti che ho creato in questi anni – dichiara la Adid – sono state influenzate dalla frammentazione, dal caos calcolato e dalle nuove figure dello spazio immaginate dai suprematisti». Il recente linguaggio architettonico fiorisce attraverso i nuovi strumenti digitali di modellizzazione che consentono una continua variazione della forma nella progettazione. Si ottiene così non più uno spazio ordinato, ma «uno spazio generato da linee e campi di forze» secondo geometrie agili che disegnano forme dinamiche e fluttuanti. È la fine, del tutto provvisoria, di una storia che era cominciata con la perfetta simmetria del cerchio e dei rapporti aurei.