ARCHITETTURA - Islam
L'a. è una delle espressioni più vitali dell'Islam perché in grado di realizzarne i programmi. Come è stato evidenziato da Marçais (1928), l'Islam è infatti una religione essenzialmente cittadina, che ha quindi in costruzioni tipicamente urbane, come la moschea, il bagno e il bazar, le sue strutture basilari. In origine l'a. non è in realtà affatto congeniale alla gran massa dei beduini che alla metà del sec. 7°, infiammati dalle parole di Maometto, parteciparono alla conquista del mondo antico per il trionfo della nuova fede. Sebbene sia troppo restrittivo il giudizio secondo il quale gli Arabi avrebbero contribuito alla civiltà islamica fornendo solo una religione, una lingua e una scrittura, è pur vero che le loro cognizioni architettoniche erano particolarmente limitate. La maggior parte di essi abitava in tende di lana di cammello e una minoranza di sedentari risiedeva in case semplicissime di mattoni crudi, senza alcuna pretesa estetica. Lo stesso Profeta sosteneva che "un edificio è la più vana delle imprese che possano divorare la ricchezza di un credente" (Ibn Sa'd, al-Ṭabaqāt al-kubrā, a cura di H. Sachau Leyde, 1905-1940, I, 2, p. 181; VIII, p. 120) e, quando dalla Mecca si trasferì a Medina, nel 622, abitò in un'umile casa dai muri d'argilla, con una tettoia di tronchi di palma, su un lato del cortile interno, coperta da un tetto di fango e frascame, sotto la quale sedeva a conversare con i compagni o a meditare. Nella stessa abitazione dopo la morte di Maometto (632), che era stato sepolto nella medesima stanza che aveva occupato da vivo, risiedette anche il suo successore, il califfo Abū Bakr. Per tutte queste ragioni la casa andò acquistando caratteri di sacralità che dovevano favorirne la trasformazione in moschea (707-709) e in uno dei luoghi più venerati dell'Islam.L'esigenza di creare edifici monumentali e luoghi di culto, capaci di reggere il confronto con le creazioni classiche e cristiane da una parte, iraniche dall'altra, sorse per l'Islam solo verso la fine del sec. 7°, quando, consolidate le conquiste, si procedette all'urbanizzazione della masse beduine. I confini dell'Islam si erano allora estesi dall'Atlantico all'India e la prima dinastia nazionale islamica avvertì la necessità di rendere concreti, fuori dell'Arabia, i segni esteriori dell'Islam trionfante sui più civilizzati imperi vinti. Il trasferimento della capitale da Medina a Damasco, operato dagli Omayyadi, si rivelò un atto di grande portata storica in quanto, indebolendo l'egemonia araba, pose le premesse per quell'universalizzazione dell'Islam che sarebbe stata portata a compimento nel susseguente periodo abbaside. Esso fu fondamentale anche dal punto di vista artistico, perché favorì il proficuo incontro fra il mondo semitico e quello ellenistico-romano, su un territorio - la Siria - che le tribù arabe preislamiche dei Ghassanidi e dei Lakhmidi, tributarie le une dei Bizantini, le altre dei Sasanidi, avevano predisposto per quella sintesi che l'Islam avrebbe operato fra l'arte tardoantica e quella orientale. Alle prime forze creatrici che determinarono la formazione dell'a. omayyade si aggiunsero poi le tradizioni locali, che interagirono e si integrarono nei numerosissimi territori dell'espansione islamica (la penisola iberica, la Sicilia, l'Africa del Nord - dal Marocco all'Egitto -, l'Africa orientale, la Turchia, la penisola balcanica, il Vicino Oriente, tutta la penisola arabica, gli attuali Iraq, Iran, Afghanistan e l'Asia centrale oggi sovietica, quindi il subcontinente indiano, l'Indonesia e parte della Cina) durante gli oltre dieci secoli della sua evoluzione. Nel sec. 18° iniziò la decadenza in uno con il progressivo avvicinamento alle forme artistiche europee. Se gli influssi iranici - achemenidi e sasanidi - affioravano anche fra le componenti ellenistiche e cristiane della prima a. omayyade, essi divennero più evidenti nel periodo abbaside, insieme con suggerimenti centroasiatici giunti dal Khorasan con i pretoriani turchi dei califfi. Durante il periodo della c.d. rinascenza iranica, i Samanidi posero volutamente in risalto elementi sasanidi, mentre in Egitto i Tulunidi privilegiavano gli influssi dell'Asia centrale, che dovevano diventare preponderanti con i Turchi Ghaznevidi, ai confini orientali del mondo islamico. Più tardi, i Turchi Selgiuqidi introdussero in Persia e in Anatolia motivi dell''arte delle steppe', mentre con i Mongoli Ilkhanidi e i Timuridi giungevano fino al Vicino Oriente influenze dell'Asia estremo-orientale. In altre località affioravano influssi strettamente locali, come quelli visigoti in Spagna o berberi nell'Africa settentrionale.Nonostante questa molteplicità di manifestazioni, è tuttavia sorprendente constatare come, nel complesso, la civiltà islamica presenti un aspetto straordinariamente unitario, in quanto essa ha saputo assorbire e trasformare gli apporti più diversi, piegandoli alle proprie esigenze e fondendo in sé ogni differenza di cultura o di stirpe di tutti i popoli che ne fecero parte, spesso lontanissimi fra loro (e non solo geograficamente), ma accomunati dall'osservanza della stessa assolutistica religione: l'Islam. Ultima fra le grandi religioni rivelate, predicata da Maometto, l'Islam non è solo una religione rigidamente monoteistica che richiede la totale sottomissione del credente (Islām significa infatti 'sottomissione a Dio'), ma è anche una rigorosa interpretazione del mondo e della vita, di cui coinvolge la sfera politica e sociale nella sua totalità, ivi compreso ovviamente, pertanto, anche il campo delle arti visuali. Alla base dell'unità della visione estetica è la concezione metafisica per cui solo Dio è immutabile ed eterno, mentre il tempo non è che una serie di istanti non connessi fra loro e le cose, irreali, transeunti, dipendono dalla volontà creativa di Dio, che è onnipotente, incorporeo, non localizzabile, assolutamente unico. La concezione classica dell'uomo misura di tutte le cose non ha più valore e la teoria dell'arte come imitazione della natura viene rifiutata come un sacrilego tentativo di copiare l'opera irripetibile di Dio. Per via di questi presupposti l'arte islamica si esprime in forme astratte e allusive che tendono a mimetizzare il dato sperimentale per mettere in evidenza il continuo trasmutarsi e frantumarsi delle forme nei confronti dell'eternità e dell'infinito. Per le stesse ragioni l'a. utilizza molto spesso materiali umili e deperibili, come il fango, il mattone crudo, lo stucco, e maschera le strutture con una decorazione astratta e ripetitiva, intesa a togliere organicità all'insieme. Si comprende quindi l'importanza assunta dall'arabesco (estrema stilizzazione di un motivo vegetale, riproposto all'infinito), come dall'intreccio geometrico e dalla calligrafia. Quest'ultima, anzi, viene considerata l'arte islamica per eccellenza, in quanto strumento della trasmissione e diffusione della parola di Dio nel Corano, il libro sacro che tutti i credenti devono obbligatoriamente conoscere in arabo. La calligrafia, che per i suoi caratteri di astrazione e artificiosità riusciva a soddisfare appieno le esigenze sia emotive sia legali della religione, venne impiegata in tutti i media, ma conobbe una fortuna particolare nell'ornato architettonico, soprattutto dei luoghi di culto, dai quali era bandita rigorosamente ogni rappresentazione figurata.Nel complesso l'a. islamica presenta un'impostazione tipicamente orizzontale, che non pone particolari problemi di statica costruttiva, anche se non mancano ardite soluzioni strutturali nella realizzazione di volte e cupole, specie negli ambienti iranico, ispanico e ottomano. Il senso dello spazio tende a essere sempre concreto, perfettamente definito dalla scatola muraria, sebbene nelle aree siriaca e ispano-maghrebina questa tendenza sia mitigata dalle tradizioni romana e bizantina. La cupola, realizzata in mattoni o in pietra, diviene un elemento strutturale essenziale dell'a. islamica, con interpretazioni diverse sia nel profilo esterno sia nella varietà delle formule utilizzate per raccordare il piano d'imposta circolare con il quadrato o il poligono di base. Più che i raccordi a pennacchi sferici, di origine bizantina, si usarono le nicchie d'angolo (o a tromba), che nell'Iran selgiuqide sono di un particolare tipo 'a trifoglio', presto diffusosi anche nell'Egitto fatimide. Da esso derivò il raccordo ad alveoli (muqarnas), tipico dell'Islam, che divenne comune oltre che in Iran, in Iraq e in Siria. Nell'Islam d'Occidente si sviluppò in seguito una cupola con nervature decorative di grande effetto, mentre l'Iran timuride predilesse la cupola doppia, all'interno liscia e bassa, all'esterno elevatissima e a costoloni, evidenziata da un tamburo di altezza straordinaria.In conformità con le sue direttrici ideali, l'Islam promosse un'intensa vita urbana, fondando nuove città - che spesso raggiunsero un elevato numero di abitanti - dotandole delle strutture e degli annessi necessari alla vita cittadina. Nelle città 'adottate', si utilizzavano secondo le proprie esigenze gli impianti locali dovuti alle civiltà preesistenti. Il bagno (ḥammām) - sconosciuto in Arabia che lo riceve come prestito del mondo romano-bizantino, adattato alle necessità dell'abluzione rituale - conobbe una straordinaria diffusione nelle città musulmane, divenendo uno degli edifici fondamentali di ogni quartiere. Rispetto ai modelli classici, esso è privo del frigidario, mentre l'apoditerio è di proporzioni più ampie perché forse serviva, oltre che da spogliatoio, anche da sala di riunione. Il bazar, ereditato anch'esso dal mondo classico e orientale, concentra le attività economiche, commerciali e artigianali ed è abitato esclusivamente da coloro che vi esercitano un mestiere, i quali sono divisi in settori a seconda delle varie professioni.La moschea, monumento islamico per eccellenza, assunse un aspetto architettonico solo per gradi. Ai tempi del Profeta si pregava all'aperto, talvolta nella muṣallā (luogo della preghiera), uno spiazzo nel quale una lancia ('anaza) conficcata nel terreno indicava la direzione (qibla) verso cui rivolgersi per pregare. Quest'ultima era stata dapprima stabilita verso Gerusalemme, poi, con sottile calcolo politico, verso la Mecca, dove la Ka'ba, un antico luogo di pellegrinaggio di tutte le tribù dell'Arabia preislamica "divenne il centro religioso di tutto il popolo musulmano" (Arnold, 1968, p. 22). Più tardi, nelle città sorte da accampamenti militari, come Bassora e Kūfa in Iraq, la pianta della moschea veniva appena tracciata sul terreno dopo che un arciere, lanciate quattro frecce verso i punti cardinali, ne aveva abbozzato il perimetro, delimitato da un fossato o da mucchi di fascine. In seguito le moschee vennero dotate su un lato di una tettoia di tronchi di palma, coperta da foglie impastate a fango, che fungeva da sala di preghiera, aperta comunque sui lati. Nei territori conquistati si imitarono o utilizzarono strutture locali. Al Cairo (Fustāt) la moschea eretta da 'Amr b. al-'Āṣ nel 641-642 aveva l'aspetto di una sala ipostila egiziana, con il tetto piatto sorretto da tronchi di palma, senza corte. In Siria vennero spesso impiegate come moschee le chiese cristiane, o riservandone una zona ai musulmani, oppure riadattandole, come a Ḥamā, con lo spostamento degli ingressi sui lati lunghi, onde consentire la disposizione dei fedeli secondo il rituale islamico. Solo nella prima epoca omayyade (670) a Kūfa cominciò a delinearsi uno schema che in ambiente iracheno sarebbe divenuto canonico per secoli. La nuova moschea, costruita su quella del 638, fu commissionata dal governatore della città, Ziyād b. Abīhi a operai non musulmani, forse persiani, che crearono una sala di preghiera con cinque navate parallele al muro della qibla, che si affacciava su una corte (ṣaḥn) circondata sugli altri tre lati da portici a due navate. Quelle del santuario erano "sorrette da colonne altissime, simili ad alberi maestri [...] che raggiungevano il soffitto e non erano sormontate da archi" (Ibn Jubayr, Riḥla, a cura di M.J. De Goeje, Leiden 1907, p. 211), come nell'apadana, la sala da ricevimento delle antiche regge achemenidi. Questo schema doveva influenzare la sistemazione delle moschee di Iṣṭakhr e di Qazvīn, le cui colonne di pietra terminavano con capitelli a protomi taurine, simili a quelle dei palazzi di Dario a Persepoli. Il muro della qibla non aveva in origine nessuna sistemazione particolare. Solo nella trasformazione in moschea della casa di Maometto venne precisato da una nicchia concava, inquadrata da un arco (miḥrāb), la cui derivazione è variamente interpretata. Con il passare del tempo, oltre a divenire il punto focale della decorazione della moschea, essa venne ancora più sottolineata quale 'momento' architettonico di particolare dignità mediante la costruzione di una cupola nella zona corrispondente. Oltre alle moschee di quartiere, si costruirono quelle riservate alla solenne preghiera comunitaria del venerdì, il masjid al-Jamā'a, o semplicemente Jāmi'. In esse, al miḥrāb venne aggiunto un minbar, all'origine un trono, simbolo dell'autorità politica del califfo o del suo rappresentante, che pronunciava la khuṭba (discorso), di connotazione politica. Successivamente il minbar acquistò uno specifico carattere religioso, trasformandosi in una specie di edicola cupolata con vari gradini, e anche la khuṭba divenne una specie di omelia. Solo alle moschee del venerdì venne aggiunta in epoca omayyade la maqṣūra, un recinto schermato da grate, che inglobava il miḥrāb e il minbar, per proteggere il sovrano dagli attentati, molto frequenti all'epoca dei primi califfi. Il più antico esempio di maqṣūra si trova nella moschea tunisina di Kairouan, della prima metà dell'11° secolo. All'epoca di Maometto, l'appello (adhān) alle preghiere canoniche veniva fatto dal tetto della sua casa; solo nel 673, nel rifacimento della moschea cairota di 'Amr, si idearono apposite strutture, a forma di torri, che vennero disposte ai quattro angoli dell'edificio. Anche nella Grande moschea di Damasco le torri del témenos del tempio preesistente furono usate allo stesso scopo. Più tardi vennero costruiti i minareti (manār), a somiglianza dei campanili delle chiese, che oltre allo scopo pratico del richiamo alla preghiera assunsero anche quello simbolico del trionfo dell'Islam. La primitiva moschea non era destinata soltanto al culto, ma, a somiglianza del foro e della basilica delle città classiche, era il luogo ove la comunità si riuniva nei momenti più importanti per prendere decisioni, trattare affari, conservare il tesoro, insegnare il Corano e amministrare la giustizia. Questa polifunzionalità non scomparve mai del tutto, nemmeno quando andò accentuandosi il carattere sacrale dell'edificio.Nella città, accanto alla moschea principale veniva costruito il palazzo del principe (dār al-imāra), identificabile con quello del governo. Di questo tipo di edifici sopravvive quello eretto a Kūfa, opera forse di un persiano per le caratteristiche iraniche che presenta, quale la corte a quattro īvān, di cui quello principale, destinato alle udienze, diviso in tre navate e seguito da una sala cupolata. Altre tipologie edilizie si andarono precisando in varie zone, con il crescere delle esigenze spirituali e materiali della popolazione islamica. Nell'Iran selgiuqide, per combattere l'eresia ismailita, allora molto diffusa, si ideò la madrasa, cioè un collegio per l'insegnamento delle scienze religiose, esemplato secondo i modelli delle abitazioni khorasaniche. Questi edifici avevano dei nuclei contenenti le celle per studenti e professori, nonché i locali per le lezioni e la preghiera suddivisi sui quattro lati di un cortile centrale. La madrasa si diffuse rapidamente, sia pure con qualche variante, in Iraq, Egitto, Maghreb e Anatolia. In quest'ultima regione finì con l'identificarsi con la scuola di medicina. Per le esigenze del Jihād, la guerra santa, e per il consolidamento delle frontiere, si costruirono i ribāṭ, specie di conventi fortificati provvisti di piccole celle per i ghāzī (combattenti della fede), di una sala di preghiera e di una torre d'avvistamento che serviva sia da minareto sia da segnacolo dell'Islam. Connessi ai luoghi di culto erano gli ospedali (māristān), che assunsero una particolare dignità architettonica al Cairo, a Baghdad e in Turchia. Per agevolare il traffico commerciale e carovaniero sorsero i khān (caravanserragli) e i funduq (fondaci), questi ultimi tipici dei paesi nordafricani e riservati spesso anche a mercanti occidentali. Nell'area iranica e in quella anatolica i khān sono molto imponenti e ricordano il modello della madrasa.Un edificio poco congeniale all'Islam, perché in contrasto con le prescrizioni religiose, ma che conobbe un enorme sviluppo, è il mausoleo, il cui primo esemplare si trova a Samarra (sec. 9°), sulla tomba di un califfo abbaside. Se ne diffusero vari tipi, quadrangolari, coperti da cupola rotonda o conica, ottagonali, a torre cilindrica con copertura a cono o emisferica; in Egitto e in Anatolia sono spesso connessi con moschee o madrase.Le fontane, anche se non adibite alle abluzioni rituali, assumono spesso, in vari quartieri cittadini, un aspetto monumentale ed elegante. Imponenti sono le opere idrauliche realizzate in molte zone: in Tunisia sono ancora perfettamente conservate le cisterne costruite dagli Aghlabidi nel sec. 9° presso Kairouan.Durante l'epoca omayyade (661-750), il periodo formativo dell'a. islamica, si costruirono numerosi monumenti, religiosi e civili, alcuni dei quali tuttora sussistenti. Il più antico sorge a Gerusalemme e, poiché circonda una pietra sacra del tempio di Salomone, che si riteneva quella del sacrificio di Abramo, progenitore degli Arabi, venne chiamata Cupola della Roccia (Qubbat al-Ṣakhra). Secondo un'altra tradizione essa segnerebbe il luogo dal quale il Profeta sarebbe asceso al cielo, sulla magica cavalcatura Burāq, per il suo viaggio di una notte (mi'rāj). Sia nella planimetria sia nella decorazione, l'edificio rivela i fermenti che pervadono la prima arte islamica. La sua pianta centrale di tipo ellenistico presenta all'interno due gallerie concentriche sostenute da colonne e pilastri, che permettono il rito della deambulazione (ṭawāf) intorno alla Ṣakhra. Il perimetro esterno è ottagonale e fu rivestito di mattonelle smaltate in epoca ottomana; sulla zona centrale insiste una bella cupola, impostata su un tamburo finestrato. Un sontuoso manto di mosaico bizantino riveste l'interno (e, un tempo, anche l'esterno), mentre una cornice ad arcatelle su colonnine binate rivela la tradizione iranica. Il monumento fu eretto da 'Abd al-Malik (685-705), come la vicina moschea al-Aqṣā, che, nonostante i numerosi rimaneggiamenti subìti nel corso dei secoli, appare esemplata sulle grandi basiliche costantiniane cristiane, con navate ortogonali alla qibla. Questa sistemazione, che contrasta con la planimetria prevalente delle moschee siriane, fu voluta espressamente dal califfo per superare in grandiosità gli edifici cristiani di Gerusalemme. Il complesso Cupola della Roccia-moschea poteva gareggiare trionfalmente con quella rotonda-basilica del Santo Sepolcro, edificio principe della cristianità.Capolavoro dell'a. omayyade è però la Grande moschea di Damasco, capitale della dinastia. Edificata da al-Walīd fra il 705 e il 715, sui resti del tempio di Giove Damasceno, ha un cortile circondato da portici, le cui dimensioni sono state condizionate da quelle del témenos preesistente. La sala di preghiera, eretta sul lato meridionale del ṣaḥn, ha tre navate parallele al muro della qibla, scandite da arcate su colonne, tagliate al centro da un transetto cupolato in corrispondenza del miḥrāb. Esso si affaccia sulla corte con una triplice arcata coronata da un frontone, secondo una formula ellenistico-romana, basilicale e palatina. Tutta la moschea era rivestita da un manto musivo di eccezionale bellezza, rappresentante paesaggi urbani e sontuosi motivi vegetali, eseguiti quasi sicuramente da tecnici bizantini.Le costruzioni civili più importanti sono rappresentate dai resti dei c.d. castelli del deserto, residenze di campagna dei diversi califfi, che sorgevano su terreni già fertili o appositamente bonificati. Esemplati sul tipo dei castra del limes romano-siriaco, presentano molti particolari, strutturali e decorativi, di origine orientale. Hanno solitamente una pianta quadrangolare fortificata all'esterno da bastioni e torri angolari, con un solo ingresso che introduce a un cortile centrale, spesso porticato, circondato dagli ambienti disposti su due piani e distribuiti variamente. Alcuni, come Khirbat al-Mafjar e Quṣayr 'Amrā, si avvalgono anche di un impianto termale, ornato da mosaici e persino da pitture figurate, o di sale da ricevimento tripartite del tipo basilicale (Mshattá). I resti dell'impianto urbano di Anjar ('Ayn al-Jarr), nel Libano, rivelano lo schema delle antiche città romano-ellenistiche nelle due vie assiali che si incrociano ad angolo retto nel punto centrale segnato da un tetrapilo. La moschea e il palazzo del governo, che sostituiscono il foro e la basilica classici, sorgono nelle vicinanze, mentre il mercato è spostato sulle strade principali colonnate. Accanto alle mura di cinta è un edificio termale pubblico e le abitazioni comuni sono raggruppate in insulae.Alla metà del sec. 8°, una gravissima crisi di assestamento, causata da difficoltà di vario ordine, portò alla caduta degli Omayyadi e all'avvento del potere califfale degli Abbasidi (750-1258). Con questi si compì l'orientalizzazione dell'Islam, per il trasferimento della capitale dalla Siria alla Mesopotamia e la conseguente comparsa e adozione di tradizioni artistiche iranico-mesopotamiche, vivificate da numerosi apporti centroasiatici. Questi ultimi erano evidenti anche nella pianta della capitale Baghdad, fondata da al-Manṣūr nel 762, ma ora completamente alterata. Essa era circolare, con al centro la moschea e il palazzo del califfo, secondo un antico modello orientale che voleva nella città rotonda, di vago significato magico, la concreta manifestazione del potere centralizzato. La fastosa a. imperiale di questo periodo è nota dai resti imponenti della seconda capitale, Samarra (836-892), costruita da al-Mu'taṣim per relegarvi la corte e i turbolenti pretoriani turchi della guardia reale, fomentatori di disordini con la popolazione di Baghdad. Della sua breve ma rigogliosissima vita rimangono vari complessi palatini e due enormi moschee, dal caratteristico minareto a spirale (Malwiyya) e con la sala di preghiera piuttosto profonda, di tipo iracheno. Mentre la prima, costruita da al-Mutawakkil, ha però le navate ortogonali alla qibla e il tetto piatto sostenuto da pilastri ottagonali con colonnine angolari, la seconda (Abū Dulaf), ugualmente coperta in piano ma con pilastri collegati da archi, presenta il c.d. dispositivo a T. Le sue diciassette navate perpendicolari non raggiungono il muro di fondo della sala di preghiera, bensì due navate che corrono parallele a esso e che, con quella in asse con il miḥrāb, formano una specie di T maiuscola. Questo dispositivo, eccezionale in Mesopotamia, è invece assai diffuso nell'Africa settentrionale, dove l'esempio più antico è rappresentato dalla moschea aghlabide di Kairouan (836).I giganteschi complessi civili di Balkuwārā e il Jawsaq al-Khāqānī, a Samarra, presentano una pianta molto complessa, articolata secondo uno schema tripartito, nel quale la residenza del sovrano occupa la parte più interna. Essa costituì, con qualche variazione, il modello residenziale della maggior parte dei principi musulmani, abbandonato solo molto tardi in Turchia e in Iran a favore di strutture a padiglione, sparse nei parchi. I palazzi di Samarra erano fastosamente decorati con marmi e mosaici, oltre che da tappeti e tessuti preziosi. La parte maggiormente conservata è però quella eseguita in stucchi policromi, modellati in tre stili diversi, con ornati vegetali più o meno naturalistici, secondo la tradizione tardoclassica omayyade o quella sasanide. Il terzo stile, detto propriamente 'di Samarra', è eseguito a stampo, con un rilievo piuttosto basso, definito 'smussato'. La sua decorazione vegetale, altamente stilizzata, prelude alla formazione dell'elemento più caratteristico dell'arte musulmana: l'arabesco. Un aspetto coloniale dell'a. abbaside si sviluppò in Egitto, ove il governatore turco Ibn Ṭūlūn, dichiaratosi indipendente dal califfo, fondò una breve dinastia locale (868-905). La sua moschea di al-Qaṭā'i', al Cairo, sebbene presenti le navate parallele al muro della qibla, ha però, come a Samarra, i pilastri di mattoni con colonnine angolari e il minareto a spirale.
Nei secc. 9° e 10°, quando, per una molteplicità di ragioni, il califfato si andava indebolendo progressivamente, dal punto di vista politico, la vita culturale appare invece molto intensa. Nelle nuove corti provinciali che nascevano dallo sgretolamento dell'impero califfale si andavano formando varie scuole artistiche regionali che, pur nella fondamentale unità dell'ispirazione islamica, si esprimevano con un linguaggio originale e interessante.Le prime zone a rendersi indipendenti politicamente furono quelle occidentali: Andalus (Spagna), Ifrīqiya (od. Tunisia) e Maghreb (Algeria e Marocco). Esse elaborarono forme architettoniche e decorative autonome, sia per influsso della forte tradizione classica locale, sia per reazione del sostrato indigeno, in particolare berbero, in Africa settentrionale. In queste regioni nacque poi il c.d. stile moresco, che, nei secc. 13° e 14°, doveva caratterizzare la fase classica dell'arte musulmana d'Occidente, rappresentata in a. dall'adozione di piante estremamente semplici e da strutture assai economiche, ma profusamente e ingegnosamente ornate. In Ifrīqiya e nel Maghreb, l'a. ha un aspetto precipuamente difensivo, per l'avvicendarsi di numerose dinastie (Fatimidi, Ziridi, Hammadidi, Aghlabidi, Idrisidi, Rustamidi): palazzi fortificati, opere idrauliche, ponti, condotte d'acqua - famose quelle degli Aghlabidi in Tunisia - e moschee di tipo assai severo, affini ai ribāṭ, caratterizzate dal dispositivo a T. Si vedano la Grande moschea di Kairouan, ricostruita completamente dagli Aghlabidi nell'836 sul primitivo impianto di quella di Sīdī 'Uqba del 670, la Zaitūna e quella delle Tre Porte a Tunisi.La Spagna, strappata ai Visigoti nel 711, divenne il rifugio di uno dei pochissimi Omayyadi scampati alle stragi degli Abbasidi, 'Abd al-Raḥmān I, che pose a Córdova la propria sede, fondando un emirato che, trasformatosi in califfato nel 929, scomparve novant'anni più tardi. La Grande moschea di Córdova, nonostante le varie fasi costruttive che l'hanno interessata, rivela una tipologia basilicale sul modello dell'omayyade al-Aqṣā. Le sue navate, ortogonali al muro della qibla, sono definite da archi a ferro di cavallo d'ispirazione visigotica, originalmente sopraelevati per mezzo di leggeri pilastri legati fra loro da archi a tutto sesto, che creano suggestivi effetti spaziali, accresciuti dalla vivace policromia dell'opera muraria (pietra alternata a mattone cotto).Il periodo della Reconquista cristiana favorì l'affluire nell'Andalus di un nuovo nucleo di popolazioni musulmane berbere, gli Almoravidi (1087-1147), di costumi assai rigidi, che dopo la vittoria di Zellaca (1086) poterono annettere la Spagna ai loro possedimenti maghrebini. Tornando nelle loro sedi di Nedroma, Tlemcen, Algeri, essi vi importarono modelli architettonici precisi ed elementi decorativi di stile cordovano, fra cui le cupole a nervature, a stalattiti, a pennacchi sormontati da muqarnas, come quelli che caratterizzano la moschea al-Karawiyyīn a Fez (Marocco).Uno stile ancora più sobrio negli schemi planimetrici, ispirati a modelli sia dell'Ifrīqiya sia andalusi, informò poi le opere civili, militari e religiose degli Almohadi (1147-1230), i Berberi dell'Alto Atlante che nella prima metà del sec. 12° soppiantarono gli Almoravidi in gran parte del Maghreb e della Spagna. La moschea dei Librai (Kutubiyya), quella della Qasba di Marrakech, quella incompiuta di Ḥassān a Rabat, le porte monumentali della stessa città, la cinta muraria di Siviglia, con la dodecagonale Torre del Oro, e gli splendidi minareti di Marrakech, Rabat e Siviglia (ora campanile della cattedrale), con le loro linee severe e gli ornati armoniosi, perpetuarono il gusto sincretistico della dinastia, dalle frontiere della Castiglia fino alle coste della Tripolitania, per molti decenni dopo la sua caduta. L'eredità almohade si divise in tre dinastie nell'Africa settentrionale, fra le quali si distinsero quella dei merinidi in Marocco e quella dei Nasridi in Spagna. Con questi ultimi, che posero la loro sede a Granada (1238), terminò l'occupazione musulmana dell'Andalusia, riconquistata dalle forze cattoliche nel 1492. I celebri palazzi dell'Alhambra, eretti da Yūsuf I (1333-1354) e dal figlio Muḥammad V (1354-1391) intorno a due cortili perpendicolari fra loro, sono caratterizzati da ambienti di estrema semplicità planimetrica ma di sfrenata ricchezza decorativa, che rappresentano il trionfo dello stile moresco, il quale si sarebbe trasferito poi nella più tarda a. maghrebina. Fra i materiali impiegati: marmo, pietra, mattone dipinto, legno, mattonelle smaltate (azulejos), predomina il gesso che, scolpito, stampato e cesellato, riveste interni ed esterni, forma archi, cornici, mensole, capitelli, cupole a stalattiti. Una decorazione altrettanto ricca presentano gli edifici Merinidi del Marocco di Fez Taza, al-Manṣūra, al-'Ubbād. Le moschee di quest'epoca (1267-1395 ca.) presentano il tipico dispositivo a T, mentre le madrase hanno una corte con vasca centrale, circondata su tre lati da gallerie (che alloggiano le cellette di studenti e professori) e sul quarto da una sala per l'insegnamento, fornita anche di miḥrāb per la preghiera comune (moschee al'Aṭṭārīn, al-Ṣāhrij, al-'Ubbād a Fez). La più monumentale (Bū 'Ināniyya a Fez) ha invece solo due sale cupolate sui lati della corte, una moschea e un minareto, come negli analoghi esempi di Siria e d'Egitto. In questi paesi alla dinastia 'mesopotamica' dei Tulunidi erano successe quelle dei Fatimidi, degli Ayyubidi e dei Mamelucchi, che in varia misura svilupparono, rielaborandoli originalmente, suggerimenti della tradizione ellenistica islamizzata della Siria. Trasferitisi in Egitto dalla nativa Ifrīqiya, i berberi Fatimidi di fede sciita, fondarono la città del Cairo, dotandola di monumenti insigni nei quali, accanto ai motivi dell'Ifrīqiya, sono evidenti suggerimenti siriaci e iranici. Nel nucleo originario della moschea di al-Azhar (970-971), la sala a navate parallele tagliate da un transetto in asse con il miḥrāb, cupolato in corrispondenza di questo e dell'ingresso, ricorda la tradizione di Kairouan. A questo schema nella moschea egiziana di al-Ḥākim (990-1003/1012), si aggiunge un impianto planimetrico tulunide e quindi mesopotamico (corte porticata su tutti i lati, supporti in mattoni). Una facciata monumentale di ottima pietra da taglio - materiale costantemente usato dai Fatimidi - caratterizza le moschee cairote al-Aqmar (1125) e al-Ṣāliḥ Ṭalā'ī' (1160), entrambe prive di transetto, decorate con nicchie a muqarnas e conchiglie geometrizzate di origine tardoantica. I numerosi mausolei hanno una semplice base cubica, coperta da una cupola che si raccorda alla base per mezzo di passaggi a trifoglio di tradizione iranica. Dell'a. civile, andata perduta, sopravvive la cinta muraria del Cairo, ricostruita dopo il 1060 da Badr al-Jamālī al-Juyūshī, con evidenti influssi bizantini, specie nelle tre belle porte (Bāb al-Naṣr, Bāb al-Fuṭūh e Bāb Zuwayla), dalle torri quadrangolari movimentate da nicchie e specchiature. Ṣalāḥ al-Dīn Yūsuf b. Ayyūb, il Saladino degli occidentali (1169-1193), s'impadronì nel 1171 dell'Egitto, del Hijaz, dello Yemen, di parte della Siria, di Gerusalemme (che strappò ai crociati) e dell'Iraq. L'a. ayyubide, sviluppatasi in un periodo di lotte continue, è di tipo spiccatamente militare (mura di Fusṭāṭ, Burj al-ẓafar, cittadelle di Damasco e Aleppo). Particolarmente spettacolare è l'accesso a quest'ultima, costituito da una massiccia struttura compresa fra due torri, congiunte da un ponte con possenti archi di sostegno a sesto acuto. Le moschee ayyubidi si rifanno al modello omayyade di Damasco, come la Grande moschea di Aleppo, iniziata dagli Zangidi, ma terminata da Saladino. Notevole è la corte pavimentata da lastre di marmo bicromo, con una fontana al centro e un alto minareto angolare a base quadrata.Le madrase seguono invece il tipo iranico a quattro īvān (arabo īwān); i mausolei, dalla planimetria assai semplice (ampia stanza quadrata coperta da una cupola poggiante su raccordi a muqarnas), sono ornati con dovizia, specie all'interno, ove presentano spesso più di un miḥrāb (Cairo, mausoleo dell'Imām al-Shāfi'ī, del 1211).Nel 1250 l'Egitto e gran parte della Siria furono conquistati dai Mamelucchi e l'Iraq dai Mongoli, che posero fine al califfato di Baghdad. D'origine servile come attesta il loro nome (in arabo mamlūk significa 'schiavo'), i Mamelucchi, dapprima Bahriti, di origine turca (1250-1382), poi Burjiti, di origine circassa, regnarono fino al 1517, quando furono spodestati dal sultano ottomano Selim I. La loro a., concentrata quasi unicamente al Cairo, non è originale, in quanto sviluppa moduli fatimidi e ayyubidi, con l'aggiunta di influenze cristiane, tuttavia si avvale di ottimo materiale da costruzione (calcare e pietra perfettamente tagliata), ed è eseguita con grande abilità tecnica, forse per l'intervento di architetti siriaci. Più vitale ed elegante sotto i mamelucchi Bahriti, l'a. si andò impoverendo nell'epoca circassa, per carenza d'ispirazione. Numerosissimi i monumenti, sia religiosi sia civili: oltre alle moschee, alle madrase, ai mausolei, si diffusero i khānaqā (specie di monasteri per i sufi), gli ospedali (maristān), i caravanserragli, i bagni pubblici, gli acquedotti, le fontane monumentali. Nel primo periodo le moschee sono di tipo tradizionale, con sala ipostila cupolata sul miḥrāb (Baybars, 1266-1269; Muḥammad al-Nāsir ibn Qalāwūn, 1318; Altūnbughā al-Māridānī, 1388-1440), o più raramente a quattro īvān (moschea di Shaykhū, 1349). Frequenti le moschee-madrasa, d'impianto iranico, a due o quattro īvān contrapposti. La più bella e grandiosa è quella di Sultān Hasan (1356-1363), a pianta cruciforme, con l'īvān maggiore seguito da un'immensa sala cupolata che costituisce il mausoleo del sovrano. Nel periodo di dominio circasso, moschee e madrase perdono la corte, diventando semplici locali coperti da un soffitto ligneo, con al centro un lucernario (moschea di Qā'itbāy, 1475; madrasa-moschea di Qijmas al-Ishāqī, 1480-1481). Le khānaqā erano di solito articolate con due īvān e due sale disposte ai lati di un cortile scoperto, cui si aggiungevano le celle dei sufi e uno o più mausolei. I bagni presentano la consueta pianta cruciforme, così come i caravanserragli, che hanno la corte circondata da ambienti per mercanti, animali e merci.I minareti, nei tipi a mabkhara e a qulla, sono generalmente di pietra, con base quadrata, fusto ottagonale scandito in tre parti (più lungo nel genere qulla), sormontato da una cupoletta costolata o da un padiglioncino che sostiene una cupoletta a bulbo.Un'area islamica scarsamente documentabile dal punto di vista architettonico è la Sicilia, ove sono praticamente scomparse le vestigia di due secoli e mezzo di dominazione musulmana. La successiva dinastia normanna, tuttavia, ha conservato numerosi monumenti, sia civili sia religiosi, nei quali riaffiorano, con lievi modifiche, moduli architettonici fatimidi d'Ifrīqiya e d'Egitto. A Palermo, nei palazzi della Cuba e della Zisa e nel castello di Caronia, si possono rintracciare planimetrie di stampo hammadita, così come è tipicamente islamico il principio di inserire gli edifici entro parchi di caccia, allietati da fontane e canali, con piccoli padiglioni da riposo, come la Piccola Cuba o la Cuba Soprana.Anche le chiese della Martorana, di S. Cataldo, di S. Giovanni degli Eremiti e di S. Giovanni dei Lebbrosi a Palermo, così come la cattedrale della stessa città e quelle di Monreale e Cefalù, conservano in molti particolari (policromia e archi incrociati sulle absidi, cupolette plurime) riflessi dell'a. islamica. Il celebre soffitto della Cappella Palatina di Palermo, dell'epoca di Ruggero II (1140 ca.) è a muqarnas e conserva un ciclo di pitture d'ispirazione mesopotamica, e forse d'esecuzione fatimide, che costituiscono l'esempio più cospicuo di questo genere che sia pervenuto.Nelle province iraniche si erano formati già verso la fine del sec. 9° vari stati indipendenti, nei quali ripresero vigore antiche tradizioni architettoniche legate al sostrato culturale indigeno: partico, sasanide e perfino achemenide. L'arte di queste regioni assunse pertanto caratteristiche peculiari che sono rimaste praticamente immutate fino ai nostri giorni. Risalgono ai Samanidi (874-999), ai Buwahidi (932-1055), ai Ghaznevidi (962-1186) i monumenti più significativi, tutti eseguiti in mattoni cotti e crudi. Nel mausoleo del Samanide Ismā'īl, a Bukhara (U.R.S.S.), la cui pianta quadrata cupolata deriva direttamente dal tetrapilo del tempio del fuoco sasanide, la struttura di mattoni in faccia vista costituisce anche l'originale decorazione, interna ed esterna, che in seguito sfociò in una moda nei successivi periodi ghaznevide e selgiuqide. Di epoca buwahide sono il nucleo originale della moschea di Nāyīn (960), una parte della Grande moschea e il portale della moschea Jurjīr a Isfahan (Iran), tutti caratterizzati da un'elegantissima decorazione geometrica e floreale in mattoni.Nei secc. 10° e 11° cominciò a diffondersi in area iranica il mausoleo a torre, con cupola emisferica (Pīr-i 'Alamdār a Dāmghān e l'Imāmzāda 'Abdallāh Lajīm) o copertura conica e con il fusto movimentato da speroni triangolari (Gunbadh-i Qābūs), tipologia che continuò fino al sec. 14° (Bisṭām, Rādkān Est, Kishmar). Altre tombe sono a pianta ottagonale, con cupola a torrette cilindriche agli angoli (Gunbadh-i'Alī di Abarqūh, le due bellissime di Khargān, Gunbadh-i Surkh di Marāgha). Sempre nell'Iran settentrionale venne ideato un tipo di minareto dall'altissima canna cilindrica decorata con motivi geometrici ed epigrafici eseguiti in mattoni tagliati o stucco, che in un primo tempo sorgeva isolato (Dāmghān, 1026) e poi fu disposto ai lati del portale di moschee e madrase. All'epoca ghaznevide risalgono i due bellissimi minareti a pianta stellare, un tempo annessi a moschee ora scomparse, dei quali sono crollati i fusti cilindrici sovrapposti. Praticamente integro è invece il minareto ghuride di Jām (1149), a torre cilindrica rastremata a più piani, con una ricchissima decorazione epigrafica, geometrica e floreale in stucco.Le moschee iraniche, accanto a impianti tradizionali 'arabi' (Dāmghān, Fahraj, Sūsa, Nāyīn, Lashkarī Bāzār), sviluppano moduli tipicamente indigeni: per es. l'īvān usato come sala di preghiera a Shiraz (fine sec. 9°) e a Nīrīz (973) o il chahār-ṭāq con funzione analoga ad Hazāra (secc. 10°-11°), a Yazd-i Kasht e altrove, fino al 16° secolo.Dell'edilizia civile di queste epoche sopravvivono quasi unicamente i resti dei palazzi di Maḥmūd il Ghaznevide a Lashkarī Bāzār e di Mas'ūd III a Ghaznī, entrambi rettangolari, con una grande corte centrale a quattro īvān disposti in proporzione gerarchica sui due assi principali. La sala del trono, che seguiva l'īvān principale, a Ghaznī era rivestita da splendide lastre di marmo decorate da motivi di arabeschi vegetali e iscrizioni; a Lashkarī Bāzār da stucchi incisi e colorati e da pitture raffiguranti i pretoriani in ricche vesti centroasiatiche.L'impianto a quattro īvān, di antica tradizione partica, fu adottato dalla successiva dinastia dei Selgiuqidi (1038-1157) anche per la moschea. Sotto questi sultani d'origine turca l'a. raggiunse inauditi livelli di varietà e bellezza. Poiché la loro influenza politica e culturale si diffuse anche in Mesopotamia e in Anatolia, ove alcune tribù fondarono il sultanato indipendente di Rūm, l'a. dei Selgiuqidi presenta caratteristiche differenti, che vengono classificate in tre stili principali. Il primo, quello dei Grandi Selgiuqidi, è riconoscibile in Transoxiana, Persia e nell'attuale Afghanistan; il secondo, degli Atabeg (protettori dei giovani principi) che si spartirono i domini di Siria e Mesopotamia, è identificabile con le produzioni degli Zangidi e degli Artuqidi; il terzo, in Anatolia, comprende le opere di emirati minori e quello del sultanato di Rūm che finì con l'assorbirli. Nei territori più propriamente selgiuqidi, la moschea-madrasa a quattro īvān, destinata a divenire il tipo più comune fino ai nostri giorni, si affermò solo nel 1135 nel Jāmi' di Zavara in Iran. In precedenza si costruirono moschee 'a chiosco' (Jāmi' di Ardistān, Gulpāyagān, Naṭanz, Isfahan, poi ampliate o trasformate), a uno o due īvān, soprattutto nel Khorasan. Il monumento più insigne di quest'epoca è la Grande moschea di Isfahan, ristrutturata dopo il 1120-1121, a seguito di un incendio che aveva danneggiato l'originario impianto ipostilo di tipo abbaside. Prima del 1075, Niẓām al-Mulk, potente visir del sultano Malikshāh, aveva fatto costruire nella zona qiblī una stupenda sala cupolata che, nella ristrutturazione della moschea a quattro īvān, secondo il modello della madrasa di Khargird, anch'essa opera di Niẓām al-Mulk, fu preceduta da un īvān grandioso. Sul lato opposto, Tāj al-Mulk, visir rivale di Niẓām al-Mulk, fece erigere nel 1088-1089 un piccolo padiglione, la cui cupola impostata su raccordi 'a trifoglio' è il capolavoro insuperato degli architetti selgiuqidi.I minareti e i mausolei continuarono le tipologie già affermatesi nei secoli precedenti: fra gli ultimi, l'esempio più bello è quello di Sulṭān Sanjar, posteriore al 1157, a pianta quadrata con una doppia cupola un tempo rivestita di ceramiche smaltate blu. Nel Khorasan si conserva un bellissimo caravanserraglio, comprendente due corti successive a quattro īvān, di cui quella più interna, dotata di maggiori comodità, doveva essere riservata a persone di riguardo (Rībāṭ-i Sharaf, 1114-1115).L'a. degli Atabeg di Siria e Mesopotamia risente delle forti tradizioni locali, ellenistiche e vicino-orientali, mentre gli influssi iranici vi si manifestano in maniera ridotta. A Mosul (Iraq) la Grande moschea dello zangide Nūr al-Dīn aveva una curiosa pianta a scacchiera con zone alternativamente coperte a botte o da cupolette. L'alto minareto superstite in laterizio ha la canna cilindrica, di tipo iranico. D'ispirazione selgiuqide a quattro īvān sono le madrase Rayḥāniyya (1180) e Adrawiyya (1184-1185) di Damasco, oltre all'ospedale di Nūr al-Dīn (1154). La madrasa di quest'ultimo, che comprende anche il suo mausoleo, è invece a due soli īvān, contrapposti su una corte al cui centro è un bacino. Le costruzioni di Aleppo (Siria), sempre in pietra ben squadrata dagli effetti di sobria policromia, presentano una diversa tipologia. In particolare le madrase sono di solito provviste di una moschea, situata in fondo alla corte (Khān al-Tūtūn, 1168-1169; Shād Bakht, 1193; Ma'arrat al-Nu'mān, 1199).Nell'Alta Mesopotamia la dinastia degli Artuqidi ha lasciato notevoli monumenti di pietra dalle caratteristiche peculiari, come la Grande moschea di Diyarbakır (Turchia), simile a quella di Damasco, con un transetto ortogonale alla qibla, coperto, come le navate, da un tetto a due spioventi su capriate. Le moschee di Mayyāfāriqīn (1157), l'od. Silvan, e Dunaysir (1204), in Turchia, hanno invece una sala quadrata cupolata davanti al miḥrāb, affiancata da navate parallele alla qibla, voltate e precedute da una galleria-nartece coperta a botte. I mausolei presentano la caratteristica copertura conica ad alveoli già adottata a Samarra nell'Imām Dūr del 1085 e poi nella tomba detta di Sitta Zubayda del 1200 circa. A Diyarbakır si conservano i resti di un palazzo a quattro īvān, con una corte pavimentata a mosaico e ornata da una piscina. Nelle mura della città, risalenti al periodo bizantino, furono costruiti dagli Artuqidi imponenti bastioni, con le bellissime torri Ulu Beden e Yedi Kardeş, ornate da fasce epigrafiche e figure di animali in pose araldiche.Nel territorio anatolico si distinsero i sultanati selgiuqidi dei Danishmendidi (Sivas, Kayseri e Malatya, 1092-1178), dei Saltuqidi (Erzurum, 1092-1202), dei Mangujekidi (Erzincan e Divriği, 1118-1252) e quelli detti di Rūm, dal nome del territorio di Bisanzio, da loro occupato. Essi si erano stabiliti dapprima a Iznik, poi a Konya e infine a Sivas (1097-1308), soppiantando tutti gli altri, prima di essere a loro volta travolti dai Mongoli. L'a. selgiuqide d'Anatolia si differenzia da quella iranica sia per la distanza geografica dai grandi centri persiani, che favorisce, al contrario, l'influenza bizantina e armena, sia per la diversità del materiale impiegato (pietra da taglio e marmo invece del laterizio), sia infine per fattori climatici che impongono qui la copertura a molte strutture iraniche aperte. Il modello persiano diviene però evidente in molti mausolei a torre poligonale o cilindrica, coperti da un tetto conico o piramidale (Amasya, Niksar, Divriği, Erzurum, Sivas, Konya, Tercan, Tokat, Kirşehir). Analogamente, derivano da prototipi iranici i minareti, spesso disposti a coppia ai lati dei portali di moschee e madrase e con i fusti ornati da semicilindri (Konya, Ince minareli medrese; Erzurum, Çifte minareli medrese). Le moschee presentano invece un aspetto caratteristico che sarà sviluppato del tutto nel successivo periodo ottomano. La corte tende a scomparire, ridotta spesso a un'apertura simbolica sulla navata centrale (Kayseri, Ulu Cami, 1140; Niğde, Alaettin Cami, 1223; Divriği, Ulu Cami, 1228-1229). Nella sala di preghiera (con navate su pilastri coperte a tetto piano, a botte e a cupola), tende a dilatarsi la zona cupolata in asse con il miḥrāb. L'influsso iranico compare nella Grande moschea di Malatya (1224) e nella Khwānd Khātūn di Kayseri (1238), nelle quali un īvān di mattoni rivestiti di ceramiche smaltate precede la sala cupolata. Non mancano madrase a quattro īvān (Sivas, 1271; Kayseri, 1205; Erzurum 1253), anche se la sistemazione interna delle corti dimostra una completa originalità rispetto ai modelli iranici. Tipici dell'Anatolia selgiuqide sono i raccordi triangolari, a ventaglio, delle cupole, rivestiti di ceramica smaltata in blu, bianco e nero, dei quali sussistono splendidi esempi a Konya (Karatay medrese e Ince minareli). I rivestimenti esterni dei monumenti sono sempre in pietra, squisitamente intagliata a motivi geometrici, floreali, epigrafici e perfino animalistici, in forme che è lecito talvolta definire 'barocche' (Konya, Ince minareli; Divriği, Ulu Cami). Assai diffusi sono i caravanserragli, per il grande volume di traffici commerciali: i più importanti sono i Sultanhan (Sulṭān khān), di fondazione regale, costruiti in pietra da taglio, con mura rinforzate da torri e un fastoso ingresso che immette nella corte circondata da vari ambienti. Sul lato opposto all'entrata un altro portale dà accesso a una grande sala pilastrata a più navate, solitamente con volte a botte, interrotte al centro da una cupola aperta in chiave per la luce e la ventilazione. Molti Sultanhan sono forniti di una piccola sala di preghiera, situata al centro del cortile su un tetrapilo, oppure sistemata sul portale. I resti dei palazzi sultaniali di Alaettin Keykubad (1219-1237), ritrovati presso Kayseri e Beyşehir, rivelano la preferenza per padiglioni di piccole dimensioni sparsi entro ampi cortili e giardini, con gli ambienti distribuiti in modo simmetrico, decorati con mattonelle a lustro raffiguranti il sovrano in trono, intarsi policromi, mosaici e stucchi. L'a. selgiuqide fece sentire la propria influenza sugli emirati turcomanni che, dopo l'invasione mongola dell'Anatolia, se ne spartirono il territorio, e sugli stessi Ilkhanidi. Le strutture dei principali monumenti si mantennero sostanzialmente simili; solo nella seconda metà del sec. 14° cominciò ad apparire qualche modifica, come un portico sulla fronte della moschea o una corte interna. Nella moschea Davgandos di Karaman, costituita da una vasta sala quadrata cupolata preceduta da un portico con tre cupolette, si riconosce il prototipo della successiva moschea ottomana.L'invasione dei Mongoli, iniziata nel 1220 da Genghiz Khan, causò, oltre a tremende rovine, l'introduzione massiccia di elementi artistici e culturali dell'Estremo Oriente in tutta l'Asia occidentale. Il regno ilkhanide di Persia (1256-1353), uno dei più importanti fra quelli in cui fu diviso l'immenso impero mongolo (in quanto includeva anche l'Azerbaigian, l'Armenia, la Georgia e parte dell'Asia Minore), appare caratterizzato dallo stabilirsi di una situazione di pace, di rinnovati commerci, di ricostruzione edilizia. Le due successive capitali, Tabriz e Sulṭāniyya (Iran), furono dotate di una serie di superbi monumenti, ora quasi totalmente perduti. Il superstite grandioso mausoleo di Öljaytü (1305-1317) a Sulṭāniyya può considerarsi il compendio degli ideali architettonici ilkhanidi. Nel suo impianto ottagonale venne mantenuta, con lievi modifiche, la consueta planimetria selgiuqide ma venne accentuato notevolmente il senso verticale della struttura, non solo con l'inserimento di un alto tamburo, ma anche con il profilo ovoide della bella cupola sottolineato da otto snelli minareti angolari che la circondano. Tutto l'edificio era rivestito da uno scintillante manto di maioliche turchesi, tratto peculiare della decorazione architettonica del periodo. Di tipo affine, anche se meno monumentale, è il mausoleo di Chelebī Oghlu (1310), sempre a Sulṭāniyya, mentre altri edifici funerari dei secc. 14° e 15° ripetono lo schema delle tombe-torri selgiuqidi o antiche planimetrie azerbaigiane. Le moschee mantengono la tipologia a quattro īvān (Masjid-i Jāmi' di Varāmīn e di Kirmān, prima metà sec. 14°), oppure quella 'a chiosco' (Bābā 'Abd Allāh di Nāyīn, 1300, moschee di Dast, Kag, Aziran, Ardabīl, inizi del sec. 14°). A Tabriz la gigantesca moschea di 'Alī Shāh sembra costituita da un unico īvān prospiciente su una corte, cui sono stati poi aggiunti un porticato ipostilo e una fontana monumentale. Le decorazioni interne degli edifici ilkhanidi sono eseguite di preferenza in stucco, liscio o più spesso modellato, inciso o dipinto: esempi splendidi sono documentati dal miḥrāb fatto inserire da Öljaytü nella Grande moschea di Isfahan (1310) e da quello di Abarqūh (1337-1338).La nuova invasione devastatrice di Tamerlano (Tīmūr-i Lang, 1335-1405), che sconvolse in successive ondate tutta l'Asia musulmana, si rivelò in prosieguo di tempo proficua di valori culturali per la Persia e la Transoxiana. La dinastia timuride e quelle turcomanne degli Aq Qoyunlu e dei Qara Qoyunlu, che alla prima contesero l'Iran occidentale (1370-1506), favorirono una fioritura artistica di altissimo valore, soprattutto nel campo delle arti figurative. Shāhrukh (1405-1447), figlio di Tamerlano, e Sultān Husayn Bāyqarā (1496-1506) fecero della capitale Herāt un centro splendido di cultura. Ancor più di quella ilkhanide, l'a. timuride tende alla monumentalità: gli edifici vengono dotati di enormi portali e di grandi cupole, dapprima piriformi, poi lisce, bulbose o a costoloni, a doppio scafo e impostate su altissimi tamburi. Snelli minareti a più piani fiancheggiano i portali e tutte le pareti, sia interne sia esterne, sono rivestite da uno scintillante mosaico di mattonelle smaltate, fra le quali domina il turchese. La pianta delle moschee e delle madrase continua quella selgiuqide a quattro īvān: moschee di Kalyān a Bukhara, di Gawhar Shād a Mashshad (1418), di Bībī Khānūm a Samarcanda (1398-1405), fatta costruire da Tamerlano, con minareti ai quattro angoli dell'edificio, oltre che ai lati del portale d'ingresso e dell'īvān centrale; madrase di Khargird (1444-1445) e di Gawhar Shād a Herāt (1437); forse anche la Muṣallā di Herāt (1417-1437). Moschee a pianta centrale cupolata, prive di corte ma con un monumentale īvān d'ingresso fiancheggiato da potenti minareti, vennero costruite a Samarcanda (Ulugh Beg, 1417-1420), a Shahr-i Sabz, nel Turkestan (Aḥmad Yasavī, 1394-1395). Il Masjid-i Kabūd (moschea Blu) di Tabriz, costruito nel 1465 dal turcomanno della confederazione dei Qara Qoyunlu, Jahānshāh, ha invece una pianta particolare, con una sala centrale cupolata circondata da otto ambienti, anch'essi cupolati, di evidente derivazione bizantina. I mausolei timuridi, rappresentati a Samarcanda dalle sedici tombe reali della necropoli dello Shāh-i Zinda (1334/1335-1405), hanno una planimetria molto semplice: ambiente quadrato, coperto da una cupola, bassa all'interno e altissima all'esterno ove poggia su un elevato tamburo. Di tipo affine, anche se assai più grandiosi, sono i mausolei di Ahmad Yasavī (1394-1395) nel Turkestan, di Bayyān Qūlī Khān (1357) a Bukhara, di Gawhar Shād a Herāt e il Gūr-i Mīr a Samarcanda, tomba di Tamerlano e dei suoi familiari (1405). Questi ultimi due edifici sono caratterizzati da splendide cupole bulbose a costoloni rivestite da ceramiche smaltate turchesi, blu, nere e bianche, dagli eleganti disegni geometrici.Succedendo ai Selgiuqidi in Anatolia, gli Ottomani si sparsero ben presto su due terzi del mondo islamico, dall'Azerbaigian all'Algeria, in parte della penisola balcanica e sui territori dell'impero bizantino, di cui però riuscirono a conquistare la capitale solo nel 1453. La loro produzione artistica, di tradizione selgiuqide, fu fortemente influenzata dall'ambiente bizantino ed ellenistico, dando origine a uno stile caratteristico, del tutto nuovo per l'Islam, che si diffuse in maniera pressoché uniforme per il vasto impero.Peculiare, nel disegno della moschea, è l'adozione di una sala quadrata coperta da una grande cupola, preceduta da un portico a travate con cupolette, cui possono affiancarsi ambienti riservati a scopi diversi: biblioteche, sale utilizzate per ricevimenti o per l'insegnamento, tribunali. Presentano questo schema le più antiche moschee di Bursa ('Alā'al-Dīn, 1326) e di Iznik (Ḥājjī Özbek, 1333; Ḥājjī Ḥamza, 1345), in Turchia.Solo alcuni edifici presentano piante diverse, come l'Ulu Cami di Bursa (1421), a navate parallele divise in travate da pilastri cruciformi, coperte da venti cupole di cui una con un lucernario, l'Eski Cami (1409) e la Muradiye Cami di Edirne (1419), con sale larghe di tipo selgiuqide.A Iznik, nella Yeşil Cami (1378-1387), compaiono due portici, uno esterno e uno interno, secondo un'evidente derivazione dall'analogo doppio nartece delle chiese cristiane. In altri esempi (Amasya, Beyazid Paşa, 1414-1419) la navata della sala di preghiera ha due cupole contigue, secondo lo schema degli ambienti di culto cristiani. La Yeşil Cami (1413-1421) e la Muradiye Cami (1447) di Bursa presentano per la prima volta la planimetria detta 'a T rovesciata', ottenuta abolendo l'īvān d'ingresso e ampliando quelli laterali che fiancheggiano la sala cupolata.Le madrase mantengono la tipologia selgiuqide, con le celle degli studenti e le aule per le lezioni disposte intorno a un cortile rettangolare (Bursa, Yeşil Medrese, 1421; Merzifon, Čelebi Mehmet, 1414). Anche i mausolei (türbe) dei sovrani e dei loro familiari, annessi spesso a madrase e moschee, conservano la struttura anatolica consueta (Iznik, Ḥājji Ḥamza, 1345, e Candanli Hayrüddin Paşa, 1378; Bursa, Devlet Hatun, 1414).I bagni pubblici, sebbene ispirati alla tradizione classica, hanno un loro specifico carattere turco, che risulta evidente sia nella struttura sia nella decorazione. Divisi in tre parti fondamentali - gamekan (apoditerio), soğukluk (tepidario), halvet (calidario) - gli ḥammām comprendono ampie sale voltate con numerose dipendenze. Taluni sono doppi, con sezioni separate per gli uomini e per le donne. I bagni termali (kaplıca) sono numerosi a Bursa, con piscine alimentate da acqua calda (Eski Kaplıca, ca. 1389). Nelle città sono molto diffusi anche i caravanserragli, che presentano una corte centrale rettangolare, fiancheggiata da edifici a due piani, i quali alloggiano, al piano inferiore, botteghe, scuderie e magazzini e, in quello superiore, camerette per i viaggiatori. In qualche caso, al centro del cortile compaiono una fontana e una piccola moschea.Sulle rive del Bosforo sorgono alcune notevoli costruzioni militari, quali i bastioni di Beyazid II (Anadolu Hisar, 1395) e di Mehmet II (Rumeli Hisar, 1452). Quest'ultimo consta di una lunga cinta di mura che, interrotta da grosse torri (tre delle quali erano sormontate da tetti conici), sfrutta razionalmente il pendìo del terreno su cui sorge.
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