INDUSTRIALE, ARCHITETTURA
. L'architettura industriale propriamente detta è un prodotto del secolo XX.
I primi fabbricati industriali dell'800 non si possono considerare come opere architettoniche, perché progettati come una serie di ambienti destinati ad accogliere macchine; e come la macchina al suo primo apparire venne considerata l'antitesi dell'arte, così il fabbricato industriale, destinato al lavoro o alla produzione delle macchine, fu considerato fuori dell'architettura, quasi l'antitesi dell'architettura. Quest'ultima era troppo considerata ornamento della parete esterna dei fabbricati e troppo legata in quest'ornamento a schemi presupposti, perché si potesse pensare di trarre partito di bellezza dai ritmi inusitati proprî delle nuove strutture. Ne venne che quando in qualche caso si volle dare al fabbricato industriale una veste architettonica, si tentò risolverla con i medesimi schemi e le medesime forme in uso per l'architettura civile; sì che fra l'utilità e la bellezza, una fu senz'altro sacrificata all'altra; e talvolta, in un tentativo di compromesso, si sacrificarono entrambe.
Poi, con l'accresciuto riconoscimento della funzione sociale del lavoro e dell'importanza che sul lavoro stesso esercitano le condizioni di ambiente, si cominciò ad attribuire ai fabbricati industriali importanza maggiore; e quando lo sviluppo sempre crescente dell'industria e il definirsi delle necessità derivanti da questo fenomeno ebbe fatto riconoscere nel lavoro delle officine uno degli aspetti caratteristici della civiltà nuova, si pensò che forse proprio le officine potevano offrire forme tipiche alla nuova architettura; si cominciò a sentire che quell'unione di pilastri e di travature, quelle grandi pareti vetrate, quell'insieme di torri e di edifici scaturiti dalla necessità e dal calcolo erano forse suscettibili d'una loro estetica particolare e d'una loro armonia intimamente legata alla funzione; inoltre il più diffuso impiego e la maggiore conoscenza dei nuovi materiali e delle loro possibilità portò a riconoscere che, pur rimanendo nel campo dell'utilità e della necessità, si poteva arrivare al bello e soprattutto che, pur obbedendo alle leggi ferree del calcolo, non era esclusa la possibilità dell'arbitrio e della creazione. Ne è venuta un'arte intimamente legata alla struttura del fabbricato e ricercante in questa la ragione intima di bellezza, un'arte a cui ferro e cemento hanno offerto un nuovo senso della statica e una nuova conformazione volumetrica, come la copertura a vòlta l'aveva offerta all'architettura romana.
Soddisfazione piena delle esigenze interne sinceramente espresse all'esterno, abolizione di tutto ciò che attraverso la simulazione o la sovrapposizione potrebbe falsare l'essenza della costruzione, tendenza alla semplicità e all'economia di mezzi espressivi, ricerca dell'effetto non più nel particolare decorativo ma nel ritmo delle forme ripetute o nel contrasto violento dei volumi, architettura di massa sempre; tendenza sempre più spinta allo studio d'insieme dei fabbricati inerenti alla medesima industria; spostamento quindi dell'interesse dal valore architettonico al valore edilizio: questi i principî generali informatori dell'architettura industriale che offre agli architetti un campo d'una vastità e d'una varietà che si può dire non trovi riscontro in nessun'altra branca della costruzione perché è tale la diversità delle esigenze e delle condizioni di ubicazione e lavorazione che quasi a ogni fabbricato l'architetto può dare una fisionomia inconfondibile, pure se ad alcuni tipi d'industrie corrispondano determinati schemi e determinati volumi.
Tutta la gamma degli edifici industriali destinati al lavoro (escludendo quindi costruzioni speciali come silos, serbatoi, camini e ambienti destinati a usi particolari) può riportarsi a tre tipi principali corrispondenti a diverse esigenze interne di lavoro e aventi, come conseguenza, differenti condizioni d'illuminazione: 1. I capannoni, edifici molto più estesi nel senso planimetrico che nell'altimetrico, generalmente addossati l'uno all'altro e costituenti spesso un unico grande ambiente diviso da pilastri, in cui l'illuminazione giunge quasi esclusivamente dall'alto. I tipi di capannoni sono svariatissimi, sia per la differente luce delle campate, sia per i diversi sistemi di copertura che può essere piana con lucernai sovrapposti, o a tetto con falde per lo più asimmetriche, essendo la più vicina alla verticale riservata all'illuminazione, o a vòlta con speciali sistemi di vòlte leggere in cemento sulla cui superficie si aprono le lunghe finestre longitudinali. 2. Le tettoie, grandi ambienti di tipo basilicale a 1, 30 più navate destinate soprattutto all'industria pesante; di dimensioni talvolta imponenti, coperte generalmente a tetto, e illuminate sia superiormente sia lateralmente. 3. Edifici a più piani, in cui l'illuminazione è esclusivamente laterale e che meno si differenziano nello schema costruttivo dalle costruzioni civili.
Negli edifici a un sol piano spesso insignificanti all'esterno la ricerca architettonica è quasi sempre rivolta allo studio dell'ambiente interno, in cui la nota saliente è data dalle strutture di copertura spesso meravigliosamente ardite per la vastità degli ambienti coperti; gli edifici a più piani offrono invece un maggior campo allo studio puramente architettonico della facciata, studio rivolto quasi esclusivamente al ritmo dei pieni e dei vuoti e all'accentuazione dei pilastri o dei correnti di piano, sì da ottenere degli effetti basati prevalentemente sulla suddivisione in senso verticale o orizzontale dell'intero edificio; talvolta la necessità d'aumentare la luce in rapporto alla vastità degli ambienti interni porta ad arretrare tutte le strutture portanti, sì che la facciata si presenta quasi come una enorme gabbia di vetro e d'acciaio.
Spesso i tre tipi di fabbricati si trovano contemporaneamente in diversi reparti del medesimo opificio e contribuiscono insieme ad alcuni elementi particolari, quali le scale, i serbatoi e i camini, a creare quell'insieme caratteristicamente scenografico proprio di alcuni stabilimenti industriali.
La scelta del tipo fabbricativo estensivo o intensivo, quasi mai arbitraria, e influenzata da una serie di circostanze direttamente legate all'industria cui è destinato il fabbricato, quali ad es.: le necessità d'impianto e d'esercizio specie in rapporto ai cicli di lavorazione, il tipo delle macchine impiegate per ciò che riguarda il loro peso, le loro dimensioni e soprattutto l'intensità delle vibrazioni trasmesse al fabbricato, le necessità d'illuminazione naturale in rapporto alle dimensioni necessarie per l'ambiente di lavoro. Le fonderie, le industrie siderurgiche, le metallurgiche pesanti, le centrali idro e termo-elettriche, le fabbriche d'esplosivi, le segherie, ecc. richiedono normalmente edifici a un sol piano; e a un sol piano saranno inoltre, in tesi generale, i fabbricati destinati a industrie in cui siano gravi i pericoli d'incendio e in cui abbia luogo forte produzione di calore o emanazioni di gas nocivi. Alcune industrie invece, quali mulini, fabbriche di birra, alcune industrie chimiche, ecc., richiedono, per i particolari cicli di produzione, fabbricati a più piani. Altri stabilimenti, infine, quali le industrie metallurgiche leggiere, le tessitorie, le filande, le industrie seriche e affini, le industrie agrarie, i calzaturifici, i mattatoi, ecc., possono in tutto o in parte adottare indifferentemente i due sistemi.
Ma su tale scelta influiscono anche altri fattori, quali ad es. la maggiore o minore necessità di vicinanza ai centri di produzione della materia prima, alle vie di comunicazione o ai centri urbani, necessità che si riflettono sul costo e quindi sulla disponibilità d'area fabbricabile; il costo della costruzione che è indubbiamente minore, a parità di superficie utilizzabile, per le costruzioni a più piani e la spesa per l'impianto e l'esercizio del riscaldamento, minore anch'essa nei fabbricati intensivi, le previsioni d'ampliamento della fabbrica, ecc.
Sotto il riguardo costruttivo, i fabbricati industriali, pur senza escludere l'impiego dei vecchi materiali e sistemi, come ad esempio la muratura di mattoni o di pietrame, i solai con travi di ferro e le normali coperture a tetto, ricorrono soprattutto all'adozione di scheletri indipendenti di materiale elastico: legno, ferro e cemento armato. Il primo, in un primo periodo quasi abbandonato per i pericoli d'incendio, ritorna oggi in uso, specie nelle regioni che ne sono ricche, sia perché si è riconosciuto che in caso d'incendio rappresenta pericoli forse inferiori a quelli del ferro, sia in virtù di moderni processi ignifughi che ne impediscono, o per lo meno ne rallentano di molto la combustione. Il secondo, che col sistema delle aste chiodate o saldate ha completamente sostituito i primitivi schemi a sostegni di ghisa, è ancora molto adoperato specie per coperture di grandi tettoie, e nei casi in cui si richiede una rapidissima costruzione; ma viene sempre in maggior misura soppiantato dal mezzo più moderno: il cemento armato; più monolitico, più adattabile a qualunque schema, più atto a realizzare anche le pareti, meno soggetto ai pericoli d'incendio e al deterioramento del tempo. Anche dal punto di vista estetico il cemento sostituisce vantaggiosamente il ferro, perché di questo meno esile e scheletrico e più atto a realizzare forme ardite ma plastiche, snelle ma anche esteticamente robuste; più libero nella concezione, esso lascia, pur entro i limiti del calcolo matematico, una maggiore possibilità di creare le forme e di dare quindi alla fabbrica impronta d'arte.
Converrà osservare che pur essendo necessaria nella progettazione di queste strutture la collaborazione di tecnici specializzati, sia per ciò che riguarda le esigenze distributive dell'organismo che si progetta, sia per ciò che riguarda la calcolazione esatta delle strutture resistenti, è assolutamente indispensabile all'architetto avere una profonda conoscenza in ambedue i campi, perché appunto nell'ambito delle necessità organizzative egli deve trovare gli elementi della sua composizione d'insieme, e dalle leggi funzionali della struttura egli deve trarre lo spunto a creare forme che siano tipiche del materiale impiegato e che rivelandone gli sforzi e le sollecitazioni gli conferiscano quasi il senso di cosa viva.
Questo estetismo della struttura, queste linee concepite nel clima della funzione, questa sincerità che dà all'architettura un contenuto essenzialmente meccanico, tendono sempre più a uscire dal campo delle costruzioni industriali per invadere gli altri campi dell'architettura. Fino a che punto questo sia possibile, e soprattutto quanto questo sia bene ai fini dell'arte, oggi, in periodo di completa evoluzione e di studio, è certo prematuro stabilire; certo è che partendo dallo stesso presupposto di sincerità, ad altri temi dovranno corrispondere altre soluzioni; ma è pur certo che i risultati raggiunti in questo campo dell'architettura hanno già nettamente spostato la ricerca dal particolare all'insieme, dalla superficie al volume, dall'analisi alla sintesi, e hanno dimostrato che ad onta del primo inevitabile disorientamento portato dai nuovi sistemi costruttivi, è ancora possibile conciliare il necessario col bello, la logica con l'arte. Indipendentemente quindi dalle forme raggiunte, che sono proprie dei temi risolti e che forse è bene per questo non escano dal campo che le ha prodotte, le costruzioni industriali hanno dimostrato una possibilità e hanno indicato una via.
V. tavv. LI e LII.
Bibl.: Utz e Campazzi, Fabbricati e impianti industriali moderni, Milano 1926; E. Bonicelli, L'architettura industriale, Torino 1930; G. Minnucci, Architettura Industriale, in Architettura e arti decorative, anno V (1925).